Vedi LILIBEO dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
LILIBEO (v. vol. iv, p. 627)
Gli scavi condotti fra il 1965 e il 1969 ed il riesame critico di molti aspetti della produzione artistica lilibetana di epoca punico-ellenistica hanno portato un contributo notevolissimo alla conoscenza della topografia, dell'arte e, in genere, di tutta la civiltà della Sicilia occidentale durante il periodo della dominazione cartaginese.
Nella zona extra moenia al Capo Boeo, là dove nel 1939-40 erano già apparsi i resti di un'insula con ambienti termali dai bei mosaici pavimentali, gli scavi intrapresi nel 1965-66 dalla Soprintendenza alle Antichità di Palermo hanno posto in luce un complesso di canalizzazioni, di fornaci e di ambienti termali (con suspensurae ancora in posto), databile, in base all'abbondantissima ceramica a vernice nera e di una variante locale dello stile di Gnathia, al III-II sec. a. c. E da notare peraltro che esistono le prove (frammenti aretini e d'imitazione, sigillata C e D, lucerne del I-II e del IV-VI sec. d. C.) di una seconda fase di frequentazione del sito in epoca tardo-romana e bizantina. Inoltre, il rinvenimento di alcune tombe puniche con pozzo verticale di accesso, profondo in taluni casi fino a dieci metri, nell'area in questione, violate e reimpiegate come cisterne in età romana, allorché furono intonacate le pareti del pozzo e delle celle, fa ritenere che in origine anche la zona al Capo Boeo (o almeno una parte di essa) fosse adibita a necropoli. A questa modifica dei dati tradizionali sulla topografia di L. si accompagna quella causata dal rinvenimento nella stessa zona di un coperchio di pissidina tardo-corinzia del VI sec. a. C., che sembrerebbe provare l'esistenza di un centro abitato a L. molto prima della data attribuita da Diodoro alla ktìsis della città in conseguenza della distruzione di Mozia del 398-397 a. C. da parte di Dionisio di Siracusa (v. mozia, vol. v, pag. 249).
A qualche centinaio di metri dal complesso termale, numerosi sondaggi hanno messo in luce tratti di muri a grossi blocchi, che almeno in un caso mostrano la tipica struttura punica "a telaio" ma con l'impiego di laterizi al posto del pietrame minuto fra i grossi pilastri ortostatici, e resti di canalizzazioni coperte, spesso a carattere monumentale, gli uni e le altre probabilmente connessi con il sistema maggiore di fortificazioni che correva un poco più lontano dal mare, parallelamente alla linea di costa nella zona del Capo Boeo e che, a giudicare dalla ceramica rinvenuta, deve essere datato alla seconda metà del IV-III sec. a. C.
Rinvenimenti di tombe avvenuti per circostanze occasionali nel 1968 e 1969 hanno permesso di studiare per la prima volta in modo dettagliato e organico i tipi architettonici e il materiale dei corredi, integri nei loro contesti originarî, della necropoli lilibetana. Le cinquanta e più tombe riportate alla luce, databili fra il III e il I sec. a. C., constano, nel periodo più antico, di ipogei con pozzo verticale di accesso, generalmente profondo m 3-4, alla cui estremità si apre una cella (più raramente le camerette sono due) a pianta rettangolare, con porta sagomata a listelli. All'interno della cella giacciono gli inumati, entro bare lignee di cui restano i chiodi, ovvero in sarcofagi ricavati nello spessore della banchetta delle pareti. Talora si rinvengono anche degli ossuarî a cassetta in pietra di Trapani, con coperchio a doppio spiovente, che sono in genere il frutto di reimpieghi tardivi degli ipogei. Esiste poi un tipo intermedio di sepoltura fra quello a pozzo profondo con camerette e quello a semplice fossa superficiale terragna, contenente talora vasi cinerarî in piombo o in terracotta, che contrassegna l'ultima fase di vita della necropoli, già in piena dominazione romana. Questo tipo intermedio è rappresentato da tombe a loculo rettangolare profonde m 2 circa, con tacche per la discesa come quelle più antiche a pozzo quadrato ma senza celle.
I corredi del III sec. a. C. comprendono, accanto a qualche rara statuetta in terracotta di tipo tardo-ellenistico, molti vasi dello stile di Gnathia di fabbricazione locale, piattelli, gutti e lucerne a vernice nera, anfore e brocchette acrome corredate da coperchietti a bottone quando sono impiegate come cinerarî, anforoni a spalla obliqua e a siluro di tradizione punica, ovvero - ma molto più raramente - di tipo greco-ellenistico, con alto collo cilindrico ed orlo obliquo, specchi in bronzo e qualche moneta delle note serie siculo-puniche col cavallino e la testa di Tanit. Nelle sepolture più tarde, ove più frequenti sono le tracce dell'incinerazione, numerosissimi sono gli unguentarî piriformi e fusiformi, che talora costituiscono la totalità dei vasi di corredo.
All'indagine archeologica sul terreno si è accompagnato in questi ultimi anni il riesame critico dei principali rami della produzione artistica della L. punica, e il loro inquadramento nella civiltà figurativa delle colonie fenicie d'Occidente. Nella ceramica si è separata la corrente di tradizione punica (prevalentemente cartaginese) da quella di ispirazione italiota, che rielabora localmente motivi dello stile di Gnathia e di derivazione campana con una certa originalità ed indipendenza dai modelli. Nelle stele votive si sono individuate le influenze ellenistiche, visibili nel modellato e nei panneggi delle figure di offerenti, e quelle di pretto stampo semitico, che danno vita agli emblemi cultuali di astratta e secca stilizzazione; nelle stele a naìskos della necropoli, infine, si è rilevata la coesistenza (che è poi un singolare attardamento, ma non unico, nella Sicilia occidentale) dei segni di Tanit e dei caducei dipinti sulle ante con la rappresentazione del defunto eroizzato, disteso a banchetto sulla klìne, e con la concezione architettonica del monumento e della sua decorazione dipinta a ghirlande ed altri motivi floreali, che si rifanno a modelli ellenistici, filtrati attraverso l'ambiente siceliota ed italiota.
In generale, gli ultimi studî e scoperte hanno mostrato come le influenze ellenistiche, non ignote neppure alla madrepatria nord-africana, incidano a L. più fortemente che altrove sul vecchio repertorio di forme e di tradizioni fenicio-puniche, trovando un terreno fecondo di penetrazione nell'ambiente siceliota, da molti secoli aperto al contatto coi Greci. Questo carattere così poco punico e così spiccatamente ellenizzato della produzione artistica lilibetana fra il IV e il II sec. a. C. non tocca tuttavia se non in modo epidermico e parziale quelle che sono, dovunque, le più profonde e conservatrici espressioni della civiltà fenicia d'Occidente: la religione, la lingua, le tradizioni funerarie e le cerimonie del culto.
Bibl.: G. Schmiedt, Contributo della fotografia aerea alla ricostruzione della topografia antica di Lilibeo, in Kokalos, IX, 1963, pp. 49-72; A. M. Bisi, Lilibeo. Ricerche archeologiche, in Not. Scavi, 1966, pp. 310-347; ibid., 1967, pp. 379-403; id., Scavi a Lilibeo, in Oriens Antiquus, V, 1966, pp. 119-120, tavv. XLVIII-L; id., Ricerche sulle fortificazioni puniche di Lilibeo, ibid., VI, 1967, pp. 315-318, tav. LXXXII; id., La cultura artistica di Lilibeo nel periodo punico, ibid., VII, 1968, pp. 95-115; id., La ceramica ellenistica di Lilibeo nel Museo Nazionale di Palermo, in Arch. Class., XIX, 1967, pp. 269-292, tavv. LXX-LXXXIV; id., Ricerche sulle mura puniche di Lilibeo, in Archeologia, 1967, pp. 98-101; id., Le stele puniche, Roma 1967, pp. 149-156; id., Le stele puniche di Lilibeo e il problema dell'influenza semitica nella religione e nell'arte della Sicilia Occidentale, in Karthago, XIV, 1968, pp. 227-234, tavv. I-V; id., Il ruolo di Lilibeo nel quadro della cultura artistica della Sicilia punica, in Sicilia Archeologica, II, 1968, pp. 29-45; id., Rinvenimento di tombe puniche nella necropoli dei Cappuccini, in Oriens Antiquus, VIII, 1969, pp. 222-223, tavv. LII-LIV; id., Lilibeo - Scavi nella necropoli punica dei Cappuccini. Note per una storia dell'architettura funeraria punica in Sicilia, in Not. Scavi, 1970; id., Influenze siceliote ed italiote sull'arte tardo-punica. Le stele funerarie di Lilibeo, in Arch. Class. (di prossima pubblicazione).