tecnica, lingua della
Nel mondo contemporaneo è arduo individuare un settore definibile come tecnica, anche perché il termine è entrato in concorrenza con la più moderna tecnologia, che ha soppiantato tecnica confinandola «quasi soltanto nei sensi traslati, al di fuori del mondo meccanico, di elaborazione delle materie prime e del dominio del mondo materiale, che un tempo era l’ambito principale cui si riferiva il suo impiego» (Janni 1986: 185).
Nondimeno, esistono testi definibili come tecnici: ne parla, per es., Sabatini (1990 e 1999) collocandoli «accanto a quelli legislativi e a quelli scientifici» tra i testi con discorso molto vincolante, e identificandoli con le istruzioni per l’uso (su cui cfr. Serra Borneto 1992), il cui obiettivo è l’aderenza totale tra le intenzioni dell’emittente (l’azienda produttrice) e i comportamenti del destinatario, il consumatore (cfr. anche Stefinlongo 2005).
In generale, tra le varietà dell’italiano contemporaneo (Berruto 1987; Sobrero 1993), la lingua della tecnica può essere considerata uno dei cosiddetti ➔ linguaggi settoriali, che hanno origine e impiego, spesso a fini professionali, in un gruppo ben circoscrivibile di parlanti e scriventi e che si caratterizzano per l’uso di parole, appunto, tecniche: termini (o significati particolari di parole polisemiche) che fanno gruppo a sé rispetto al bagaglio di parole comuni alla maggior parte dei parlanti (➔ terminologie).
L’esigenza di impiegare termini tecnici discende dalla necessità di denotare oggetti, concetti e procedure in maniera: (a) inequivocabile, di modo che a quel termine faccia riferimento uno e un solo concetto; (b) sintetica, di modo che si possa abbreviare il discorso evitando lunghe perifrasi descrittive o esplicative.
Tali obiettivi sono perseguiti anche nell’ordinamento della frase, nella sintassi, dato che enunciati brevi e costruzioni paratattiche (➔ paratassi) vengono di norma, nel discorso tecnico, preferite a quelle ipotattiche: ci sono molte frasi principali (➔ principali, frasi) e poche secondarie, e il periodo non è gerarchizzato ma costituito da enunciati che, strutturati in maniera semplice e lineare, sono accostati e fatti susseguire in ossequio a una stringente concatenazione causa-effetto che ha lo scopo di vincolare il destinatario alla comprensione, evitando di esporlo all’arbitrarietà dell’interpretazione.
Il ruolo principale nella definizione di questa varietà è svolto però, più che dalla testualità e dalla sintassi, dal lessico (Dardano 2004). I linguaggi tecnici di norma o impiegano parole il cui significato è del tutto sconosciuto ai non addetti ai lavori o, in misura minore ma pur sempre considerevole, riservano a parole comuni, anche combinate tra loro, significati particolari che hanno valenza tecnica solo nello specifico settore d’impiego (Cortelazzo 2000):
(1) nuovi prodotti si aggiungono al paniere ISTAT
(2) hai dedotto le spese nel 740?
In altri termini, da una base lessicale ‘trasparente’ nell’uso comune questi linguaggi producono tecnicismi attraverso procedimenti di traslazione del senso (Porro 1983):
(3) hai provato a pulire il disco del computer?
È così in molte discipline tecniche: cinema, campo lungo/corto, piano sequenza, carrellata; fotografia, primo piano, grandangolo, contrasto; cucina, dove, nonostante l’assedio di vecchi (casseruola) e nuovi francesismi (nouvelle cuisine), resistono pangrattato, zucchero a velo, doratura; musica, dove si compete con gli anglicismi (vincenti anche sui francesismi: tour ha scalzato tournée): gruppo ~ band, omaggio ~ cover, scaletta ~ playlist, ma rimangono vitali pezzo, disco, serata; lessico bancario, scoperto [di conto corrente], tasso fisso/variabile/misto/usurario, clausole capestro.
Tra le caratteristiche della lingua tecnica anche il massiccio impiego di ➔ sigle e cifre; notevole la tendenza alla ➔ lessicalizzazione (in alcuni casi fino a scalzare la percezione di sigla, come nel caso di LASER, light amplification by stimulat-ed emission of radiation), al loro uso cioè come parole senza curarsi del significato degli elementi costitutivi. È noto di cosa si occupi l’ANAS, sono noti ABS e ADSL, TAC e PET, meno chiaro è cosa significhi ciascuna lettera; più oscuro ancora a cosa si riferiscano le quantità espresse dalle cifre: ignote ai più le cause del salto d’ordine dieci tra i modelli 730 e 740, o il perché le numerazioni delle autolinee dei bus urbani abbiano (fatta salva l’implausibile ragione della numerazione progressiva) se centrali due cifre, se periferiche tre.
Non sono infrequenti sequenze frammiste di tecnicismi e lessico comune, magari nobilitato da «tecnicismi collaterali» (Serianni 20072) per conferire al testo un tenore sostenuto; è il caso di questa glossa a corredo della «tabella consumi» del libretto di istruzioni di una lavatrice:
(4) Con prelavaggio la durata del programma aumenta di circa 20 minuti. I dati di consumo sono stati determinati in condizioni normalizzate in conformità alla norma IEC/EN 60 456. In uso domestico i valori di consumo possono divergere da quelli riportati nella tabella in funzione della pressione dell’acqua, della temperatura dell’acqua di alimentazione, del carico e del tipo di lavaggio
Comuni ai linguaggi tecnici sono anche le strategie di creazione o reimpiego di materiale linguistico preesistente, per far fronte alla necessità, implicita alle stesse attività tecniche, di disporre di parole nuove per oggetti e concetti nuovi. Tra queste rientra il ripescaggio, quando non di ➔ latinismi e ➔ grecismi toutcourt, di ➔ prefissoidi e ➔ suffissoidi classici (➔ elementi formativi), che danno luogo a composti di diversa natura; puri, come isocorico; ibridi (con un elemento italiano), come normoreagente; multipli, come otorinolaringoiatra. Quando tali ripescaggi riguardano oggetti della quotidianità, possono aversi travasi all’uso comune e acclimatamenti che ne occultano ai più l’origine classica: è il caso, per le lavatrici, della centrifuga. Tipico è anche il valore semanticamente pieno che i linguaggi tecnici attribuiscono a ➔ prefissi o ➔ suffissi che sono impiegati poi per formare composti: è il caso di idrocarburo e idrosolubile, per i quali idro- vale «acqua», e della coppia artrite e artrosi, in cui i due distinti suffissi si riferiscono a distinti momenti di una patologia. Altro procedimento è quello in cui terminazioni morfologiche differenziate servono a distinguere, ancora da una base lessicale comune, esiti che originano significati distinti non più solo morfologicamente ma funzionalmente: è il caso della coppia combustibile e comburente.
Non rari i casi di uso di nomi propri toutcourt: (morbo di) Parkinson/Alzheimer, shunt, operatori booleani, (vite) brugola, diesel, anche derivati: benzina, approccio freudiano. Questi possono anche avere valenza d’➔antonomasia: dubbio amletico, rivoluzione copernicana, situazione pirandelliana.
Infine, accomuna i linguaggi tecnici la tendenza a costituire, per criteri quanto più possibile trasparenti, condivisi dalle comunità scientifiche di riferimento, nomenclature e tassonomie facilmente esportabili da un sistema linguistico a un altro.
Fenomeno molto particolare è il riaffiorare dei tecnicismi nell’uso comune (Beccaria 19834), anche fuori dal gruppo da cui originano.
C’è una gradazione: sono diffusi nella pienezza del loro significato, anche oltre il ‘giro’ degli atleti, aerobica, acido lattico e sforzo isometrico; ma capita ancora, per talune branche quali l’informatica, che fruitori siano persone esperte sì degli impieghi finali, ma del tutto ignare dei processi sottostanti. Di qui il fiorire di usi comuni di termini relativi a procedimenti dei quali si conoscono e gestiscono i risultati, ma dei quali si ignorano sia le modalità di funzionamento, sia anche i significati letterali, tecnici, delle parole usate a nominarli: ogni utente di media competenza masterizza un DVD, aggiorna il proprio antivirus (non sapendo in realtà cosa accada lanciando i files) senza probabilmente sapere cosa stia a significare la V della sigla DVD e cosa accomuni un’influenza a un PC.
L’informatica si presta anche a riflettere sul ruolo nuovo svolto, per i linguaggi tecnici più recenti e di consumo, dall’inglese rispetto alle lingue che lo hanno preceduto. Si assiste oggi a una commistione più radicale del semplice impiego, com’era in passato, del termine tedesco o francese, adattato o meno: è conseguenza della maggiore familiarità con la lingua straniera di masse più scolarizzate e, anche, della capillare diffusione di strumentazioni alla portata di chiunque. È così che dei propri dati ogni utente produce copie di back-up (anglicismo non adattato) e ripone i documenti in cartelle (traduzione di folder) dopo averli salvati (senso nuovo attribuito a salvare sulla scorta dell’ingl. to save) con una scannerizzazione (adattamento/ibrido italo-inglese sulla base di to scan).
I tecnicismi esondano con facilità dai rispettivi settori di pertinenza e, specie se di ambiti di successo tra il pubblico, approdano al colloquiale: dobbiamo all’ingegneria motoristica l’essere su di giri o fuori fase, al lessico militare gli stati di allerta e allarme, all’edilizia essere un Caterpillar, al teatro darsi arie da primadonna e fare scena muta.
Caratterizza i linguaggi tecnici anche l’alto tasso di osmosi dall’uno all’altro: termini dell’un settore trovano ospitalità e si acclimatano in altri. È il caso dei tecnicismi delle arti figurative passati alla psicologia:
(5) l’esperto ha definito il profilo tipico del molestatore
e a certi ➔ cliché cronachistici:
(6) si delinea uno scenario con luci e ombre
Ancora, è il caso di espressioni come scendere in campo che ha sposato, complice il suo reimpiego dal calcio alla politica, l’accezione di «impegnarsi in prima persona, schierarsi».
Nel corso dei decenni dai linguaggi tecnici e dagli altri linguaggi settoriali si sono avuti veri e propri travasi alla lingua comune. L’entità di questo fenomeno non è oggi immediatamente percepibile perché una volta impiegati quotidianamente i tecnicismi perdono la loro settorialità o si mimetizzano (Motta 2004):
(7) lo stato della Ricerca in Italia segna il passo [tecnicismo marziale]
(8) prende quota per l‘incarico, la candidatura italiana [tecnicismo aviatorio]
(9) gli invitati fanno la spola tra i saloni [tecnicismo delle arti tessili]
(10) daremo filo da torcere ai nostri avversari [tecnicismo delle arti tessili]
o si connotano in usi gergali affini a quelli di partenza ma traslati:
(11) dammi cinque minuti che resetto i pensieri [tecnicismo informatico]
Particolarmente rimarchevole l’uso di tecnicismi operato da ➔ Carlo Emilio Gadda: ingegnere, fautore nei suoi romanzi dell’espressività della lingua mescidata a modello della polimorfia del reale, Gadda accosta a gerghi e dialetti, ad arcaismi e neologismi, repertori tecnici delle più svariate discipline: da maclaurizzare a borborigmo, da diorama a lunula, da catenaria a cracking, e così via, il ripescaggio enciclopedico eleva la precisione ad arte.
Va menzionato l’alto tasso di aggiornamento delle terminologie tecniche. Per larga parte di esse l’aggiornamento ha significato l’avvicendarsi nel corso del tempo, per ondate, di consistenti influssi stranieri legati alle nazioni che si trovavano di volta in volta a esportare, assieme alle eccellenze tecniche, terminologie oggi non sempre trasparenti nella loro origine alloglotta per via degli adattamenti in italiano.
È provenzale parte della terminologia poetica e letteraria: cavalleria, tenzone; francesi sono il lessico militare dal XIV al XIX secolo – artiglieria, bastione (guerra però è parola germanica: *werra) – e quello burocratico (francese la parola stessa: bureau): certificato, timbrare. Di trafila tedesca i termini della medicina: allergia, barbiturico e, dal XVII al XIX secolo, massiccia l’immissione tedesca di derivati da nomi propri nella chimica: anilina, cassio; nella botanica: gerbera, volcameria; nella mineralogia: kobellite, zirkelite. All’inglese ottocentesco la moda maschile: tight, smoking; all’angloamericano (assieme al declino dell’adattamento all’italiano) i domini della information technology e delle tecomunicazioni, del business e della finanza, della pubblicistica accademica e, emergente in un campo tradizionalmente francese (curette, trousse chirurgica), l’innovazione medico-infermieristica: (ago) butterfly, clampare. Per contro, sono italiane nel mondo molte parole delle arti figurative, dell’architettura, della musica, del canto e, in misura minore ma non meno significativa, della cucina, della moda e del design.
Da ultimo, notevole che non solo nell’alveo dei settori d’uso termini più freschi scalzino i più datati (customizzare ha ormai soppiantato, nel gergo degli affezionati ai motori, personalizzare); esiste un bisogno di parole nuove anche nella colloquialità: resettare non è a traino di alcun concetto nuovo eppure compete, a oggi, con il classico fare tabula rasa.
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