ZANNINI, Licurgo
– Nacque a Bologna il 24 novembre 1804 da Gaetano, modenese, ufficiale nei cacciatori a cvallo e poi nei dragoni della Cisalpina. Il nome della madre è sconosciuto.
A diciassette anni – il 6 febbraio 1821 – intraprese la carriera militare, al servizio del duca di Modena, con il grado di tenente. Nel 1835 fu nominato insegnante di matematica presso la scuola cadetti. Dal 1843 al 1846 fece parte del Reale Battaglione di linea, comandato dall’arciduca Francesco V, con il grado di tenente.
Nel marzo 1848, distaccato a Guastalla come luogotenente di fanteria, per sedare una rivolta, decise di abbandonare le milizie ducali e passò al servizio del Governo provvisorio ottenendo i gradi di maggiore. Poco dopo, sposatosi con Carolina Biondini, si trasferì a Venezia e prese il comando di un battaglione di volontari destinati alla difesa di Udine, dove combatté coraggiosamente nei pressi di Porta Aquileja. Caduta Udine il 22 aprile 1848, Zannini raggiunse Osoppo preceduto dal colonnello Giovanni Battista Cavedalis e da un grosso drappello di volontari con una batteria da campagna. Ai primi di maggio, Cavedalis nominò Zannini vicecomandante del distaccamento con il grado di tenente colonnello avendo, «riconosciuto nel prode Maggiore modenese, accorso alla difesa del Friuli il vero comandante di cui aveva d’uopo la fortezza di Osoppo» (Barbarich, 1903, p. 2). In seguito alla convocazione di Cavedalis a Venezia, Zannini assunse il comando effettivo della fortezza, allora occupata da una guarnigione di 400 uomini cui se ne aggiunsero altri dopo la caduta di Pontebba. Il distaccamento era fornito di provviste per non più di quindici giorni e il continuo affluire di volontari rendeva gli approvvigionamenti sempre più difficili. Il presidio era, invece, ben munito; aveva un perimetro di 1800 metri e disponeva di ventotto cannoni. Zannini era, allora, sicuro che la resistenza di Osoppo avrebbe dato nuovo impulso alla ripresa della rivoluzione in tutto il Friuli. Il 12 maggio presenziò la cerimonia di sottomissione della fortezza al re Carlo Alberto e il giorno successivo organizzò la prima sortita con i suoi soldati, che ebbe esiti incerti. La situazione era molto difficile perché gli austriaci, per ostacolare i rifornimenti alla guarnigione, impedivano ai contadini di lavorare la terra, bruciavano il fieno già raccolto devastando, con furore vandalico, le campagne circostanti. Il comandante, inoltre, faceva fatica a mantenere la disciplina fra i suoi uomini cui se ne erano aggiunti altri dopo la resa di Palmanova. Il 13 giugno effettuò una grande sortita per sorprendere un battaglione di fanteria croata che indusse gli austriaci a infierire ulteriormente nei confronti della popolazione ridotta alla fame e costretta a cibarsi di «sola semmola e erbaggi dei campi» (ibid., p. 75). Frattanto anche la situazione all’interno della fortezza si faceva sempre più critica e molti volontari cominciarono ad accusare Zannini di eccessivo rigore nei confronti dei soldati e di inettitudine al comando. A sua volta, il comandante, nonostante gli sforzi, non riusciva a migliorare la cultura e l’educazione militare dei suoi uomini che spesso agivano senza rispettare gli ordini e in modo inconsulto. Mancava inoltre il denaro che il Governo provvisorio inviava saltuariamente senza tenere conto delle necessità degli assediati. Fu quindi necessaria, alla fine di agosto, l’emissione di carta moneta garantita dai magri redditi del comune di Osoppo. Un espediente che subito mostrò i suoi limiti. Alle ripetute richieste di resa da parte austriaca, Zannini rispose sempre che avrebbe resistito finché Venezia non avesse ordinato il contrario, ma il bombardamento del paese fra l’8 e il 9 ottobre lo indusse ad accettare una sospensione delle ostilità mentre il parroco di Osoppo si recava al campo austriaco per discutere la resa degli abitanti. L’ufficiale vietò inoltre di fare fuoco con le artiglierie contro una colonna austriaca per evitare altre rappresaglie nei confronti dei civili. Questa decisione scatenò l’ira dei soldati, ormai ridotti di numero, ma intenzionati a resistere ancora. Nonostante i tumulti all’interno della guarnigione «nel mattino del 12 [ottobre], il Tenente Colonnello Zannini con l’animo angosciato dalla vista dello sfacelo morale delle sue truppe, decise di rassegnarsi al passo estremo» (ibid., p. 128) e, il giorno successivo, stipulò le condizioni di una resa onorevole che includeva l’uscita del presidio con gli onori delle armi.
Tornato a Venezia, fu accusato, assieme a un suo ufficiale, Leonardo Andervolt, di tradimento per non avere organizzato l’estrema difesa del forte ma, anzi, accelerato i tempi della capitolazione. Posto a domicilio coatto presso l’abitazione del suo vecchio amico alla Giudecca, attese invano la risoluzione della causa, ritardata dal convulso succedersi degli avvenimenti. Poi, ai primi di marzo 1849, abbandonò Venezia.
Sulla vicenda della capitolazione di Osoppo sono stati espressi pareri molto diversi. Teodorico Vatri, dopo avere accusato Zannini di essersi anche impossessato di un’ingente somma di denaro sottratta alle casse del forte, aggiunse a un giudizio totalmente negativo sul suo operato una viva descrizione fisica e professionale dell’accusato: «di statura media e bene tarchiato, bruno di carnagione e di carattere risoluto, accorto e destramente simulatore, egli conosceva a sufficienza l’amministrazione militare. Di tattica conviene dire che fosse digiuno, per non usargli il torto di dire che mai l’adoperasse. Nei primi mesi dell’assedio fu ben visto ed onorato, ma l’ipocrisia, la crudeltà e l’avarizia, che non seppe nascondere, lo resero poscia odioso a molti» (Vatri, 1862, pp. 11 s.). Altri, invece, attribuirono la resa della piazzaforte all’inesperienza dei soldati. Scrive, a questo proposito, Eugenio Barbarich: «Sul nome di Licurgo Zannini, di Leonardo Andervolti e di Enrico Francia molto si è discusso dopo alla resa di Osoppo e ancora più tardi: le passioni partigiane, lo spirito dell’epoca, incline a escogitare tradimenti e inganni quando errori o mancate resistenze si verificavano solo per colpa delle improvvisate milizie, per difetto di educazione militare, disciplinare e morale, elevarono sospetti contro il difensore di Osoppo e i suoi luogotenenti» (Barbarich, 1903, p. 30).
Di ritorno da Venezia, Zannini intraprese con il duca Francesco V, rientrato a Modena il 10 agosto 1848, una trattativa per riprendere servizio nelle sue milizie, ma il progetto non venne poi realizzato. Il soldato si trasferì quindi a Roma dove, probabilmente, conobbe Giuseppe Mazzini e, lasciatasi alle spalle la carriera militare, visse dando lezioni di matematica. Presto stanco di quell’esistenza, nel 1850 si traferì a Tunisi dove si impegnò nella raccolta di fondi presso gli emigrati italiani a favore della causa mazziniana e per l’acquisto di armi. Postosi a capo del gruppo di emigranti politici italiani, organizzò anche un comitato per inviare offerte a Torino per il monumento al ministro della Giustizia Giuseppe Siccardi (inaugurato il 23 novembre 1853), che aveva dato un contributo essenziale alla promulgazione della legge che portò alla soppressione dei tribunali speciali ecclesiastici nell’aprile del 1850. Nel giugno del 1852, costretto a lasciare Tunisi per volere delle autorità governative, si trasferì a Londra «dove recò a Mazzini l’ultimo saluto della madre» (Rosi, 1937, p. 634). Nel dicembre del 1855 si recò a Tangeri. Ottenuti i favori del sovrano del Marocco, prese parte a un progetto, poi irrealizzato, per la costruzione di un molo per la città. L’anno successivo decise di tentare la fortuna a Madrid intraprendendo una serie di iniziative nel settore del commercio del grano, dopo un fallito tentativo d’impiego nel ramo delle ferrovie. Chiese, nel frattempo, attenzione al duca di Modena nella speranza che gli venissero riconosciuti i suoi diritti di ex soldato. Caduto il governo estense, Zannini fu accusato dai rappresentanti delle Provincie Unite del centro Italia di progettata cospirazione per rovesciare il governo nazionale e ritornare al principe decaduto. Le accuse si basavano su due lettere da lui indirizzate a Francesco V il 2 e 7 dicembre 1860 nelle quali «non dissimulava che era suo intendimento di operare per la restaurazione col mezzo di una opposizione mercé la libera stampa, di procurare un proclama del Duca ai già suoi popoli per incoraggiare le speranze del suo partito, e di promuovere dimostrazioni ostili, biasimo e disprezzo ai comandanti» (Gazzetta dei tribunali, 19 dicembre 1860, p. 634). Zannini aveva affidato a un vecchio militare – Canevazzi – le due lettere per impostarle a Milano. Ma l’uomo, una volta aperti e letti i documenti, era corso a denunciarlo. In base alle dichiarazioni dei testimoni, fra i quali il professor Marcantonio Parenti – al quale Zannini si era rivolto per l’istituzione di un giornale di opposizione – i giudici giunsero alla conclusione che egli «era un facinoroso malcontento del governo che credeva e voleva la restaurazione, e preludeva e confidava in non lontani movimenti; ma niuna prova almeno certa, e sicura, in cui possa acquietarsi l’animo di un giudice, si ricava che il suo piano cospiratorio fosse ai medesimi [testimoni] partecipato e proposto» (ibid., p. 635). L’imputato quindi fu assolto perché il suo piano reazionario non era stato condiviso con nessun altro congiurato, né pubblicizzato per mezzo stampa. Seppure scagionato, il comandante dell’eroica resistenza di Osoppo concluse la sua esistenza in solitudine.
Morì a Modena, un anno e mezzo dopo, il 5 dicembre 1862, lasciando fama di uomo incoerente, instabile e impulsivo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Governo Provvisorio, Auditorato di guarnigione, Processo Zannini, n. 1105, filza 201; Consiglio di difesa, 1849, cart. 463; Almanacco di corte l’anno 1846, Modena 1846, p. 322; Asmodeo il diavolo zoppo. Giornale politico umoristico a benefizio di Venezia, 11 marzo 1849, p. 7; Gazzetta dei tribunali. Giornale universale di legislazione e di giurisprudenza, 19 dicembre 1860, pp. 634 s.; T. Vatri, Il forte di Osoppo nel 1848. Cenni storici, Torino 1862, pp. 11 s.; E. Jäger, Storia documentata dei corpi militari veneti e di alcuni alleati (milizie di terra) negli anni 1848-1849, IV, La guarnigione friulana del Forte di Osoppo, Venezia 1880, pp. 6-17; D. Barnaba, Ricordi. Dal 17 marzo al 14 ottobre 1848, in «Pagine friulane», 8 giugno 1890, pp. 49-58; E. Barbarich, Memorie storiche sull’assedio di Osoppo (24 marzo - 13 ottobre 1848), Udine 1903, pp. 1-160; G. Canevazzi, Lettere di Giuseppe Mazzini a diversi e il difensore di Osoppo, in Il Risorgimento italiano», VII (1914-1915), 5, pp. 753-764; C. Masi, Un patriotta toscano esule in Tunisia, in Mediterranea, VII (1934), pp. 30 s.; M. Rosi, Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, p. 634; A. Faleschini, Corrispondenze di L. Z. e L. Andervolti dopo l’assedio di Osoppo del 1848, in Atti dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Udine, s. 6, X (1945-1948), pp. 147-168; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, I, Torino 1962, pp. 372 s., 399; E. Folisi, Uomini d’arme e di pensiero del Risorgimento friulano, in Quaderni dell’Accademia udinese di scienze, lettere e arti, XVII (2009-2011), p. 12.