Licenziamento
licenziaménto s. m. – Il l. è l’atto unilaterale con il quale il datore di lavoro recede dal contratto di lavoro subordinato, ed è un atto recettizio che produce effetti solo nel momento in cui è ricevuto dal lavoratore. Nel contratto di lavoro al quale è stato apposto un termine di durata (v. lavoro a termine) al datore di lavoro è consentito intimare il l. prima della scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa e, cioè, di un fatto che non consente la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato, invece, ai sensi dell’art. 2118 cod.civ. ciascuna delle parti può in qualsiasi momento recedere dal contratto con il solo obbligo del preavviso la cui durata è fissata dalla contrattazione collettiva (l. ad nutum). Questo generale principio di libera recedibilità dal contratto di lavoro a tempo indeterminato continua a operare per il recesso intimato dal lavoratore (dimissioni) ma è stato nel tempo significativamente circoscritto per quanto attiene al recesso del datore di lavoro (licenziamento). Infatti al datore di lavoro è oggi consentito di recedere liberamente dal contratto di lavoro solo durante il periodo di prova, quando il lavoratore ha maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, in caso di lavoro domestico e di lavoro sportivo professionistico. Anche per i dirigenti continua a operare il principio della libera recedibilità, ma un obbligo di motivazione del recesso del datore di lavoro è stato convenzionalmente introdotto dalla contrattazione collettiva con conseguente tutela risarcitoria del dirigente in caso di motivazione inadeguata. Al di fuori di questi limitati casi opera il principio legale di giustificatezza introdotto nel nostro ordinamento a partire dal 1966. Il l. è consentito esclusivamente in presenza di adeguati motivi soggettivi, cioè imputabili al comportamento del lavoratore (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), od oggettivi, perché imputabili alle esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro (giustificato motivo oggettivo e l. collettivi).
Licenziamento disciplinare. – È il l. intimato per motivi soggettivi e può essere intimato in presenza di un notevole inadempimento del lavoratore (giustificato motivo soggettivo) o di un comportamento di gravità tale da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro (giusta causa). Solo in questo secondo caso non è dovuto il preavviso. Il l. disciplinare può essere intimato esclusivamente all’esito di un procedimento disciplinare (art. 7 della legge n. 300 del 1970) il cui scopo è quello di garantire il diritto di difesa del lavoratore. E infatti questo procedimento richiede che al lavoratore venga contestato per iscritto, tempestivamente e con adeguata specificità, il fatto che gli si addebita onde consentire al dipendente di fornire, nei cinque giorni successivi, le sue eventuali giustificazioni. Solo dopo aver valutato le giustificazioni del dipendente il datore di lavoro può, se ritiene che ne sussistano i presupposti, intimare il l. con effetti che retroagiscono al momento dell’avvio del procedimento disciplinare che coincide con la comunicazione della lettera di contestazione degli addebiti.
Licenziamento per motivi economici. – È il l. motivato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (giustificato motivo oggettivo). Si tratta di fatti del tutto estranei alla sfera soggettiva del lavoratore e il l. può in questi casi essere validamente intimato quando l’esigenza oggettiva comporta la soppressione della posizione di lavoro del dipendente e risulti impossibile adibire il lavoratore ad altra posizione di lavoro, già esistente nell’organizzazione del datore di lavoro, che richiede lo svolgimento di mansioni equivalenti alle precedenti (cosiddetto obbligo di repechage). In caso di l. per giustificato motivo oggettivo è sempre dovuto il preavviso. La riforma del lavoro del governo Monti, definitivamente approvata dal Parlamento con l. 26 giugno 2012, n. 92, ha da ultimo disposto che il l. per motivi economici deve contenere la contestuale specificazione dei motivi oggettivi posti alla base del recesso e deve essere preceduto da un preventivo tentativo di conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro del luogo dove è eseguita la prestazione. Gli effetti del l. retroagiscono al momento di avvio della procedura di preventivo tentativo di conciliazione che coincide con la comunicazione che il datore di lavoro deve inoltrare alla Direzione territoriale del lavoro rappresentando l’intenzione di risolvere il contratto di lavoro per motivi oggettivi, i motivi del l. nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.
Licenziamento collettivo. – È il l. per motivi economici che riguarda almeno cinque lavoratori nell’arco di centoventi giorni intimato da datori di lavoro che occupano più di quindici dipendenti in conseguenza di una cessazione, riduzione o trasformazione di attività o di lavoro. La motivazione del l. collettivo non presenta significative differenze rispetto al giustificato motivo oggettivo richiesto per il l. individuale ma la dimensione sociale del licenziamento collettivo giustifica l’applicazione di una peculiare disciplina che affida la verifica dei presupposti del l. a un confronto tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali (procedura di informazione e consultazione sindacale) che deve precedere il recesso. All’esito di tale procedura sindacale, la cui durata massima è di settantacinque giorni, i lavoratori da licenziare devono essere individuati in applicazione dei criteri di scelta fissati dalla legge o eventualmente concordati con i sindacati anche in deroga alle disposizioni di legge. In caso di accordo sindacale sono ridotti gli oneri economici a carico del datore di lavoro. Il l. deve essere comunicato nel rispetto dei termini di preavviso.
Licenziamento discriminatorio. – È un l. nullo perché determinato da ragioni sindacali, politiche, religiose, razziali, etniche, nazionali, di lingua, di orientamento sessuale e di infezione da HIV. Indipendentemente dalla motivazione (soggettiva od oggettiva) formalmente posta dal datore di lavoro a base del l., la natura discriminatoria del l. deve essere provata dal lavoratore. I fattori di discriminazione giuridicamente rilevanti sono tipici e, dunque, sono esclusivamente quelli individuati dalla legge. Proprio in ragione del particolare disvalore che esprime, il l. discriminatorio è in ogni caso sanzionato con la reintegrazione ad effetti risarcitori pieni (v. reintegrazione) e il lavoratore può avvalersi di peculiari strumenti di tutela quali, per esempio, l’azione inibitoria e ripristinatoria. Qualsiasi l. deve essere stragiudizialmente impugnato dal lavoratore nel termine di decadenza di sessanta giorni dalla sua ricezione. Nei centottanta giorni successivi all’impugnazione stragiudiziale il lavoratore, sempre a pena di decadenza, deve procedere con il deposito del ricorso giudiziale o con la richiesta di un tentativo di conciliazione o arbitrato. In caso di contenzioso ricade sul datore di lavoro l’onere di dimostrare in giudizio la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) posto alla base del licenziamento. È invece onere del lavoratore dimostrare l’eventuale natura discriminatoria del l. o l’esistenza di un motivo illecito esclusivo e determinante che ne comporta, al pari della natura discriminatoria, la nullità. In ogni ipotesi di l. il datore di lavoro deve versare un contributo di finanziamento all’assicurazione sociale per l’impiego e al lavoratore spetta un trattamento di disoccupazione.