linguaggio
La più potente e duttile delle facoltà umane
Facoltà della mente che permette al genere umano di formare, apprendere, usare e cambiare le diverse lingue del mondo, il linguaggio associa due insiemi di idee diverse: quello che denominiamo espressione e quello che denominiamo contenuto
In un celebre film di molti anni fa, 2001: Odissea nello spazio (1968), del regista statunitense Stanley Kubrick, un branco di ominidi viene a contatto con un misterioso monolite, un enorme parallelepipedo di pietra nera, piantato nel terreno. Per quegli esseri l’incontro è decisivo: da bestie quali sono conquistano a poco a poco la conoscenza, fino a diventare uomini che viaggiano nell’Universo a bordo di stupende navi spaziali.
Come il monolite del film, il linguaggio compare tra gli ominidi milioni di anni fa e da quel momento il destino della specie umana prende una strada radicalmente diversa. Mentre tutti gli altri esseri viventi restano occupati nella difesa della vita, nella ricerca di alimentazione e nella loro riproduzione, la specie umana perfeziona sempre meglio le stesse funzioni, ma al tempo stesso elabora anche funzioni vitali totalmente diverse e nuove. Elabora e coltiva i sentimenti, fondamentali quelli legati ai defunti; elabora una visione religiosa della realtà e di sé stessa; scopre e sviluppa l’arte; impara a riflettere sulle cose che pensa e sui modi in cui le pensa.
Tutto questo e molto altro ancora ha un’origine e uno strumento di realizzazione preciso: il linguaggio.
Il linguaggio è una facoltà psicologica. Consiste nella capacità della mente di creare un sistema unitario, che chiamiamo lingua, associando due insiemi di idee diverse. Al primo di questi insiemi diamo il nome di espressione. Al secondo diamo il nome di contenuto.
L’espressione consiste in una serie abbastanza limitata di idee: sono soprattutto le idee legate ai suoni, quelle legate alla visione delle immagini e quelle che ci provengono dalla capacità di muovere il nostro corpo per produrre dei gesti ordinati. Il contenuto del linguaggio è invece un insieme d’idee e di conoscenze molto vasto e vario. Coincide in pratica con tutto ciò che riusciamo a conoscere con l’esperienza e lo studio di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Per il modo in cui funziona e per le conseguenze che ha sulla vita umana, la facoltà di linguaggio è probabilmente la più straordinaria e potente facoltà di cui disponiamo, ma per capirlo dobbiamo osservare con attenzione le idee che questa facoltà associa insieme in una lingua.
La prima cosa di cui ci rendiamo conto quando riflettiamo sulla facoltà di linguaggio è che le idee che costituiscono l’espressione sono tutte idee che si concretizzano nella realtà esterna in ogni minuto della giornata.
Prendiamo le idee sonore che formiamo attraverso l’udito. Grazie a questo tipo d’idee sappiamo distinguere tutti i suoni che ci circondano (per esempio, un rumore da un lamento, una parola da un motivetto) e produrne a nostra volta altri (bussiamo alla porta, suoniamo uno strumento, parliamo in mille modi diversi) secondo le necessità.
Le idee visive ce le formiamo attraverso il senso della vista. Con questo tipo d’idee distinguiamo le cose vicine da quelle lontane, le cose reali da quelle riprodotte, i diversi colori e le tante forme degli oggetti. Inoltre, inventiamo quadri, disegni, manifesti e immagini di ogni specie e in particolare riconosciamo le lettere dell’alfabeto (quando leggiamo) e le riproduciamo (quando scriviamo).
Succede lo stesso con le idee gestuali. Come le idee sonore e molto spesso insieme alle idee visive, le idee gestuali ci permettono di riconoscere e di produrre qualsiasi tipo di movimento ordinato del corpo. Sorridere, camminare, correre, masticare, tendere la mano per un saluto e così via.
Tutte le idee di cui abbiamo parlato finora possono essere usate per produrre le espressioni del linguaggio. La loro importanza, grandissima, sta nel fatto che essendo percepibili dai sensi sono condivisibili tra gli uomini. Se non si hanno impedimenti fisici importanti, tutti possono sentire i nostri suoni e noi i loro, tutti possono vedere le nostre immagini e noi le loro, tutti possono percepire i nostri gesti e noi i loro.
Il secondo insieme d’idee è quello del contenuto. Quest’insieme è veramente sorprendente. Visto in generale, somiglia all’intero Universo stellare. In effetti, quante cose conosciamo? Conosciamo un’infinità di luoghi e un’infinità di momenti. Conosciamo un’infinità di persone come noi, alcune fanno parte della nostra vita, tante altre appartengono al passato (Einstein, Napoleone, Giulio Cesare, i faraoni egizi e così via). Conosciamo il mondo delle sensazioni come il caldo o il freddo; quello delle emozioni come il piacere o la paura; quello dei sentimenti come l’amore o lo sdegno. Conosciamo i concetti della matematica, della chimica, della botanica, della zoologia, della storia e della geografia. E conosciamo anche i mille modi per costruire ogni tipo di oggetto, i materiali con cui li costruiamo, le ragioni per cui lo facciamo e chi più ne ha più ne metta.
Ebbene, tutto ciò che l’uomo ha conosciuto e conosce attraverso l’esperienza, la vita sociale e lo studio può entrare a far parte delle idee che costituiscono il contenuto del linguaggio. Questo vuol dire che il contenuto della lingua di una comunità umana coincide con la sua vita razionale e sociale. Questo vuol dire che nei contenuti di tutte le lingue del mondo c’è l’intera storia culturale del genere umano. Insomma, un insieme veramente sorprendente.
C’è tuttavia una difficoltà da risolvere. Le idee del contenuto hanno un grande, anzi grandissimo difetto: sono sempre e solo idee mentali, non si realizzano mai esternamente come le idee dell’espressione. Noi possiamo vedere una persona che si lamenta per il mal di denti, per esempio, ma non proveremo mai il ‘suo’ mal di denti. Sentiamo un amico che parla, ma non ‘sentiremo’ mai le idee che ha in testa. Lo stesso vale per gli altri nei nostri confronti. Nessuno proverà mai il ‘nostro’ mal di denti. Nessuno ‘sentirà’ mai le nostre idee. Le idee conoscitive, infatti, non sono percepibili attraverso i sensi e, di conseguenza, non sono condivisibili.
È a questo punto che interviene in modo straordinario la facoltà di linguaggio.
Dato che le idee della conoscenza stanno sempre chiuse nella mente, la facoltà di linguaggio le associa ordinatamente con delle idee che invece si possono concretizzare. È un po’ come se la facoltà di linguaggio mettesse un cappello sulla testa dell’Uomo o della Donna Invisibile. E infatti: quando la facoltà di linguaggio associa un’idea della conoscenza a un certo suono o a una certa immagine, basta sentire quel suono o vedere quell’immagine e si ha modo di pensare quell’idea. Non è la stessa cosa che percepire direttamente l’idea, ma è certamente un modo pratico e intelligente per sapere più o meno bene che cosa ha in mente una persona che ci parla o che cosa dice un testo che stiamo leggendo.
Associando in modo ordinato un certo contenuto a una certa espressione la facoltà di linguaggio rende comunicabili le idee della conoscenza, che in questo modo diventano condivisibili, partecipabili e discutibili. È esattamente così che la facoltà di linguaggio rende possibile la vita sociale e conoscitiva della specie umana e, anche se più limitatamente, di molte altre specie del regno animale.
Quando comincia a funzionare e a produrre i suoi risultati la facoltà di linguaggio? In altre parole: come nasce una lingua?
Nell’uomo attuale, Homo sapiens, la specie umana a cui tutti apparteniamo, la facoltà di linguaggio impiega pochi mesi a manifestare i suoi effetti. Il bambino comincia ad appropriarsene già negli ultimi due-tre mesi di gestazione, quando è ancora nella pancia della mamma, e dopo la nascita bastano più o meno tre anni per avere a disposizione la lingua che ci accompagnerà per tutta la vita.
Gli inizi, come tutti gli inizi, sono un po’ stentati e apparentemente confusi. Si impara a parlare per imitazione, ‘copiando’, con non poco impegno, i modi di parlare e di esprimersi delle persone che ci circondano, i genitori in particolare. Durante i primi mesi i bambini producono una grande varietà di suoni bizzarri e lo fanno soprattutto per capire come si fa a produrli e a ripeterli con precisione e che effetto fanno sugli altri. Col passare del tempo cominciano a produrre dei suoni un po’ più ordinati e meno individuali.
A circa un anno o poco più si sanno già dire delle parole-frasi, cioè delle parole singole che però vogliono dire molte cose nello stesso tempo. Per esempio, se un bambino dice nanna vuol dire ho sonno, oppure voglio essere cullato o altro di simile ancora. Qualche mese dopo compaiono le prime, ruvide, frasi, per esempio: mimmo bua tetta, per dire mi sono fatto male alla testa. Ma a questo punto i giochi sono fatti. Basta poco e la lingua è bell’e pronta. Il sistema unitario prodotto dalla facoltà di linguaggio è ormai in piena funzione e il bambino è finalmente in grado di parlare con gli altri e gli altri con lui.
Che cosa è accaduto? È accaduto che a cominciare da molto presto la facoltà di linguaggio avvia il suo lavoro di associazione tra le idee che nascono dall’esperienza e le idee dell’espressione. Inizialmente si hanno ovviamente idee conoscitive molto generali associate a idee sonore molto provvisorie. Ferdinand de Saussure (19°-20° secolo), uno studioso svizzero a cui si devono intuizioni fondamentali sul linguaggio e sulle lingue, parlava a questo proposito di idee-suoni che nascevano in modo quasi misterioso.
Man mano però che con l’età aumenta il grado di precisione delle conoscenze e man mano che aumenta e si precisa la capacità di distinguere e produrre in modo accurato i suoni, l’associazione tra le idee conoscitive e le idee sonore diventa sempre più stretta e sempre più precisa. Si stabiliscono cioè i segni linguistici, in cui i contenuti, che prendono il nome di significati, sono associati inscindibilmente alle espressioni, che prendono il nome di significanti. Pian piano l’insieme dei segni linguistici cresce e si precisa, fino a dar vita al sistema che chiamiamo lingua.
Immaginiamo di fermare il tempo per un momento e diamo uno sguardo a tutte le lingue del mondo. Sono molte migliaia e sono tutte diverse. Confrontiamole tra loro usando il Tipologizzatore (un computer immaginario inventato da Archimede Pitagorico per far capire le lingue del mondo a Paperino). Ebbene il Tipologizzatore di Archimede tirerà fuori una lunga stampata di dati in cui ci sono scritte tre cose. La prima: che tutte le lingue del mondo hanno alcune cose, quelle essenziali, in comune tra loro (in linguistica si chiamano universali linguistici o tratti idiosincronici). La seconda: che tutte le lingue si raggruppano in pochi, tre o quattro, gruppi più piccoli diversi tra loro (i gruppi più importanti sono quello delle lingue flessive, come il latino; agglutinanti, come il turco; isolanti, come il cinese). La terza: che all’interno di ogni gruppo ogni lingua ha tali e tante specificità da risultare diversa da tutte le altre.
A Paperino viene subito in mente la vetrina di una pasticceria, dove ogni pasticcino corrisponde a una lingua (più di 6.000 pasticcini!). I pasticcini nella vetrina sono solo di tre o quattro tipi (per dire: cannoli, cassatine, babà e sfogliatelle). Ogni pasticcino è diverso da tutti gli altri (uno ha i canditi, un altro la panna, un terzo le more, un quarto crema di pistacchio e così via fino all’ultimo, fatto di finissima ricotta), ma tutti hanno, sempre, un bel tocco di cioccolata al latte nascosto all’interno.
Così come i dolci che conosciamo sono una gradevole prova della fantasia e dell’intelligenza umana, allo stesso modo la varietà delle lingue del mondo ci dimostra in modo ancora più evidente e importante le meravigliose capacità inventive della mente. Nella vetrina dei 6.000 e passa ‘pasticcini linguistici’ di Paperino, chiunque trova il suo preferito e di certo vorrà assaggiarne un altro e un altro ancora.
Se prima abbiamo fermato il passare del tempo per studiare come sono fatte le tante lingue che si parlano oggi nel mondo, adesso facciamo il contrario. Acceleriamo il tempo. Prendiamo la storia di una città, per esempio New York, e guardiamo il film della sua storia a velocità spinta. Vedremo, in rapida successione, prima una distesa disabitata con piante, alberi, un fiume, lo sbocco al mare; poi un villaggio western, con cowboy e diligenze; appaiono le prime case in muratura, un teatro, una banca, una scuola, quasi subito sostituiti da costruzioni sempre più sviluppate, fitte, alte. Tutto intorno si intrecciano strade e sopraelevate, prima a quattro, poi a sei, poi a otto e più corsie; ponti e sottopassaggi, fiumane di automobili. In pochi istanti vediamo quanti cambiamenti può conoscere una città in cui vive una comunità umana sempre attiva e in movimento.
Lo stesso accade a tutte le lingue. Se chiedessimo al nostro Archimede Pitagorico una macchina che accelerasse la storia di una lingua – chiamiamola Acceleratore diacronico – vedremmo facilmente com’è evoluta la parola latina caballus nella nostra italiana cavallo e che fine ha fatto la parola che i latini usavano per dire «cavallo», cioè equus. Vedremmo cos’è successo, pezzo per pezzo e momento per momento, alla frase latina legati venerunt ad pacem petendam per diventare oggi: gli ambasciatori vennero a chiedere la pace. Vedremmo anche come cambiano più o meno in fretta tutti i significati di tutte le parole di tutte le lingue. Con il nostro Acceleratore diacronico si vedrebbe chiaramente come le comunità umane non smettano un solo istante di rimaneggiare e modificare le loro lingue, alla continua ricerca dei significati più adatti, delle frasi più efficaci.
Ma come sono possibili più di 6.000 lingue diverse e tanti cambiamenti nel corso del tempo? Su questo genere di problemi si è discusso per secoli. All’origine del pensiero scientifico si credeva che il significato e il significante fossero un tutt’uno quasi magico. Più tardi si pensò a un legame naturale tra i contenuti e le loro espressioni. Per molto tempo la soluzione al problema fu di credere che l’associazione tra significato e significante fosse un fatto convenzionale stabilito dagli uomini.
L’Evo Moderno e le conoscenze scientifiche acquisite nel corso dell’Ottocento e del Novecento hanno invece permesso di capire che i sistemi linguistici non sono affatto sistemi rigidi dati una volta e per sempre, ma sono caratterizzati da una particolarissima capacità di adattamento e di aderenza alla realtà storica e culturale delle comunità umane. I linguisti chiamano questa capacità arbitrarietà.
Riferito al linguaggio il termine arbitrarietà significa semplicemente che quando la mente modella le idee per le espressioni e le idee per i contenuti, non lo fa in base a regole fisse e immutabili o in base a costrizioni fisiche o biologiche. Lo fa seguendo i modelli dei significanti che ha già a disposizione e modificando i significati in base ai bisogni di conoscenza e di comunicazione delle diverse comunità.
È per questo che le lingue aderiscono con plasticità e precisione all’evoluzione della realtà umana. Ed è proprio la capacità di costruire sistemi linguistici arbitrari che rende straordinaria e unica la facoltà di linguaggio. Ed è ancora per lo stesso motivo che ogni lingua è una vera e propria Lebensform, come intuì il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (19°-20° secolo), vale a dire una «forma di vita», forse la più affascinante.