lingua franca, italiano come
Per lingua franca (o lingua franca mediterranea) s’intende una lingua veicolare a base italiana, documentata a partire dal tardo Cinquecento lungo le coste del Mediterraneo, in particolare nelle capitali della guerra di corsa (Tunisi, Tripoli, Algeri), nell’ambiente dei mercanti, dei prigionieri e dei diplomatici europei (➔ Mediterraneo e lingua italiana).
Lo studio della lingua franca fu inaugurato da Hugo Schuchardt (1909), che aveva raccolto testimonianze di prima mano sull’uso, ormai residuale, di una ‘lingua di mediazione’ romanza nelle città portuali del Nordafrica. Schuchardt descrisse la lingua franca come una «lingua di emergenza» (Notsprache), con limitate funzioni comunicative, struttura grammaticale semplificata e lessico di origine eterogenea, di dimensioni ridotte e notevole fluidità semantica. Una lingua ausiliaria, dunque, che parlanti di lingue diverse, in mancanza di nativi, imparavano per via per lo più orale.
La definizione di Schuchardt corrisponde a ciò che in linguistica, a partire dalla metà del Novecento, si chiama comunemente un pidgin (➔ italiano come pidgin; ➔ contatto linguistico); tuttavia, a differenza dei pidgin finora documentati, nella cui struttura sono coinvolte lingue diverse e lontane fra loro, gli elementi che vengono a formare la lingua franca sono circoscritti all’ambito romanzo, non sussistendo che tracce marginali – tanto a livello grammaticale quanto lessicale – di influsso arabo o turco. La cosa è tanto più singolare se si pensa che la lingua franca sarebbe servita come mezzo di comunicazione fra gli europei, che a vario titolo frequentavano il litorale nordafricano, e la popolazione locale, per lo più arabofona (e in parte turcofona e berberofona). L’anomalia invita a riconsiderare struttura e funzioni della lingua franca, e a tentare di ripensarne la genesi a partire dalla documentazione disponibile.
Col termine franco (gr. fránkos, arabo ifranǰ) si indicava, nel mondo greco-bizantino e arabo-islamico, chi veniva dall’Europa occidentale; in questa prospettiva, la lingua dei franchi o lingua franca – menzionata sporadicamente in fonti greche e arabe di epoca medievale – può essere uno degli idiomi parlati e/o scritti dagli europei, percepiti, talvolta, come una lingua unitaria, e non costituirebbe in alcun modo un riferimento a una specifica, nuova, varietà (cfr. Kahane & Kahane 1976). Con ciò non si vuole escludere, naturalmente, che tali varietà siano esistite: piuttosto, come accade in genere in situazioni di contatto linguistico più o meno occasionale, esse avranno avuto vita effimera, senza stabilizzarsi in forme più strutturate, e, soprattutto, senza esser registrate nella scrittura.
D’altra parte, l’infittirsi dei rapporti politici e commerciali lungo le sponde del Mediterraneo, a partire dall’XI secolo, contribuì alla circolazione internazionale di alcune lingue già dotate di prestigio: il greco, l’arabo, il francese, qualche volgare italiano (veneziano, genovese, toscano), e, in misura minore, il provenzale e il catalano. Queste lingue vennero usate in vario modo in diversi ambiti della vita sociale; occorre dunque immaginare un continuum di usi, al cui estremo più basso vi saranno varietà pidginizzate e ridotte, d’impiego solo orale, diffuse fra parlanti alloglotti, spesso ai livelli inferiori della scala sociale. Il passaggio di lessemi dal greco e dall’arabo alle lingue romanze, e viceversa, sarà avvenuto, in ambito marittimo-mercantile, in gran parte proprio attraverso simili varietà, senza che sia necessario ipotizzare – a questa altezza cronologica e in queste condizioni storiche – una fase precoce e inattestata della lingua franca.
La prima documentazione della lingua franca si trova in Diego de Haedo (1612: 23v-24), che cita vari esempi, sempre in bocca a parlanti arabofoni o turcofoni: «Acosi, acosi, mirar como mi estar barbero bono, y saber curar, si estar malato, y ora correr bono», «Dio grande no pigllar fantesia, Mundo cosi cosi. Si estar scripto in testa, andar andar. Si no, aca morir», «mi parlar patron donar bona bastonada», ecc. (Haedo 1612: 120v, 192, 201v). Risale allo stesso periodo (precisamente al 1616) il riferimento da parte di un nobile romano a un sacerdote maronita incontrato a Damasco, che parlava «un poco Italiano, cioè quella lingua bastarda, sempre per infinito, senz’altri tempi di verbi, che in queste parti d’Oriente la chiamano Franco piccolo» (Della Valle 1650: 599). Dal XVII al XIX secolo, analoghe osservazioni si trovano in numerosi viaggiatori e diplomatici europei negli stati barbareschi (Cifoletti 2004).
Purtroppo si tratta di testimonianze piuttosto ripetitive, vuoi per l’oggettiva similarità delle situazioni comunicative, vuoi per il fissarsi di uno stereotipo linguistico che coglie e forse amplifica un solo aspetto di un contesto multilingue certo assai complesso. Colpisce in particolare il fatto che le espressioni in lingua franca riportate nei testi non siano mai attribuite a europei; si tratterebbe dunque, più che di un pidgin, della rappresentazione parodistica della parlata di alloglotti. Il sospetto è tanto più legittimo in quanto una tradizione letteraria pan-romanza è venuta elaborando, fin dal trecentesco Contrasto della Zerbitana, i tratti tipici dell’alterità linguistica, cioè del modo in cui si presume che gli ‘altri’ parlino la nostra lingua.
Il più diffuso fra questi tratti è una radicale ➔ semplificazione del sistema verbale, attraverso l’estensione dell’infinito per tutti i tempi e modi (eventualmente in alternanza con il participio passato); così, nel Contrasto: «Non aver di te paura!» (v. 11), «e guardar delle malventura» (v. 13), ecc. Di questa tradizione si ha ampia testimonianza in area italiana, in particolare in ambito teatrale: La Zìngana di Giancarli (1545), La Sultana di Andreini (1622), L’impresario delle Smirne di Goldoni (1759, 1774), Il Turco in Italia di Rossini (1814), ecc.; ma esempi interessanti sono offerti anche dalla novellistica (per es., Lo cunto de li cunti di Basile, 1634-1636) e dai canti parodistici di area veneta e toscana (canti dei lanzi, todesche, ecc.). Questa produzione trova precise corrispondenze nella tradizione letteraria spagnola, portoghese e francese (Juan del Encina, Gil Vicente, Miguel de Cervantes, Lope de Vega, Molière, ecc.), e contribuisce a diffondere uno stereotipo linguistico dello straniero di duraturo successo (Minervini 1996).
Fra i tratti linguistici ricorrenti in tutta la documentazione vanno notati, oltre alla accennata generalizzazione dell’infinito e del participio passato: l’uso dei pronomi personali tonici mi, ti; l’impiego della preposizione per a introdurre diversi complementi (incluso l’oggetto diretto; ➔ accusativo preposizionale); la frequente omissione della copula e degli articoli; la tendenza all’uso di termini generici; la presenza di alcuni lessemi con accezioni particolari (fantasia «orgoglio, disprezzo, capriccio», forar «fuggire, andare», conchar «fare, sistemare, regolare», ecc.). Tutte le testimonianze convergono inoltre nel riprodurre un ‘effetto parlato’, attraverso espedienti quali le ripetizioni enfatiche, la paratassi polisindetica, i periodi ellittici o segmentati, la giustapposizione di frasi collegate dal ➔ che polivalente, ecc.
Questi tratti ritornano nella fonte più ricca per la conoscenza della lingua franca, l’anonimo Dictionnaire de la langue franque (in Cifoletti 2004), destinato ai soldati del corpo di spedizione francese in Algeria (1830); l’opera include, oltre a un dizionario francese-lingua franca, qualche osservazione grammaticale, una serie di dialoghi e un glossarietto francese-arabo. Nella prefazione si riconduce l’origine della lingua franca (chiamata anche petit mauresque) all’attività, un tempo fiorente, dei pirati barbareschi e se ne distinguono due varietà, parlate rispettivamente a Tunisi e ad Algeri, influenzate l’una dall’italiano e l’altra dallo spagnolo (cfr. Cifoletti 2004: 89 seg., 94).
Nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, una serie di articoli pubblicati su giornali e riviste, e qualche testimonianza in libri memorialistici, permettono di osservare la pressione crescente esercitata dal francese sulla lingua franca parlata in Algeria e in Tunisia (detta sabir) e la progressiva dissoluzione di quest’ultima.
In conclusione, a causa delle fonti oggi disponibili – tutte di parte europea, e influenzate da una radicata tradizione letteraria – possediamo solo un’immagine incompleta della costellazione di fenomeni di contatto linguistico che va sotto il nome di lingua franca: essa si inserisce nel contesto della diffusione internazionale dei volgari italiani, che ha origine nel medioevo con l’affermazione dei mercanti amalfitani, veneti, liguri, toscani nelle piazze del Mediterraneo, e la costruzione degli imperi marittimi di Venezia e di Genova (➔ mercanti e lingua).
Tale diffusione ebbe ulteriore sviluppo in età moderna, quando l’italiano divenne una delle principali lingue dei contatti politico-diplomatici della Sublime Porta con il mondo europeo (Bruni 1999, 2007; Minervini 2006). Nelle reggenze ottomane del Maghreb – basi operative dei corsari barbareschi ma anche centri nevralgici del commercio mediterraneo – l’italiano è abitualmente usato, fino al Settecento, nella corrispondenza diplomatica e negli atti di giustizia ordinaria fra occidentali di nazioni diverse. Lo spoglio di decine di documenti allestiti nei consolati francesi e inglesi di Tunisi e Tripoli ha messo in luce i tratti di una varietà piuttosto eterogenea, di base toscana non letteraria, frammista di elementi spagnoli e francesi (cfr. Cremona 2003; Baglioni 2010).
È possibile che un ruolo importante di intermediazione sia stato svolto dai mercanti sefarditi livornesi, che compaiono spesso in funzione di redattori-traduttori degli atti; e certo diverse varietà dialettali italiane dovevano circolare anche fra i prigionieri, i redentori inviati a riscattarli, gli equipaggi delle navi, nonché alcuni rinnegati assurti a posizioni importanti. Varie ragioni spiegano quindi come l’italiano sia diventato lingua bersaglio (ingl. target language) di tanti parlanti alloglotti, che si trovano realisticamente rappresentati come tipici parlanti della lingua franca. In tale prospettiva si potrebbe assimilare alla fossilizzazione di una varietà di apprendimento di livello piuttosto elementare – il che spiega le numerose analogie, a livello fonetico, e soprattutto morfologico e sintattico, con l’italiano lingua seconda di acquisizione spontanea (➔ acquisizione dell’italiano come L2).
Della Valle, Pietro (1650), Viaggi di Pietro della Valle il pellegrino, Roma, Vitale Mascardi, 1650-1663, 4 voll., vol. 1° (De’ viaggi di Pietro Della Valle il pellegrino. Descritti da lui medesimo in lettere familiari all’erudito suo amico Mario Schipano. Parte prima cioe la Turchia).
Haedo, Diego de (1612), Topographia e historia general de Argel, repartida en cinco tratados, Valladolid, Diego Fernández de Córdoba.
Baglioni, Daniele (2010), L’italiano delle cancellerie tunisine (1590-1703). Edizione e commento linguistico delle “carte Cremona”, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei.
Bruni, Francesco (1999), Lingua d’Oltremare. Sulle tracce del ‘Levant Italian’ in età preunitaria, «Lingua nostra» 60, pp. 65-79.
Bruni, Francesco (2007), Per la vitalità dell’italiano preunitario fuori d’Italia. I. Notizie sull’italiano nella diplomazia internazionale, «Lingua e stile» 42, pp. 189-353.
Cifoletti, Guido (2004), La Lingua franca barbaresca, Roma, Il Calamo.
Cremona, Joseph (2003), Histoire linguistique externe de l’italien au Maghreb, in Romanische Sprachgeschichte. Ein internationales Handbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen, hrsg. von G. Ernst et al., Berlin - New York, Gruyter, 3 voll., vol. 1°, pp. 961-966.
Kahane, Henry & Kahane, Renée (1976), Lingua franca: the story of a term, «Romance philology» 30, pp. 25-41.
Minervini, Laura (1996), La lingua franca mediterranea. Plurilinguismo, mistilinguismo, pidginizzazione sulle coste del Mediterraneo tra tardo medioevo e prima età moderna, «Medioevo romanzo» 20, pp. 231-301.
Minervini, Laura (2006), L’italiano nell’Impero ottomano, in Lo spazio linguistico italiano e le “lingue esotiche”. Rapporti e reciproci influssi. Atti del XXXIX congresso internazionale della Società Linguistica Italiana (Milano, 22-24 settembre 2005), a cura di E. Banfi & G. Iannaccaro, Roma, Bulzoni, pp. 49-66.
Schuchardt, Hugo (1909), Die Lingua Franca, «Zeitschrift für romanische Philologie» 33, pp. 441-461 (trad. it. La lingua franca, «Linguistica e filologia» 29, 2009, pp. 7-31).