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VIGO, Lionardo

di Giacomo Girardi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)
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VIGO, Lionardo

Giacomo Girardi

VIGO, Lionardo. – Nacque ad Acireale il 25 settembre 1799 da Pasquale, figlio cadetto di una nobile famiglia, e da Ignazia Calanna, figlia di un giureconsulto.

La famiglia paterna, di antica origine genovese, aveva acquisito nel XVII secolo il marchesato di Gallidoro e Letoianni e le Segrezie di Acireale.

La madre morì quando Vigo aveva tre anni, lasciando figlio e marito in una situazione familiare ostile, che indusse Pasquale ad affidare l’istruzione del giovane dapprima all’oratorio acese dei padri filippini, sino al 1811, e in seguito al collegio Cutelli di Catania e al Calasanzio di Messina, dove il ragazzo rimase dal 1813 al 1816. L’esperienza traumatica vissuta nei primi due istituti segnò un periodo infelice per il giovane, mitigato poi dalla positiva esperienza nella scuola messinese, dove iniziò a sviluppare una predilezione per gli studi letterari e storici. Completato il percorso di formazione in legge, nel 1822 si laureò all’Università di Catania; dopo un viaggio tra Napoli e Palermo, l’anno seguente diede alle stampe il suo primo volume, Prose e poesie, rivelatore di un interesse per la poesia e le tradizioni popolari destinato a non abbandonarlo più. Contestualmente, suggestionato dall’insegnamento di Domenico Scinà e dall’amicizia con Niccolò Palmieri, si dedicò a una serie di ricerche archeologiche che segnarono l’avvio di un altro dei suoi interessi. Nel 1826 si trasferì prima a Siracusa e poi ad Agrigento con l’incarico di ricevitore generale dello stralcio, rinunciando subito alla carriera giudiziaria. In quegli stessi anni maturò la convinzione di una superiorità politica e culturale della Sicilia nel contesto mediterraneo, ponendosi nel solco di un sicilianismo del quale sarebbe poi divenuto tra i maggiori sostenitori.

Alla produzione letteraria, divisa tra liriche in omaggio alla terra natia (A Sicilia, 1837; Ad Agrigento, s.d.; Ad Aci e Il Belvedere di Acireale, s.d.), saggi storici (Memorie storiche di Pietro Paolo Vasta, pittore di Aci-reale, 1827; Notizie storiche della città di Acireale, 1836) e l’inizio della stesura di un romanzo cavalleresco destinato a impegnarlo per lunghi anni, Il Ruggiero, si affiancarono l’interesse e la messa in pratica dei principi dell’agronomia, adottati nella gestione delle proprie terre nell’area di Zafferana Etnea, di cui sono prova la successiva pubblicazione del trattato De’ bisogni della cultura e del commercio de’ vini in Sicilia, 1845, e la partecipazione al settimo Congresso degli scienziati italiani, a Napoli. Nel corso degli anni Trenta visitò i principali centri della penisola, tra cui le capitali partenopea, toscana, pontificia e sarda: qui ebbe l’opportunità di fare la conoscenza di personalità di spicco del mondo politico e intellettuale dell’epoca, come Massimo D’Azeglio, Francesco Domenico Guerrazzi, Raffaello Lambruschini, Terenzio Mamiani, Giovanni Prati, Niccolò Tommaseo. Con molti di loro intrattenne negli anni a venire rapporti epistolari ricchissimi.

Nel 1831 Vigo si unì in matrimonio con Carlotta Sweeny, di padre inglese e di madre siciliana, che morì dopo due anni durante il parto, dal quale nacque la figlia Carlottina. Negli anni seguenti continuò a lavorare al Ruggiero, preparò la biografia del patriota Alfio Grassi e pubblicò il saggio Degli archivi di Napoli e di Sicilia, 1847; intrecciò inoltre rapporti, soprattutto epistolari, con il mondo intellettuale isolano, soprattutto con Giuseppe Crispi, Emerico Amari, Michele Amari.

Nel Vigo maturo di quegli anni l’amore nei confronti della terra natia mutò in un sentimento politico fortemente regionalista e autonomista, tramite il quale auspicò un futuro di piena indipendenza dal controllo esercitato da Napoli. Il mutato clima politico che fece seguito alla rivoluzione siciliana del 1848 rappresentò per Vigo una svolta cruciale: convinto che fosse giunto l’atteso momento di riscatto per la Sicilia, fu dapprima eletto in un comitato incaricato di provvedere al governo della città natale e si unì poi ai moti insurrezionali antiborbonici, giungendo in una Palermo in pieno fermento rivoluzionario, chiamato assieme allo zio Salvatore Vigo Platania e al cugino Leonardo Vigo Fuccio come membro del nuovo Parlamento siciliano. Durante l’esperienza rivoluzionaria Vigo ricoprì il ruolo di presidente della commissione parlamentare di guerra e si fece promotore di istanze che prevedevano il ritorno alla costituzione del 1812 e il raggiungimento dell’indipendenza da Napoli, contro chi voleva fare dell’isola un luogo di sperimentazione repubblicana o la provincia di un’altra nazione; ciononostante non votò la decadenza della monarchia, fatto che gli consentì di evitare l’esilio al ritorno delle truppe di Ferdinando II e di ritirarsi tra Acireale e la sua casa di campagna, non prima però di aver fatto atto di devozione a Casa Borbone e di avere rinnegato pubblicamente i trascorsi rivoluzionari.

Nel 1854 sposò in seconde nozze Marianna Famoso, palermitana di origini popolari dalla quale ebbe un figlio maschio, Salvatore Pasquale. Furono quelli anni di isolamento, ma anche di studio e di ricerca, che sfociarono nella pubblicazione del suo più noto lavoro, la raccolta dei Canti popolari siciliani, 1857, considerato come uno studio pionieristico di fondamentale interesse. L’enorme operazione di reperimento e catalogazione dei canti, per la quale fu aiutato da collaboratori e allievi, tra cui Luigi Capuana, nascondeva, dietro l’erudizione, l’intento politico-culturale «di avvalorare l’idea di una ‘nazione siciliana’ tanto antica quanto indipendente da influenze esterne» (Bonanzinga, 2015, p. 27). Il volume ricevette una buona accoglienza pure fuori dai confini di Sicilia, anche se non mancarono le critiche di chi del tema si occupava da tempo, come Michele Amari, Costantino Nigra, Alessandro D’Ancona e Angelo De Gubernatis. A Vigo furono rimproverati il metodo approssimativo, superficiale e carente di rigore filologico, nella raccolta dei canti e le posizioni riguardo l’evoluzione storico-linguistica dell’isola. Da quel momento, malgrado il successo che fece seguito alla pubblicazione dei Canti, l’intera sua produzione letteraria divenne oggetto di critiche, soprattutto in riferimento all’edizione della Lirica, 1855, e poi alla pubblicazione integrale del Ruggiero, 1865, del quale alcuni stralci avevano riscosso apprezzamenti negli anni precedenti, ma che in quel momento sembrò fuori tempo massimo. Alla fine degli anni Cinquanta risale anche l’inizio della stesura del volume che avrebbe dovuto «rappresentare il coronamento della sua lunga attività letteraria» (Girardi, 2017, p. XX), ovvero la Protostasi sicula. Il manoscritto, al quale Vigo lavorò sino alla fine dei suoi giorni, ma che non riuscì a portare a termine, si proponeva di esaltare il primato politico-culturale della Sicilia a partire dalle sue origini mitologiche, nel tentativo di dimostrare la necessità, nel presente, di tenere in debito conto le peculiarità proprie dell’isola e la sua superiorità nel nuovo contesto italiano.

Nel frattempo, lo sbarco dei Mille, i fatti militari che ne seguirono e il plebiscito delle province siciliane per l’annessione al Regno d’Italia furono salutati da Vigo con accenti di fervore, che si esplicitarono con il suo viaggio a Palermo in qualità di membro di una commissione che aveva il compito di dare il benvenuto a Vittorio Emanuele II e con la pubblicazione di All’Italia del 1861. Il suo atteggiamento mutò di lì a breve in una serrata opposizione allorché i suoi progetti federalisti si scontrarono con la realtà dei fatti del nuovo sistema centralistico sabaudo (La Sicilia nell’agosto 1860, s.d.). Intanto, nel 1860, fu incaricato di presentare a Torino un’istanza per l’istituzione, in Acireale, di un porto e di un tribunale, mentre nei mesi seguenti gli furono affidate le cariche di ispettore agli studi per il circondario della città natia, di ispettore agli scavi e di direttore del regio ginnasio. Tra il 1861 e il 1864 si consumò la rottura, già da diverso tempo annunciata, con Michele Amari: questi, divenuto ministro dell’Istruzione, bocciò la sua candidatura a ispettore agli studi di Catania e, soprattutto, la sua aspirazione alla cattedra di eloquenza presso l’università della città etnea.

Benché i suoi metodi di ricerca e le sue posizioni politiche intransigenti fossero oggetto di costanti attacchi, la sua fama letteraria dovette conservarsi intatta: nel 1865 il Municipio di Firenze lo invitò a partecipare alle celebrazioni per i seicento anni dalla nascita di Dante – di qui la pubblicazione di Dante e la Sicilia, 1870 –, mentre le città di Palermo e Rapallo gli offrirono la cittadinanza onoraria; contestualmente, continuarono le dispute archeologico-letterarie con illustri studiosi europei, fra tutti Adolf Holm, e gli scambi epistolari. Nel 1869 fu nuovamente impegnato in una missione a Firenze per conto del Consiglio comunale di Acireale.

Nel 1874 Vigo diede alle stampe una nuova edizione dei Canti, pubblicata con il titolo di Raccolta amplissima, nel tentativo di segnare definitivamente il punto negli studi sul folklore siciliano. L’operazione si rivelò tuttavia sfortunata: le critiche e le accuse di approssimazione, se non di vera e propria falsificazione, cui era stato sottoposto già negli anni precedenti, si intensificarono e fu così che Vigo passò «nel giro di pochi anni dall’essere considerato un caposcuola a subire un vero e proprio ostracismo» (Bonanzinga, 2015, pp. 44 s.). Trascorse gli ultimi anni ad Acireale, diviso tra gli incarichi di membro della Commissione conservatrice di belle arti per la provincia di Catania e di ispettore degli scavi per Acireale, e le ultime pubblicazioni (Origine e sito della vetusta Sifonia, 1877).

Morì ad Acireale il 14 aprile 1879.

Fonti e Bibl.: Presso la biblioteca dell’Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale è conservato l’archivio di Vigo: vi sono compresi un ricco epistolario e un fondo manoscritti con i suoi maggiori lavori, editi e inediti. La sua produzione letteraria è raccolta nei quattro volumi delle Opere (1865-1900). Una rassegna dei suoi scritti si trova in F. Pavone, Bibliografia ragionata di L. V., in Omaggio a L. V. nel centenario della morte, Acireale 1982, pp. 853-910.

M. Calì, La Sicilia nei canti di L. V., Acireale 1881; G. Grassi Bertazzi, Vita intima. Lettere inedite di L. V. e di alcuni illustri suoi contemporanei, Catania 1896; Id., L. V. e i suoi tempi, Catania 1897; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, ad ind.; Omaggio a L. V. nel centenario della morte, Acireale 1982; L. Capuana, Lettere inedite a L. V. (1857-1875), a cura di L. Pasquini, Roma 2002; Risorgimento e antirisorgimento. Carteggio inedito L. V.-Giannina Milli 1852-1875, a cura di L. Pasquini, Lanciano 2003, pp. 63-70; A. De Francesco, The antiquity of the Italian nation. The cultural origins of a political myth in modern Italy, 1796-1943, Oxford 2013, pp. 109 s.; S. Bonanzinga, L. V., un pioniere dell’etnografia siciliana, in Lares, 2015, vol. 81, 1, pp. 17-84; G. Girardi, Introduzione, in L. Vigo, Protostasi sicula o genesi della civiltà, Roma 2017, pp. XIX-XXXIV.

Vedi anche
Giuseppe Sciuti Pittore (Zafferana Etnea 1834 - Roma 1911). Studiò a Catania e si perfezionò più tardi a Firenze e a Napoli; dal 1875 visse a Roma. Ebbe successo per i suoi dipinti di soggetto storico, di tono accademico: I funerali di Timoleone (1876, Palermo, Gall. d'arte mod.), Restauratio aerarii (Roma, Gall. naz. ... Pitrè, Giuseppe Folclorista (Palermo 1841 - ivi 1916). Medico, storico, filologo, letterato, Pitre, Giuseppe si può considerare come il fondatore della scienza folkloristica in Italia, in quanto diede alle ricerche non solo un grande impulso, ma ordine, sistemazione, metodo. La sua opera resta una solida base degli ... Sciàscia, Leonardo Scrittore (Racalmuto 1921 - Palermo 1989). Dall'esperienza d'insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell'arretratezza siciliana. Successivamente, ... Trinacria Antico nome della Sicilia presso i Greci (comp. di τρεῖς «tre» e ἄκρα «promontorio»). Gli antichi ritenevano che fosse l’isola chiamata da Omero Θρινακίη; più tardi se ne inventò un eponimo in Trinaco, eroe leggendario o primo re dell’isola. ● Recava sul rovescio la figurazione simbolica della Trinacria ...
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