GIUBILEI, Libro dei
È un apocrifo nominato la prima volta da Didimo il Cieco (v. didimo di alessandria), che ne cita IV, 31, ma col titolo di Leptogenesi (Enarrat. in epist. I Joan., III, 12): questo titolo ("Piccola Genesi") corrisponde al contenuto dell'apocrifo, il quale ricalca la storia di Genesi I-XIII, XXIV; cosicché veniva contemporaneamente chiamato Leptogenesi e Giubilei da Epifanio di Salamina (Haeres., XXXIX, 6), per la ragione che i fatti narrati sono violentemente coartati dentro schemi di 49 anni, detti Giubilei, sebbene nella Bibbia essi comprendano 50 anni. Ma un altro nome ancora sembra dato a tale apocrifo nel decreto gelasiano, che abbina invece Leptogenesi con Liber de filiabus Adam; quest'ultimo titolo può riportarsi al presente apocrifo, giacché vi si nominano le figlie di Adamo (Awan, Asura, Noam, Mualelet) e i rispettivi mariti (IV, 1-14). Presso i tardi cronografi bizantini la Leptogenesi viene anche chiamata Apocalisse di Mosè, Testamento di Mosè, come presso Cedreno, Sincello, Niceforo, nome anch'esso spiegabile, giacché lo scritto ha per trama una visione avuta da Mosè sul Sinai, nella quale un angelo della più nobile schiera, qual è quella "della faccia" (cfr. Isaia, LXIII, 9), comunica a Mosè uno scritto, vergato dall'angelo stesso nei cieli, sotto la dettatura di Dio (I, 27; XXXIII, 18).
L'apocrifo però, dopo tanta fortuna presso gli eruditi medievali, scomparve nell'età più recente, finché non fu ritrovato per intero in testo etiopico. Fu edito, da due manoscritti, la prima volta da A. Dillmann, Masḥafa Kufâlê sive Liber Iubilaeorum, ecc. (Kiel 1859), e un trentennio dopo da 4 manoscritti ma con molte emendazioni congetturali - informate alla teoria che il nostro apocrifo è una redazione parallela al testo canonico del Genesi in dipendenza d'una fonte comune - da R. H. Charles, Masḥafa Kufalê or the Ethiopic version of the Hebrew Book of Jubilees, ecc. (Oxford 1895). Un biennio dopo la fatica del Dillmann, A. M. Ceriani scopriva un amlpio frammento di versione latina, comprendente in forma mutila circa un terzo dell'etiopico, in un palinsesto di Bobbio, edito in Mon. Sacr. et Prof., I, 1 (Milano 1861, pp. 15-62), seguito ben presto da un frammento di versione siriaca del British Museum, contenente, come ne diceva lo stesso titolo, i nomi delle figlie di Adamo (in Mon. Sacr. et Prof., II, 1, Milano 1863, pp. IX-X). Recentemente E. Tisserant ha accresciuto questo frammento siriaco con altri 17, desunti da una cronaca siriaca del sec. XII (in Revue Biblique, 1921, pp. 55-86; 206-232). Da questa scoperta si ha la prova più convincente che l'apocrifo originale fosse in lingua ebraica, mentre ragioni filologiche indurrebbero ad ammettere la contemporaneità della versione siriaca dell'apocrifo con la versione biblica detta Pescitta.
Interessante è il modo con cui nei Giubilei si tratta il libro del Genesi: non si rifugge dalle citazioni alla lettera, non tanto del testo ebraico o masoretico, ma dei Settanta o anche della versione samaritana, come vogliono F. Bohn e A. Büchler (III, 6; Gen., II, 23; III, 17-19; Gen., III, 2-5, ecc.); fedeltà quasi assoluta si riscontra nel riferire le parole dei patriarchi, dai quali si desume a ragione l'origine della storia gloriosa d'Israele; ma pure si ammettono soppressioni intenzionali (p. es., manca Gen., III, 17), e specialmente si allarga il testo sacro con aggiunte particolareggiate.
Così si enumerano tutte le sottodivisioni della più umile casta angelica, quella che presiede agli elementi (II, 2); Isacco sarebbe stato slattato precisamente al primo anno del quinto settenario del 41° giubileo (XVII, 1); Noè si ubbriacò con vino di quattro anni, giacché la vigna sarebbe stata piantata al primo anno del settimo settenario del 26° giubileo (VII, 1-7); Abramo ricevette da Dio il privilegio di dar la caccia ai corvi, in premio d'averlo adorato, ancor quattordicenne, nella casa paterna (XI, 16-22); egli inoltre voleva sacrificare il figlio Isacco per istigazione di Satana, chiamato sovente in questo apocrifo col titolo ancora non spiegato di Mastema (cfr. VII, 16; XLVIII, 2; XLIX, 2).
Le tendenze dell'autore, nel rimaneggiare così il testo sacro parallelo, non solo mirano a specificare la grandissima antichità del popolo giudaico, ma anche a consacrarne con una prassi persino premosaica la legislazione, specialmente riguardo alla circoncisione e al sabato: quindi è che persino gli angeli, considerati vestiti d'una veste corporea, sono circoncisi in cielo (XV, 27), come, dipendendo facilmente anche in tal punto dall'apocrifo etiopico di Enoch (v.), essi possono aver connubio con le "figlie degli uomini" (IV, 22; cfr. Enoch etiop., VI-XVI); gli stessi angeli praticano il sabato in cielo, come lo praticò poi Adamo, che in tal giorno si astenne persino dall'imporre i nomi alle bestie (II, 17 segg.; III, 1-6). Per tal modo si può riallacciare la storia del popolo giudaico con la creazione stessa delle cose; ma a tal fine occorre rimuovere nei racconti biblici ogni ombra di disdoro dalla persona dei patriarchi.
Se Giacobbe sembra servirsi di un'astuzia non lodevole per avere dal padre la benedizione di primogenito (Gen., XXVII), i Giubilei se ne spicciano, ponendo in bocca a Rebecca le parole di Esaù (XXV, 1-20), e facendo dire a Giacobbe, non già d'esser Esaù (Gen., XXVII, 24), ma invece: Io sono tuo figlio (XXVI, 19). Parimenti essendo cardine dell'apocrifo la glorificazione della casta sacerdotale che fa capo a Levi, urgeva purgare questo patriarca dal reato di crudele insincerità commesso contro i Sichemiti, che tanto afflisse il padre Giacobbe (Gen., XXXIV, 30; XLIX, 5-7); e allora anzitutto si fa dare a Levi la benedizione del nonno Isacco (Gen., XXXI, 12-17), e poi si trovano attenuanti (la sorella Dina è fanciulla dodicenne, XXX, 1-6); non si dice della sua imprudenza (Gen., XXXIV, 1); si tace dei dolori della circoncisione, di cui astutamente profittò Levi (Gen., XXXIV, 14-25), che immobilizzavano i Sichemiti; infine è un angelo che aveva mosso all'eccidio (XXX, 5-6), ché anzi la strage è elevata a simbolo dell'odio che debbono aver i Giudei per i matrimonî misti con pagani (XXX, 6 segg.).
Se l'indole e le tendenze rivelano un autore giudaico, non è facile determinare a quale setta egli appartenesse; vi si riscontrano in parte elementi di tutte, tranne di quella dei Sadducei, giacché crede alla sopravvivenza delle anime (XXIII, 30 seg.; V, 13 seg.), pur negando, a quanto pare, la resurrezione dei corpi (XXIII, 31). Invece pare assodato un ambiente ellenistico, nel quale sorse l'apocrifo: nella festa dei Tabernacoli si usa una corona d'alloro sul capo (VIII, 3), il che ci porta fuori della Palestina. D'altra parte non mancano elementi strettamente egiziani, come il sistema fondamentale di divisione di settenarî in settenarî, che pare invece usato dai Giudei alessandrini (Bohn). Quanto all'epoca, i giudizî sono discordi, alcuni proponendo il sec. II d. C.; altri, con maggiore probabilità, fisserebbero il 125 a. C. quando Giovanni Ircano conquistò l'Idumea, con cui si spiegherebbe la venerazione per la tribù di Levi, e l'insistenza con cui vi si provano i diritti antichissimi del popolo giudaico a quella terra; certo che il nostro apocrifo sorse dopo l'ultima redazione di Enoc etiopico e dei Testamenti dei XII Patriarchi, dai quali dipende e che cita spesso.
Curiosa nei Giubilei è l'assenza quasi totale d'una concezione in qualunque modo messianica, tutto immerso come è l'autore nell'idea d'una nuova creazione; la quale non si sa se assegnare a dopo il giudizio o prima, ma in cui il bene più grande atteso pare essere la longevità, negata invece per il peccato da Dio (cfr. XXIII, 27 segg.) e il bando dato al diavolo (XXIII, 29; L, 5). Per il tempo che bisogna aspettare, si può aver remissione dei soli peccati d'ignoranza (XXII, 14), ma una volta l'anno, e in una festa propiziatoria che sarebbe stata istituita a commemorare la morte di Giuseppe (XXXIV, 19), nel che si potrebbe vedere una delle solite parodie giudaiche, riallacciantisi al Messia ben Joseph, ma certo posteriori al sorgere del cristianesimo.
Bibl.: B. Beer, Das Buch der Jubiläen und sein Verhältnis zu den Midraschim, Lipsia 1856; F. Bohn, Die Bedeutung des Buches der Jubiläen, in Theol. St. Krit., 1900, pp. 167-184; F. Martin, Le livre des Jubilés, but et procédés de l'auteur, in Rev. bibl., 1911, pp. 321-344, 502-533; A. Büchler, Studies in the book of Jubilees, in Rev. étud. juiv., LXXXII (1926), pp. 253-274; id., Traces des idées hellénistiques dans le livre des Jubilés, in Rev. étud. juiv, LXXXIX (1930), pp. 321-348.