LIRA
Dalla libra ponderale d'argento, base del sistema monetario di Carlomagno (v. libbra), prese nome la lira, che rimase soltanto moneta ideale o di conto fino a oltre la metà del secolo XV, quando, per l'aumentato valore dell'argento, il denaro e i suoi multipli, sole monete reali, diminuirono di peso tanto da rendere necessaria la creazione di pezzi più pesanti e quindi anche dell'unità monetaria. Come i denari (v.), fin dall'origine, diedero luogo a una varietà presso che infinita di specie, così avvenne della lira tanto ideale quanto reale a seconda dei luoghi e delle autorità emittenti, varietà che crebbero con il continuo variare del peso e del rapporto con l'oro. Tutta la storia della moneta italiana, dal sorgere delle prime monete comunali fino agl'inizî del sec. XIX si compendia e si riassume nella storia delle variazioni della lira. Questa storia per alcuna delle più importanti (Bologna, Milano, Venezia, ecc.) venne studiata e ne conosciamo i risultati che sono, si può dire, paralleli, salvo alcune insignificanti varietà derivate dalla diversità della misura ponderale. Le prime lire reali erano belle monete di peso abbastanza rilevante, le ultime invece erano povere monete di mistura.
Numerose del pari le varietà delle lire di conto; per lira, nel linguaggio comune e nelle scritture, s'intende la lira di denari piccoli ossia dei legittimi discendenti dell'originario denaro di Carlomagno. Nelle transazioni di maggiore importanza si usava la lira di grossi, ossia quella composta di 240 pezzi di grossi che erano la realizzazione del soldo ideale. A questa se ne aggiunsero altre derivate dal modo di calcolare le valute: lire di banco, lire a oro, ecc. Non è possibile fare qui l'enumerazione delle varie lire reali e di conto che, si può dire, furono tante quanti i luoghi dove si coniavano o dove si facevano transazioni più o meno importanti.
L'adozione del sistema decimale portò con sé la sparizione di tutte queste varie specie e anche dei varî modi di conteggio, basandosi su una unità di valore che conservò il nome di lira a un pezzo d'argento del peso di 5 grammi metrici. Tale si mantenne fino ai giorni nostri in cui le mutate condizioni dell'economia mondiale e il variato rapporto con l'oro base del sistema monetario moderno, l'hanno fatta scomparire come moneta d'argento, perché sarebbe ridotta a un peso esiguo, e comparire invece come moneta fiduciaria di nichelio. Questo fatto di cui siamo stati testimonî serve più di qualunque altra spiegazione a far comprendere le variazioni subite nei secoli dalla vecchia lira.
Ecco tuttavia alcune delle lire usate nei vari stati italiani, sia come moneta di conto, sia come moneta effettivamente circolante, con il loro equivalente in lire oro: Lombardia, lira vecchia (0,77), lira nuova, o austriaca o svanzica (0,86), Veneto, lira vecchia (0,55); Genova, lira di 20 soldi (0,83); Modena, lira modenese (0,38); lira di Reggio (0,25); Toscana, lira fiorentina (0,82); Stato pontificio, lira romana o papetto (I, 10). Nel Regno Italico dapprima, poi nel regno di Sardegna, fu adottata la lira di 100 centesimi, pari al franco francese, che dal 1862 divenne l'unità monetaria del regno d'Italia.
In Francia furono usate la lira parigina (livre parisis), che valeva fr. 1,23; e la lira tornese (livre tournoìs) di 20 soldi, pari a fr. 0,987, che dal 1667 rimase sola moneta di conto.
Altre unità monetarie che portano il nome di lira sono la lira sterlina (v. sterlina), la lira egiziana di 100 piastre a 1000 millesimi (L. oro 25,87); la lira turca, anche di 100 piastre (L. oro 22,78), la lira palestinese, di 1000 mil, pari alla lira sterlina.
Liretta si disse a Venezia la lira per Dalmazia e Albania perché di peso e diametro minori di quelle coniate per la Dominante e anche le lire più piccole delle vecchie; lirone e lirazza invece quelle coniate con intrinseco minore e quindi di peso e diametro maggiore.
Lira italiana. - Il vecchio nome della moneta di conto, diventata nel sec. XVIII moneta effettiva d'argento in molti stati (vedi sopra), fu adottato in Italia come unità monetaria decimale (titolo 835, peso gr. 5), parificata in tutto al franco francese, al tempo del dominio napoleonico. Con la restaurazione ritornarono in vigore le vecchie monete dei singoli stati. Disposta finalmente, con la legge 24 agosto 1862, l'unificazione del sistema monetario in tutto il regno, s'iniziò lentamente il ritiro delle vecchie monete. Al 31 dicembre 1870 ne erano già state tolte dalla circolazione per un valore di 414, 1 milioni di lire (per 3,4 d'argento), sostituite dalle monete coniate dal 1861 al 1879 per 510 milioni. A limitare l'emissione delle monete divisionali d'argento era intanto intervenuta la convenzione monetaria con la Francia, il Belgio e la Svizzera, ratificata con la legge 21 luglio 1866, che determinava in maniera uniforme il titolo di quelle monete e il limite massimo della loro emissione.
Ma alla circolazione metallica, che entro questi limiti può sembrare eccessivamente modesta, per urio stato il quale contava già 20 milioni di abitanti e nel quale l'uso dei pagamenti con chèques era quasi sconosciuto, si viene a poco a poco aggiungendo la circolazione cartacea. Questa però, nonostante la pluralità delle banche autorizzate all'emissione, si mantiene fino al 1866 entro limiti modestissimi, che non superano se non una sola volta, nel 1863, il totale di 300 milioni, meno cioè dei 3/5 della circolazione metallica, e permettono quindi che si mantenga per tutto quel periodo la libera convertibilità dei biglietti.
La situazione si modifica con lo scoppio della guerra del '66: già nel giugno di quell'anno la circolazione sale a 440 milioni, per raggiungere nel dicembre il massimo di 621. Negli anni successivi seguita a salire, passando dalla media di 436 milioni nel 1866 alla media di 951 milioni nel 1870, e superando nell'ultimo semestre di quell'anno il miliardo di lire il doppio cioè di quella che era allora la circolazione metallica. Si capisce quindi come, date anche le pessime condizioni del bilancio dello stato e i forti debiti contratti all'estero per le costruzioni ferroviarie, non si potesse più mantenere la convertibilità dei biglietti, e anzi fin dall'inizio di questo periodo si proclamasse (1° maggio 1866) il corso forzoso. Nel periodo di 16 anni (1866-1882), in cui dura il corso forzoso, la circolazione cartacea continua ad aumentare assai rapidamente, fra il 1870 e il 1874, e poi più lentamente, per mantenersi, dal 1880 in poi, stazionaria intorno ai 1600 milioni di lire (di cui più di 900 per conto dello stato). Nello stesso tempo la lira italiana subisce sul mercato internazionale una forte svalutazione: l'aggio dell'oro, che, al principio del 1866, era di 1,25%, raggiunge alla fine dell'anno stesso il livello di 20,50, e si mantiene, nei 14 anni successivi, intorno alla media di 10 (minimo, del tutto eccezionale, di 1,72 nel 1870, e massimo di 17,65 nel 1873).
La sospensione di ogni nuova emissione e le voci che incominciano a diffondersi sui progetti di ritorno alla convertibilità della moneta cartacea, determinano una rapida discesa dell'aggio che, da una media di 10,53 nel 1880, precipita ad 1,88 nel 1881, con un minimo di o,25; e alla sua volta questo tracollo facilita la progettata soppressione del corso forzoso, che è approvata con la legge 7 aprile 1881, ma è attuata soltanto dal 1° maggio 1883. L'esito felice della riforma, compiuta col concorso di un prestito estero di 644 milioni di lire, la fiducia che il pubblico seguitò a dimostrare nel biglietto di banca e di stato, usufruendo in misura assai modesta del diritto di convertirlo in moneta metallica, e il basso livello a cui si mantennero per alcuni anni l'aggio e i cambî incoraggiarono le banche di emissione, col consenso del governo, a servirsi delle più ricche riserve per un nuovo aumento della circolazione, che non solo non fu diminuita dei 600 milioni previsti dalla legge Magliani, ma salì alla fine del decennio successivo alla somma di 1726 milioni, garantita da una riserva metallica o in valute equiparate, che ne rappresentava appena il 43 per cento. Si ritorna così di fatto, dopo solo quattro anni, al corso forzoso, e l'aggio risale fino a toccare, al tempo della crisi bancaria del 91-93, il livello del 15%.
Con la riforma bancaria del 1894, con la politica di rigida economia e col miglioramento della bilancia dei pagamenti, s'inizia il periodo di risanamento della lira, che si consolida nel quinquennio 1903-1908 e non subisce oscillazioni neppure nel quinquennio successivo fino alla vigilia della guerra mondiale. La circolazione bancaria, che alla fine del 1894 era di 1126 milioni di lire (oltre ai 600 milioni di biglietti di stato), è salita bensì, alla fine del 1908, per le maggiori necessità del commercio, a 1826 milioni (oltre a 435 milioni di biglietti di stato), ma nello stesso tempo le riserve metalliche sono salite da 491 a 1391 milioni. Il cambio della lira con le monete più pregiate raggiunge, dopo il 1903, la pari, e vi si mantiene, tolte lievi oscillazioni, per un decennio.
La guerra mondiale determina nella situazione della lira un nuovo turbamento, il quale, contenuto in proporzioni relativamente limitate nei mesi della neutralità e nei primi due anni della partecipazione italiana, comincia a farsi gravissimo dopo l'ottohre 1917 per raggiungere il culmine alla fine del 1920. La circolazione bancaria infatti che, fra il 30 giugno 1914 e il 30 giugno 1917, era salita da 2199 a 5815 milioni, viene accresciuta di 2609 milioni nel secondo semestre del '17, e continua a salire negli anni successivi fino a toccare il massimo di 19.731 milioni alla fine del 1920. Meno una sola eccezione, dovuta a un intervento artificioso, la perdita di valore della lira rispetto all'oro e alle monete più apprezzate procede di pari passo con l'aumento della circolazione. Dopo una rapida discesa all'indomani dell'entrata in guerra, quando la lira (al 30 giugno 1915) perde già il 16,5% sul franco svizzero, essa seguita e discendere lentamente fino all'ottobre del '17 quando, in due mesi, da 71 precipita a 61 e poco dopo a 59 centesimi di franco; e sarebbe certamente discesa molto di più se, per gli accordi intervenuti fra il giugno e l'agosto 1918 con le tesorerie degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Francia, non si fosse stabilizzato il corso del cambio sul dollaro a 6,33, sulla sterlina a 30,30 e sul franco francese a 1,16. Si spiega così come, alla fine di dicembre 1918, mentre la circolazione era stata aumentata nell'ultimo semestre di altri 1679 milioni, il valore della lira fosse apparentemente risalito da 58,8 a 81,5. Ma questo arresto nella discesa, o anzi questo movimento, puramente fittizio, di rialzo, poté manifestarsi perché le importazioni si facevano ormai quasi esclusivamente per mezzo dello stato, e questi, quando non bastassero le divise tratte dalle esportazioni, pagava con tratte sui crediti aperti dai governi esteri. E il rimedio finì per essere gravemente dannoso, perché creò nel paese l'illusione che la lira avesse un valore molto superiore alla realtà; e quando il 25 marzo 1919 Londra e New York disdissero la convenzione e lasciarono piena libertà al commercio dei cambî, si videro i cambî italiani precipitare a 61 nel luglio 1919, a 37 nel gennaio, a 28,4 nel luglio 1920, per toccare il livello più basso di 18,2 nel dicembre dello stesso anno. Si deve in parte a questa enorme differenza tra i cambî vincolati del secondo semestre del 1918 e i cambî liberi dei due anni successivi, se tra la fine del '18 e quella del '20 la circolazione bancaria subì un ulteriore aumento di 8 miliardi di lire, di poco inferiore a quello che si era avuto in tutti i quattro anni di guerra.
Col principio del 1921 la rapida discesa dei prezzi nel mercato internazionale e la possibilità di restringere le spese dello stato permettono finalmente una diminuzione della circolazione, che si ripercuote subito in un aumento del valore della lira che risale a 22,5 alla fine del 1921, a 23,5 nel giugno 1922 e a 25,2 nel dicembre. L'opera di risanamento finanziario continua, con maggiore energia, nel triennio successivo, 1923-1925, nel quale però, mentre diminuisce di circa 1 miliardo la cosiddetta circolazione bancaria per conto dello stato, e di circa 300 milioni quella dei biglietti di stato, aumenta invece di quasi tre miliardi la circolazione per conto del commercio. L'aumento della circolazione si ripercuote ancora una volta sui cambi che seguitano a peggiorare: il valore della lira (sempre in rapporto alla lira d'anteguerra) che oscilla fra un minimo di 23,3 e un massimo di 27,3 nel 1923, discende rispettivamente a 21,4 e 25,8 nel 1924; a 17,2 e 21,9 nel 1925. (Il potere di acquisto della lira, che in base agl'indici dei prezzi era stato calcolato di 18,66 nel 1923, e di 18,07 nel 1924, scende a un minimo di 14,60 nell'agosto 1925).
Ad onta della restaurazione finanziaria, della sistemazione dei debiti esteri, compiuta coi due accordi di Washington (14 novembre 1925) e di Londra (27 gennaio 1926), e dell'unificazione dell'emissione bancaria (legge 25 giugno 1926), il deprezzamento della lira continua anche nei primi otto mesi del 1926, e raggiunge anzi, in certi momenti, i limiti più bassi a cui si fosse mai discesi (16,9 nel luglio). A ridare al pubblico la fiducia che la lira non avrebbe seguito la strada battuta dal rublo, dal marco e dalla corona austriaca, sopravvenne il discorso di Pesaro (18 agosto 1926), affermazione solenne della ferma volontà del Capo del governo di prendere i provvedimenti indispensabili per la difesa della nostra moneta; volontà tradotta subito in atto col decreto-legge 7 settembre che provvedeva a un'immediata riduzione della circolazione, ritirando tutti i biglietti di stato (da 25, da 10 e da 5 lire) e sostituendoli con monete d'argento, diminuendo il debito dello stato verso la Banca d'Italia mediante la cessione a questa di 90 milioni di dollari (di cui 70 risultanti dal prestito Morgan); e finalmente col sollecitare la liquidazione delle passività della Cassa sovvenzioni valori industriali. Si ottiene così, alla fine del 1926, una riduzione della circolazione di 1316 milioni in confronto dell'anno precedente, e la riduzione continua nell'anno seguente.
Questa riduzione della circolazione, col concorso dei numerosi prestiti americani, determina, in misura forse superiore alle previsioni, una rapida rivalutazione della lira, che, iniziatasi negli ultimi mesi del 1926, continua per tutto il 1927 riportando la lira nell'ottobre di quell'anno al valore di 28,4, non più raggiunto dopo il primo semestre del 1920.
Raggiunta su un livello, di poco inferiore a questo, la stabilizzazione di fatto, si poteva arrivare finalmente alla stabilizzazione legale, che venne deliberata col r. decr. legge 21 dicemhre 1927. In base a questo e alle norme più precise contenute nel decr. 26 febbr. 1928, la Banca d'Italia ha l'obbligo di convertire i propri biglietti, che vengano presentati alla sede centrale di Roma, in oro o in divise estere pagabili in oro, in ragione di un peso di oro fino di grammi 7,919 per ogni 100 lire, che equivale a lire attuali 3,66 per ogni lira d'anteguerra (o per ogni franco svizzero), a lire 19 per dollaro, a lire 92,46 per ogni sterlina (oro). La Banca non baratta in monete d'oro i suoi biglietti, ma in valute equiparate o in verghe d'oro per un minimo di 5 kg. del valore di circa 63.000 lire. Tutte le riserve in oro o equiparate della Banca d'Italia sono computate al suo attivo in lire italiane al tasso di stabilizzazione e le plusvalenze emergenti da tale rivalutazione (in tutto 8798 milioni di lire) vengono accreditate allo stato allo scopo di liberarlo da ogni impegno contratto direttamente o indirettamente con la Banca. I risultati di questi provvedimenti si sono rivelati nel quadriennio successivo come definitivi; e tolte lievissime oscillazioni la stabilità della lira è rimasta da allora immutata, resistendo anche in momenti gravissimi, fra cui quello del crollo della sterlina.
Bibl.: E. Martinori, La moneta, Roma 1915; B. Stringher, Sulle condizioni della circolazione e del mercato monetario durante e dopo la guerra, Roma 1920; id., Memorie riguardanti la circolazione ed il mercato monetario, Roma 1925; R. Bachi, L'Italia economica, Torino 1909-1921; G. Mortara, Prospettive economiche, Milano 1921-32; C. Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia (dal 1860 al 1928), Milano 1929; R. Lefèvre, La circolazione metallica del Regno d'Italia (1862-1930), Roma 1931; G. Del Vecchio, Cronache della lira in pace e in guerra, Milano 1932; L. Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari 1933 ("Storia economica e sociale della guerra mondiale, Serie italiana").