MALEO-POLINESIACHE, LINGUE
. Nome. - La famiglia di lingue che forma l'oggetto del presente articolo viene chiamata maleo-polinesiaca, con una designazione coniata da W. v. Humholdt. Il nome non è felice, perché l'unione di malese (lingua isolata) con polinesiaco (gruppo di lingue) è illogica. Perciò W. Schmidt ha proposto il nome di austronesiche (da auster "sud e νῆσος "isola") e questo nome va guadagnando sempre più terreno.
Territorio. - Le lingue austronesiche sono diffuse su una gran parte della superficie terrestre. I punti estremi del loro territorio sono: a O. il Madagascar, a E. l'Isola di Pasqua, a N. Hawaii, a S. la Nuova Zelanda; il territorio comprende dunque il Madagascar, una parte della penisola di Malacca, le Indie Olandesi, le Filippine, una parte di Formosa, le isole dell'Oceano Pacifico, una parte della Nuova Guinea. Entro questi confini soltanto poche lingue non appartengono alla famiglia austronesica.
Austronesico comune. - Così verrà chiamato il complesso dei caratteri comuni a tutte le lingue austronesiche, o almeno al massimo numero di esse. Si può non addurre esempî da tutte le lingue austronesiche per ogni tratto caratteristico, ma limitarsi a tre esempî, dei quali uno preso dal centro del territorio (Malacca, Indie Olandesi, Filippine), uno dalla parte occidentale (Madagascar) e uno dall'orientale (Mare Pacifico).
Patrimonio lessicale austronesico comune nei suoi termini principali: malese laṅit, hova lanitra, figiano laṅi "cielo"; antico giavanese wualn, hova vulana, figiano vula "luna"; sundanese taun, hova tauna, Isola di Pasqua tau "anno"; atjeh babah, betsileo vava, maori waha "bocca"; malese taṅan, hova tanana "mano"; maori ku-taṅa "manata, pugno di" malese kulit, tankarana hulitsá, figiano kuli "pelle"; malese ñiur, hova nilu, bugotu ñiu "cocco"; giavanese uraṅ, hova urana, figiano ura "granchio"; toba papan, hova fafana, samoano papa "asse, tavola"; toba tali, tanusi tali "corda, cavo", figiano talia "intrecciare"; tontemboano kan, sakalavo hane, figiano kana "mangiare"; antico giavanese inum, hova inuna, maori inu "bere"; daiako matäy, tankarana mati, hawaiano make "morire"; ant. giavanese atuha "l'Anziano", howa matuatua "Spirito", Isola di Pasqua atua "Dio".
Aspetto delle parole nell'austronesico comune. La massima parte delle parole austronesiche, e cioè le parole radicali che non hanno subito alcuna derivazione, sono bisillabiche. La parola "pietra" si dice in ant. giavanese watu, in malese batu, in bisayo bato, in hova vatu, in figiano vatu, ecc. Questa parola è dovunque bisillabica. Per effetto di leggi fonetiche si possono avere in certe lingue parole radicali monosillabiche, p. es. mota vat "la pietra". Viceversa, in certe altre lingue parole bisillabiche possono divenire trisillabiche, per l'aggiunta di sillabe ausiliari, p. es. hova lanitra "cielo" dall'originario laṅit.
Radici austronesiche comuni. - Lo studio comparativo delle lingue austronesiche mostra che alla base di queste parole radicali - per lo più bisillabiche - sta una radice monosillabica. Se si mettono a confronto le parole: austronesico comune tipis "tenuità", tontemboan apis "piccolo", daiako kimpis "scarno", si vede che queste parole derivano dalla radice monosillabica pis.
Verbo dell'austronesico comune. - ll verbo ha i tre generi: attivo, passivo, causativo. Dei varî elementi formativi (morfemi) dell'attivo, che si trovano nelle singole lingue, il prefisso ma si estende a tutto il territorio austronesico, e quindi è da considerarsi come austronesico comune; p. es.: ant. giavanese matakut, hova matahutra, maori mataku "temere" dalla parola radicale takut "la paura". Dei morfemi passivi è comune il suffisso -an, che nel hova diventa -ana, nel maori -a, p. es.: tontemboan tekor "battere", tekoran "essere battuto"; hova tafi "vestire", tafiana "essere vestito"; maori utu "pagare", utua "esser pagato". Il causativo ha il prefisso pa-, a cui si uniscono spesso anche altri morfemi; p. es.: makassar onoq "ritirarsi", paonoq "respingere"; hova turi "dormire", mam-paturi "addormentare"; maori inu "bere", wa-ka-inu "far bere" (Twa- divenuta da pa). Un fatto notevole comune all'austronesico è che aggiungendo un prefisso, la consonante iniziale sorda (k, c, t, p, s) si trasforma nella nasale omologa. Dalla parola radicale austronesica tipis "tenuità" deriva daiako panipis "assottigliare", hova manifi (imperativo manifisa, con conservazione della s) "assottigliare", samoano manifi "sottile". Nelle lingue austronesiche non ci sono morfemi per indicare le persone del verbo a tale scopo si adoperano i pronomi personali interi o abbreviati. Solo una parte delle lingue austronesiche ha morfemi per i tempi.
Il sostantivo austronesico comune. - Le lingue austronesiche possiedono diversi morfemi per la derivazione di sostantivi dalle parole radicali. Austronesico comune è il suffisso -an, identico come suono al morfema del passivo -an. Esso indica spesso una località, p. es.: tagal niyog "palma da cocco", niyogan "foresta di cocchi"; hova serana "viaggiare", seranana "porto"; figiano niu "palma da cocco", niua "foresta di cocchi".
La declinazione avviene per mezzo di preposizioni; alcune lingue hanno anche un articolo.
Fanno parte del patrimonio comune austronesico le due preposizioni i per il locativo e n o ni per il genitivo; per es.: gayo i umah "in casa", hova i masu "davanti agli occhi", maori i te pa "nella fortezza"; daiako mata n andau "occhio del giorno" = "sole", hova ra n usi, sangue della capra", figiano tanoa "bacino", ni tanoa "del bacino". L'articolo sta ora avanti, ora dietro il sostantivo: ant. giavanese ṡaṅ hyaṅ "il dio", bugi bola e "la casa.".
Numeri austronesici comuni. - I numerali hanno una grande uniformità in tutte le lingue austronesiche, anche sino al numero mille. Le forme per "uno", "dieci", "cento", "mille" suonano nel malese sa, puluhr, ratus, ribu, in hova isa, fulu, zatu, arivu; nella sezione orientale: samoano sa, se, tasi, samoano se-fulu, maori rau, lingua di Santa Cruz ju.
Una funzione importantissima ha nelle lingue austronesiche il raddoppiamento. Esso ha le forme più svariate: malese rumah "casa", rumah-rumah "case d'ognì sorta"; ibanag babay "donna", babbay "donne"; madurese ṅetoṅ "contare", toṅ-ṅe-toṅ "contare ripetutamente"; makassar ñoñoq "carezzare", ñoñoq-sa-ñóñoq-ñoñoq "carezzare ripetutamente". Esso serve pure ai più diversi scopi, anche alla metafora: malese mata occhio", nata-mata "spione". Due maniere di adoperarlo si riscontrano in tutte le lingue austronesiche;1. per indicare l'intensità, la pluralità 2. l'uso opposto, cioè la diminuzione, il peggioramento. Esempî del vrimo uso sono: malese tiṅgi "alto" tiṅgi-tiṅgi "altissimo", hova tsara "bunno" tsara dia tsara "ottimo" maori kai "mangiare", kakai "mangiare spesso". Sono esempî del secondo uso: daiako gawi "lavoro", gawi-gawi "poco lavoro", hova tsara "buono", tsara-tsara "alquanto buono", lingua dell'Isola Duca di York bua "noce areca",bua-bua "areca cattiva".
L'accento in moltissime lingue austronesiche cade sulla penultima sillaba, ma per lo più è poco forte.
ll proto-austronesico. - La scienza ammette che le lingue austronesiche odierne si siano sviluppate da una primitiva lingua austronesica unica; solo con tale ipotesi si possono spiegare le grandi e numerose concordanze che sono state indicate nel paragrafo precedente. Poiché la parola tali "corda" si estende in questa forma a moltissime lingue austronesiche, essa deve aver avuto anche nel proto-austronesico la forma tali. E poiché fuoco" si dice in ibanag afuy, in malese api, in hova afu, in samoano afi, ecc., la forma primitiva deve essere stata apuy, perché soltanto da apuy si può immaginare che siano derivate le suddette svariate forme.
I suoni del proto-austronesico devono essere stati i seguenti: a, i, u, e, o ĕ; k, g, g, ṅ; c, j, ñ; t, d, n; p, b, m; y, r1, r2, l, v; s; h. La serie c, j, ñ è quella delle palatali; ě è la vocale indistinta, comunemente chiamata Lome in giavanese pĕpĕt; r1 iè il suono linguale, r2 l'uvulare.
Sorgere delle lingue austronesiche odierne dal proto-austronesico. Leggi fonetiche. - Dal proto-austronesico si è sviluppato il gran numero di lingue austronesiche odierne. L'attuale loro aspetto fonetico si deve all'azione delle leggi fonetiche. Le due principali di queste, che si estendono a tutte le lingue austronesiche, sono la legge vocalica. del pĕpĕt e la legge consonantica R-G-H. La prima è: "Il pĕpĕt del proto-austronesico si conserva in un certo numero di lingue odierne, in altre passa ad a, in altre ad e, i, o". Così un primitivo tĕkĕn "palo" resta tĕkĕn nell'antico e nel nuovo giavanese, diventa takkaṅ nel makassar, teken nel daiako, tikin nel tagal, itoko nel figiano. La seconda legge dice: "R2 (r uvulare) primitivo resta r uvulare o linguale in molte lingue odierne, in altre invece diventa g, h o si perde completamente". Quindi il primitivo ur2at "vena, tendine" compare in malese come urat, in tagal diventa ogat, in daiako uhat, in samoano ua. Per effetto di varie leggi fonetiche in alcune lingue compaiono suoni mancanti al proto-austronesico, come f. del hova (v. sopra afu).
Con il sorgere delle odierne lingue austronesiche dal proto-austronesico, si sono avute innovazioni d'ogni sorta non solo nella sfera dei suoni, ma anche in quella delle parole e delle forme. Per es., il daiako ha perduto la parola ribu "mille", e sostituita con koyan. Il hova si è creato un sistema di tempi verbali: presente matahutra "temere", passato natahutra "avere temuto", futuro hatahutra "essere per temere".
Enumerazione delle singole lingue austronesiche e loro raggruppamento. - Il numero delle lingue austronesiche è molto rilevante. Si sogliono dividere in tre gruppi: indonesico, melanesico, polinesico. Molti studiosi separano dal gruppo melanesico le lingue micronesiche, delle quali formano un gruppo speciale. Questa suddivisione abbraccia tutte le lingue austronesiche; ma il progredire delle ricerche proverà che non è sostenibile. La seguente classificazione è sicura, inattaccabile, ma non comprende tutti gl'idiomi.
i° gruppo: tutte le lingue della regione occidentale, cioè del Madagascar, con il hova come lingua principale. Questo gruppo è molto omogeneo.
2° gruppo: malese nella Penisola di Malacca, isole adiacenti e parte di Sumatra; oltre a ciò il minankabau e altre lingue di Sumatra.
3° gruppo: le lingue batak di Sumatra, tra le quali è la principale il toba.
4° gruppo: giavanese, sundanese (Giava occidentale), madurese, balinese. Questo gruppo non è molto omogeneo.
5° gruppo: lingue dayak di Borneo, principale lo ṅaju-dayak.
6° gruppo: makassar e bugi di Celebes meridionale.
7° gruppo: lingue toraia di Celebes centrale; lingua principale il bareqe.
8° gruppo: lingue della Minahasa di Celebes settentrionale: lingua principale il tontemboan.
9° gruppo: rottinese e bimanese e altre lingue delle isole prossime a Rotti e Bima.
10° gruppo: la massima parte delle lingue delle Filippine, col tagal come lingua principale.
11° gruppo: le lingue delle isole Figi e quelle delle isole vicine: lingua principale il figiano.
12° gruppo: le lingue della Polinesia, maori, samoano, tahitiano, hawaiano. Queste lingue dell'estrema regione orientale sono, come quelle più a ovest, strettamente connesse tra loro.
Storia documentaria delle singole lingue austronesiche. - Solo il giavanese ha una vera storia documentaria, che si estende per undici secoli. Le più antiche fonti scritte sono le iscrizioni, poi seguono i manoscritti. La storia del giavanese si divide in tre periodi: antico giavanese, medio giavanese, neogiavanese; ma circa i confini cronologici di questi periodi non si è raggiunto ancora l'accordo. La parola "peso" si dice in ant. giavanese bwat, medio giav. bot, neogiav. bobot. Il malese ha iscrizioni anche più antiche di quelle giavanesi, ma sono così brevi e scarse, che non permettono di ricostruire la storia della lingua. Possediamo di altre lingue manoscritti alquanto antichi, in cui si trovano parole oggi morte. Ciò accade soprattutto per la lingua bugi, col suo antico poema epico La Galigo. Di certe lingue del Madagascar esistono vocabolarî del sec. XVII compilati dagli Europei, F. de Houtman ed E. de Flacourt.
Le lingue artificiali austronesiche. - Un interessante fenomeno linguistico e culturale è formato dalle numerose lingue artificiali austronesiche: esistono lingue speciali dei sacerdoti, dei capi, dei marinai, dei ladri, lingue poetiche ed eufemistiche, ecc. Le tre lingue artificiali píù interessanti sono la basa krama, la basa saṅia e la basa to-bakkĕ (Basṅ è parola presa dall'antico indiano e significa "lingua"). La basa krama, letteralmente "lingua della buona educazione", è la lingua di cortesia dei Giavanesi, usata quando si parla con superiori. Essa differisce dal giavanese ordinario, naturale, in quanto usa in parte altre parole o altri morfemi (elementi formativi) o pronunzia altrimenti le parole. Così "sangue" si dice nel linguaggio solito gĕtih; in basa krama, rah. La Basa saṅiaṅ, "lingua degli dei buoni", è la lingua liturgica dei Daiaki, e ha caratteri simili a quelli della basa krama. La basa to-bakkĕ, letteralmente "lingua dell'uomo di Bakkĕ" così chiamata dal nome dell'inventore, è la più straordinaria lingua artificiale del mondo, ed in essa è scritta gran parte della poesia di Bugi. Essa si basa su un doppio simbolismo: il poeta dice "coccodrillo della rupe" per indicare una bella ragazza. Con "coccodrillo della rupe" si deve intendere la tigre, e con "tigre" (macaṅ) la parola di suono somigliante macca "bella ragazza".
Influenze straniere sulle lingue austronesiche. - Il territorio austronesico fu sempre esposto a svariate influenze culturali straniere, e specialmente la porzione indonesica; donde l'introduzione di elementi linguistici stranieri. Prendendo ad esempio di tali prestiti il malese, vi troviamo parole dell'antico indiano come agama "culto", dell'arabo come adat "diritto tradizionale", del persiano come bandar "città con porto", del portoghese come bandera "bandiera", dell'inglese e dell'olandese, come botol "bottiglia". Del tutto speciale è la proporzione delle parole prese a prestito nell'antico giavanese, e precisamente nell'antico giavanese letterario, non nella lingua volgare. Questa lingua letteraria formicola di parole prese a prestito dall'antico indiano: i cultori di questo genere di letteratura vogliono ostentare la loro erudizione o adoperano il termine straniero in caso di difficoltà metriche. Nell'antico giavanese puro Dio si dice hyafi; gli autori usano anche questa parola, ma con uguale frequenza adoperano, per i motivi suddetti, l'antico indiano dewa.
Parentela delle lingue austronesiche con altre linghp e famiglie linguistiche. - Recentemente alcuni studiosi hanno fatto dei tentativi per trovare le connessioni tra le lingue austronesiche e altre lingue per quel che riguarda la parentela e non in quanto ai prestiti. Ma tali tracce di parentela riposano per lo più su fantastici ravvicinamenti e non su serie basi scientifiche. Tuttavia molte scoperte sono da considerare come fondate. Interessante la scoperta di W. Schmidt che le lingue Mon-Khmer e le lingue Munda del continente asiatico sono imparentate con le lingue austronesiche. Seguendo l'esempio di W. Schmidt, ormai sotto il nome complessivo di lingue austro-asiatiche si comprendono le lingue Mon-Khmer, le Munda e alcune altre. Per questa vasta famiglia linguistica W. Schmidt usa il termine austrische Sprachen. Importante la scoperta fatta da P. Rivet, che certe lingue degl'Indiani d'America, specie quella della tribù Hoka, hanno relazioni di parentela con le lingue austronesiche.
Storia delle ricerche austronesiche. - Il primo scienziato che abbia osservato la stretta connessione delle lingue austronesiche tra loro fu il celebre poliglotta L. Hervás (1735-1809). La prima opera scientifica sulle lingue austronesiche si deve a W. von Humboldt (Über die Kawisprache auf der Insel Java). Lo studio delle lingue austronesiche fece un grande progresso per opera degli scienziati olandes; H. N. van der Tuuk, H. Kern, I. L. A. Brandes; di essi il secondo è il più noto, specialmente con le sue due opere Bijdragen tot de spraakkunst van het Oudjavaansch (Contributi alla grammatica dell'antico giavanese) e De Fijitaal (La lingua di Figì). Ai tre Olandesi fa seguito lo Svizzero Renw vard Brandstetter, che basa i suoi lavori sulla psicologia della lingua ed è ugualmente versato nelle lingue e nelle letterature austronesiche. La sua opera principale porta il titolo Wir Menschen der Indonesischen Erde. Notevoli ricerche su singole zone del territorio linguistico austronesico hanno fatto G. Ferrand (Madagascar), N. Adriani (Indie Olandesi), R. H. Codrington (Oceano Pacifico). In un campo più vasto, che oltrepassa le lingue austronesiche, hanno trattato di queste lingue W. Schmidt e A. Trombetti.
Gli alfabeti austronesici. - L'invenzione della scrittura può mostrare nel territorio austronesico deboli primordî. Il primo gradino è quello della scrittura figurata: si disegna quel che si vuole esprimere; in tal guisa sono rappresentati sacrifici, combattimenti, leggende, fiabe, sia nella loro integrità mediante una serie di figure, sia nel loro momento principale per mezzo di una sola figura. È celebre la rappresentazione del sacrificio di una donna, trovata nel Nord dell'isola di Celebes. Il secondo stadio dell'evoluzione è rappresentato dall'abbreviazione o dall'uso simbolico delle figure: un treppiede non viene più disegnato completamente, ma indicato con tre punti, una stella rappresenta la luce o il fuoco. La scrittura ha fatto il maggiore progresso nella remotissima isola di Pasqua; ma nel territorio delle lingue austronesiche non si è arrivati alla vera scrittura alfabetica. Invece vi sono penetrati sistemi di scrittura stranieri. Venne dapprima una scrittura dall'India, e da essa derivano i principali alfabeti odierni delle Indie Olandesi e delle Filippine, cioè il batak, il giavanese, il makassar e il filippino; essi però nel corso dei secoli hanno subito delle profonde modificazioni, sicché l'alfabeto primitivo si riconosce soltanto da certe particolarità, p. es. dall'uso di scrivere la vocale u sotto il rigo. La scrittura giavanese è graziosa, la batak e la makassar compatta, la filippina increspata. Con l'islamismo fu importato nelle Indie Olandesi l'alfabeto arabo, che fu adottato dai Malesi, con alcune modificazioni richieste dalla natura della lingua. Una scoperta dell'anno 1932 fa credere che anche la scrittura dell'Isola di Pasqua sia venuta dall'India.
I popoli austronesi, che non hanno ancora un alfabeto proprio, vanno adottando sotto il crescente influsso della civiltà europeo-americana l'alfabeto latino; questo ha quasi completamente sostituito l'alfabeto indigeno nelle Filippine.
Letterature maleo-polinesiache.
I popoli che parlano lingue maleo-polinesiache o austronesiche hanno creato originalmente tutti i generi letterarî che si trovano presso gl'Indoeuropei. Il meno sviluppato è il dramma; mentre in varie specie di poesia minore, fiabe, facezie, proverbî, indovinelli, la poesia austronesica si può avvicinare all'indoeuropea. L'influenza di letterature straniere si manifesta presso i Giavanesi, i Malesi e qualche altra popolazione.
Storie di animali. - Nello stesso modo che l'arte dell'uomo preistorico ha prodotto prima di tutto rappresentazioni di animali, così possiamo ammettere che su tutta la terra le storie di animali si trovino al principio della letteratura. In tutto il territorio austronesico troviamo storie di animali in quantità inesauribile. Esse si fondano sulle qualità delle bestie, come p. es. la loro furberia, oppure vogliono spiegare certi íatti della loro vita, come l'inimicizia di una specie contro un'altra.
Dal Madagascar sino all'Oceano Pacifico si trova la storiella della gara di corsa tra due animali, vinta dal più debole o per la sua astuzia (versione dell'isola Ponape nel Pacifico, e in lingua hova nel Madagascar) o per la negligenza dell'avversario (versione tagal delle Filippine). Dovunque sono assai gustate le storielle di tiri bricconi fatti da un animale, p. es. il Tragulus, a un altro, e racconti che corrispondono al Roman de Renart dell'Europa. Meno frequente delle semplici storie di animali è nel territorio austronesico la favola, che contiene un insegnamento per vivere saviamerite.
Grande perfezione ha raggiunto nel territorio austronesico la fiaba. Molti motivi fiabeschi si trovano in tutto il territorio; non pochi hanno paralleli tra gl'Indoeuropei, come quello di Cenerentola. La più bella fiaba di tutto il territorio austronesico è certamente quella di Matandua (in lingua figi). Essa narra come il suo eroe venne dallo spirito della madre morta salvato da ogni pericolo e guidato alla felicità e alla gloria. Sono anche apprezzati in Austronesia i cicli di fiabe, serie di fiabe legate tra loro da un tenue filo, talvolta solo dalla comunanza del protagonista. In tutta la Polinesia, dalla Nuova Zelanda alle Isole Hawaii, si trova il ciclo di Maui. Su basi totemistiche poggiano molte storielle del tabu. Individui, famiglie o intere tribù risparmiano certi animali, perché uno di questi salvò la vita d'un antenato. Così una famiglia del Madagascar non uccide il delfino, perché un delfino portò per il mare un antenato della famiglia, sottraendolo ai suoi persecutori (motivo di Arione).
In tutta l'Austronesia s'incontra, come è naturale, il mito, storie di divinità, antenati adorati come dei, genî della natura, e financo spettri e vampiri. Molte leggende narrano la creazione del mondo o di una terra, p. es. Samoa, o degli uomini.
Altri miti narrano del fuoco, del riso, delle bevande inebbrianti, che gli dei hanno donato agli uomini o che uomini arditi hanno rapito al cielo (motivo di Prometeo). Dappertutto si trova la leggenda del diluvio, inflitto dagli dei alla terra: la storia di Roo e Teahoroa (Tahiti) racconta questo fatto con parole semplici, la versione sakalava con colori vivaci.
Storie romantiche. - I popoli austronesici raccontano di preferenza storie intrecciate di motivi tratti dalla vita quotidiana, da fatti eroici e dalla magia. Hanno il primo posto le storie di viaggi marini, come c'è da attendersi da una razza tanto dedita al mare. Il temerario eroe si chiama Beandriake al Madagascar (lingua sakalava), Wali Mpangipi a Celebes (lingua bareqe), Longa Poa alle Isole Figi. Le avventure di quest'ultimo ricordano stranamente quelle di Ulisse: la mesta luce della nostalgia splende anche su Longa Poa e i suoi compagni.
Novelle. - Anche la novella, che poggia su motivi umani, senza eroismi né incantesimi, si trova nel territorio austronesico, sebbene più di rado. Ne è un esempio il racconto di Hinemoa e Tutanekai (in lingua maori) che tratta la leggenda di Ero e Leandro, ma con lieto fine.
Racconti allegri. - In tutta l'Austronesia sono diffuse storielle che suscitano il riso, di persone che commettono stupidaggini, o che giuocano agli altri ogni sorta di brutti tiri; esse somigliano moltissimo alle storielle europee sul tipo di quelle di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Racconti in forma metrica. - Tutti gli argomenti sin qui trattati sono in prosa; ma esistono anche racconti brevi o di media lunghezza in versi: commovente è la storia dei due orfani errabondi (lingua di Rotti).
L'epica. - Un'epopea in grande stile in versi si è sviluppata soltanto presso alcune nazioni austronesiche. Tra le epopee sinora conosciute, tre possono essere considerate come le più importanti: La Galigo, in lingua bugi antica, Maqdi in lingua makassar, Nagarakṛtagama in antico giavanese. Ecco il contenuto di La Galigo, così chiamato dal nome di uno dei principali personaggi (la è l'articolo personale maschile): gli dei creanu la terra e gli uomini; questi, in unione con gli dei, compiono grandi gesta; ma da ultimo gli dei ritornano nel loro regno e gli uomini ora fanno da soli il proprio destino. Quest'epopea, di proporzioni vastissime, è di somma importanza per lo studio della religione preislamica e del folklore di tutto il popolo bugi. In Maqdi, l'eroe di tal nome vendica l'amico assassinato, ma trova la morte, ed è a sua volta vendicato dall'eroica moglie. Quest'epopea è dal punto di vista artistico il più prezioso prodotto dell'epica austronesica, segnalato per la riuscita pittura dei varî caratteri. che si contrappongono l'uno all'altro con grande efficacia, per la struttura drammatica in atti ben delimitati, per la lingua ricca d'immagini, per il commovente compianto che la chiude.
Il significato del titolo Nagarakrtagama dell'epopea giavanese non si è ancora spiegato con certezza: essa è opera poetica dotta, e fu finita nel 1365 d. C. L'autore ne è Prapancia, capo dei religiosi buddhisti, personalità che rappresenta il culmine dell'umanesimo indo-giavanese. L'opera è un'encomiastica descrizione del regno del grande dinasta giavanese Hayam Wuruk e del governo del suo anche più grande ministro Gajah. Mada. Un'epopea idillica è il racconto della gara di nove figli del re, per conseguire il trono. Vincitore è il figlio più giovane, il più valente e il solo amabile dei concorrenti. Quest'epopea è in lingua nias.
Il romanzo di grande stile in prosa si è pure sviluppato soltanto presso alcune nazioni. I due romanzi più importanti sono il Panji e il Hang Tuwah, chiamati entrambi con il nome dei protagonisti. Il Panji esiste in parecchie versioni malesi e giavanesi, il Hang Tuwah in malese. Nel primo l'eroe cerca la sposa rapitagli, che ritrova dopo indicibili avventure e fatiche. Questo romanzo è molto apprezzato dagl'indigeni, ma stanca un lettore europeo per il continuo ripetersi di situazioni simili; tuttavia esso è importante per i suoi elementi mitici, totemici e storici. Il protagonista del Hang Tuwah da umili origini si eleva a statista e generale, e finisce i suoi giorni da anacoreta. Questo romanzo, che data dal tempo che precedette immediatamente l'arrivo degli Europei nell'Arcipelago Malese, è il più importante prodotto della letteratura malese: la rappresentazione dell'ambiente è eccellente, ma la descrizione del duello tra Hang Tuwah e il traditore è prolissa. Il protagonista è la figura ideale, descritta in modo attraente, di un uomo magnanimo, fedelissimo vassallo, che ha anche il senso del humour. La riconciliazione, procu̇rata dal saggio ministro Běndahara tra il principe, ingannato dai cattivi consiglieri, e il fedele Hang Tuwah, è un capolavoro di psicologia.
La descrizione. - L'arte del descrivere non ha raggiunto l'altezza della rappresentazione dei caratteri. La descrizione di oggetti materiali è spesso una nuda enumerazione delle caratteristiche; la descrizione di avvenimenti, come le battaglie, si limita a frasi generiche. Interessante k la descrizione della foresta vergine, con la sua vita e i suoi rumori, nella antichissima storia della terra di Naning (lingua malese). Graziosi sono i Sova, infantili descrizioni ammirative del cane, della donna, del telegrafo, ecc., in lingua tsimiheti (Madagascar).
La lirica e le sue forme. - In tutta l'Austronesia si trova la poesia breve. Dappertutto troviamo il monostico, come: "Amiamo il nostro paese e uccidiamo i nostri nemici" (lingua bontok delle Filippine). Parecchi popoli, e specialmente i Malesi, coltivano il pantun, quartina che nel primo distico contiene un quadro della natura introduttivo e nel secondo distico la vera parte lirica. Poesie più estese sono i duetti di amore della lingua hova o le elegie e gl'inni.
La lirica austronesica conosce tutti gli svariati motivi, proprî anche della lirica indoeuropea; ma i più interessanti sono i canti di amore, di guerra, di lavoro e dei navigatori. Il canto di amore abbraccia l'intera gamma dei sentimenti d'amore, dalla lode della bellezza dell'amata, come nel canto di Watreew (lingua kei), che è del tipo del Cantico dei cantici, sino al commovente lamento per l'infedeltà dello sposo, come nel canto della Gasolo (lingua samoana). Singolari sono i canti del vento e della tempesta degli abitanti di Makassar: "Il vento porti il saluto all'amata; il tuono scuota il suo duro cuore". Il canto di guerra degli abitanti di Bugi è svariato: "I guerrieri sono focosi galli di combattimento, bufali furiosi. Se il condottiero muore, i guerrieri vogliono esserne il lenzuolo mortuario". La vittoriosa Sitloban, la Debora dell'Austronesia, canta in lingua kei un superbo inno di vittoria; ma un canto in lingua tonga deplora i terrori della guerra distruttrice di uomini e devastatrice di terre. I canti di lavoro incitano per lo più a un energico lavoro,. come nel canto dei trasporti in lingua kamber (isola Sumba); ma l'ayuweng (canto del lavoro) in lingua bontok (Filippine) si dilunga amaramente sulle fatiche del lavoro servile. I canti dei navigatori sono diffusi, come i racconti di viaggi marini, in tutta l'Austronesia. Grazioso è un canto batan (Filippine) alla barca che rimpatria, che rammenta la nota poesia di Catullo. Meno diffusi sono l'elegia e l'inno. I lamenti mortuarî testimoniano d'un profondo sentimento; un canto in lingua bareqe (Celebes), che accompagna l'anima nel suo viaggio verso il suo destino nell'al di là, è pieno di tenera pietà; un mesto dolore esprime il lamento della figlia per la morte della madre in lingua tontemboan (Celebes); una cocente pena testimoniano gli scoppî di dolore della vedova in lingua makassar. Sul tono dei salmi ebraici sono gl'inni bugi per i maestosi alberi con i quali si costruisce il fastoso palazzo del signore o la superba nave, e gl'inni alle sacre acque in lingua delle Hawaii. La satira è comune in tutta l'Austronesia, sia che formi argomento a sé, sia che venga intrecciata con altre poesie. Le frecce dello scherno colpiscono il pretendente male accetto (lingua hova), la donna lussuriosa (lingua kamber dell'isola Sumba), l'uomo debole (lingua sundan). In Longa Poa una divinità schernisce sanguinosamente la petulanza e l'impotenza dell'uomo.
Tutta l'Austronesia è ricca di eccellenti proverbî e indovinelli; essi attestano spesso un'acuta osservazione della natura e degli uomini.
La preghiera è rivolta alle divinità e agli spiriti degli antenati. In primo luogo vi è la preghiera privata: in Samoa, il capo durante un festino versa alcune gocce di kava (una bevanda inebbriante) a terra e dice: "Questa offerta tocca a te, grande spirito Sepo. Sii benevolo a noi e porta fortuna al nostro villaggio!". In secondo luogo vengono le preghiere dei sacerdoti, come quella dei preti delle divinità campestri tontemboan. Le preghiere e i canti della festa dei morti presso i Daiaki formano una vasta liturgia. Un'efficacia pari a quella della preghiera si ascrive all'incantesimo. Esso è costruito in modo da formare due parti, una negativa e una positiva, del tipo seguente: "Se io sono un uomo comune, i serpenti non si muovano; se però sono un nobile, scompaiano". Le maledizioni per spergiuro e sacrilegio, che appartengono alle più antiche produzioni datate della letteratura austronesica, trovandosi nelle più antiche iscrizioni, si diffondono in immagini orribili e sublimi.
Il dramma. - In tutto il territorio austronesico troviamo piccole rappresentazioni dialogate, che hanno per lo più carattere religioso. Speciale interesse presenta il Kramat dei Masaret (isola Buru), una rappresentazione per la guarigione degli ammalati: i personaggi sono il buono e il cattivo genio, personificati da medium; fanno da comparse i compagni del buon genio e il pubblico. Il buon genio discorre col cattivo, per indurlo a liberare l'ammalato; le trattative hanno il desiderato risultato, il cattivo genio se ne va. Un discorso del buon genio al pubblico chiude la rappresentazione. Da questo embrione si è sviluppato il dramma in grande stile, la cui evoluzione richiama quella del dramma greco o del dramma europeo del Medioevo. Tuttavia questo tipo di dramma evoluto è sorto in un solo punto del territorio austronesico, a Giava; da qui è penetrato in Bali e tra i Malesi, ma non si è diffuso ulteriormente. In Giava è documentato sin dal secolo XI d. C. Le rappresentazioni sono commedie di ombre cinesi, burattini e maschere, in cui il dalang recita il testo e deve sapere rendere il carattere, il suono della voce, ecc., dei varî personaggi. Rappresentazioni date da attori, in sostituzione parziale o totale del dalang, sono cosa di tempi a noi vicini, e non hanno avuto successo. Gli argomenti dei drammi sono desunti da antichi miti indigeni, dal Mahābhārata, dal Rāmāyana e dal romanzo di Panji. Spessissimo il testo non è che un abbozzo, che dà quindi ampio campo al dalang per l'improvvisazione. Il valore estetico di queste produzioni, secondo il gusto europeo, non è certo grande, ma esse sono un'importante manifestazione culturale dello spirito austronesico: la popolazione indigena ne è appassionatissima.
L'eloquenza è curata con zelo in tutta l'Austronesia: le sue principali specie sono i discorsi di stato, i discorsi funebri e i discorsi in occasione di feste. Tra i discorsi di stato merita menzione il discorso conservato nella tradizione di Pamana (Celebes); esso è in lingua bugi e fu rivolto dai grandi dello stato alla principessa che avevano eletta: "I grandi del paese e il popolo saranno fedeli sudditi della principessa, purché essa osservi le leggi tradizionali". Quanto ai discorsi funebri, nella Nuova Zelanda (lingua maori) si grida al morto: "Addio, raggiungi i tuoi avi, di cui sei il benvenuto". Nel Madagascar (lingua hova) il morto stesso, per bocca dell'oratore, prende congedo dalla famiglia, dagli amici, dalla casa e dal villaggio. Alcuni popoli, come gli abitanti di Rotti, di Minankabau hanno cicli di orazioni solenni per la richiesta in matrimonio, il fidanzamento, le nozze.
Nel campo della storia bisogna distinguere tra fonti e narrazioni storiche da un lato e da produzioni intrecciate di fatti reali e di creazioni della fantasia dall'altro. I più antichi documenti storici dell'Austronesia sono le iscrizioni, quasi esclusivamente in lingua giavanese, che sono anche le più antiche fonti per lo studio delle lingue austronesiche e risalgono sino all'800 d. C. Per lo più esse riguardano fondazioni di santuarî, ma qua e là contengono importanti dati politico-storici. Sono poche le cronache strettamente di carattere storico prodotte dall'Austronesia. Le due più importanti sono la sopra citata Nagarakrtagama, fonte importantissima per la storia politica e culturale di Giava. al tempo del fiorire della civiltà indo-giavanese, e il Pararaton (Libro dei Re), in medio giavanese, che in una prosa semplice e disadorna narra la storia dei regni giavanesi di Tumpaěl e Majapahit dall'inizio del sec. XIII alla fine del XV.
Le opere che mescolano fatti storici e creazioni fantastiche in maniera popolaresca sono molto numerose: nel Pararaton stesso sono stati inseriti passi di questo tipo. Sono scritti in modo attraente la Sĕjarah Mĕlayu (Cronaca malese) e la fondazione di Wajoq (in lingua bugi). Ancora maggiore è il numero di racconti storici trasmessi oralmente. All'estremo occidente dell'Austronesia appartiene la tradizione della dinastia degli Andrivola, in lingua sakalava del Madagascar; alla parte centrale del territorio la narrazione del destino dell'isola Simulul (comunemente chiamata Simalur, presso Sumatra); all'estremo oriente, cio è all'isola di Pasqua, le notizie sulla guerra del sec. XVlII, orribile per le atroci scene di cannibalismo, raccontate con grande drammaticità. In tutto il territorio austronesico si hanno tradizioni sulle circostanze che portarono alla fondazione di edifici e di paesi e dappertutto si sentono etimologie popolari dei loro nomi. Veramente tragica è la storia della fondazione del Boro Budor, il più grandioso edificio dell'Austronesia, in espiazione di un caso simile a quello di Edipo.
Il diritto è presso molti popoli austronesici assai sviluppato. I Samoani hanno un diritto penale non solo per le trasgressioni della legge, ma anche per la violazione del faaaloalo, cioè dell'etichetta e del buon costume. Dove la scrittura è sconosciuta, le leggi vengono tramandate oralmente. Tra le collezioni di leggi fissate per scritto meritano speciale menzione le adat (diritto consuetudinario) presso varî popoli, e poi due codici in lingua bugi, il diritto marittimo raccolto nel 1676 da Amanna Gappa e la Latowa. Questa parola significa letteralmente "gli (la) antichi (towa)": il libro è una raccolta di massime (sentenze) di re e saggi del passato, che servono come regole per la giurisprudenza.
Influsso di letterature straniere. - Sin qui si è parlato di creazioni originali degli Austronesici; ma accanto ad esse si sono ben presto manifestate influenze straniere, specialmente nei paesi rivolti verso l'Asia. Dapprima si ebbe un'espansione nell'arcipelago della civiltà e della letteratura sanscrita, che in Giava fece sorgere la speciale civiltà indogiavanese. Splendidi prodotti di questa civiltà sono gli edifici di Giava e la ricca letteratura in antico giavanese. Le opere letterarie sono "rielaborazioni di opere sanscrite o trattazioni di argomenti indigeni a imitazione dello spirito e della maniera sanscriti. Il più importante esempio del primo genere è il Rāmāyaṇa, del secondo genere il già accennato Nagarakrtagama. Queste poesie sono redatte in metri sanscriti e si chiamano kakawin, il che si può rendere press'a poco con "poesia artistica". Si hanno inoltre poesie in metri indigeni, chiamate kidung: tra esse tiene il primo posto il Kidung Sunda, che narra l'eroica mortu d'una principessa di Sunda e dei suoi congiunti.
Con l'introduzione dell'islamismo, i popoli che l'adottarono risentirono l'influenza della letteratura araba e persiana. Un'opera notevole. derivata da queste due letterature, è la Makota sĕgala raja (La corona dei re), in lingua malese, manuale a uso dei principi regnanti. In tempi più recenti anche la letteratura europea ha cominciato a far sentire la sua influenza: un'opera ammirevole è la traduzione in lingua tagal del Wilhelm Tell di Schiller, dovuta all'eroe nazionale filippino Rizal.
Metrica. - Generalità. - Nell'Austronesia s'incontrano svariatissimi sistemi metrici. Presso molti popoli austronesici il verso deve avere un certo numero di sillabe, senza curare se sono brevi o lunghi, accentate o atone. Così, tutti i versi dei grandi inni all'albero, in lingua bugi, sono di otto sillabe. Il verso delle poesie di Atjeh consiste di otto piedi; ogni piede ha due sillabe, ma ne può avere tre, e questo vale specialmente per i piedi pari (2°, 4°, 6°, 8°). In certe letterature si contano solamente le sillabe accentate: così il più usato verso malese ha quattro sillabe accentate, mentre il numero delle sillabe atone non è sottoposto ad alcuna legge. Molto diffusa, p. es. nelle letterature del Madagascar, è la poco rigorosa formazione del verso: i versi d'una poesia devono essere approssimativamente della stessa lunghezza. Piedi simili a quelli delle letterature classiche o germaniche, trochei, giambi, ecc., sono ignoti agli Austronesici. Ma poiché la lingua di Atjeh ha tutte le parole accentate sulla sillaba finale, si ha una specie di andatura giambico-anapestica nel verso sopra accennato. E i versi della lingua bareqe, che ha l'accento sulla penultima sillaba, hanno un'andatura trocaica.
Alcune poesie dei popoli austronesici sono in versi uguali continuatí, altre hanno i versi raccolti in strofe. Alcune strofe hanno una struttura semplice (p. es., 4 versi ognuno di 8 sillabe), altre l'hanno complicata (p. es., 4 versi, il primo dei quali ha 5 sillabe, il secondo 8, il terzo di nuovo 5 e il quarto 8).
Alcune letterature austronesiche possiedono la rima, altre non la conoscono. Una rima che s'incontra frequentemente consiste nell'uguaglianza delle due ultime vocali dei versi rimanti. Ovvero la rima è data dalla uguaglianza dell'ultima sillaba dei versi che rimano; oppure la rima si estende a due sillabe. L'uso delle varie rime ora descritte è assai vario: spesso rimano due versi susseguentisi. Finalmente c'è un altro tipo di rima, in cui è prescritta l'ultima vocale dei versi rimanti. Molte poesie austronesiche hanno ritornelli, specie nella lirica. Questi consistono generalmente di sillabe sonore che non hanno alcun senso (a, eya).
Il parallelismo consiste nel fatto che due versi successivi hanno un significato simile: esempio dall'epopea Balugu dei Nias: "Tu guardi le leggi del cielo, tu guardi le leggi del sole". In certe poesie sangir, il parallelismo è così congegnato che i due versi paralleli hanno lo stesso senso, ma il secondo è scritto nella lingua artificiale detta sasahara. Il parallelismo si trova specialmente in quelle letterature che non hanno rima. Esso spesso è usato anche come introduzione o conclusione delle poesie.
La metrica malese. - La maggior parte delle poesie malesi sono composte in strofe di 4 versi, ciascuno dei quali ha quattro sillabe accentate. Tutte le poesie hanno la rima, consistente nell'uguaglianza dell'ultima sillaba (hari "giorno": bĕri "dare") o delle due ultime (lari "correre": mari "qui"). Nei pantun, poesie liriche monostrofiche, il primo verso rima col terzo e il secondo col quarto; negli shair, poesie più lunghe, per lo più di contenuto epico, i quattro versi di una strofa rimano tra loro.
La metrica giavanese. - La poesia giavanese è sempre in strofe: e di queste ve n'ha un gran numero. In ogni strofa sono prescritti: il numero dei versi, il numero delle sillabe d'ogni verso e la vocale dell'ultima sillaba di ciascun verso. La strofa girisa ha otto versi di otto sillabe e l'ultima sillaba di ogni verso deve contenere la vocale a. La strofa mas-kumambang ha quattro versi: il primo di 12 sillabe, il secondo di 6, il terzo e il quarto di 8; la vocale dell'ultima sillaba del primo verso è i, di quella del secondo a, di quella del terzo i, di quella del quarto a.
La metrica makassar. - I Makassar dividono la loro poesia in sinriliq "grandi poesie" epiche o liriche e kelong "piccole poesie" liriche. Le prime hanno un metro poco rigido: i versi devono essere approssimativamente della stessa lunghezza; non c'è rima, ma c'è il parallelismo, che spesso si estende a tre versi. I kelong hanno un metro fisso: essi sono redatti in strofe di quattro versi, tutti di otto sillabe, tranne il terzo che ne na cinque.
La metrica tagal. - I Tagal verseggiano le loro poesie per lo più in strofe; vi è preferita una strofa di tre versi da sette sillabe, ma anche la strofa di quattro versi da otto sillabe è spesso usata. Tutti i versi dì una strofa devono avere la stessa vocale nell'ultima sillaba.
La metrica hova. - I versi d'una poesia devono essere press'a poco della stessa lunghezza; ma vi sono anche molte poesie che hanno una maggiore regolarità. Le rime sono rare.
Metri stranieri in Austronesia. - In conseguenza dell'immigrazione degli Indù in Giava, si formò in quest'isola una speciale civiltà indogiavanese, che fiorì per varî secoli. La poesia degl'Indo-Giavanesi risentì grandemente l'influsso della letteratura sanscrita. Essa usa raramente i metri indigeni sopra descritti, ma per lo più si serve dei metri sanscriti. Questi si basano, come quelli greci e romani, sul regolare alternarsi di sillabe brevi e lunghe. Il numero dei versi è grandissimo; per lo più quattro versi uguali formano una strofa; la rima non esiste. Vi è una sola opera indigena sulla metrica, quella di Mpu Tanakung, che s'occupa dei metri dell'antico giavanese.