FRESCOBALDI, Lionardo
Nacque a Firenze - quartiere S. Spirito, gonfalone del Nicchio - da Niccolò (detto di Sammontana) di Guido di Lapo e da Maddalena di Lapo di Fiorenzino Pulci; ebbe una sorella di nome Piera (che andò, poi, sposa a Simone Orlandini). La sua data di nascita è con molta probabilità da porre al 6 nov. 1324: il F. stesso infatti ci dichiara (cfr. Viaggio, ed. Bartolini, p. 161) di aver compiuto sessant'anni il 6 nov. 1384 nel corso del suo viaggio in Medio Oriente.
Qualche perplessità può suscitare l'età, per quei tempi piuttosto avanzata, per compiere un viaggio così lungo e faticoso, e quella ancor più tarda (73 anni) in cui egli svolse gli ultimi, certi, incarichi politici e militari; ma il complesso dei dati biografici sicuramente riferibili al F. ci porta a escludere che nella tradizione manoscritta del Viaggio si sia verificato lo scambio (non infrequente) tra LX e XL e che quindi sia necessario posticipare la data di nascita al 1344.
Il curriculum pubblico del F. ricostruito dai genealogisti (Poligrafo Gargani, Manoscritti Passerini) va accettato con qualche riserva, data la coeva presenza di almeno quattro omonimi: Lionardo di Stoldo (officiale alla Grascia nel 1369), Lionardo di Bernardino ("fatto di popolo" nel 1379 insieme al F.), Lionardo di Fresco (consigliere della Signoria nel 1385) e Lionardo di Castellano (ancora vivo nel 1429).
I Frescobaldi, appartenenti al ceto magnatizio, guelfi e immatricolati all'arte di Calimala furono presenti, con diverse compagnie, come banchieri e mercanti sulle principali piazze europee dagli inizi del Duecento; tuttavia, verso la fine del secolo, le loro fortune cominciarono a declinare e - intorno al 1314 - dovettero abbandonare le loro attività in Inghilterra. Sul piano politico, dopo che nel 1285 Ugolino (Ghino) era stato dei Priori, gli ordinamenti di giustizia del 1293 li emarginarono confinandoli per lungo tempo in una rigida opposizione al governo popolare, da cui essi cercarono inutilmente di uscire mercé ripetuti tentativi di congiure.
Lo stesso padre del F., già esiliato nel 1340 e nel 1343, morì comunque nel lungo esilio cui era stato condannato per aver partecipato alla congiura magnatizia del 1360.
La prima notizia relativa al F. è del 30 ott. 1353, quando fu condannato a una pena pecuniaria per aver offeso Conte di Guido Frescobaldi (Papa, p. 9). Nel 1357 fece testamento (rogato da ser Gherardo di Guido) in favore della madre, la quale, a sua volta, il 19 febbr. 1358 testò in favore del Frescobaldi.
Nel 1360 con la mediazione della Signoria, giurò pace con suo cugino Guido Frescobaldi. Nel 1361 ricevette l'incarico di arruolare truppe per il Comune nel contado fiorentino; l'anno successivo fu commissario di Empoli e Montelupo: nell'esercizio di questa carica egli fu condannato per aver rilasciato alcuni prigionieri, ma in seguito dimostrò la propria innocenza e la sentenza fu revocata.
Nel 1363 fu caporalis della compagnia di ventura del Cappelletto e in tale veste intervenne in un accordo tra questa e il Comune di Todi. Nel 1364 donò un appezzamento di terreno alla chiesa di S. Piero del Monte nel distretto di Carmignano; nello stesso anno, e poi nell'ottobre 1367, si rese responsabile di due aggressioni rispettivamente nei confronti di Cacio del Mannaia e di Giovanni del fu Francesco "de Biliottis". Nel 1369 prestò malleveria per molti suoi familiari che chiedevano pubblici uffici. Nel 1373 fu regolatore delle gabelle e nel '77 fu podestà di Colle Val d'Elsa e "deputato" alla costruzione di un monastero per le convertite a Fiesole.
Il 22 genn. 1379, insieme con altri diciannove magnati, si "fece di popolo" per riacquistare i diritti civili, e il 28 febbraio (secondo la procedura obbligatoria in tali casi) assunse il cognome Del Palagio - mutandolo tuttavia, il giorno successivo, in quello di Rinieri di Callerotta - e abbandonò l'antica insegna familiare (troncato superiore d'oro e inferiore di rosso con tre rocchi d'argento) per una nuova insegna con un grifone rosso in campo bianco. Alla fine del 1381 fu però autorizzato a usare nuovamente nome e arme di famiglia, aggiungendo nell'insegna uno scudo d'argento con croce rossa, simbolo del popolo fiorentino; nello stesso anno fu dei Cinquantadue della balia creata dalle arti maggiori, nuovamente al potere. All'inizio dell'anno successivo fu ambasciatore al Comune di Bologna per illustrare le riforme istituzionali recentemente introdotte a Firenze; nello stesso anno fu ambasciatore a Fojano e ad Arezzo, insieme con Guido Del Palagio e Giorgio Gucci, presso Giovanni Caracciolo, vicario del re di Napoli Carlo III, per trattare il rilascio della città di Arezzo da parte delle truppe di Alberico da Barbiano e di Villanuccio da Brunforte.
Secondo la stessa dichiarazione (Viaggio, p. 124), fu proprio nel corso di questa missione che il F., per iniziativa del Del Palagio, maturò la decisione di intraprendere un viaggio in Terrasanta e anche il Gucci aderì all'iniziativa; in seguito il Del Palagio rinunciò al viaggio, cui invece decise di partecipare Andrea di Francesco Rinuccini, fratello del più celebre Cino. I tre partirono da Firenze il 10 ag. 1384 e fecero ritorno nel luglio 1385. In quello stesso anno il F. fu ambasciatore a Pescia e a Città di Castello.
Il Passerini ricorda che nel 1386 egli fu podestà di Todi, ma gli Elenchi dei podestà dell'Archivio comunale di Todi non confermano la notizia. Nel 1387 fu inviato in missione di pace presso i Malatesta a Rimini e i da Polenta a Ravenna; il 16 luglio di quell'anno fu ambasciatore a Siena, insieme con Tommaso Marchi, Rinaldo Gianfigliazzi e Alamanno Alamanni, per fare opera di pacificazione in occasione di una ribellione del Comune di Montepulciano ai Senesi, ma fu una missione burrascosa e priva di risultati. Ancora nel 1387 fu nominato ufficiale e riformatore dello Studio fiorentino. Nel 1388 fu affidata al F. un'ambasceria per trattare con i Comuni lombardi la creazione di una lega antiviscontea; per lo stesso motivo nel 1389 il F. si recò in gennaio a Perugia presso Braccio Fortebracci e in novembre a Venezia.
Il 15 apr. 1390 fu nominato "sindaco" di Montepulciano per prendere possesso di quella città che, nuovamente ribellatasi ai Senesi, si era spontaneamente sottomessa ai Fiorentini; compiuta questa missione, ricevette dalla Signoria la dignità cavalleresca e fu quindi inviato presso papa Bonifacio IX.
Nel 1390 fu commissario di guerra in Val di Pesa (dove aveva possedimenti: la Signoria affidava spesso il comando militare di una zona a chi era direttamente interessato a essa) nelle operazioni contro Giangaleazzo Visconti; dato l'incerto procedere delle attività militari, nel 1392 il F. fu inviato come oratore ai Lucchesi per coinvolgerli nella lega antiviscontea. I Lucchesi aderirono alla lega e la guerra nell'Italia centrale si riaccese: il 30 luglio 1395 il F. fu commissario in campo contro la città di Castrocaro; l'anno successivo Firenze partecipò con la S. Sede alle trattative per convincere il condottiero Cecchino Broglia da Trino ad abbandonare il campo del Visconti e a passare al soldo del papa e dei Fiorentini: il F. dal 1° al 19 apr. 1396 fu ambasciatore presso il Broglia concludendo l'accordo per il reclutamento. Il 3 dicembre fu nominato commissario di guerra per il Valdarno inferiore ma già il 7 dicembre venne richiamato dal campo e inviato come ambasciatore al papa Bonifacio IX per rassicurarlo sulla fedeltà dei Fiorentini al Papato romano nelle vicende dello scisma, e per comporre una questione sorta tra gli Alberti e Pietro d'Ascoli. Di nuovo a Firenze il 1° febbr. 1397, il 21 dello stesso mese fu nominato commissario in campo presso Bernardone della Serra, capitano fiorentino nella perdurante guerra contro Giangaleazzo.
Il 20 giugno 1398 il F. si recò nuovamente a Roma presso Bonifacio IX per le trattative di pace con il Visconti e per ottenere la sospensione del trasferimento ad altra sede di Onofrio Dello Steccuto Visdomini vescovo di Firenze e personale amico del Frescobaldi.
Il Manzi (p. IX) sostiene che il F. abbia preso parte con valore all'assedio di Pisa nel 1405, ma la notizia non è confermata da alcuna fonte. Il 7 nov. 1408 scrisse ai Conservatori del Comune di Orvieto accettando - a nome del figlio Tommaso, in quel momento assente da Firenze - la podesteria di quella città. Nel 1409 fece testamento (rogato da ser Lapo Mazzei) nominando eredi il figlio Tommaso e l'ospedale di S. Maria Nuova.
L'ultima notizia che abbiamo sul F. risale al 20 luglio 1413, quando - con atto rogato da ser Biagio di Castello - donò l'oratorio di San Luca a Grumaggio, nel Valdarno, a fra Carlo dei conti di Monte Granelli, fondatore della Congregazione dei girolamini a Fiesole.
Ignoriamo la data della sua morte che comunque è da porre non molto dopo il 1413. Secondo quanto afferma il Borghini, il F. sarebbe stato sepolto nella "cappella di S. Maria detta dei Lambertucci" della chiesa fiorentina di S. Spirito, distrutta poi dall'incendio del 1471.
Dal Viaggio (p. 126) sappiamo che nel 1384 aveva sei figli ("n'avea sei tra maschi e femmine e la moglie gravida") di cui sono identificabili: Tommaso, Francesco, Maddalena, Lazzaro (emancipato nel 1404, padre di Caterina e Lazzero), Niccolò (padre di Caterino) e, forse quello Stoldo di Leonardo che dopo il 1434 fu privato dei diritti politici dal regime mediceo. Il Passerini gli attribuisce un secondo Francesco, figlio naturale. Sposò in prime nozze una Agnola, di ignoto casato, che però doveva essere già morta nel 1390, se è vera la notizia (sempre del Passerini) del suo matrimonio in quell'anno con Letta di Paniccia di Bernardo Frescobaldi, la quale, a sua volta, in seconde nozze avrebbe poi sposato Baldassarre di Niccolò Stradi; il Papa attribuisce al F. altre due mogli: Jacopa di Gherardo Buondelmonti e Bianca di Ghino di Monente Buondelmonti, ma la notizia sembra improbabile.
L'esperienza più significativa fra le diverse attività del F. è costituita senza dubbio dal viaggio compiuto - nel 1384-85 - in Egitto e in Terrasanta, di cui lasciò un dettagliato resoconto.
Prima della partenza egli si era incontrato con Onofrio Dello Steccuto Visdomini, agostiniano, allora vescovo di Volterra, suo amico e confessore, il quale gli aveva trasmesso, da parte di Carlo III d'Angiò Durazzo re di Napoli, l'incarico di esaminare, in vista di una crociata, quali fossero le possibilità strategiche dei luoghi che egli avrebbe visitato. Il F., con Giorgio Guccio Gucci e Andrea di Francesco Rinuccini, partì da Firenze il 10 ag. 1384 per Venezia, ove si unirono a loro altri quattro viaggiatori fiorentini: Simone di Gentile Sigoli, Antonio di Paolo Mei, Santi del Ricco e il prete Bartolomeo da Castelfocognano.
I viaggiatori si misero in mare il 4 settembre. Il F., Gucci e Rinuccini portavano con sé 400 ducati ciascuno e avevano lettere di credito per altri 300 da riscuotere presso gli agenti commerciali dei Portinari operanti nelle città che avrebbero visitato. Durante il viaggio si fermarono a Zante, a Modone e a Corone; il 27 settembre giunsero ad Alessandria. Il 5 ottobre, scortati dal turcimanno cui erano stati affidati, partirono da Alessandria e navigando sul Nilo giunsero al Cairo l'11 ottobre, dove si fermarono otto giorni per visitare i luoghi "notabili" e per rifornirsi di quanto occorreva loro per la traversata del deserto.
Il 19 ottobre si mossero per il monte Sinai dove arrivarono il 28. Giunsero poi a Gaza il 12 novembre e ne ripartirono il 19 per Betlemme dove giunsero il 21. L'indomani arrivarono a Gerusalemme dove dedicarono poi l'intera giornata del 24 alla visita del Santo Sepolcro. Il 2 dicembre lasciarono Gerusalemme e attraverso la Samaria, passando per Nazareth e per il lago di Tiberiade, giunsero a Damasco il 9 dicembre. Qui morirono Andrea Rinuccini e uno dei famigli che erano al loro seguito. Partiti da Damasco il 29 genn. 1385, giunsero a Beirut dopo il 15 febbraio e lì rimasero sino agli inizi di maggio quando si imbarcarono diretti a Venezia, dove giunsero dopo una traversata assai tormentata.
Secondo la concorde testimonianza di Gucci e dei Sigoli - autori anch'essi di un resoconto di quello stesso viaggio - i viaggiatori sbarcarono a Venezia il 21 maggio, ma poiché il F. ci dice di essere rientrato a Firenze "un capo d'undici mesi e mezzo" (cioè agli inizi di luglio) dobbiamo pensare che egli sia rimasto ancora un mese circa a Venezia prima di rientrare a casa forse per portare a termine commerci intrapresi in Oriente, dei quali, peraltro, egli nulla ci fa sapere.
Tornato a Firenze, il F. pose mano alla stesura dei suoi ricordi di viaggio, cui la tradizione successiva diede titolo di Viaggio in Egitto e in Terrasanta. Si trattava naturalmente del resoconto di un pellegrinaggio, ma anche di un racconto del tutto profano riguardante un viaggio in paesi lontani: un testo, quindi, dove è lasciato assai ampio - quasi preponderante - spazio a quanto la curiosità laica e mercantile dell'autore coglie nei paesi visitati. La struttura narrativa è inevitabilmente quella del resoconto di viaggio, con l'annotazione tappa per tappa di ciò che colpisce l'attenzione dell'autore: l'aspetto delle città, gli usi matrimoniali dei "Saracini", i loro cibi, il loro abbigliamento, le tecniche agricole, le varietà delle produzioni artigianali, i prezzi. Il proposito del F. non è infatti quello di narrare incredibili mirabilia: nel racconto si trovano certamente cifre esclamative e superlativi, espressioni di stupore ben congeniali all'esotismo di viaggi in terre lontane, ma il racconto vuole rimanere, e rimane, del tutto credibile.
Lo status sociale privilegiato del F. e dei suoi compagni permette loro condizioni di viaggio molto migliori della media degli altri pellegrini e consente incontri interessanti con esponenti politici e religiosi delle città visitate (il "Lamalec" di Alessandria, il re e il cadì di Gaza); in questi incontri, per il tramite del turcimanno, avviene uno scambio di informazioni dei rispettivi paesi ("ci fece dimandare di molte cose intorno a' nostri costumi e delle nostre maniere e potenze e dello imperio e del papato, volendo sapere se era vero che 'l nostro imperadore non avesse preso la corona e se noi avavamo due papi sì come si dicea per la gente che di qua andavano", Viaggio, p. 134). L'atteggiamento del F. verso un mondo diverso con cui viene in contatto è decisamente più tollerante di quello di molti altri (di quello, ad esempio, del suo compagno Sigoli): è quasi assente la polemica anti-islamica, anche - inevitabilmente - se non mancano critiche ai "Saracini", che tuttavia non oltrepassano le consuete e rituali accuse espresse in genere dai pellegrini nei riguardi delle popolazioni che incontrano.
Davanti ai Luoghi Santi il F. si limita a una piatta elencazione di chiese (quasi tutte definite sbrigativamente "belle e divote"), di reliquie (che comunque, quando può, si procura pagandole anche a caro prezzo) e di episodi biblici o di pietà popolare, tratti tal quali, sembrerebbe, da uno di quegli Itineraria a uso dei pellegrini che quasi certamente il gruppo dei fiorentini portava con sé. L'illustrazione dei Luoghi Santi è decisamente la parte meno vivace e interessante del Viaggio, e non sembra certo essere il principale scopo della narrazione del Frescobaldi. Sicuramente il F. non fu estraneo alla cultura religiosa del suo tempo: prese parte al cenacolo culturale fiorentino di S. Spirito (animato dall'agostiniano Luigi Marsili), ebbe probabilmente contatti con Giovanni Delle Celle e con i suoi seguaci, ed è il destinatario di una delle numerosissime lettere che s. Caterina da Siena scriveva ai suoi contemporanei per incitarli all'amore di Cristo. Ma la principale motivazione del suo pellegrinaggio non sembra certo essere la devozione: da una lettura in controluce del Viaggio emergono in tutta evidenza il personale desiderio di affermazione e di avventura, lo spirito mercantile e la suggestione della cultura cavalleresca e crociata. Illuminante in tal senso è la storia della composizione del testo del Viaggio: esso infatti ci è giunto in tre successive stesure: la prima - un sommario e sbrigativo ricordo - è, non a caso, anonima; nella seconda, composta forse prima del 1387 e debitamente firmata, l'iniziale memoria si arricchisce di una più dignitosa ed esplicita veste letteraria assumendo così anche nelle caratteristiche formali l'aspetto di testo destinato a un pubblico da informare; la terza, infine, è di poco più lunga della seconda ed è databile tra il 1390 e il 1400.
Gli accademici della Crusca che all'inizio dell'Ottocento si interessarono ai resoconti di viaggio dei tre fiorentini (principalmente attratti dal loro "bello stile") negarono alla prima stesura la paternità del Frescobaldi, e la ritennero un anonimo "compendio… goffamente compilato" (Poggi, p. XLII) della stesura finale. Il Delfiol (1982) ha formulato l'ipotesi che si tratti di una rielaborazione a quattro mani (del F. e di G. Gucci) di appunti di viaggio lasciati dal Rinuccini; tuttavia, un confronto testuale completo tra la prima e la seconda stesura non lascia dubbi sull'attribuzione di ambedue al Frescobaldi.
A provocare il ritorno del F. sul suo testo fu assai verosimilmente la situazione di inevitabile concorrenzialità creatasi tra l'iniziale limitata redazione del Viaggio e i resoconti di Gucci e Sigoli. In questa operazione di arricchimento e abbellimento il F. si servì molto probabilmente di "fonti" quali il Libro d'Oltremare di Niccolò da Poggibonsi (pellegrino tra il 1346 e il 1350) e il racconto del suo stesso compagno di viaggio Guccio Gucci.
Nella terza stesura (la cui differenza dalla seconda non era finora stata rilevata) vengono interpolati alcuni brani destinati a sottolineare la preminenza del F. nel gruppo dei viaggiatori, a far balenare per lui virtù da campione della fede e a enfatizzarne il ruolo di informatore militare del re di Napoli (di questo incarico non si fa alcun cenno nella stesura intermedia).
Il racconto della malattia che colpì il F. a Venezia prima della partenza subisce anch'esso una trasformazione: da episodio secondario, quale è narrato nella redazione intermedia, a fatto di estrema gravità. Il F., trasferito in una casa più confortevole per essere meglio curato e sconsigliato dai medici dal mettersi in mare, fa professione di quella fede, altrove nel Viaggio assai poco appariscente, che è invece doveroso avere - e dimostrare - per chi è in procinto di compiere un pellegrinaggio: "io era disposto vedere prima le porte del Sepolcro che quelle di Firenze, e se Iddio avesse permesso che il mare fusse mia sepoltura ch'io era contento" (ibid., p. 128). La solennità di questa dichiarazione colpirà circa cinquanta anni più tardi Giovanni Cavalcanti (v. il suo Trattato politico morale, databile intorno al 1450) ricorda il F. come insigne esempio di fede intemerata. Nell'ultima redazione del Viaggio il F. sostituisce il ricordo di Luigi Marsili con quello di un non meglio identificato "maestro Romigi": fu forse un gesto di prudenza, nel burrascoso panorama dello scisma, data la compromissione del Marsili con la Curia avignonese.. All'elenco dei manoscritti delle tre stesure del Viaggio (nove per la prima, due per la seconda, otto per la terza) fornito da Bartolini (pp. 117-119) va aggiunto il ms. Acquisti e doni 869 acquistato nel 1996 dalla Bibl. Laurenziana di Firenze.
Il Viaggio fu edito per la prima volta nel 1818 a Roma da G. Manzi, che si servì del codice vaticano Barberiniano latino 4047, dando così, inconsapevolmente, l'edizione della stesura intermedia di cui il manoscritto è appunto testimone e commise alcuni clamorosi errori di trascrizione. Questa edizione fu nuovamente stampata a Parma nel 1845. Una nuova edizione del Viaggio venne fatta a Firenze nel 1862 da C. Gargiolli. Nel 1944 C. Angelini pubblicò, sempre a Firenze, un testo che è il risultato di una contaminatio tra quello edito dal Manzi e quello edito dal Gargiolli, edizione ripubblicata nel 1961 a Novara. Il Viaggio, insieme con i testi del Gucci e del Sigoli, fu tradotto in inglese e pubblicato nel 1948 a Gerusalemme da B. Bagatti. L'edizione Gargiolli - quasi inalterata e con i suoi molti errori - è stata riprodotta da A. Lanza e M. Troncarelli (Pellegrini scrittori, Firenze 1990) insieme con i testi di G. Gucci e S. Sigoli. Nel 1991 il Viaggio è stato pubblicato in edizione critica per cura di G. Bartolini in G. Bartolini - F. Cardini, Nel nome di Dio facemmo vela, Roma-Bari 1991, pp. 99-196.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Manoscritti, 190, ms. 3: V. Borghini, Delle famiglie nobili fiorentine (ms. sec. XVI), cc. 48v-49r; Notarile antecosimiano, 11.498, Prot. ser Lapo Mazzei, cc. 39r-41r; Catasto, 67, c. 363v (portata al catasto di Tommaso Frescobaldi); Firenze, Bibl. nazionale, Mss. Passerini, 47, pp. 106, 112-124, 156, tavv. 1-10, 218, n. 42; Poligrafo Gargani, 868, s.v.; Archivio di Stato di Terni, Sezione Orvieto, Riformagioni, 187, cc. 219r, 221v; Todi, Archivio storico comunale, Diplomatico, Arm. I, cas. VIII, 381; M. Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXX, 1, pp. 253, 258 s., 293, 362, 364, 426; Cronache senesi, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, ibid., XV, 6, p. 719; Delizie degli eruditi toscani, XI (1778), p. 246; XIV (1781), pp. 32, 269; XVI (1783), p. 75; XVIII (1784), p. 1; Ibn Batoutah, Voyages, a cura di C. Defrémery - B.R. Sanguinetti, Paris 1853, pp. XXXV-XLVI, 100; L. 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