medicina, lingua della
Fra i vari ➔ linguaggi settoriali, quello della medicina interessa da vicino l’esperienza di tutti i parlanti. D’altro canto, i suoi realia di riferimento sono pertinenti a molti altri ambiti più specifici: l’anatomia, la fisiologia, la patologia, la diagnostica e la terapia, fino a interessare la farmacologia, la biologia, la biochimica e la psicologia o, nel caso della chirurgia e dell’impiantistica, la tecnologia e l’ingegneria elettronica. Come in tutti i linguaggi settoriali, il lessico è l’aspetto che caratterizza maggiormente il linguaggio medico, contrassegnato da una fortissima proliferazione terminologica e da un alto grado di specializzazione.
Essendo la sanità e la malattia esperienze comuni, l’uso di terminologia medica specifica, e il suo passaggio in testi di altro genere, sono già documentati fin dai primi testi poetici in volgare: si ricordi almeno, in ➔ Dante, etico «tisico», idropesì, omor «umore»; oppure, ancor prima, la rassegna di malattie che Jacopone da Todi invoca a penitenza: le prime dieci quartine di O Segnor, per cortesia, mannane la malsania, che costituiscono una sorta di summa dell’universo patologico medievale.
Di un linguaggio medico italiano si può parlare solo a partire dal XIII secolo, dal momento che la comunicazione medica, fino a secoli recenti, ha avuto luogo in latino. A partire dalla Chirurgia di Guglielmo da Saliceto, iniziatore della scienza medico-chirurgica italiana, i testi antichi analizzati dagli studiosi presentano un lessico abbastanza ricco, con propri meccanismi di formazione delle parole e con strategie sintattiche e testuali consapevolmente adottate in relazione alla materia da trattare: cosicché si potrebbe parlare di un linguaggio tecnico della medicina nell’italiano antico. Tuttavia, la differenza con il quadro moderno appare abissale sul piano dei saperi e dei metodi. La scienza medica antica e medievale, non sempre ben separabile da altri ambiti, come la teologia o la filosofia, è fondata essenzialmente sull’impalcatura teorica di tradizione ippocratico-galenica (pre-sperimentale, basata sulla teoria degli umori e sulla loro alterazione come causa della malattia), laddove la medicina moderna è basata sull’analisi e la ricerca scientifica. Anche la nomenclatura relativa ha subito drastici mutamenti: all’operazione di riforma del linguaggio dell’anatomia operata dal Vesalio (De humani corporis fabrica, pubblicato a Basilea nel 1543) hanno fatto seguito nel Seicento e nel Settecento la liquidazione della terminologia araba (➔ arabismi) e la progressiva europeizzazione del linguaggio della medicina e, dall’Ottocento in poi, l’enorme incremento quantitativo dei vocaboli e dei referenti. Allo scopo di descrivere gli aspetti principali del linguaggio medico dell’uso contemporaneo possono pertanto essere presi in considerazione sostanzialmente gli ultimi due secoli.
I testi pertinenti alla medicina costituiscono una tipologia molto varia, che va dal semplice articolo di un medico per un giornale destinato al largo pubblico, al foglietto illustrativo di un medicinale, a un referto, all’articolo per una rivista accademica o pubblicato negli atti di un convegno, a un trattato di patologia. Gli ultimi testi esemplificati sono quelli in cui meglio si coglie un altro aspetto importante, ossia l’elevato grado di tecnicismo, specie nel lessico più recente.
Tuttavia, l’estrema specializzazione tecnico-scientifica non ha eliminato quello che per secoli è stato un tratto notevole della lingua medica (assieme a quella giuridica; ➔ giuridico-amministrativo, linguaggio), ossia la forte impronta umanistica. Nel linguaggio medico sono presenti in modo rilevante non solo il greco e il latino (cfr. sotto), ma anche alcuni aspetti dello stile letterario: ad es., fenomeni di ridondanza e sinonimia, il richiamo alla mitologia nelle denominazioni (atlante, morfina, malattia venerea, tendine d’Achille), l’incidenza degli aggettivi di relazione tratti da basi classiche (fegato → epatico, milza → splenico).
Gli aspetti più vistosi, tuttavia, sono l’imponenza quantitativa del lessico e la fortissima proliferazione terminologica. I più noti dizionari specialistici moderni accolgono fino a 150.000 lemmi, con oltre 10.000 acronimi e abbreviazioni. La metà di questi termini è novecentesca, un quarto appartiene al XIX secolo. La medicina è inoltre il settore più rappresentato nei dizionari dell’uso e, dopo le tecnologie dell’informazione, l’ambito da cui proviene la quota maggiore fra i neologismi di recente introduzione nell’uso comune.
A determinare tale ricchezza terminologica contribuiscono non solo l’elevato numero dei referenti interessati e la circostanza che le informazioni e le acquisizioni in ambito medico, attualmente, raddoppiano nell’arco di 7-10 anni, ma anche la propensione del linguaggio medico per i ➔ neologismi. Tale situazione implica anche evidenti fenomeni di ridondanza, dovuti da un lato al processo storico di formazione del vocabolario medico, dall’altro ai fenomeni di ‘letterarietà’ tradizionalmente presenti nel medico-scrittore. Si hanno quindi sia varianti formali del tipo lombo-sacrale / sacro-lombare, sia soprattutto un’ipertrofia sinonimica: milza o splene; fibula o perone; salpinge, tuba o tromba; globuli rossi, eritrociti o emazie; sindrome di Down o mongolismo o trisomia 21. Né sempre le varianti corrispondono a diversi registri d’uso, come invece accade, ad es., per pelle e cute, febbre e piressia (o ipertermia): il fenomeno riguarda infatti anche i termini più specifici (omento ed epiploon, aterosclerosi o ateromasia) e le denominazioni più recenti (la sindrome locked-in è anche nota come sindrome del chiavistello, disconnessione cerebromedullospinale, pseudocoma, ecc.).
Fenomeno già antico è l’ampio sviluppo della ➔ metafora: martello, incudine, staffa, labirinto, bacino, colonna. Altri nuovi significati procedono da slittamenti metonimici, come polso (lat. pulsus «pulsazione»), coscia (lat. coxa «anca») e femore (lat. femur «coscia»). Non sempre l’uso metaforico riguarda singoli referenti. Lemmi come regione, sito, plesso, focolaio, ecc., per assumere denotazioni specifiche necessitano di ulteriori determinazioni, costituendosi perciò frequentemente in unità polirematiche: volta cranica, sella turcica, eruzione cutanea, quadro clinico. Si tratta a volte di espressioni comuni, di evidenza descrittiva immediata: labbro leporino, cuore a scarpa, ginocchio della lavandaia, fuoco di sant’Antonio, colpo della strega. Nel lessico più moderno e specialistico, tuttavia, come già detto, l’aspetto più evidente è l’elevato livello di settorialità.
Una distinzione valida per tutti i linguaggi settoriali è quella fra tecnicismi specifici e collaterali (Serianni 2005): i primi sono termini necessariamente impiegati per denotare in modo inequivocabile realtà specifiche; i secondi consistono in particolari espressioni stereotipiche, non necessarie per il rigore terminologico, ma preferite per la loro connotazione tecnica (e perciò ‘di lusso’, come espressione di un codice stilistico intenzionalmente settoriale e marcato sul piano socio-professionale): in questa seconda categoria stanno, per es., importante, modesto, elevato, severo, spiccato, elettivo, distretto, evoluzione, danno, interessamento, sofferenza, accusare, apprezzare, vocaboli tutti appartenenti anche al linguaggio comune ma adoperati dal medico con usi particolari. Il tecnicismo collaterale, che è un carattere del linguaggio medico moderno, non è peraltro ristretto all’ambito lessicale: sono ricorrenti anche locuzioni preposizionali come a livello, a carico, su base (seguiti da aggettivo o complemento di specificazione: a livello della faringe, a carico del fegato, su base vascolare); espressioni polirematiche (➔ polirematiche, parole), in taluni casi eufemistiche: evento (o processo o episodio) morboso, stato febbrile; uso di forme non pronominali dei verbi con valore intransitivo: ammalare, originare, diffondere, evolvere.
La composizione del lessico medico (su cui cfr. Mazzini 1989; Puato 2009) può anche essere indagata per filoni terminologici (distinguendo, ad es., i termini dell’anatomia, della fisiologia, della patologia, della diagnostica, della terapia), oppure, da un punto di vista storico, considerando la lingua di provenienza di singoli vocaboli e di particolari settori terminologici. Malgrado il decisivo contributo apportato dalla scienza araba alla medicina medievale, esiguo è il numero di arabismi sopravvissuti: nuca, caviglia, safena, pia madre e dura madre, pomo di Adamo, sciroppo, il calco congiuntiva e pochi altri. Poco rilevante è anche il contributo del tedesco, malgrado l’indiscusso prestigio assunto dalla clinica mitteleuropea a partire dal secondo Ottocento. Notevole è stato invece l’influsso del francese, anche se difficilmente valutabile. Sono quasi certamente di trafila francese molti latinismi e grecismi che provengono all’italiano. Tuttavia, la loro facile acclimatazione, il loro essere anche ➔ europeismi, e infine la mancanza di spogli documentari adeguati e di datazioni certe sulle prime attestazioni (fr. cardiologie, 1787; it. cardiologia, 1865), rende non sempre accertabile l’effettiva lingua di origine dei termini. Ancora più arduo è individuare i ➔ calchi semantici, in particolare fra i tecnicismi collaterali. Sicuramente d’oltralpe provengono bisturi (con accentazione odierna indebita; ancora recentemente bisturì), una serie di termini derivati da basi sicuramente francesi (tabagismo), parole come cirrosi, difterite o flebite, e poche voci non adattate: curettage (o curetage) «raschiamento», poussée, saccade, sindrome du cri du chat, tirage, ecc.
Ma è oggi l’angloamericano la lingua che predomina nei linguaggi medici nazionali, data la funzione dell’inglese come lingua di riferimento della letteratura scientifica internazionale. Nel loro complesso, gli ➔ anglicismi non sono soltanto rappresentati da singoli prestiti, ancorché numericamente rilevanti, ma giungono a occupare livelli più pervasivi del linguaggio. Se il greco mantiene una sua produttività per le nozioni, per le tecniche si ricorre sempre più spesso all’inglese: by-pass, pace-maker, stent, shunt, patch, check-up, scanning, screening, imaging, marker, pap-test (anche in quest’ambito si registrano tuttavia composti neoclassici recenti: polisonnografia, pulsossimetria). Esteso è inoltre l’impiego di termini più generici, condivisi con altre discipline, a volte di introduzione non recente: stress, rush, test, borderline, core, pattern, input, pool, follow-up, trial. Non mancano i calchi semantici (associare, severo «grave») o lessicali (deplezione, impianto cocleare, potenziali evocati). Dall’inglese provengono anche espressioni tratte dalla lingua comune: il morbo della mucca pazza (mad cow disease), modelli compositivi non neoclassici e moltissime locuzioni con rispettivi acronimi (AIDS, SARS, TIA).
Tuttavia, la quota lessicale più rilevante spetta ancora alle voci di origine greco-latina. Sono ➔ latinismi, ad es., vocaboli come decubito, trigemino; e sono numerose le voci e le espressioni integralmente latine: facies, ictus, liquor, pulvinar, speculum, libido, placebo, angina pectoris, corpus pallidus, per os, die o pro die «al giorno», post partum, recipe, videat. In molti casi l’uso del latino è giustificato dall’esigenza di velare eufemisticamente la nozione (exitus o obitus «decesso», potus «alcolismo»), in particolare nel linguaggio inerente alla sfera sessuale: induratio penis, libido, oltre alla serie di espressioni indicanti le diverse pratiche del coitus, usate anche nel linguaggio giuridico. L’eufemismo (➔ tabu linguistico) è un’esigenza importante nella comunicazione medica e si manifesta in molte espressioni: prognosi sfavorevole, esito infausto, lesioni ripetitive (o secondarie) «metastasi». È poi latina una notevole quota della terminologia anatomica internazionale, anzitutto inglese: alveolus, aorta, appendix, cervix, ileum, pelvis, pharynx, urethra; e fra le patologie o gli agenti: virus, lichen planus, lupus erythematosus.
Innumerevoli i ➔ grecismi, lessicali o semantici, in forma più o meno adattata, sia recuperati per via colta negli ultimi secoli (prostata, calazio, perone), sia di tradizione più remota, assunti in italiano attraverso il latino (esofago, herpes, coriza); alcuni hanno mantenuto nell’aspetto la forma originaria (colon, corion, epiploon, psoas, pancreas), tuttavia presentando spesso una variante adattata (corio, epiploo).
L’influsso del greco è stato però soprattutto dominante nei modelli di composizione e derivazione (➔ elementi formativi), specie nel tipo gastropatia, neurologia, pediatria, laringotomia (con l’ordine Determinante + Determinato, innaturale per l’italiano), le cui possibilità innovative sono illimitate. In Mazzini (1989) si elencano circa 850 componenti greci e latini disponibili per comporre neologismi. I lessici moderni attestano, solo con il suffisso -osi, oltre 800 formazioni (fra i suffissi più produttivi tipici, ossia portatori di uno specifico significato medico, ricordiamo anche -ite, -oma e -ismo). La moltiplicazione dei grecismi nel linguaggio medico corrisponde al progresso della ricerca e della specializzazione, e si manifesta anche con caratteri come la combinazione di più di due componenti (eziopatogenesi, otorinolaringoiatria, sternocleidomastoideo) e la già citata esuberanza sinonimica, dovuta alla compresenza, nel paradigma di riferimento, di più radici concorrenti: milza (dal longob. milzi) alterna con altre due radici (lien- e splen-: lienografia e splenografia), come anche utero con istero- e metro- (isteroscopia, metroscopia e uteroscopia).
Grande vitalità hanno recentemente assunto modelli compositivi di tipo anglicizzante, inusuali nell’italiano, come la serie di aggettivi (che possono essere sostantivati) formati con sequenza subordinante Nome + Aggettivo: calcio-antagonista, cardio-tossico, insulino-resistente, immuno-depressivo. Una serie particolare è quella che ricalca il suffisso ingl. -like: aspirino-simile, antibiotico-simile (è possibile anche la variante compositiva con sequenza inversa: simil-anginoso, simil-reumatico). Non manca l’adozione diretta della forma esotica: sostanze cortison-like (analogamente: linfociti killer, cellule killer). Anglicizzante è poi la giustapposizione di due sostantivi con sequenza Determinante + Determinato: coronavirus, papillomavirus e, con ulteriore specificazione prefissale, mastadenovirus (adenovirus che infetta i mammiferi).
L’influsso della tradizione delle lingue classiche è invece palese nella preferenza per gli aggettivi di relazione rispetto alla specificazione sostantivale (arresto cardiaco / del cuore; perdita ematica / di sangue). Il fatto che tali aggettivi vengano tratti da basi greche o latine dà luogo a frequenti casi di ➔ suppletivismo, specie in ambito anatomico: occhio, stomaco, fegato, coscia hanno come aggettivi dotti rispettivamente oculare, gastrico, epatico, crurale. L’aggettivo di relazione può essere modificato da prefissi, ad es. post- (post-operatori, post-flebitici; con base nominale, post-artrotomia, post-immobilizzazione), peri- o sotto- (periombelicale, sottoscapolare; cfr. Cassandro 1996).
In direzione contraria alla ridondanza si manifesta tuttavia anche una serie di fenomeni di brachilogia:
(a) aggettivi di relazione giustapposti, con decurtazione suffissale del primo termine, scritti con o senza trattino coordinante: gastrointestinale, epatobiliare, cerebro-spinale, maxillo-facciale; fibro-cartilaginoso, siero-mucoso, lacero-contuso; e con cumulo dei componenti: fascia sacro-retto-genito-pubica;
(b) ellissi del nome, con conseguente uso sostantivato dell’aggettivo: il tricipite (sottinteso: muscolo), il crociato (legamento), il trigemino (nervo), gli ottavi (denti);
(c) ➔ stile nominale, tipico dei referti, nell’elencazione paratattica delle evidenze diagnostiche o semeiotiche (polso regolare, non versamenti pleurici); negli stessi contesti, soppressione di articoli (compare esantema) e preposizioni (in corrispondenza apice frattura);
(d) ellissi del verbo reggente un complemento di causa, in espressioni come dermatite da contatto (sottinteso procurata, causata e sim.), raffreddore da fieno, piaga da decubito;
(e) ellissi, nel primo di due composti successivi, del secondo elemento identico in entrambi: nel caso di epato e nefropatie gravi, mono- e polimorfonucleati;
(f) uso di abbreviazioni del tipo cp «capsula», rx «radiografia», pz «paziente», dx e sx «destro» e «sinistro».
Un discorso a parte meritano le ➔ sigle. Nel corso degli ultimi anni l’incremento numerico dei referenti, soprattut-to nei settori della genetica, dell’immunologia, della biochimica e della biologia molecolare, oltre che nella tecnologia diagnostica, ha imposto il ricorso a etichette polirematiche (poi per brevità risolte in sigle), ovvero all’indicizzazione numerica o altrimenti simbolica dei referenti. Limitato è il numero di simboli e acronimi familiari all’utente medio: le sigle delle vitamine (A, B, C, PP, ecc.), la TAC, l’AIDS. In grande maggioranza gli acronimi provengono dall’inglese, dove il processo è stato più diffuso e coerente che nell’italiano: HIV (Human immunodeficiency virus), AIDS (Acquired immuno-deficiency syndrome, ma in italiano Sindrome da immuno-deficienza acquisita, e SIDA in francese e in spagnolo), SARS (Severe acute respiratory syndrome, «sindrome acuta respiratoria severa»); ADHD o ADD (Attention-deficit / hyperactivity disorder «sindrome da deficit di attenzione e iperattività»); e in anatomia: LMA e LMP (Lembo mitralico anteriore / posteriore).
Altri aspetti rilevanti del linguaggio medico sono l’onomaturgia e l’eponimia. Esistono molte ➔ parole d’autore, provviste di ‘certificato di nascita’ con data e paternità: allergia, bacillo, batterio, microbo, cirrosi, difterite, ormone, scarlattina, vitamina (nessuna di queste, peraltro, è stata coniata in Italia). Diffusissime sono le denominazioni eponime, che includono cioè un nome proprio, a indicare parti anatomiche, patologie o tecniche diagnostiche: cellule di Kupffer, canali di Hering, foro epiploico di Winslow, morbo di Alzheimer, prova di Romberg, manovra di Wassermann. Le sindromi vengono quasi sempre indicate con il nome del medico che le ha scoperte o descritte (spesso più d’uno: sindrome di Dyke-Davidoff-Masson; linfoma di Hodgkins e anche linfoma non-Hodgkins); in altri casi testimoniano invece il nome del primo paziente al quale la sindrome è stata diagnosticata, o, in alternativa, assumono riferimenti geografici (sindrome cinese, di Stoccolma) o storico-letterari (sindrome di Stendhal, di Peter Pan).
Per ciò che riguarda gli aspetti grammaticali, risultano irrilevanti le oscillazioni nella grafia (isolate sopravvivenze di grafie classicheggianti: eziologia / etiologia, nistagmo / nystagmo, adsorbire). Circoscritte anche le varianti allotropiche (orifizio / orificio, urina / orina, ghiandola / glandola; ➔ allotropi), morfologiche (oscillazione di genere in rachide, faringe, laringe, asma) e di forma (scintigrafia e scintillografia).
Nella pronuncia, si riscontrano molte oscillazioni nella sede dell’accento, dovute alle diverse regole prosodiche del greco e del latino: è il caso di edema, esantema, anamnesi, alopecia, perone e di molti suffissati in -osi (ecchimosi, flogosi, arteriosclerosi). Malgrado il criterio storicamente più motivato sia quello di seguire, nei casi di divergenza, l’accentazione latina, i medici inclinano piuttosto verso le pronunce greche, sentite come più prestigiose ed esclusive.
Nella sintassi, sembra imputabile all’influsso anglo-americano l’anteposizione del soggetto rematico al predicato: rari effetti indesiderati sono stati descritti dopo la somministrazione. Ugualmente all’inglese potrebbe imputarsi il frequente impiego della diatesi passiva o di formule impersonali nell’espressione di fenomeni non ancora del tutto accertati (si osserva che ..., è stato osservato ..., ecc.).
L’apporto terminologico di impostazioni mediche di recente fortuna, fondate piuttosto su ‘ideologie’ che sulla ricerca tecnico-scientifica, appare ridotto. Omeopatia e omeopatico si trovano nell’italiano dal primo Ottocento, e si è diffusa l’espressione figurata a dosi omeopatiche. Di più recente diffusione in Italia i termini yin e yang, shiatsu (o shiatzu), digitopressione (o digitopuntura), olismo, oltre alla lunga serie di nomi che designano le nuove pratiche genericamente naturopatiche (agopressione, argilloterapia, chiropratica, climatoterapia, cristalloterapia, floriterapia di Bach, iridologia, medicina ayurvedica, riflessoterapia – con ulteriori specializzazioni o specifici orientamenti: naturopatia dentale, riflessologia plantare) e i rispettivi operatori (naturopata, osteopata, iridologo, ecc.).
La prossimità dell’ambito medico all’esperienza individuale e quotidiana dei parlanti consente un uso diffuso di vocaboli medici da parte dei non addetti ai lavori: colesterolo, arteriosclerosi, TAC, Alzheimer, epatite, carcinoma, chemioterapia, ecografia (anche se, ovviamente, l’uso non implica una reale comprensione del loro contenuto tecnico). Lo stesso motivo rende conto dello sviluppo di estensioni figurate di termini medici nel linguaggio comune (metastasi, overdose, isterismo, virus in ambito informatico; frequenti gli usi familiari e scherzosi: cerebroleso, occasionali formazioni con -ite, ecc.). L’uso corrente può condurre anche alla detecnicizzazione, per cui vocaboli originariamente tecnici possono perdere ogni carattere di settorialità (come accadde a suo tempo a nostalgia e malinconia).
I letterati partecipano di questa disponibilità: cancro e tumore sono in Graziadio Isaia ➔ Ascoli (l’antichissimo cancro della retorica) e in Gabriele ➔ D’Annunzio (una specie d’immenso tumore biancastro sporgeva dal fianco della vecchia Urbe, con riferimento all’espansione urbanistica della Roma umbertina). Un uso più mirato di vocaboli medici, consapevolmente impiegati a scopo mimetico o espressionistico, è proprio di scritture anticlassiciste: aorta, valvole e celle sono nei versi scapigliati di Arrigo Boito (Lezione di anatomia, 1877); il lessico medico è uno degli ingredienti al servizio del lussureggiante preziosismo dannunziano; infine, a un livello di elevata sperimentazione stilistica fondata sull’impiego di lessici specifici, si registrano esempi di brani di scrittura medica in Carlo Emilio ➔ Gadda (oltre che molteplici singole occorrenze lessicali: peptonizzare, peristalsi, valvole di Hous-ton).
Cassandro, Marco (1996), Formazioni prefissali nella lingua medica contemporanea, «Studi di lessicografia italiana» 13, pp. 295-342.
Mazzini, Innocenzo (1989), Introduzione alla terminologia medica. Decodificazione dei composti e derivati di origine greca e latina, Bologna, Pàtron.
Puato, Daniela (2009), La lingua medica. Tecnicismi specifici e collaterali nella traduzione dal tedesco in italiano, Roma, La Sapienza.
Serianni, Luca (2005), Un treno di sintomi. I medici e le parole. Percorsi linguistici nel passato e nel presente, Milano, Garzanti.