SAPIENZA, Libro della
È un libro deuterocanonico della Bibbia (v.) appartenente al gruppo dei libri detti sapienziali (v. sapienziali, libri), ed è precisamente quello di età più recente e l'unico scritto originariamente in greco.
L'argomento del libro è la lode della sapienza, sia in forza dei suoi pregi intrinseci, sia in conseguenza degl'insegnamenti della storia.
Nei codici greci il libro ha il titolo di Σοϕία Σαλωμῶνος, "Sapienza di Salomone", ma è anche chiamato semplicemente "Sapienza" da qualche scrittore antico; nella volgata latina reca il titolo di Liber Sapientiae. Veramente Salomone non è mai nominato espressamente nel testo del libro, ma a lui senza dubbio si allude in passi quali Sapienza, VII, 1-5, 17-19, e specialmente IX, 7-8.
Comincia con enumerare le disposiziuni per l'acquisto della sapienza (cap. I) e le tristi conseguenze della concezione materialistica della vita (II); passa quindi a descrivere la diversa sorte finale dei giusti e degli empî (III-V). Di questa sapienza hanno bisogno particolarmente i governantì (VI,1-23), e ad essi l'autore porta quale esempio sé stesso (in persona di Salomone), narrando com'egli abbia acquistato la sapienza e presentando i vantaggi che ne ha ricavati (VI, 24-IX). Segue una parte storica: dapprima si mostrano i pregi della sapienza dagli avvenimenti della storia biblica da Adamo fino a Mosè (X-XII), quindi per contrapposto si espone l'infondatezza dell'idolatria, di cui si cercano le origini nella venerazione per i defunti o per le immagini care o nella teoria evemeristica (XIII-XIV, 21), la corruziohe morale prodotta dall'ateismo (XIV, 22-31), e si termina con un confronto tra la vera religione e l'idolatria egizia (XV). Quest'ultimo punto è ancor più sviluppato sul terreno storico (XVI-XIX).
Sullo scopo generico del libro non ci può esser dubbio: è quello di rafforzare i giudei egiziani nella religione israelitica, con ragionamenti filosofici di tipo ellenistico e argomenti storici tratti dalla Bibbia, e di consolarli in mezzo a tribolazioni che essi andavano subendo dai circostanti idolatri, e che sono accennate specialmente in XV, 14-15.
Alcuni critici hanno ritenuto che il libro sia sorto dalla fusione di due o tre scritti, dividendo specialmente la parte storica da quella parenetica che precede; ma la mancanza di sodi argomenti in favore di tale ipotesi ha fatto sì che sia stata accolta da pochi.
Che l'autore del libro sia Salomone fu già ritenuto da parecchi Padri (Ippolito, Tertulliano, Cipriano, ecc.), e recentemente per argomenti filologici anche da D. S. Margoliouth (Expositor, 1900, I, p. 141 segg., 186 segg.), che suppose l'odierno testo del libro una traduzione dall'ebraico. Ma la canonicità del libro non fu riconosciuta dagli Ebrei; e tra i cristiani si ebbero pure dubbî, di cui si trova un'eco nel Canone muratoriano (v. sotto) e S. Girolamo osservò: "pseudepigraphus, qui Sapientia Salomonis inscribitur... apud Hebraeos nusquam est, quin et ipse stilus graecam eloquentiam redolet: et nonnulli scriptorum veterum hunc esse iudaei Philonis affirmant" (Praef. in libros Salom.). L'opinione di S. Girolamo è oggi seguita universalmente, sia per la ragione letteraria da lui addotta, sia per i concetti e le allusioni storiche contenute nel libro: oggi si ritiene infatti, forse senza eccezione, che lo stile schiettamente greco dello scritto e gli scopi a cui esso mira, insieme con gli argomenti che adduce, lo assegnino con sicurezza alla tardiva epoca ellenistica e precisamente a un autore che apparteneva a qualche dotto circolo del giudaismo di Alessandria.
L'opinione dei nonnulli scriptorum veterum, che attribuiva il libro a Filone d'Alessandria (v.), non ha nell'antichità altra testimonianza tranne quella di S. Girolamo; se ne è voluta trovare una conferma nella frase del Canone muratoriano che dice "sapientia ab amicis Salomonis in honorem ipsius scripta", supponendo cioè che nel presunto originale greco ὐπὸ ϕιλὼν (Tregelles) o ὐπὸ ϕίλοις (Motzo) fossero corruzione di υπὸ Φίλωνος, "da Filone", ma è una congettura assai problematica. A ogni modo, certo per la notizia data dall'autorevole Girolamo, Filone fu ritenuto autore della Sapienza da parecchi scrittori del Medioevo, da Cassiodoro fino a Nicola di Lira, e anche da molti protestanti a cominciare da Lutero e Calvino: ai nostri giorni questa attribuzione è stata rimessa in onore da qualche studioso, ma con scarsissimo seguito.
In genere si attribuisce il libro a un'epoca più antica di quella di Filone (metà del sec. I d. C.), e si fissano i due estremi della sua composizione al 200 e al 50 a. C., con maggiori precisazioni a seconda delle opinioni. Lo scopo del libro, di confermare i giudei d'Alessandria nella religione monoteistica e consolarli nelle persecuzioni che soffrivano, si può trovare giustificato dalle circostanze storiche sia del sec. I d. C., sia dei due secoli precedenti: i giudei d'Alessandria infatti subirono una persecuzione dì estrema violenza ai tempi di Caligola, essendosi rifiutati di accettare il culto delle statue imperiali (per la quale vertenza Filone sostenne a Roma un'ambasceria, da lui narrata nella sua Legatio ad Caium); tuttavia questa persecuzione non fu l'unica, giacché anche all'epoca degli ultimi Tolomei i giudei subirono più d'una oppressione sia da governanti sia dalla plebe pagana, mentre soprattutto a quell'epoca erano continuamente sotto la lusinga della seduzione idolatrica tipicamente egiziana (vedi la riprovazione della zoolatria in XII, 24; XV, 18).
L'autore era un giudeo dotato di segnalata cultura ellenistica. Il suo lessico contiene molte espressioni schiettamente greche (ἀδελϕοκτόνος, X, 3; γενεσιάρχης, γενεσιουργός, XIII, 3, 5; κακότεχνος, I, 4; XV, 4; ϕιλάνϑρωπος, I, 6; ecc.); egli ha notizia di concetti e di termini della filosofia greca (ἄμορϕος ὕλη, XI, 18; ἐνέργεια, κίνησις, σωϕροσύνη, ϕρόνησισ, δικαιοσύνη, ἀνδρεία, VIII, 7; πρόνοις, XIV, 3; XVII, 2, ecc.) e d'istituzioni civili o religiose greche (πρύτανις, XIII, 2; ἀγῶνα βραβεύειν, X, 12; μύστις, vIII, 4; ecc.). Di questa cultura ellenistica, secondo le disposizioni del giudaismo d'Alessandria, egli si servì per fare l'apologia della propria religione e nazione, e per dimostrare la superiorità del monoteismo israelitico alla luce, non solo dei fatti della storia biblica, ma anche di taluni concetti filosofici greci.
Per i testi biblici a sé anteriori l'autore - come abitualmente i giudei egiziani - si serve della versione greca dei Settanta. A sua volta nel Nuovo Testamento la Sapienza non è mai citata esplicitamente; vi sono tuttavia notevoli punti di affinità (cfr. Sap., XIII, 5; XII, 12, con Ronani, I, 20; IX, 19 segg.; Sap., V, 17 segg., con Efes., VI, 11 segg.; ecc.). Nella Chiesa la Sapienza fu accolta comunemente già nel sec. II.
Per la critica del testo greco della Sapienza, è di particolare importanza il testo latino della Volgata, che è quello dell'antica versione detta Itala, anteriore a S. Girolamo (probabilmente del sec. III); giovano anche i testi siriaci della Peshittā e della versione Siro-esaplare, nonché il testo copto.
Bibl.: Fra i commenti apparsi in questo secolo ricordiamo: C. Siegfried, Die Weisheit Salomos, in E. Kautzsch, Die Apokryphen und Pseudep. des A. T., I, Tubinga 1900; R. Cornely, Comment. in librum Sap., Parigi 1910; P. Heinisch, Das Buch der Weisheit, Münster 1912; R. Holmes, The Wisdom of Solomon, in Charles, Apocrypha, I, Cambridge 1913; A. T. S. Goodrick, Book of Widfom, Londra 1913; N. Peters, Die Weisheitsbücher des A. T., Münster 1914; E. Dimmler, Das Buch der Weisheit, M. Gladbach, 1920; E. Kalt, Das B. der W., Steyl 1925; F. Feldmann, Das B. der W., Bonn 1926. Fra altri studî ricordiamo: F. Feldmann, Textkritische Materialien zum B. der Weisheit aus der sahidischen, syrohexpl. und armenischen Übersetzung, Friburgo 1902; I. Holtzmann, Die Peshitta zum B. der Weisheit, ivi 1903; P. Heinisch, Die griechische Philosophie im Buche der Weisheit, Münster 1908; B. Motzo, Sull'età e l'autore della "Sapienza." di Salomone, in Saggi di storia e letter. giudeo-ellenistica, Firenze 1924, p. 31 segg. (cfr. A. Pincherle, in Ricerche religiose, 1925, p. 385 segg.; B. Motzo e A. Pincherle, ibid., 1926, p. 39 segg.).