LICAONIA (A. T., 88-89)
Regione interna dell'Asia Minore costituita di un altipiano dell'altezza media di 1000 m. circa, incassato fra i monti della Frigia e dell'Isauria a O., del Tauro a S. e della Cappadocia a NE. Esso rappresenta il fondo di un esteso mare pliocenico, che prosciugandosi ha lasciato il terreno impregnato di sali e cosparso di laghi salati, talora ampî, ma sempre assai poco profondi. Il maggiore di questi è il Tuzlu Gol, di circa 1700 kmq., le cui acque hanno una salinità di ben 32% e che è orlato verso S. da un'estesa zona paludosa e malsana. Nella parte sud-orientale dell'altipiano si elevano alcuni vulcani del Quaternario inferiore, fra i quali il Hasan Dağ raggiunge i 2400 m. La regione, di clima nettamente continentale, è la più secca e spopolata dell'Asia Minore. Conia ha solo 180 mm. di pioggia all'anno e 36 giorni piovosi. Fino a poco fa la Licaonia, che nel sec. XIII ebbe un periodo di floridezza sotto i Selgiuchidi, era solo una magra regione pastorale, visitata dai Turchi pastori nomadi di pecore e di capre. Le aree coltivate (grano, legumi, vite, frutta e cotone) e quelle ad allevamento (bovini) erano sparse ai piedi dei rilievi montuosi marginali. La costruzione della ferrovia di Baghdād e le opere di derivazione dai laghi isaurici di Kireli (Beyşehir) e Soğla, che hanno permesso l'irrigazione della pianura di Conia, hanno valorizzato non poco la posto di antiche città, sono Conia (Konya, 47.500 ab.), importante città commerciale, Ereğli (10.000 ab. circa), Karaman (5000 ab. circa), lungo la ferrovia di Baghdād, e Niğde più a oriente.
Storia e arte. - La regione non ha avuto un'autonomia politica e amministrativa che in età molto tarda, alla fine del sec. IV d. C.; per l'innanzi, dai satrapi persiani fino all'impero di Roma, fu aggregata in tutto o in parte all'una o all'altra delle regioni vicine: non è quindi da meravigliare se incerta e varia, a seconda dei tempi, è l'estensione ad essa assegnata: occorre comunque notare che la regione cui propriamente avrebbe dovuto spettare il nome di Licaonia, cioè quella abitata dai Licaoni, popolo di stirpe, sembra, affine ai Lici e ai Pisidî, e parlante, fino al sec. VI d. C., una lingua sua propria, è molto più ristretta di quella che anche nell'antichità è indicata sotto tal nome, e si limita alla parte meridionale di essa, a S. di Iconio.
Da Senofonte apprendiamo che i Licaoni erano nell'esercito di Creso, e che essi formavano con la Cappadocia una sola satrapia; dopo Alessandro Magno fecero parte del regno seleucidico, e dopo la sconfitta di Antioco furono assegnati dai Romani al regno di Pergamo. Venuto questo in possesso di Roma, la Licaonia non fu compresa nella provincia d'Asia, ma attribuita ai figli di Ariarate V di Cappadocia; tranne una parte di essa, a S. e a SO., che alla metà del sec. I a. C. era aggregata alla provincia di Cilicia, il resto passò variamente e successivamente ad altri dinasti asiatici confinanti, fino a quando tutta intera la regione fu di nuovo probabilmente riunita sotto lo scettro di Aminta.
Alla morte di questo, nell'anno 25 a. C., Augusto fece del suo regno la provincia di Galazia, e la Licaonia vi fu forse compresa per intero: colonie furono dedotte da Augusto a Listra e a Parlais. Sembra che Caligola ne distaccasse una parte, dandola, insieme con un tratto della costa di Cilicia, ad Antioco IV di Commagene; dopo la morte di questo, il regno di lui fu nell'anno 72 d. C. riunito con la Cappadocia.
Un nuovo mutamento nella compagine della Licaonia è ricordato al tempo di Antonino Pio, che della parte meridionale di essa, con un κοινόν di sette città, più le colonie romane di Iconio, Listra e Parlais, fece una sola provincia con l'Isauria e la Cilicia, e la parte settentrionale lasciò divisa fra la Pisidia e la Galazia. Tale partizione, pur con qualche spostamento di confini, rimase dopo la riforma dioclezianea. Soltanto nel 371-72 la Licaonia costituì una provincia a sé, aggregata alla dioecesis Asiana, assorbendo parte delle regioni vicine: essa godé in questo tempo di notevole importanza, che diminuì e si perdette invece più tardi per le guerre degli Arabi e per lo spostamento, più a settentrione, dei grandi traffici svolgentisi fra la capitale del Bosforo e i paesi dell'Oriente. Oltre a quelle già ricordate, città importanti della Licaonia erano Laodicea Combusta, Derbe, Laranda, ecc. Un gruppo di Licaoni è menzionato dai geografi anche nella Frigia.
I secoli III e IV hanno lasciato nella regione, particolarmente nei pressi di Iconio, una ricca fioritura d'iscrizioni cristiane attestante lo sviluppo ivi preso dalle istituzioni ecclesiastiche. Va citato l'epitafio del vescovo M. Giulio Eugenico da Laodicea Combusta, noto da un'antica copia e il cui originale è stato rinvenuto nel 1908. Per la sua storia e per il suo contenuto il testo può venir paragonato alla celebre iscrizione di Abercio. Le rovine cristiane della Licaonia comprendono l'importante gruppo di Kara Dağ (v.) e altri monumenti sparsi per la regione. Iconio, oggi Conia (v.), che dovette possedere ricchi edifici religiosi, conserva i soli avanzi della chiesa bizantina di S. Anfiloco. Gli altri monumenti cristiani sono scomparsi in seguito alla conquista selgiuchida che conferì alla città un carattere musulmano. A circa 10 km. a settentrione di Conia, nella piccola città di Sille, due chiese rupestri; in quella dedicata alla Vergine Spelaiotissa pitture della fine del sec. XIII.
Bibl.: Ruge, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v.; W. M. Ramsay, Historical Geography of Asia Minor, Londra 1890; id., Lycaonia, in Österr. Jahreshef., VII (1904), suppl., col. 57 segg.; id., Studies in the history and art of the eastern provinces of the Roman Empire, Londra 1906; id., Luke the physician and other studies, Londra 1910 (soprattutto il capitolo 12°, The Church of Lycaonia in the fourth century); N. Bees, Die Inschriftenaufzeichnung des Kodex Sinaiticus Graecus 508 (976) und die Maria-Spilaeotissa-Klosterkirche bei Sille (Lykaonien), Berlino 1922 (Texte und Forschungen zur byzantinisch-neugriechischen Philologie, n. 1). Per M. Iulius Eugenicus, v. Journal of Roman Studies, 1920, p. 42 segg. e Calder, Monumenta Asiae Minoris antiqua, I, Londra 1928, pagine 89-91 (cfr. quest'opera anche per l'epigrafia della regione).