linfoma. Fattori prognostici e terapia dei linfomi
Nel definire prognosi e impostazione della terapia dei linfomi, è fondamentale la stadiazione, cioè la valutazione della estensione della malattia mediante esame obiettivo, accertamenti radiografici (TAC e PET) e biopsia osteomidollare. Essa si basa sulla cosiddetta classificazione di Ann Arbor (città del Michigan dove fu stilata nel 1971), e riconosce i seguenti stadi, sia nei linfomi di Hodgkin che nei linfomi non-Hodgkin: stadio I: coinvolgimento di una singola stazione linfonodale o singola sede extralinfonodale; stadio II: coinvolgimento di più regioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma; stadio III: coinvolgimento di più regioni linfonodali sopra e sotto il diaframma; stadio IV: coinvolgimento del midollo o di uno o più organi o sedi extralinfonodali.Alla stadiazione si aggiungono due parametri: A, che indica assenza di sintomi sistemici; B, che indica presenza di sintomi sistemici.
La prognosi dell’LH è determinata dallo stadio di malattia e da diversi fattori, quali sesso, età, numero dei globuli bianchi e dei linfociti, valori di emoglobina e albumina, secondo l’IPS (International Prognostic Score di Hasenclever). Non esistono a oggi fattori prognostici consolidati di natura genetico-molecolare. Si distinguono LH in stadio iniziale (IA-IIA), con guarigione nel 90% dei casi, e in stadio avanzato (IB, IIB, III, IV), con sopravvivenza a lungo termine nel 70% dei casi. Recentemente è stato dimostrato che la precoce negativizzazione della PET, di sensibilità superiore alla TAC nell’identificare tessuti interessati dal linfoma, dopo 2 cicli di terapia, rappresenta un fattore prognostico altamente favorevole. La terapia di prima linea dell’LH è lo schema polichemioterapico ABVD (Adriamicina, Bleomicina, Vinblastina, Dacarbazina), eseguito per 4÷8 cicli e associato o meno alla radioterapia sulle stazioni linfonodali coinvolte, a seconda dello stadio. Per gli stadi avanzati esistono schemi chemioterapici più intensivi, a seguito dei quali il ruolo della radioterapia è controverso. Nella maggioranza dei pazienti si ottiene remissione completa. Per il 20% dei casi di recidiva dopo la terapia di prima lineaè possibile una seconda remissione con schemi di chemioterapia ad alte dosi e autotrapianto di cellule staminali emopoietiche, consentendo una lunga sopravvivenza nel 50% dei pazienti. Il trapianto allogenico è indicato solo in casi eccezionali, data l’elevata tossicità di tale procedura.
La prognosi e la terapia degli LNH dipendono dalla varietà istologica e dall’International Prognostic Index (IPI).Per quanto riguarda i sottotipi istologici, gli LNH a basso grado di malignità (linfoma follicolare, marginale, linfocitico, linfoplasmacitico) hanno andamento indolente e cronico, spesso non richiedono alcuna terapia iniziale, sono sensibili a trattamenti chemioterapici e radioterapici, ma negli anni tendono a presentare recidive multiple; complessivamente guariscono pertanto meno degli LNH ad alto grado di malignità. Per il linfoma follicolare, che rappresenta il 25% degli LNH, la prognosi si basa su un sistema IPI modificato (FLIPI) e sul grading istologico, cioè sul numero di grandi cellule (centroblasti) nel tessuto linfomatoso. Dal punto di vista biologico, studi di profilo genomico mediante microarray hanno dimostrato l’influenza sulla prognosi da parte delle cellule accessorie (linfociti T, macrofagi, mastociti) presenti nel tessuto linfomatoso. I linfomi follicolari di stadio I sono potenzialmente eradicabili con la sola radioterapia locale. Per gli stadi II-IV si attende la comparsa di segni di progressione della malattia (per es., grosse masse linfonodalio sintomi sistemici) per intervenire. Esistono varie opzioni terapeutiche: agenti chemioterapici singoli (clorambucile), in combinazione (per es., CHOP, ossia Vincristina, Ciclofosfamide, Adriblastina, Prednisone) o analoghi delle purine (fludarabina), sempre associati al rituximab, un anticorpo monoclonale diretto contro la molecola CD20, che ha grandemente migliorato i risultati della chemioterapia tradizionale e che si utilizza anche nella terapia di mantenimento della risposta. Nei linfomi follicolari si studiano (2009) nuovi anticorpi monoclonali anti-CD20 di seconda o terza generazione, coniugati con agenti radioattivi (per es., Y-ibritumomab, tiuxetano) o diretti contro altre molecole espresse dai linfociti B (anti-CD80, anti-CD22). Gli LNH ad alto grado di malignità (linfoma diffuso a grandi cellule B, linfoma linfoblastico, linfoma di Burkitt, linfoma a cellule T) hanno andamento aggressivo, che rende indispensabile instaurare rapidamente una polichemioterapia, con percentuali di risposta variabili a seconda del tipo istologico. Per il linfoma a grandi cellule B, il più frequente (35÷40% degli LNH), la terapia di prima linea è costituita dallo schema CHOP per 6÷8 cicli ogni 14÷21 giorni, a seconda dell’età e dell’IPI del paziente, associato al rituximab. Per i pazienti giovani con IPI ad alto rischio, sono in corso studi che testano l’autotrapianto di cellule staminali emopoietiche in prima linea, chemioterapie più intensive, nuovi anticorpi monoclonali. La terapia di seconda linea dopo una recidiva prevede una chemioterapia intensiva con o senza rituximab seguita da autotrapianto. Il trapianto allogenico trova rara indicazione. Nella definizione prognostica del linfoma diffuso a grandi cellule, sono in corso di studio (2009) il ruolo della PET e ricerche genetico-molecolari, che hanno consentito di distinguere due sottogruppi con profili genici diversi, corrispondenti a malattie a prognosi differente.