GIRALDI, Lilio Gregorio
Nacque a Ferrara il 13 giugno 1479 da Giraldo e da una tale Santa. Oltre al G., ebbero come altri figli Giovanni Antonio, che il G. ricorderà nell'Epistola in qua agitur de incommodis quae in direptione urbana passus est, forse un Giraldo, di cui discute il Barotti (pp. 331-333), Maddalena e Caterina, nominate dal G. nel suo testamento. Il G. aggiunse probabilmente al primo nome Gregorio il nome latino Lilium, come successivamente farà il suo discepolo e congiunto Giovan Battista Giraldi, che al proprio nome aggiunse quello di Cynthius.
Il G. compì i suoi studi a Ferrara con diversi maestri. Fu dapprima allievo dei ferraresi Marco Verganino e Luca Ripa, quindi apprese il latino e il greco presso la scuola di Battista Guarini. Il Barotti aggiunge a questi la menzione di altri due maestri, un Batista Lucarino e un'altra figura, ricordata in un brano poetico dal G., che non è stato però possibile identificare. Secondo quanto lo stesso G. afferma in uno dei Dialogismi XXX, oltre agli studi letterari aveva intrapreso anche quelli giuridici. Fu durante questo periodo di formazione, in particolare presso la scuola di Battista Guarini, che intrecciò rapporti con alcune figure di studiosi gravitanti intorno allo Studio ferrarese che rimarranno poi importanti durante tutto il corso della sua vita: fra questi si ricordano Celio Calcagnini, Alessandro Guarini, figlio di Battista, il medico Giovanni Mainardi.
Tra gli ultimi anni del XV e i primissimi del XVI secolo - prima, in ogni caso, del 1503 - il G. avrebbe compiuto un viaggio a Napoli, durante il quale sarebbe entrato in contatto, tra gli altri, con Giovanni Pontano e Iacopo Sannazaro. Poco dopo il soggiorno napoletano, si recò a Mirandola, presso Giovan Francesco Pico, al quale fu presentato per mezzo di una lettera di Celio Calcagnini. Il G. seguì il Pico anche quando questi, nel 1502, dovette lasciare Mirandola a causa del conflitto che lo opponeva al fratello Ludovico. Insieme si recarono a Carpi, presso il locale signore Alberto Pio, dove il G. poté usufruire della biblioteca signorile e ricoprì l'incarico di maestro del figlio di Giovan Francesco, Giovan Tommaso.
Questo trascorso tra Mirandola e Carpi fu probabilmente il primo periodo di studio finalizzato alla sistemazione in grandi sintesi tematiche e storiche della cultura degli antichi, che sarà la caratteristica principale della produzione del Giraldi. Testimonianza di ciò è l'ambientazione a Carpi dei dieci dialoghi dei quali si compone l'Historia poetarum tam Graecorum quam Latinorum e nell'esplicita menzione della biblioteca dei Pico quale fonte di risoluzione di problemi legati al reperimento dei testi degli antichi.
Nel 1507 il G. lasciò Carpi e si recò a Milano al fine di perfezionare il greco presso la scuola di Demetrio Calcondila; da Milano è datata la lettera di dedica del suo Syntagma de musis a Luca Ripa. A causa delle condizioni economiche che non gli consentivano di dedicarsi agli studi usufruendo di qualche rendita, il G. fu costretto a cercare un nuovo posto di maestro. Dopo il soggiorno milanese, protrattosi per circa un anno, andò quindi a Modena, dove entrò al servizio della casa Rangoni, con le mansioni di precettore del figlio di Niccolò Rangoni e Bianca Bentiviglio, Ercole. Poco dopo l'elezione al pontificato di Leone X, il G. si recò a Roma con Ercole, destinato a seguire la carriera in Curia (fu eletto cardinale nel 1517). Durante il periodo romano, oltre a continuare a svolgere l'attività di istitutore e segretario per il Rangoni, il G. insegnava anche ad altri giovani. Egli cercò, inoltre, di ottenere una rendita ecclesiastica, ma quando, in seguito al sacco del 1527, lasciò la città era solamente protonotaro apostolico.
Testimonianze della sua partecipazione alla vita culturale romana sono i componimenti latini presenti in raccolte poetiche pubblicate durante il suo soggiorno nella città: fra essi ricordiamo In divam Annam Corycii hymnus, composto per le riunioni che si svolgevano presso la villa di Johann Goritz in occasione della festa di S. Anna e stampato nella raccolta Coryciana (Roma, per Ludovico Vicentino e Lautizio Perugino 1524, cc. Ziiiv-Ziiiiv; ora in edizione critica in Coryciana, a cura di I. Ijsewijn, Roma 1997, n. 374, pp. 253-255) e i versi presenti nella raccolta pubblicata in occasione della morte del giovane Celso Mellini: In Celsi Archelai Melini funere amicorum lacrimae (Roma, Iacopo Mazzocchi, 1519, c. 28).
A Roma il G. soggiornò fino al 1527, anno durante il quale si successero due eventi per lui fatali: il primo, nel maggio, il sacco della città, che causò la distruzione della sua ricca biblioteca; successivamente, nell'agosto, la morte del suo protettore, il cardinale Ercole Rangoni. Rimasto a quel punto senza alcuna possibilità di sopravvivere nella città e in Curia, si recò a Bologna, accompagnato da una lettera di raccomandazione del papa, ma non riuscì a ottenere il lavoro che cercava. Della ricerca di una sistemazione e della delusione che ebbe da figure che pure il G. riteneva amiche vi è testimonianza nell'Epistola in qua agitur de incommodis… già ricordata.
Trovatosi allora in grave crisi economica, tornò a Mirandola per soggiornare presso Giovan Francesco Pico, che nel frattempo si era reinsediato nei suoi possedimenti. Vi si trattenne fino al 1533, quando Giovan Francesco fu ucciso per ordine del nipote Galeotto. Anche il G., fedele del signore della Mirandola, subì le conseguenze della congiura e fu costretto a lasciare precipitosamente il castello, come egli stesso ricorda nella dedica postuma a Giovan Francesco dell'opera De re nautica: "ex arce tua Mirandulana mense aprili 1533 cuius anni mense octobri infelix princeps et vita et oppido a fratris filio per nocturnas insidias privatus est, et ego miser omni fortuna exutus, vix vivus evasi" (p. 639 dell'edizione del 1580 dell'Opera omnia del Giraldi).
Rientrò allora finalmente a Ferrara, dove ritrovò i suoi vecchi amici e sodali e dove soggiornò fino alla morte. Durante gli ultimi venti anni della sua vita il G. attese alla sistemazione e alla pubblicazione della maggior parte delle sue opere, grazie anche al sostegno di colleghi e discepoli, dai quali visse circondato e che lo aiutarono a sopportare le conseguenze della podagra, che aveva contratto durante il periodo romano. Decisivo fu il loro aiuto soprattutto dopo il 1536, quando la malattia si manifestò in forme via via sempre più gravi, al punto che nel corso degli anni il G. fu progressivamente costretto a letto. Le lettere di dedica di alcune sue opere e alcuni riferimenti presenti al loro interno testimoniano il contatto e la considerazione che il G. doveva avere avuto per la duchessa di Ferrara, Renata di Francia, moglie di Ercole II d'Este, che inoltre lo dovette aiutare anche attraverso forme di sostentamento economico diretto. Non vi sono però prove decisive di un'adesione da parte del G. alle idee riformatrici di Renata e del suo circolo.
La morte colse il G. nel febbraio del 1552, nella sua casa di Ferrara; fu sepolto nel duomo della città.
A circa venti anni dalla morte Michel de Montaigne ricordò il G. nei suoi Essais (I, 25) come esempio di figura di grande studioso morto in gravi difficoltà economiche. In realtà, come si evince dal suo testamento, il G. non dovette morire in una situazione di grande indigenza. Grazie infatti agli aiuti che gli provenivano dalla duchessa di Ferrara e dai suoi amici, fu in grado di fare diversi lasciti a familiari e a istituzioni religiose.
Anche a causa della vita piuttosto travagliata che condusse, solo negli ultimi anni della sua vita il G. poté sistemare in forma organica e pubblicare in forma definitiva il frutto delle ricerche che aveva iniziato a svolgere in diversi campi della cultura classica fin dal tempo dei primi studi. Si tratta di lavori imponenti, che in alcuni casi divennero veri e propri capisaldi della cultura erudita europea sviluppatasi tra la seconda metà del XVI e la fine del XVII secolo. Testimonianza della fortuna di studioso del G. sono le due edizioni complessive delle sue opere, pubblicate, entrambe in due tomi, la prima a Basilea, per Tommaso Guarini, nel 1580 e la seconda a Leida nel 1696.
Dedicato al maestro Luca Ripa è il Syntagma de musis, una raccolta di materiali sulle muse che il G. aveva iniziato a sistemare fin dall'adolescenza. Il Syntagma fu pubblicato per la prima volta nel 1511 (Argentorati, per Mathias Schnueri). È questa l'unica opera del G. pubblicata prima del suo ritorno a Ferrara. Il Syntagma fu ristampato insieme con la prima edizione della Vita Erculis, a Basilea per Michael Isengrin nel 1539. La Vita Erculis presenta una doppia dedica: la prima, risalente presumibilmente a un periodo vicino a quello di composizione, è ad Angelo Dovizi ed è datata "Romae, ex Vaticanis Pontificis Max. aedibus mense octobri 1514"; la seconda è a Ercole d'Este e risale al momento della pubblicazione. Anche la Vita Erculis è un'opera compilativa, in cui il G. ha raccolto e ordinato criticamente i riferimenti presenti all'interno delle letterature classiche alla figura di Ercole. Se queste prime due opere avevano al centro degli interessi del G. alcune figure mitologiche, i lavori successivi avranno un respiro più ampio, arrivando a trattare, dapprima in forma tematica, quindi in forma via via sempre più ampia aspetti diversi della cultura greco-romana. A Basilea, presso il tipografo Michael Isengrin uscirono, rispettivamente nel 1539, 1540 e 1541 i trattati De sepulchris et vario sepeliendi ritu, dedicato al tedesco Carlo Miethziert; De re nautica, dedicato a Ercole d'Este, ma con lettera finale a Giovan Francesco Pico (nella quale si ricorda che l'opera fu terminata nell'aprile 1533, pochi mesi prima della morte del Pico e della conseguente cacciata del G. da Mirandola), e De annis et mensibus caeterisque temporum partibus… dissertatio facilis et expedita una cum calendario Romano et Graeco, opera che per la sua autorevolezza fu usata anche nel corso della riforma gregoriana del calendario.
Alla storia letteraria dei tempi antichi e dei suoi tempi sono dedicate le due opere scritte dal G. in forma di dialogo: l'Historia poetarum tam Graecorum quam Latinorum dialogi decem e i De poetis nostrorum temporum dialogi duo. I dieci dialoghi dedicati alla storia delle letterature greca e latina, pubblicati a Basilea per M. Isengrin nel 1545, rappresentano una delle prime compilazioni dedicate alla ricostruzione delle vite e alla trattazione sulle opere degli autori antichi; in particolare è la prima ricostruzione complessiva dedicata alla letteratura greca. Un altro elemento di originalità della Historia è il fatto che parte della trattazione è dedicata alla letteratura cristiana antica, per la quale il G. usò i due volumi dell'antologia Poetae Christiani veteres, pubblicati a Venezia da Aldo Manuzio nel 1501-02. La Historia, senz'altro rivista e completata dopo il ritorno a Ferrara, è dedicata alla duchessa Renata di Francia, ma nella finzione dei dialoghi di cui è composta è collocata nel 1503 a Carpi, presso la corte di Alberto Pio, dove il G. si era rifugiato insieme con Giovan Francesco Pico.
Collegato direttamente alla Historia è il De poetis nostrorum temporum, stampato per la prima volta a Firenze per L. Torrentino nel 1551. Si tratta di due dialoghi di cui il primo, scritto per la maggior parte tra il 1548 e il 1549 e ambientato a Ferrara, contiene il secondo, dedicato a Ercole Rangoni, composto durante il soggiorno romano del G. e ambientato nella Roma di Leone X (per le questioni relative alla datazione del De poetis si rinvia alle ricerche di V. Rossi). I poeti moderni di cui tratta il G. in questa opera sono senz'altro i poeti che scrivono in latino e la preferenza è per gli autori che trattano di temi religiosi o per i poeti epici, piuttosto che per quelli che scrivono lirica amorosa. Riguardo all'uso del volgare per la poesia, il G. ha un atteggiamento sostanzialmente diffidente: nel dialogo "romano", dei poeti che fanno uso del volgare (come per esempio P. Bembo) al G. interessa principalmente la produzione latina, mentre nel dialogo "ferrarese", in cui c'è un'apertura alla letteratura neolatina composta non solo in Italia ma in tutta Europa, si nota anche una certa apertura ai poeti che compongono in volgare, ma più come una presa d'atto di una situazione ormai consolidata, che non per un'effettiva convinzione del loro valore. Il testo del De poetis contenuto nell'edizione di Basilea di tutte le opere del G. presenta delle varianti, frutto di aggiunte e correzioni successive alla prima stampa. Il De poetis, senz'altro l'opera che tra quelle del G. ha goduto della maggior fortuna critica, è anche l'unica sua opera che ha conosciuto delle edizioni successive a quelle del 1696: De poetis nostrorum temporum, a cura di K. Wotke, Berlino 1894 e Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, a cura di C. Pandolfi, Ferrara 1999.
Pubblicati insieme con il De poetis nella prima edizione, e a essi in qualche modo collegati, sono lo scritto polemico Progymnasma adversus literas et literatos, composto intorno al 1520 e dedicato alla condizione dell'uomo di lettere e l'Epistola in qua agitur de incommodis quae in direptione urbana passus est: ubi item et quasi catalogus suorum amicorum poetarum, in versi, inviata ad Antonio Tebaldeo e dedicata a Ercole Rangoni. L'Epistola fu scritta subito dopo il sacco di Roma e la morte del Rangoni, al termine, quindi, del soggiorno romano del G., e in essa il classico tema dell'amicizia viene svolto sullo sfondo della desolazione che il sacco e gli eventi a esso successivi avevano lasciato nella vita del Giraldi.
L'altra importante opera di sistemazione della cultura degli antichi è l'ampio trattato De deis gentium varia et multiplex historia, distinto in 17 syntagmata, dedicato a Ercole d'Este e pubblicato per la prima volta a Basilea, per Giovanni Oporino nel 1548. Si tratta del più importante trattato di mitografia dopo la Genealogia deorum gentilium di Giovanni Boccaccio. In esso il G., superando l'interpretazione allegorica dei miti che tanta fortuna aveva conosciuto nella tarda antichità e nel Medioevo, abbraccia la teoria evemeristica, secondo la quale gli dei pagani furono uomini che per aver compiuto grandi imprese sarebbero stati divinizzati. A quest'opera del G. si ispireranno anche i successivi trattati mitografici di Natale Conti e Vincenzo Cartari.
Tra l'operetta polemica e la trattazione compilativa si situano le due opere stampate insieme a Firenze nel 1548 per L. Torrentino e che presentano lo stesso argomento. Si tratta del Liber adversus ingratos, in quo multiplices ingrati criminis radices convellentur, variisque tum historiis tum naturae exemplis ingrati refelluntur e del Libellus quomodo quis ingrati nomen et crimen effugere possit, che l'anno precedente era stato pubblicato da solo sempre dal Torrentino.
Nel 1551 a Basilea per G. Oporino, con dedica a Giovan Francesco Pico in data 1507 "ex Castro novo Carpensi", uscirono i Libelli duo in quorum altero aenigmata pleraque antiquorum, in altero Pythagorae symbola, non paulo quam hactenus ab aliis clarius facilius sunt explicata, con i quali venivano ristampati le due opere precedenti.
Ultima opera composta e pubblicata dal G. furono i Dialogismi XXX (Venezia, G. Scotto, 1552), dedicati al cardinale Giovanni Salviati. Si tratta di una sorta di miscellanea di erudizione classica che, sotto forma di trenta brevi dialoghi, tratta di vari e diversi argomenti: si possono ricordare, ad esempio, i dialoghi de notis et figuris numerorum quibus antiqui Latini et Graeci utebantur, de venatione accipitrum caeterarumque avium rapacium, de fascino et fascinatione, de spectris et praestigiis e dialoghi in cui vengono affrontate questioni filologiche e critiche relative ad autori greci e latini. Particolare rilievo assume il primo dialogo, De studendi et annotandi ratione, una sorta di presentazione da parte del G. del suo metodo critico e filologico che, partendo dal riconoscimento dell'utilità di un impegno inizialmente indirizzato alla ricostruzione e alla trattazione di questioni particolari, deve avere però il fine ultimo di introdurre alla lettura dei maggiori autori delle letterature classiche. I Dialogismi furono pubblicati probabilmente poco dopo la morte del G., per cura del suo allievo Lorenzo Frizzoli, che aggiunse ai dialoghi del maestro il suo dialogo sulla vita e le opere del Giraldi. I Dialogismi non compaiono all'interno della raccolta dell'Opera omnia del G. pubblicata a Basilea nel 1580.
La produzione poetica del G. fu pubblicata in piccola parte nelle raccolte del tempo e nell'edizione Poematia (Lugduni, per Sebastianum Gryphium, 1536), mentre la maggior parte è ancora inedita all'interno delle quattro parti (due di Epigrammi, e una rispettivamente di Funebria e di Inni sacri) che compongono il manoscritto I.371 della Biblioteca Ariostea di Ferrara. Così si riferisce il G. alla propria produzione poetica all'interno dei Dialogi de poetis nostrorum temporum: "Ego conferam cum hymnos, elegias et epigrammata tot scripseris, quae tamen distinctae iuvenilia, senilia et sacra noncupare soles" (p. 96 dell'ed. curata dal Wotke).
Il G. ha anche pubblicato la traduzione dal greco in latino del trattato del medico bizantino dell'XI secolo Sethus Simeon, De cibariorum facultate (Basileae, Michael Isengrin, 1538). Giovan Battista Giraldi Cinzio ha tratto dagli appunti del G. le notizie per scrivere la sua De Ferraria et Atestinis principibus commentariolum ex Lilii Gregorii Gyraldi epitome deductum (Ferrara, per Franciscum Rubeum, 1556); ancora a Giovan Battista Giraldi Cinzio è legata la composizione dell'epistola de imitatione del G., scritta a margine dello scambio di opinioni avvenuto nel 1532 sul tema dell'imitazione tra Giovan Battista Giraldi Cinzio e Celio Calcagnini.
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