LICURGO
. Oratore politico e finanziere ateniese del sec. IV. Nacque verso il 390 di nobilissima famiglia, in cui era ereditario l'ossequio alla tradizione religiosa della polis; una religiosità che si estrinseca pur nell'azione culturale, è la più singolare caratteristica di L., che credette agli dei e praticò la religione della città con la fede di una gente che si ricollegava, per vincoli di sangue, agli eroi nazionali attici. E fu cittadino, perché religioso; e, per questa sua spirituale inclinazione, divenne oratore e politico antimacedone. Assai facoltoso, non si dedicò all'eloquenza, come Demostene e Iperide, per professione, e neppure, come Demade, per vocazione; ma per dovere. Alla scuola di Platone L. imparò il valore della disciplina morale, nel cui culto volle più tardi educare i suoi figli. Alla scuola d'Isocrate, L. imparò ad affinare la parola rude del suo pensiero, a polirla nella tecnica prosastica. Insieme, imparò il senso del "mito", cioè il dovere di attuar nel presente il monito della leggenda e della storia, e di governare su una base etica - più salda, forse, in L. che nel maestro - l'arte oratoria. Ma non fu né oratore, come più altri isocratei, né, come Isocrate stesso, pubblicista. Il suo abito aristocratico e la sua sdegnosa rigidità lo trattenevano dalla vita politica. Entrò nell'arringo politico per combattere con Demostene contro i Macedoni. Con lui forse fu nel 343 ambasciatore a Messene e in altri stati peloponnesiaci, a propagandare la resistenza. Dopo Cheronea L. divenne, con Demostene e pure più di ogni altro, l'artefice della rivincita; subito dopo la battaglia, il popolo elesse L. ταμίας εἰς τὴν διοίκησιν ἅπασαν: una specie di ministro delle finanze. Ma con poteri più larghi, perché L. doveva amministrare anche i tesori statali, provvedere alle spese militari e di culto, al rinnovamento edilizio e all'abbellimento artistico della città; e meno sindacabili, perché la magistratura era quadriennale. Per tre volte, fino al 326, L., forse celandosi dietro allo schermo di un prestanome, fu ταμίας. Ed ebbe agio di risollevate Atene, di preparare gli spiriti, di armare a libertà.
Risollevò Atene, rassestando il bilancio, i cui introiti annui crebbero da 600 a 1200 talenti e riacquistando la fiducia dei contribuenti e dei signori", non pochi dei quali ebbero in L. il loro amministratore privato; restaurò la marina con la costruzione dell'arsenale a Zea e di altri cantieri nei varî porti del bacino ateniese. Nel contempo si manifestava un risveglio nell'architettura civile quale non si era più visto dopo Pericle: sorsero così lo studio per le gare panatenaiche, l'Odeon, un ginnasio nel sobborgo del Liceo, ecc.; furono restaurati i templi e le immagini auree degli dei e venne compiuto il teatro di Dioniso. Furono nuovamente regolate le processioni e le gare ginniche; fu modificato il regolamento per i concorsi corali ditirambici e per le grandi Dionisie, redatto in edizione ufficiale il testo di Eschilo, di Sofocle e di Euripide. Armò a libertà provvedendo alla flotta, al danaro occorrente, alle armi, che furono in gran numero raccolte e depositate sull'Acropoli, mentre si provvedeva a levare un esercito cittadino: l'efebia, istituita su proposta dell'antimacedone Epicrate subito dopo Cheronea. Preparò, infine, gli spiriti e fu questo il compito più ingrato e più eroico - e più misconosciuto dai moderni - a cui L. si sobbarcasse: farsi, cioè, non esistendo in Atene il pubblico ministero, accusatore privato dei filomacedoni; e incorrere, così, nella taccia di sicofante. Forse, L. non aveva ancor recitato neppure un'orazione, quando si combatté a Cheronea. Ad impedire che i filomacedoni se ne avvalessero per accusare il "sistema" e per trasformare, comunque, ogni dibattito giudiziario in un processo strettamente politico, L., dall'indomani di Cheronea sino alla vigilia della morte, condusse una campagna implacabile e sistematica di battaglie tribunalizie, richiedendo per tutti i rei la pena di morte.
Pochi mesi dopo Cheronea, lo stratego di quella giornata, Lisicle, fu tratto in giudizio, sotto l'accusa di troppo rapido ripiegamento, quando la battaglia ancora non era decisa, e condannato alla pena capitale. Così Autolico, l'Areopagita, che al primo annunzio della disfatta aveva provveduto alla salute sua e dei suoi. Ma invano L. si oppose agli onori a Demade (v.), per aver negoziato la pace che suggellava la servitù. E invano L. aiutò, come Demostene, il 335, la rivolta di Tebe. Spianata la città, Alessandro volle che anche il nome di L. fosse nella lista di proscrizione. Il popolo rifiutò l'ottemperanza al rescritto regio, e L. proseguì la battaglia, onorando la memoria degli antimacedoni e citando in tribunale Aristogitone, che nel 337 aveva accusato Iperide per aver voluto manomettere i servi pur di combattere Filippo. Nel 324 al rescritto di Alessandro, che imponeva alle città greche di onorarlo qual dio, L. si oppose. Poco dopo, diede ancora una volta testimonianza di sé e della sua amministrazione; poi, in quell'inverno sul 323, mentre la nuova guerra liberatrice si preparava, si ammalò e morì. Menesecmo, che già aveva accusato L. nei suoi ultimi giorni, ne accusava, morto il padre, i figliuoli. Ma Iperide, pur avversario di L. nei processi di Licofrone e di Euxenippo, sorse a difesa e ottenne l'assoluzione. Il 307 il popolo, ritornato libero dopo dieci anni di dittatura macedone, votò un solenne atto di omaggio alla memoria di L.; il primogenito della sua gente doveva esser nutrito a spese pubbliche nel Pritaneo. Un'immagine bronzea di L. fu eretta nell'Agorà; e i suoi decreti furono incisi nel marmo ed esposti sull'Acropoli.
Dei suoi decreti pochissimi sono giunti a noi. Delle sue orazioni, quindici delle quali furono redatte e diffuse, una sola è conservata per intero: la Leocratea (anno 331-30). In essa l'imitazione isocratea, mimesi stilistica e affinità spirituale, si accompagna all'antimacedonismo del De Corona demostenico; il substrato giuridico della causa non interessa, ma l'efficacia politica e patriottica. La passione contenuta freme nello stile disuguale talvolta piatto, ma teso sempre in uno sforzo al grande, all'aulico (δείνωσις) e ricco di metafore poetiche, di citazioni e di esempî storico-mitici. Il γένος, norma costante in Lisia, si altera in L., come in Demostene e in Iperide; si piega alle necessità dell'effetto e del momento.
Ediz.: F. Blass, Lipsia 1899; F. Dürrbach, Parigi 1932, nella "collection des Univ. de France", con trad. franc., ricchissima introduzione e bibliografia; ed. italiana commentata di A. Cima, Torino 1896; rist. 1923.
Bibl.: A. Schäfer, Demosthenes u. seine Zeit, 2ª ed., II, Lipsia 1885; III, ivi 1887; F. Dürrbach, L'orateur L., Parigi 1890; Kunst, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIII, coll. 2446-2465. Buona raccolta di materiali presso J. Kirchner, Prosopographia attica, II, Berlino 1903, pp. 23-28; H. Berve, Das Alexanderreich, II, Monaco 1926, pp. 238-239. Sull'amministrazione, G. Colin, Note sur l'administration financière de l'orateur L., in Rev. études anc., XXX (1928), pp. 189-200; W. S. Ferguson, The treasures of Athena, Cambridge (Mass.) 1932. Sull'uomo L.: G. Méautis, in Bull. de l'Assoc. G. Budé, n. 16, luglio 1927, pp. 14, 33-38. Su L. oratore, F. Blass, Die attische Beredsamkeit, 2ª ed., III, ii, Lipsia 1898, p. 95 segg.; P. Treves, Un'interpretazione della Leocratea, in Riv. di filol. class., n. s., XI (1933), fasc. III (e ibid., 1932, p. 523 segg.).