segni, lingua italiana dei
La lingua italiana dei segni (o lingua dei segni italiana), spesso chiamata con la sigla LIS, è la lingua adottata nella comunicazione dalle persone italiane sorde che si riconoscono membri di una comunità minoritaria, non territoriale, fondata sull’affermazione di un’identità linguistica e su una visione socioculturale positiva della sordità. La LIS è anche lingua materna di alcuni udenti italiani, per lo più figli di persone sorde, ed è lingua seconda di molti altri udenti, generalmente operatori dei settori scolastico e socioassistenziale. Le persone che formulano messaggi in lingua dei segni sono dette segnanti.
La LIS è emersa spontaneamente ed è stata sviluppata nel corso del tempo da una collettività priva dei mezzi sensoriali necessari a esprimersi con la voce, perciò si compone di segni di natura visivo-gestuale, che coinvolgono la parte superiore del corpo, in particolare il capo, il viso e le spalle.
Il riconoscimento di lingua a pieno titolo e la denominazione lingua dei segni italiana si devono alla comunità scientifica che, seguendo uno standard internazionale, ha distinto e caratterizzato la LIS proprio con il nome rispetto alle altre forme di comunicazione visivo-gestuale, come la gestualità che accompagna il parlato (➔ gesti), la pantomima o la mimica (➔ paralinguistici, fenomeni).
Per la sua natura visivo-gestuale, la LIS si caratterizza come lingua multimodale, tipicamente simultanea e iconica; essa infatti si attua nello spazio e dispone di più articolatori, manuali e non manuali, che si combinano sistematicamente tra loro, dando corpo a un flusso di segni segmentabili in unità, dal livello minimo a quello di frase (Russo Cardona & Volterra 2007; Simone et al. 2007).
Nella LIS le unità minime (corrispondenti ai fonemi; ➔ fonologia) sono i parametri di formazione del segno (detti anche cheremi, dal gr. khéir «mano»). Essi sono quattro e ciascuno comprende una serie di realizzazioni (Radutzky et al. 1992):
(a) il luogo di articolazione, che comprende alcune parti del corpo del segnante, lo spazio antistante al segnante e il cosiddetto spazio neutro; i luoghi nella LIS sono 16;
(b) la configurazione della mano, cioè la forma che essa assume posizionando le dita; la LIS conta 56 configurazioni diverse;
(c) l’orientamento del palmo della mano rispetto al corpo del segnante, che nella LIS può assumere 6 valori;
(d) il movimento della mano o delle mani, che ha 40 realizzazioni.
A differenza delle unità minime del parlato (i fonemi), che possono essere articolati solo uno dopo l’altro, i quattro parametri vengono articolati simultaneamente con l’intervento di una o entrambe le mani; in alcuni segni essi possono occorrere più volte, sequenzialmente (Russo Cardona & Volterra 2007).
Analogamente ai parametri, possono svolgere una funzione distintiva le componenti non manuali, in particolare l’espressione facciale, la posizione del busto e delle spalle, lo sguardo e particolari configurazioni della bocca dette componenti orali. Esse talora disambiguano alcuni segni ‘omonimi manuali’ ma non sono considerate nella LIS veri e propri cheremi (Fontana 2009).
Nella LIS si riconosce un ulteriore livello, perché alcuni cheremi non hanno valore puramente distintivo; essi, specialmente la forma della mano, sembrano trasmettere un significato legato a una somiglianza con un dato referente. La configurazione B, ad es., può essere usata per rappresentare oggetti che hanno superfici piatte come nel segno CASA, in cui essa rappresenta la superficie del tetto, oppure come nel segno LIBRO (fig. 7), in cui la stessa configurazione rimanda ai piatti semiaperti del libro; il significato in questi casi è trasmesso in modo iconico, perciò i segni sono detti trasparenti. Anche il segno MESE è articolato con la configurazione B ma la metafora iconica sottostante, che rimanda alla consultazione del calendario, appare opaca; tuttavia, una volta che si conosce il significato essa diventa comprensibile, perciò il segno è detto traslucido.
Se l’iconicità entra nella strutturazione di una parte del lessico LIS, essa è comunque vincolata alle restrizioni del sistema linguistico: il significante, per quanto iconico, è costituito da elementi minimi compresi nel repertorio fonologico, mentre il significato del segno è «interpretabile solo all’interno del quadro di opposizioni e somiglianze semantiche pertinenti in una determinata area lessicale» (Russo Cardona & Volterra 2007: 70).
L’iconicità è anche presente nel lessico LIS detto produttivo, costituito da una gamma di segni, i cosiddetti classificatori, che presentano alcune analogie con i classificatori presenti nelle lingue verbali. A livello semantico, essi rendono pertinenti quei tratti dei referenti che risultano salienti nella percezione, classificandoli in base alla loro forma e disposizione (v. nella fig. 15 i classificatori per MOTO, mano destra, e MACCHINA, mano sinistra). I classificatori sono altamente specifici delle grammatiche segnate e dell’iconicità connessa; compaiono infatti in costruzioni sintattiche simultanee che sfruttano lo spazio, coinvolgono entrambe le mani e componenti non manuali altrettanto iconiche (Russo Cardona & Volterra 2007).
Variazioni sistematiche nei parametri e loro particolari combinazioni permettono di derivare segni da altri segni e di realizzare la flessione (Russo Cardona & Volterra 2007). Il plurale nella LIS, ad es., si forma posponendo il segno TANTI al nome, se il segno appartiene alla classe dei nomi articolati sul corpo del segnante; oppure tramite la reduplicazione del segno stesso (➔ raddoppiamento espressivo), nel caso in cui esso sia un nome che rientra nella classe dei segni che si articolano nello spazio neutro. Tutti i nomi possono essere pluralizzati con i classificatori: il classificatore viene segnato nello spazio neutro dopo il segno nominale, poi viene reduplicato.
Con l’➔accordo verbo-persona si identificano tre classi verbali: nella prima rientrano quei segni che hanno come luogo di articolazione il corpo del segnante, non esprimono l’accordo con l’oggetto e sono flessi solo per l’aspetto; alla seconda appartengono i verbi che vengono segnati nello spazio neutro e che vengono detti direzionali, perché si muovono tra due punti diversi dello spazio segnalando la relazione sintattica tra gli elementi; la terza classe raggruppa i segni che hanno come luogo lo spazio neutro e un solo punto di articolazione, condiviso dal soggetto e dal verbo (§ 2.5).
I ➔ nomi e i ➔ verbi in LIS sono distinti morfologicamente solo nella sottoclasse di segni che condividono i parametri del luogo, della configurazione e dell’orientamento e che differiscono per il movimento, più ampio e di maggiore durata per i verbi. Nomi e verbi possono essere disambiguati anche secondo criteri distribuzionali o in base al contesto di enunciazione (Caselli, Maragna & Volterra 2006).
Per esprimere il tempo (➔ temporalità, espressione della) la LIS utilizza numerosi marcatori lessicali che si muovono lungo la cosiddetta linea del tempo. Essa corre dalla spalla, punto che rappresenta il passato, allo spazio prossimo al corpo del segnante, luogo del presente, fino allo spazio antistante, in cui si esprime il tempo futuro.
L’➔aspetto del verbo in LIS invece si esprime con mezzi morfologici, tramite alterazioni del parametro del movimento e con l’uso di componenti non manuali. Sfumature aspettuali di continuità trovano espressione in movimenti lenti, ripetuti e più ampi del segno, mentre quelle di repentinità in movimenti veloci, brevi e tesi. La LIS possiede anche un marcatore lessicale, il segno FATTO, per esprimere l’aspetto compiuto.
Se si osserva l’ordine lineare dei segni, la ➔ sintassi della LIS è molto diversa da quella dell’italiano. La costruzione genitiva, ad es., ha l’ordine possessore + cosa posseduta + possessivo: «l’auto di mamma» in LIS viene segnato MAMMA AUTO SUA (Caselli, Maragna & Volterra 2006).
Nella frase negativa il segno per la ➔ negazione è in posizione postverbale, mentre nella frase interrogativa il verbo è in posizione finale. Gli ordini più frequenti nelle frasi dichiarative sono soggetto + oggetto + verbo (SOV) e soggetto + verbo + oggetto (SVO) ma il ricorso a classificatori o a verbi della prima o della seconda classe rende l’ordine meno sequenziale (§ 2.5; ➔ ordine degli elementi). Nel caso, ad es., di frasi che esprimano una relazione locativa tra due elementi, si segna per primo il luogo di riferimento, poi l’elemento locato, infine la relazione locativa, che è solitamente espressa mediante la reciproca e simultanea collocazione dei due elementi, uno per mano (Volterra 20042).
Le componenti non manuali conferiscono alla frase il valore pragmatico, distinguendo tipi di frasi segnate con la medesima parte manuale. Una frase interrogativa richiede, rispetto alla corrispondente affermativa, che il busto e le spalle del segnante si protendano e che le sopracciglia si alzino. Nella frase negativa, invece, il busto indietreggia appena e il capo viene inclinato da un lato; questa espressione può talora sostituire il segno stesso della negazione. Le componenti come la fissazione dello sguardo, i movimenti e gli orientamenti del capo e del busto vengono anche utilizzate per marcare il topic di una frase (Volterra 20042).
Come si è detto in § 2.3, alcuni verbi LIS segnalano l’accordo con il soggetto utilizzando lo stesso punto di articolazione nello spazio. Ad es., nella frase LIS corrispondente a «il motore della mia macchina si è rotto», l’ordine lineare è MACCHINA (fig. 1), il possessivo MIO (fig. 2), il segno MOTORE, che viene collocato in un punto dello spazio a destra del segnante (fig. 3); per ultimo il verbo, nello stesso punto in cui era stato collocato il soggetto (figg. 4-5).
Nella traduzione in LIS della frase «l’uomo legge un libro» si osserva invece l’uso simultaneo delle mani che rimandano in modo iconico alla relazione tra due diversi elementi della frase. Il primo segno è UOMO, il soggetto (fig. 6), a cui segue l’oggetto, LIBRO (fig. 7); successivamente l’oggetto è segnato con la mano sinistra, mentre la mano destra segna il verbo LEGGERE (figg. 8-9).
La frase «la moto sta tra due macchine» offre nella sua traduzione in LIS un altro esempio di articolazione simultanea e mostra l’uso dei classificatori nella funzione di collocazione iconica nello spazio dei costituenti. I primi due segni sono MACCHINA (fig. 10) e il numerale DUE (fig. 11); la mano sinistra segna il classificatore per il veicolo collocandolo in un punto dello spazio (fig. 12), poi la mano destra articola lo stesso classificatore situandolo in un altro punto dello spazio (fig. 13), cosicché i due classificatori rappresentano la localizzazione reciproca dei referenti. A questo punto, mentre la sinistra continua a segnare il classificatore, la mano destra segna MOTO (fig. 14) e in un secondo tempo segna il classificatore scelto per indicare la moto; esso viene dunque situato accanto all’altro classificatore e idealmente in mezzo a quello precedentemente segnato con la mano destra (fig. 15).
Nel repertorio (➔ repertorio linguistico) della comunità segnante italiana coesistono quindi due lingue molto diverse tra loro: una, l’italiano, si esplica nella modalità acustico-vocale, l’altra, la LIS, in quella visivo-gestuale. I membri sordi possono acquisire la LIS in modo spontaneo mentre apprendono l’italiano parlato e scritto artificialmente, solo in contesti formali, poiché non accedono in modo naturale al canale acustico-vocale né alla comunicazione orale in cui l’italiano si attualizza; perciò essi non ne sono pienamente competenti (Fontana 2009). Alcuni di essi, tuttavia, non padroneggiano completamente nemmeno la LIS; la comunità segnante risulta così piuttosto stratificata al suo interno. Le competenze nella LIS raggiunte dai suoi utenti sordi, infatti, dipendono in larga misura dalle condizioni in cui essa viene trasmessa. Solo un’esigua percentuale di sordi acquisisce la lingua dei segni dai primi anni di vita; questi costituiscono il fulcro della comunità e hanno generalmente genitori sordi. I sordi che hanno genitori udenti, invece, costituiscono una seconda fascia di utenti della LIS, più numerosi rispetto ai primi, e possono entrare a contatto con la LIS nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza. La trasmissione, in questi casi, è vincolata ai tempi impiegati per giungere all’avvio del percorso riabilitativo e alla scelta del suo orientamento; è anche condizionata dalle circostanze e dal tipo di segnanti con i quali il sordo interagisce: per i sordi figli di udenti le possibilità di acquisizione sono rappresentate dalla scuola, in cui essi possono incontrare altri sordi e personale udente segnante, come interpreti e assistenti alla comunicazione. Questi udenti, tra cui anche i figli di sordi, possiedono competenze nella LIS a vario livello e costituiscono la terza fascia di utenti, oggi in costante aumento. Gli utenti della LIS ancora oggi non sono comunque stimabili in un numero preciso (Russo Cardona & Volterra 2007; Bagnara et al. 2008).
LIS e italiano sono entrambe usate nella conversazione quotidiana, ma rimangono differenziate dal punto di vista funzionale, non sovrapponendosi negli ambiti d’uso. La LIS, ad es., può essere usata in famiglia, ma solo in quelle famiglie in cui altri membri, solitamente sordi, usano la LIS; nel caso di sordi che hanno parenti udenti, essi useranno in famiglia l’italiano e la LIS in altre occasioni di socializzazione, come nei circoli. La LIS è poi impiegata in numerose situazioni, anche ufficiali, come nei convegni, all’università e nei media con il servizio di traduzione simultanea.
La LIS, non possedendo un sistema di scrittura, risulta limitata nella diffusione e poco standardizzata. La scarsa standardizzazione ha origine dalle ridotte opportunità di contatto tra sordi che, specie in passato, avevano determinato la formazione di gruppi isolati, non solo da città a città ma anche in più istituti all’interno di una stessa città. Di conseguenza, la LIS è caratterizzata da un’alta gamma di variazione, soprattutto a livello del lessico: della LIS non esiste una forma condivisa da tutta la comunità, bensì diverse ➔ varietà su base geografica (§ 4). Alcune di queste varietà sono più visibili di altre perché utilizzate nei media, e coincidono in genere con le varietà del luogo di produzione.
L’italiano scritto è il mezzo con cui i sordi comunicano con gli udenti e con altri sordi a distanza, usando, ad es., sms, fax e posta elettronica (Russo Cardona & Volterra 2007). L’italiano è tra le due lingue quella che possiede un sistema di scrittura e con cui si accede all’istruzione, alla cultura e più in generale all’informazione (Fontana 2009); ha status e funzioni riconosciuti, mentre la LIS non ha ancora legittimazione nell’ordinamento legislativo italiano.
L’italiano gode, dunque, di un prestigio che, a partire dagli ambiti educativo e scolastico, ha condizionato fortemente e a lungo gli equilibri tra le due lingue e i connessi atteggiamenti linguistici. Nelle istituzioni specializzate, fondate a partire dalla fine del Settecento, i sordi trovano la prima occasione di aggregazione, avviando così un processo di socializzazione che nel corso dell’Ottocento porta alla costruzione di una nuova comunità e all’elaborazione di una naturale lingua emergente, la lingua dei segni (Russo Cardona & Volterra 2007). Questa lingua diventa poi mezzo di istruzione e di insegnamento della lingua vocale; ma a un ventennio dall’unificazione i modelli educativi adottati in queste istituzioni si reindirizzano verso l’uso esclusivo della lingua vocale e l’abbandono della lingua dei segni. Le risoluzioni del Congresso internazionale dei maestri dei sordi tenutosi a Milano nel 1880 decretano la superiorità della lingua vocale sul gesto. Ciò comporta l’uso a livello didattico del cosiddetto metodo orale puro, che si basa sul presupposto che la lingua vocale debba essere appresa tramite la lingua vocale stessa, escludendo anche metodi misti, in cui lingua dei segni e parola sono utilizzati simultaneamente; la motivazione concerne le ricadute negative sullo sviluppo delle competenze linguistiche nella lingua parlata e scritta e sullo sviluppo corretto del pensiero (Sani 2008).
Le opinioni sulla lingua dei segni maturate dai maestri udenti nei contesti educativi si sono radicate col tempo nell’utenza sorda; essa aveva così progressivamente dimenticato il valore della propria lingua, confondendola con la mimica e la gestualità, restringendone i contesti d’uso alla famiglia, ai circoli per sordi, alle scuole speciali (non durante le lezioni) e badando a non usarla in pubblico, in quanto mezzo di comunicazione identificativo di un’utenza stigmatizzata. Le generazioni odierne di sordi segnanti sono più consapevoli del proprio patrimonio linguistico, non vivono la propria lingua come marchio di atipicità, si dedicano alla ricerca sulla LIS e la insegnano; alcuni producono testi poetici e teatrali. Benché gli atteggiamenti stiano mutando nella direzione positiva di una rivalutazione e di una maggiore consapevolezza, essi non sono ancora condivisi da tutti gli utenti.
La lingua dei segni italiana conta diversi dizionari, alcuni dei quali pubblicati da editori a diffusione nazionale. I primi, a carattere generale, sono comparsi all’inizio degli anni Novanta, redatti interamente da persone sorde o comunque con la loro collaborazione. Sono stati pubblicati anche dizionari specialistici: per la catechesi cattolica dei sordi, per la terminologia informatica (Caselli, Maragna & Volterra 2006) e più recentemente per l’arte contemporanea (Dizionario di arte contemporanea in lingua dei segni italiana 2010).
I dizionari delle lingue dei segni come la LIS sono profondamente diversi dai tradizionali dizionari (➔ dizionario), anzitutto perché le lingue dei segni non possiedono scrittura. L’immagine del segno, il lemma, è sempre accompagnato dalla traduzione in italiano, che ha il compito di rappresentarne il significato; i dizionari LIS sono perciò tutti bilingui. Essi generalmente non contengono definizioni lessicografiche, possono però dare indicazioni sull’esecuzione del segno e sulle sue origini iconiche (Angelini et al. 1991) oppure segnalarne la trascrizione fonetica e la categoria grammaticale (Radutzky et al. 1992). Inoltre, non disponendo di corpora scritti letterari e dovendo attestare le voci con il disegno, il lemmario risulta spesso limitato rispetto all’intero lessico della lingua (Lucas 2001).
Una funzione importante dei dizionari LIS è quella di influire sullo status della lingua (➔ pianificazione linguistica) facilitandone la standardizzazione, l’insegnamento e il riconoscimento presso la comunità maggioritaria udente, oltre che nella comunità segnante stessa perché ne acquisti maggiore consapevolezza. È, dunque, la tipologia dei destinatari dei dizionari a orientare le scelte dei redattori rispetto all’ordinamento e alla selezione del lemmario (Caselli, Maragna & Volterra 2006). I dizionari che assumono il punto di vista dei segnanti contengono i segni ritenuti più diffusi e tipici della loro comunicazione e dispongono le voci dapprima secondo campi semantici poi, al loro interno, in ordine alfabetico della corrispondente parola italiana. I dizionari che si rivolgono, invece, a chi apprende la lingua dei segni e desidera tradurre dall’italiano alla LIS orientano la selezione del lemmario in base alle necessità di traduzione e dispongono le voci seguendo l’ordine alfabetico della parola italiana associata.
Sulla costruzione del lemmario incide anche la scarsa standardizzazione della lingua, particolarmente manifesta a livello lessicale. I dizionari generali di LIS attestano, infatti, l’esistenza di variazioni diatopiche sul territorio nazionale che possono interessare anche una stessa città, quando essa sia stata sede di più istituti di istruzione specializzata (§ 3). I dizionari attestano come rappresentativo il segno che ha maggiore frequenza sul territorio e come sue varianti le eventuali forme concorrenti meno diffuse. Possono scegliere, tuttavia, di escludere dal lemmario alcuni campi semantici, perché le varianti esistenti sono troppo numerose (Angelini et al. 1991) o, all’opposto, possono selezionare tutte le diverse varianti e raggrupparle in base al luogo d’uso, proprio perché nessuna di esse è veramente rappresentativa (cfr. Dizionario regionale del linguaggio mimico gestuale marchigiano 1996).
Una città nota per la presenza di una varietà strutturalmente diversa da tutte le altre sul territorio nazionale è Trieste, che mostra variazioni non solo nel lessico, ma anche nelle configurazioni; alcune di esse non sono condivise da altre varietà di LIS, mentre sono comuni con la lingua dei segni austriaca, da cui la varietà triestina ha probabilmente origine (Bagnara et al. 2008).
Si considera anche come varietà della lingua dei segni la sua versione tattile (Lucas 2001); essa è utilizzata da alcuni sordociechi, solitamente persone nate sorde, che sono competenti nella lingua dei segni e che nel corso della vita sono diventate cieche. In Italia questa variante si chiama LIS tattile (Bagnara et al. 2009).
Dizionario di arte contemporanea in lingua dei segni italiana. Il silenzio racconta l’arte (2010), Torino, Allemandi.
Dizionario regionale del linguaggio mimico gestuale marchigiano. Categorie comuni (1996), Ancona, Regione Marche Servizi sociali.
Angelini, Natalia et al. (1991), I primi 400 segni. Piccolo dizionario della lingua italiana dei segni per comunicare con i sordi, Firenze, La Nuova Italia.
Bagnara, Caterina et al. (a cura di) (2008), I segni parlano. Prospettive di ricerca sulla Lingua dei Segni Italiana, Milano, Franco Angeli.
Bagnara, Caterina et al. (a cura di) (2009), I segni raccontano. Lingua dei Segni Italiana tra esperienze, strumenti e metodologie, Milano, Franco Angeli.
Caselli, Maria Cristina, Maragna, Simonetta & Volterra, Virginia (2006), Linguaggio e sordità. Gesti segni e parole nello sviluppo dell’educazione, Bologna, il Mulino.
Fontana, Sabina (2009), Linguaggio e multimodalità. Gestualità e oralità nelle lingue vocali e nelle lingue dei segni, Pisa, ETS.
Lucas, Ceil (a cura di) (2001), The sociolinguistics of sign languages, Cambridge, Cambridge University Press.
Radutzky, Elena et al. (1992), Dizionario bilingue elementare della lingua italiana dei segni. Oltre 2500 significati, Roma, Kappa.
Russo Cardona, Tommaso & Volterra, Virginia (2007), Le lingue dei segni. Storia e semiotica, Roma, Carocci.
Sani, Roberto (2008), L’educazione dei sordomuti in Italia prima e dopo l’Unità. Itinerari, esperienze, discussioni, in Id. (a cura di), L’educazione dei sordomuti nell’Italia dell’800. Istituzioni, metodi, proposte formative, Torino, Società editrice internazionale, pp. 3-37.
Simone, Raffaele et al. (a cura di) (2007), Verbal and signed languages. Comparing structures, constructs and methodologies, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.
Volterra, Virginia (a cura di) (20042), La lingua dei segni italiana. La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Bologna, il Mulino (1a ed. 1987).