lira
Presente in due luoghi del Paradiso (XV 4 e XXIII 100; e come variante, importante ai fini della classificazione dei manoscritti, ma assai meno ricevibile, in Pg XIII 34; cfr. Petrocchi, ad l.), il termine è inserito in un contesto metaforico; nel primo caso, la dolce lira adombra il canto delle anime costituenti la croce del cielo di Marte, mentre nell'episodio del trionfo della Vergine l'immagine della l. serve a sublimare il canto dell'angelo coronante il bel zaffiro, Maria. Nell'un caso e nell'altro, l'immaterialità e insieme la vastità della visione poetica sono tali, che ogni tentativo di dare una spiegazione filologicamente esatta del termine rischia di rimpicciolire l'afflato dell'ispirazione e di non chiarire affatto quanto è già così limpido per virtù propria. A differenza di altri luoghi ove la citazione dantesca è ancorata a precisi riferimenti d'indole tecnica, qui lo strumento musicale è ricordato più per la generica evocazione del fenomeno sonoro, che per il bisogno di circoscrivere la rappresentazione a elementi organologici di materiale esattezza ed evidenza.
Il poco che è a noi noto circa la tecnica organologica medievale non contribuisce certo ad arricchire quanto i versi di D. già per loro conto suggeriscono. Il termine generico l. indicava nel Medioevo almeno due famiglie di strumenti, ben differenziate una dall'altra. Da una parte sopravviveva l'immagine dello strumento più tipico dell'antichità classica, greca e romana; e a imitazione della l. classica, l'alto Medioevo conobbe due gruppi di l., dotate di un numero variabile di corde: cinque o sei nei manoscritti anglo-sassoni dei secoli VII e VIII, parallele e pizzicate; da quattro a sei, ancorate alla sommità superiore, nei codici francesi dei secoli IX e X. L'altra famiglia invece, pur essa suddivisa in due sottogruppi, è caratterizzata dal fatto che le corde sono messe in vibrazione dall'arco e non dal pizzico delle dita, come nella famiglia precedente. Forse è lecito tracciare una sommaria linea di confine tra le due famiglie, e supporre che sino al Mille le l. erano pizzicate, e dopo quell'epoca suonate con l'arco. Ora, mentre è evidente che la prima famiglia, a corde pizzicate, è l'erede della l. classica, la seconda rappresenta una tendenza nuova, di cui non si hanno tracce nella grecità, e che è destinata a condurre, attraverso una lunga serie di passaggi e di trasformazioni, ai moderni strumenti ad arco.
Poste queste premesse, è possibile identificare gli strumenti cui fa allusione Dante? All'inizio del c. XV sembra fuor di dubbio il riferimento a una l. concepita secondo le strutture classiche, le cui corde la destra del cielo allenta e tira: espressione adatta a qualunque strumento a pizzico e che, oltre tutto, riprende, senza soluzioni di continuità estetica, il fascino sonoro del dolce tintinno udito alla fine del canto precedente. Per quanto riguarda il trionfo della Vergine, l'immagine è ancora più sfumata, sì da non consentire alcun preciso riferimento organologico; ma è probabile che anche qui D. pensasse, se pur in modo vago, alla l. dei Greci e dei Romani, per la nobiltà derivante allo strumento dalla sua stessa antichità di sangue e dall'eleganza delle sue forme esteriori. Le l. medievali, specie se suonate con l'arco, appaiono rozzamente costruite, ingombranti e poco maneggevoli, legate a una tradizione d'improvvisazione giullaresca; pertanto male avrebbero risposto al fren de l'arte richiesto dalla sublimità dello spettacolo qui rappresentato.
Bibl. - C. Sachs, The history of musical instruments, New York 1940, 264-268.