SCANNABECCHI, Lippo (Filippo)
di Dalmasio. – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo pittore documentato a Bologna e Pistoia tra il 1373 e il 1410. La sua prima menzione risale al testamento del padre Dalmasio, redatto nella casa di famiglia nella parrocchia di S. Domenico a Bologna il 2 novembre 1373: Lippo è seguito dalle sorelle Caterina e Agata, mentre il fratello minore, che avrebbe preso il nome del genitore defunto, al tempo non era ancora nato. La madre di Lippo fu Lucia, sorella del pittore bolognese Simone di Filippo, detto dei Crocifissi. Nel 1377, in occasione del matrimonio della sorella Caterina, fu Lippo a dotarla; a questa data l’artista, sicuramente maggiorenne, viene ricordato quale erede per la terza parte dei beni paterni, anche in nome del fratello Dalmasio. Sulla base di questa indicazione, la storiografia ha supposto che la data di nascita dell’artista possa ricadere in un torno di anni prossimo al 1350.
Secondo i documenti successivi Lippo fu stabilmente attivo a Pistoia, dove nel 1380 presenziò al testamento di Stella di Fazio, mentre l’anno successivo la stessa committente predispose «un lascito di un podere stabilendo tra le altre cose la produzione di una tavola d’altare» (Boggi - Gibbs, 2013, p. 114) per la cappella di S. Benedetto nella chiesa pistoiese di S. Maria dei Servi, che venne terminata nel 1384. In quegli anni il pittore, abitante nella parrocchia di S. Bartolomeo, continua a essere citato nei documenti: fideiussore per un mutuo di 100 fiorini d’oro (4 settembre 1384; Bacci, 1941-1942, p. 111); attivo nella decorazione del catafalco di Jacopo Sandri (ottobre 1384; ibid., pp. 109 s.); possessore di due case rispettivamente nelle cappelle di S. Procolo e S. Domenico a Bologna (estimo del 1385; Filippini - Zucchini, 1947, pp. 154 s.); eletto e partecipe in diversi atti del Consiglio generale di Pistoia (1385-88). Si tratta di una mole importante di carte, che attestano il prestigio e la facoltà economica di Lippo (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 114-117, con bibliografia precedente), capace di gestire l’attività toscana pur mantenendo solidi rapporti e interessi commerciali anche in ambito bolognese, come testimonia una promessa di vendita che Jacopo de Nebulis gli fece per un terreno il 12 febbraio 1387 (Pini, 1998, p. 494).
Nel volgere di pochi anni Lippo tornò stabilmente nella città emiliana. Il 18 gennaio 1389 nominò Jacopo di Marco e Guido di Mazzeo suoi procuratori a Pistoia (Bacci, 1941-1942, p. 111) e il 26 novembre del 1390 assunse la prima carica pubblica felsinea come podestà delle terre di Zappolino (Filippini - Zucchini, 1947, p. 155). Nei vent’anni successivi un numero consistente di documenti testimonia con continuità la sua impressionante carriera pubblica. Fu infatti nominato castellano di San Martino e podestà di sacco di Medicina (1392); notaio del dazio dei mulini (1393); vicario a Tossignano (1394); vicario delle terre di Galliera e portinarius del palazzo degli Anziani (1396); vicario di Budrio, capitano di Samoggia, di porta S. Donato e della rocca piccola di Bazzano (1397); capitano della rocca piccola di Castelfranco, di quella di Piancaldoli e di porta S. Felice (1399); vicario per le terre di Galliera (1401); capitano di porta Saragozza e vicario delle terre di Bruscoli (1402); vicario nelle terre di Scaricalasino, di Crevalcore, di Savigno, di Nonantola e di Tiola (1405); vicario di Galliera, custode della torre degli Asinelli e castellano di Zola (1406); vicario delle terre di Montebello, castellano di alcune rocche e capitano di porta S. Felice (1408); vicario di San Giovanni in Persiceto (1409). Infine, in diverse occasioni fu creditore pubblico, esattore comunale, notarius defensorum aversi, sovrintendente dei questori della società dei Notai, cavaliere a servizio del giudice dell’ufficio dei Procuratori e a sua volta eletto giudice dell’Unicorno (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 117-133).
Lippo fu uno degli artisti municipali più apprezzati e influenti, capace contemporaneamente di rivestire incarichi pubblici, amministrare una facoltosa situazione economica privata e gestire una bottega in grado di soddisfare importanti commissioni anche legate al cantiere petroniano, come nel 1393, quando, insieme a Giovanni di Ottonello, gli vennero pagate 28 lire per la pittura di una pala in «tabula» e «in panno lineo» per l’altare maggiore provvisorio della basilica (Bolognini Amorini, 1841), o nel 1394, quando gli venne commissionata una tela con S. Giorgio per la cappella omonima (ibid.). Nello stesso anno un documento testimonia l’avvio della decorazione della pala d’altare di S. Cecilia in S. Giacomo Maggiore (Filippini - Zucchini, 1947, p. 157), conclusa nel 1408, ed è nota la firma apposta insieme alla data sull’Incoronazione della Vergine della Pinacoteca nazionale di Bologna, commissionata da Redolfo de’ Lamberti (Pini, 1999); inoltre da alcuni atti processuali del 1398 si evince la sua attività presso la chiesa di S. Maria dei Galluzzi (Filippini - Zucchini, 1947, p. 158). Risultano poi firmate e datate anche la Madonna dell’umiltà in S. Maria della Misericordia (1397) e quella in trono della collezione Pollen a Norton Hall (Gloucestershire; 1409; Boggi - Gibbs, 2013, pp. 163 s.), mentre diversi dipinti sottoscritti sono noti dalle fonti (ibid., p. 173-177).
L’11 ottobre del 1410 Lippo fece testamento nominando erede universale il figlio Sinibaldo, nel volgere di poco tempo spirò e venne sepolto nella tomba bolognese della famiglia Scannabecchi in S. Domenico (Pini 1998, pp. 523-525).
I cronisti antichi, sulla base del successo socio-economico dell’artista e dell’alto numero di sue opere sopravvissute di soggetto mariano, elaborarono lo stereotipo di Lippo pittore cristiano devoto alla Vergine (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Cavazzoni, 1603; Malvasia, 1678, 1841). Con la piena rivalutazione della pittura bolognese del Trecento, la storiografia artistica ha progressivamente messo a punto un catalogo (Berenson, 1968; Boskovits, 1975; Benati, 1992; Id., 1996; Massaccesi, 2010-2011) che oggi può vantare alcune decine di opere e che recentemente si è strutturato in una prima monografia (Boggi - Gibbs, 2013). Un problema annoso, sottolineato dagli studi, resta comunque l’attività di Lippo a Pistoia, poiché l’attribuzione al giovane artista di alcuni affreschi (Madonna del Padiglione nel convento di S. Domenico; Madonna dell’umiltà in S. Paolo; quella con angeli del palazzo comunale: ibid., pp. 57-81) non ha trovato la concordanza della critica. È pur vero che la formazione del pittore nella bottega paterna sembrerebbe palesarsi quale un fatto acquisito, come parimenti la condivisione di alcuni elementi stilistici e di parte del percorso artistico con lo zio Simone di Filippo (Del Monaco, 2018, p. 65): in tal senso è stata letta la sua matrice neogiottesca, ma soprattutto quell’atteggiamento conservatore, quasi accademico, con cui normalizzò costantemente nella sua produzione pittorica le invenzioni più schiettamente bolognesi (Benati, 1996, pp. 730 s.). A Lippo è stato ricondotto, anche sulla base della firma letta a suo tempo da Antonio Bolognini Amorini (1841), l’affresco staccato con la Madonna col Bambino e santi, già in casa Tagliavini a Bologna, presso la chiesa di S. Paolo fuori porta S. Isaia, oggi in collezione privata; alcuni caratteri stilistici, prossimi a esempi pittorici pistoiesi, hanno suggerito che il dipinto debba essere datato al tempo bolognese (Boggi - Gibbs, 2013, p. 141). Negli anni Novanta, oltre alle summenzionate Incoronazione della Vergine – parte di un trittichetto che va idealmente rimontato con le due ante oggi al museo fiorentino Stibbert (D’Amico, 2004, pp. 162 s.) – e Madonna dell’umiltà (Boggi - Gibbs, 2013, p. 149), si possono annoverare tra le sue realizzazioni la tela con la Madonna dell’umiltà tra angeli, oggi alla National Gallery di Londra, che palesa evidenti punti di contatto con le pitture pistoiesi (Volpe, 2004, pp. 13 s.), quella di medesimo soggetto su tela (già Fondoantico; Benati, 2007) e l’affresco molto danneggiato sotto il portico in via Saragozza (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 147 s.). Entro il 1397 venne probabilmente dipinta la lunetta in S. Procolo con la Vergine e il Bambino tra i ss. Benedetto e Sisto (Benati, 1996, p. 730), mentre al 1399 si può datare la Madonna dell’orazione dell’omonima cappella in S. Colombano (Varese, 1969, p. 32). A queste opere la critica ha avvicinato l’Orazione nell’orto con i ss. Ambrogio e Petronio (Pinacoteca nazionale di Bologna; D’Amico, 2004, pp. 158-160) e anche due Profeti o Evangelisti di discussa attribuzione (Fondazione Pisa; De Simone, 2010). Dalla chiesa del conservatorio di S. Croce proviene il polittico firmato della Madonna col Bambino e santi oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna, che è sempre stato giudicato come uno dei massimi raggiungimenti della produzione di Lippo, «dove Longhi [1950] notava ancora accenti ‘nardeschi’ e che appare segnato in parte da un corposo neogiottismo» (Benati, 1996, p. 730). Queste riflessioni stilistiche, recentemente rimesse in discussione (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 157 s.), hanno suggerito una sua datazione entro l’ultimo decennio del Trecento, supportata anche da un importante dettaglio iconografico: nel modellino dipinto della città sorretto da s. Petronio, la torre degli Asinelli presenta ancora il corridore, una fortificazione lignea che bruciò nel 1398. In stretta relazione alla pala della Pinacoteca sono stati ricondotti: la Madonna dell’umiltà con angeli firmata dello stesso museo (D’Amico, 2004, pp. 164 s.); due Profeti, quello sbarbato della Staatsgalerie di Stoccarda e quello barbuto di ubicazione ignota (Massaccesi, 2010-2011, p. 114); ma anche la tavola del Lindenau-Museum di Altenburg (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 152 s.). Altresì, paiono caratterizzate da una sostanziale affinità stilistica a quest’ultima, oltre che da medesimi punzoni, la Madonna col Bambino e santi firmata (già in collezione Rusconi-Clerici; Benati, 1992, p. 129 nota 107), la Pentecoste (Fondazione Magnani Rocca; Tosini Pizzetti, 2001), l’Ultima cena e il Cristo in Pietà (collezione privata; Benati, 1992, p. 129 nota 107), ma forse anche le due tavolette con Santi, una già in collezione Cassuto e un’altra periziata da Zeri nel 1997 (Boggi - Gibbs, 2013, p. 185).
La storiografia artistica ha rilevato come la ridondanza di stilemi nella pittura di Lippo, se da un lato agevola le attribuzioni, dall’altro non rende per nulla semplice scalare i suoi dipinti nel tempo (Benati, 1996, p. 730), e infatti diverse sono le posizioni sul finto polittico ad affresco nella chiesa bolognese di S. Maria dei Servi (Boggi - Gibbs, 2013, pp. 144 s.), dove la cornice in cotto tradisce l’influenza veneziana, una delle ragioni che potrebbero anche suggerire una collocazione dell’opera nei primi anni del Quattrocento. Alcune tavole evidenziano numerose consentaneità stilistiche proprio con questo polittico (Benati, 1992, p. 129 nota 107; Massaccesi, 2010-2011, pp. 107-110): una Crocifissione (già Sotheby’s), una Croce (Collezioni comunali d’arte di Bologna), la Madonna e il S. Giovanni dolenti (già New York, Silberman Galleries), la malandata Deposizione (Bologna, Museo di S. Stefano) e infine la Vergine col Bambino nella chiesa bolognese di S. Benedetto, cui sono stati accorpati i pannelli con i santi Giovanni Evangelista e Pietro, scomparsi dall’Accademia di belle arti di Ravenna, e quelli con Antonio abate e Paolo, transitati più volte sul mercato antiquario (Tambini, 2011, pp. 339 s.).
All’ultima fase della produzione di Lippo vanno riferiti i Santi già in collezione Gallo a Torino, verosimilmente parte del sopracitato polittico per gli eremitani bolognesi terminato nel 1408 (Medica, 2003, pp. 56, 59), oltre ad alcuni dipinti col tema della Madonna col Bambino, come quello firmato e probabilmente appartenuto a Marcello Oretti, oggi in collezione privata (Massaccesi, 2010-2011, p. 109; Boggi - Gibbs, 2013, pp. 141 s.), l’affresco di S. Martino Maggiore, quello di S. Giovanni in Monte e la logora tavoletta già Marquard (ibid., pp. 161-163): opere dalla grande efficacia visiva, indice di un’intelligente produzione di bottega che fu molto apprezzata dalla committenza. In questa fase Lippo dipinse la Madonna del velluto conservata nel Museo di S. Domenico a Bologna (ibid., pp. 162 s.), probabilmente uno dei suoi capolavori, dove riuscì a coniugare ed equilibrare la sua duplice natura derivata dalla tradizione artistica toscana e da quella del Trecento bolognese, rinvigorendo la sua parlata con una traduzione veramente efficace di alcune novità tardogotiche. In tal modo rispose agli stimoli internazionali del cantiere petroniano, muovendosi altresì tra declinazioni diverse come quella qualitativamente alta del suo compagno di strada Giovanni di Ottonello, o quella del celebre Jacopo di Paolo, e confrontandosi anche con gli stilemi gotici offerti dal promettente Pietro di Giovanni Lianori, forse suo creato.
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