LINGUA E WEB.
– L’evoluzione del web. Parametri per un’analisi della lingua del web. La cornice dei sistemi. I tempi dello scambio e il dialogo. I sistemi di distribuzione. La collaborazione. La multimodalità. Bibliografia
L’evoluzione del web. – Il web è il servizio più noto fra quelli disponibili in Internet, tanto che i due termini sono spesso confusi o usati come sinonimi. Con web (abbreviazione di world wide web, noto anche come www o w3) si indica il sistema di condivisione di documenti ipertestuali e multimediali ideato dallo scienziato Tim Berners-Lee del CERN di Ginevra nel 1989 e reso pubblico il 6 agosto del 1991 (http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject. html). Fuori dagli ambienti di ricerca, il web ha cominciato a diffondersi alcuni anni dopo, con la presentazione delle prime interfacce grafiche, fra le quali Mosaic (1993). Mosaic è tecnicamente un (web) browser, come Internet Explorer, Mozilla Firefox, Google Chrome, Safari e Opera, per citare i più noti. Un browser consente di leggere i documenti ipertestuali presenti nel web, ciascuno dei quali identificato da un URL (Uniform Resource Locator) e codificato in un linguaggio specifico, inizialmente l’HTML (HyperText Markup Language), poi l’XML (eXtensible Markup Language), che a sua volta può incorporarne altri per la gestione di risorse specifiche.
Secondo le stime della società Netcraft (http://news. netcraft.com/archives/category/web-server-survey/), nel decennio compreso tra dicembre 2004 e dicembre 2014 (data dell’ultimo rilevamento) i siti attivi sono passati da circa 26 milioni a circa 180 milioni.
Nel web domina l’inglese, ma l’espansione globale della banda larga e la disponibilità in più lingue delle principali piattaforme ne stanno erodendo il primato: in Wikipedia sono rappresentate 288 lingue (http://en.wikipedia.org/ wiki/Wikipedia); Facebook (FB) è disponibile in 91 lingue, Google Translate in 90, Twitter (TW) in oltre 30 lingue, LinkedIn in 20, senza considerare i sistemi che, pur avendo una diffusione geografica circoscritta, vantano un numero di utenti in costante crescita: il corrispettivo di FB in Cina e in Giappone, Renren, contava a settembre 2014 ben 219 milioni di utenti attivi (http://www.chinainternetwatch. com/tag/renren/).
La parola web è alla base di numerosi composti, alcuni dei quali entrati stabilmente nell’uso, come webcam, webchat, webliography, weblog (poi ridotto in blog), webmail, webmaster, webpage, website, web TV, webzine, webwriter e così via. Collegati alla struttura del web sono link, permalink (link permanente), banner (la striscia, di solito contenente una pubblicità, che compare all’inizio di una pagina web) e scrolling («movimento in senso orizzontale o verticale di un testo o di un’immagine sullo schermo del monitor di un elaboratore»: Il Treccani, 2015).
Con web statico si identifica la prima generazione di siti destinati alla sola consultazione. Il loro standard di qualità è notevolmente migliorato nel tempo, grazie al progressivo adattamento ai principi della web usability, che tiene conto dei problemi connessi alla lettura su schermo, più difficoltosa di quella su carta, e degli inconvenienti della navigazione. Le regole della web usability investono l’uso dei fonts, la lunghezza delle frasi, la struttura delle informazioni, la divisione del testo in blocchi, la coerenza grafica delle pagine, il ricorso ai link e così via. Il lessico varia notevolmente in base ai temi trattati. Anche i blog, che si possono considerare l’evoluzione dinamica dei siti, presentano caratteristiche molto diverse in base agli scopi, alla periodicità degli aggiornamenti, alle connessioni che mantengono all’interno della blogosfera, da cui dipende anche l’entità dei commenti, pubblicati in ordine anticronologico, dal più recente al più vecchio.
A partire dal 2004 si è diffusa l’etichetta web 2.0 (O’Reilly 2005) per indicare una nuova fase di sviluppo del sistema, la cui definizione insiste sulla folksonomy (composto di folk e taxonomy), parola che indica tanto il metodo di classificazione dei contenuti generato dalla collaborazione fra utenti attraverso l’uso di metadati (o tags), quanto le relative pratiche sociali. Il confine cronologico e tecnico tra web 1.0, così denominato retroattivamente, e web 2.0 non è netto: i blog, individuati di solito come punto di transizione, sono nati nel 1997 e si sono affermati all’inizio del nuovo millennio; nel 2001 è stata lanciata Wikipedia, che usa il software collaborativo wiki, sviluppato verso la metà degli anni Novanta; nel 2003 sono comparsi Myspace e LinkedIn, nel 2004 FB, Gmail e Flikr; nel 2005 YouTube, nel 2006 TW e Google Docs, nel 2010 Instagram. Queste piattaforme incorporano sistemi un tempo distinti (FB include una chat, messaggi personali ecc.) e consentono di condividere i contenuti contemporaneamente su più social network (Instagram permette di diffondere un’immagine o un video su FB, TW, Tumblr e Flickr).
I social media hanno rivoluzionato il sistema di produzione e di trasmissione dei mass media. Se la prima fase di sviluppo del web è stata contrassegnata dalla convergenza tecnologica di media un tempo distinti (TV, giornali, radio, cinema), oggi accessibili attraverso un unico dispositivo digitale, con il web 2.0 si può dire superata la relazione asimmetrica fra produzione/trasmissione di prodotti e audience, perché sono gli utenti stessi a creare e a diffondere i contenuti attraverso reti che si riconfigurano costantemente in base alle interazioni.
Dopo una fase che ha privilegiato gli elementi più appariscenti delle scritture digitali, come le abbreviazioni, le idiografie, gli emoticons e i gerghi (dal Jargon file al Leetspeak), sui quali si è cercato di edificare una configurazione unitaria della lingua di Internet, l’attenzione degli studi si è progressivamente concentrata sugli aspetti pragmatici e sociolinguistici (Crystal 2011), quindi sulla moltimodalità. Una rassegna delle etichette più diffuse può dare conto delle prospettive di analisi adottate nel tempo: i primi lavori dedicati alla CMC (Computer-Mediated Communication) si fondavano sulla distinzione tra sistemi sincroni e asincroni, e sulle modalità di distribuzione dei messaggi (uno-a-uno, uno-a-molti); la sigla CMD (Computer-Mediated Discourse), introdotta da Susan C. Herring (2001) per isolare gli aspet ti linguistici da quelli tecnologici della CMC, si è in seguito precisata come CMDA (Computer-Mediated Discourse Analysis; Herring 2004); la EMC (Electronically-Mediated Communication) amplia la prospettiva d’indagine dai computer agli smartphone (Baron 2008); la DCOE (Discourse Centered Online Ethnography) coniuga l’analisi del discorso con l’approccio etnografico (Androutsopoulos 2008).
Il tema che per oltre un ventennio ha monopolizzato gli studi sulla CMC, cioè il suo rapporto con la lingua scritta e quella parlata (Baron 2000; Crystal 2001), è ora superato dai modelli di ricerca che si ispirano alla nozione di literacy, i quali valorizzano la scrittura come pratica sociale (Barton, Lee 2013). La ricerca è complicata non solo dalla possibilità di scelta del canale semiotico e della piattaforma (mode-switching), ma dal resource-switching, concetto più ampio del primo, che include tutte le combinazioni possibili degli oggetti disponibili in un ambiente digitale, prodotti, aggregati e manipolati in forme sempre più sofisticate. La tendenza a considerare il Netspeak (Crystal 2001) una varietà a sé stante, che pure è alla base di molte ricognizioni sulla lingua del web, si è infranta dinanzi alla pluralità delle pratiche scrittorie e alla incessante evoluzione delle tecnologie. Che Internet abbia influenzato il linguaggio è indubbio, ma gli effetti del suo impatto non sono né generalizzabili né prevedibili, dati la complessità del fenomeno e il suo costante sviluppo. Il potenziamento degli aspetti iconici della scrittura, dagli emoticons fino agli emoji (dal giapponese e «immagine» moji «carattere», una collezione di icone usate soprattutto nella messaggistica), la presenza di grafie non standard e il ricorso al gergo, peraltro non diffusi in tutti gli ambienti del web, sono tratti troppo deboli per caratterizzare una varietà specifica.
Nonostante la mole di dati a disposizione, gli studi linguistici sui singoli sistemi scarseggiano o forniscono dati non comparabili per la diversa metodologia che li informa. Per descrivere la lingua del web si possono comunque elencare alcuni parametri generali, isolati qui solo per comodità espositiva.
Parametri per un’analisi della lingua del web. – La cornice dei sistemi. – Senza cadere nel determinismo tecnologico che ha caratterizzato la prima fase di studi della CMC, è evidente che le piattaforme condizionano più aspetti della lingua, dalla deissi personale, con riferimento all’aggiornamento di status (in FB «A cosa stai pensando?»; in TW «Che c’è di nuovo?»; in YouTube «Condividi i tuoi pensieri» ecc.), a quella spaziotemporale, ormai incorporata nei testi, che contengono l’ora di invio e, spesso, la localizzazione dell’utente. Il limite di caratteri (140 in TW; in FB sono passati da 160 a oltre 63.000) è funzionale agli scopi e correlato all’interattività, quindi al grado di dialogicità previsto dal sistema.
I tempi dello scambio e il dialogo. – La distinzione fra sistemi sincroni e asincroni, tipica della CMC, è venuta meno da quando l’utente, sempre connesso, può gestire i tempi e i modi dell’interazione, scegliendo il sito e il canale (voce, scrittura, foto, video ecc.) in rapporto agli scopi e alla rete di relazioni che vuole attivare. Il dialogo può assumere la forma dei turni nelle chat, del quoting nelle e-mail e nei forum, del commento in un blog e in FB, del video o del testo in YouTube. TW prevede il retweet, che consiste di solito nel rilanciare un tweet scritto da un altro utente. Per mantenere la coerenza degli scambi, oltre all’indicazione del destinatario, il cui nome è preceduto da @, si etichetta il tweet con un hasthag (da hash, il cancelletto #, e tag) in modo da associarlo a un tema (topic) e renderlo recuperabile nel flusso continuo degli invii. La sintassi è spesso complicata dalla riduzione di funzioni e di livelli testuali distinti entro la linearità dei 140 caratteri.
I sistemi di distribuzione. – La CMC dei primordi distingueva tra sistemi di distribuzione uno-a-uno (e-mail, Instant messaging) e uno-a-molti (forum e chat). Nel secondo caso, la partecipazione era aperta, subordinata solo alla registrazione. In FB l’utente seleziona la propria cerchia di amici e può calibrare la diffusione dei post, estendendola agli amici di amici o limitandola a destinatari privilegiati. Nel caso di TW la rete sociale è aperta ma asimmetrica, divisa tra chi segue e chi è seguito ( following e follower). Dai threads (filoni) dei forum, con struttura ad albero, si è passati ai social network, rappresentabili come grafi, formati da nodi (gli individui) e da archi (le relazioni tra individui).
La collaborazione. – L’uso degli hashtags in TW è una forma di collaborazione tipica del web 2.0. Grazie alla prati ca diffusa delle etichettature (inserimento di tags) è possibile ricavare informazioni dalla mole di dati presente in rete.
Un caso diverso di scrittura collaborativa è quello di Wikipedia, nella quale si distinguono due livelli: quello sottostante dell’elaborazione e quello superficiale, pubblicato sul web. La versione inglese, che costituisce un punto di riferimento imprescindibile sui nuovi media, non si allontana nella struttura e nella lingua dalle versioni cartacee delle enciclopedie tradizionali, mentre quella italiana presenta risultati altalenanti. Altri casi di collaborazione sono i dizionari compilati dagli utenti, come Wiktionary (da wiki e dictionary), disponibile in 158 lingue e redatto da volontari.
La multimodalità. – Molti sistemi, nati come Videochat e V(ideo)logs, consentono di comunicare con video, testi e immagini attraverso un’unica interfaccia, come Voice-Thread, disponibile anche come app (applicazione, v. applicazioni ed acosistemi) per smartphone. È in questo ambito che dobbiamo attenderci gli sviluppi più importanti del web nei prossimi anni (Sindoni 2013).
Bibliografia: N.S. Baron, Alphabet to email. How writtenEnglish evolved and where it’s heading, London-New York 2000; D. Crystal, Language and the Internet, Cambridge 2001, 20062; S.C. Herring, Computer-mediated discourse, in The handbook of discourse analysis, ed. D. Tannen, D. Schiffrin, H. Hamilton, Oxford 2001, pp. 612-34; S.C. Herring, Computer-mediated discourse analysis. An approach to researching online behavior, in Designing for virtual communities in the service of learning, ed. S.A. Barab, R. Kling, J.H. Gray, Cambridge 2004, pp. 338-76; T.O’Reilly, What is web 2.0, 30 settembre 2005, http://www.oreilly.com/pub/a/web2/archive/what-is-web-20.html; J. Androutsopoulos, Potentials and limitations of discourse-centred online ethnography, «Language@Internet», 2008, 5, http://www.languageatinternet.org/articles/2008/1610; N.S. Baron, Always on. Language in an online and mobile world, Oxford 2008; D. Crystal, Internet linguistics. A student guide, London-New York 2011; M. Tavosanis, L’italiano del web, Roma 2011; S. Spina, Open-politica. Il discorso dei politici italiani nell’era di Twitter, Milano 2012; M. Zappavigna, Discourse of Twitter and social media, London 2012; D. Barton, C. Lee, Language online. Investigating digital texts and practices, London-New York 2013; G. Fiorentino, Frontiere della scrittura. Lineamenti di web writing, Roma 2013; S.C. Herring, Discourse in web 2.0. Familiar, reconfigured,and emergent, in Discourse 2.0. Language and the new media, ed. D. Tannen, A.M. Teste, Washington, DC, 2013, pp. 1-25; M.G.Sindoni, Spoken and written discourse in online interactions. A multimodal approach, London-New York 2013; Pragmatics of computer-mediated communication, ed. S.C. Herring, D. Stein, T.Virtanen, Berlin 2013; E. Pistolesi, Scritture digitali, in Storia dell’italiano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese, L. Tomasin, 3° vol., Italiano dell’uso, Roma 2014, pp. 349-75. I dati ei link sono aggiornati a luglio 2015.