LIMBO (dal lat. limbus "lembo")
La parola, ignota in tal senso avanti ai primi commentatori di Pier Lombardo, designa il luogo e lo stato in cui - secondo la teologia cattolica - si trovano dopo la vita coloro che sono morti col debito del solo peccato originale: tali sono i bambini non battezzati e le persone in cui, per morbo o altro, non s'è mai svegliata la ragione, e sono morti così senza battesimo. Circa l'ubicazione del limbo, nei documenti ecclesiastici regna la massima incertezza: taluni lo vedono come parte dell'inferno. La parola stessa dimostra la credenza che il limbo sia come un "orlo" dell'inferno. San Tommaso distingueva tra "limbo dei patriarchi" e "limbo dei bambini", dandone come probabile la diversa sede; ma oggi se ne fa un luogo solo. La dottrina della Chiesa sulle anime che sarebbero condannate al limbo non è particolareggiata. Anzitutto ritiene che le anime vi soffrano la pena del danno, cioè la privazione della visione beatifica: tuttavia bisogna aggiungere che vi godono una felicità naturale nell'anima e nel corpo, secondo l'opinione di molti teologi. Il limbo, pure essendo uno stato intermedio tra paradiso e inferno, come il purgatorio, dalla teologia cattolica è affermato come eterno.
Già in Luca, XVII, 22-23, è un accenno al soggiorno dei patriarchi oltre la vita, o "seno d'Abramo"; e in Giov., III, 4, i non battezzati sono recisamente esclusi dal regno di Dio. S'imponeva pertanto il problema dei bambini morti senza battesimo: problema che fu dibattuto vivissimamente al tempo della controversia pelagiana. S. Agostino non pone altro luogo che l'inferno, per tutti i morti senza battesimo; tuttavia riconosce che la pena infernale per i bambini non battezzati dev'essere "mitissima". I Padri greci ignorano il limbo in quella forma definita che ha oggi, ma postulano per i bambini un trattamento diverso da quello dei dannati. Anche S. Gregorio Magno intravvede per essi uno stato intermedio. La prima scolastica precisa il problema dietro S. Anselmo, Abelardo e Pier Lombardo. Innocenzo III dà un'enunciazione magistrale di tutto il problema, dicendo che "la pena del peccato originale è la mancanza della visione di Dio". Guglielmo d'Auvergne parla già d'un luogo senza pena attuale e senza la gloria. Con S. Tommaso è già raggiunta la formula ancora oggi tenuta dai teologi: nel limbo non si ha la visione beatifica, ma il godimento dei beni naturali. Posteriormente, poco si aggiunge alla soluzione di S. Tommaso. Il Bellarmino adottò una teoria parte agostiniana, parte tomistica; i giansenisti relegarono tra le "favole pelagiane" la fede nel limbo, e furono anche in questo condannati dalla bolla Auctorem Fidei di Pio VI.
Bibl.: Notevole per l'atteggiamento della teologia contemporanea è un seguito di saggi di L. Billot, in Études, 1919-1922; cfr. Dict. de théol. cathol., IX, I, pp. 760-772.