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LIBERTÀ

di Mario De Caro - Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)
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LIBERTA

Mario De Caro

LIBERTÀ. – La discussione sul libero arbitrio. I processi decisionali, la psicologia cognitiva e le neuroscienze. La discussione sulla libertà in politica. Bibliografia

Il grande storico delle idee Isaiah Berlin ricordava che nel corso del tempo il termine libertà è stato usato in più di 200 diverse accezioni. Fortunatamente, da un punto di vista filosofico generale si possono individuare due aree semantiche fondamentali in cui questo termine è utilizzato: una relativa al libero arbitrio, ossia la facoltà individuale di volere, scegliere e agire senza costrizioni esterne e interne, e una relativa alla libertà politica, nelle sue molteplici declinazioni. Negli ultimi anni a entrambe le nozioni sono state dedicate ampie discussioni.

La discussione sul libero arbitrio. – Per buona parte del Novecento, il libero arbitrio ha suscitato scarso interesse nel mondo filosofico, e ciò per varie ragioni, parzialmente intrecciate tra loro, come il netto rifiuto delle questioni metafisiche da parte di molte tradizioni filosofiche (come il neopositivismo, il pragmatismo, la filosofia del linguaggio ordinario e il decostruzionismo); la fortuna della cosiddetta svolta linguistica, ossia che lo studio del linguaggio abbia priorità rispetto alle altre questioni filosofiche; e la fortuna di concezioni come la fenomenologia e l’esistenzialismo che – al contrario di gran parte della tradizione filosofica – hanno assunto l’esistenza del libero arbitrio come dato originario e incontrovertibile, negandone dunque la problematicità. Negli ultimi anni del Novecento, tuttavia, gli effetti della svolta linguistica si sono progressivamente attenuati e gli interrogativi della metafisica classica sono tornati in auge, compresa la domanda sulla possibilità della l.: e ciò soprattutto (ma non solo) negli ambiti filosofici anglosassoni, tradizionalmente meno legati alle filosofie dell’esistenza. In questo modo le discussioni sul libero arbitrio si sono intensificate al punto che, in questo scorcio di 21° sec., tale questione è tornata a essere una delle più di-battute dell’intero panorama filosofico. In questo modo, si è molto raffinata la nostra comprensione del problema, da una parte perché è stato esteso e rigorizzato l’apparato concettuale con cui esso viene indagato da secoli e, dall’altra, perché si è discusso della gran messe di dati relativi ai meccanismi decisionali che senza posa ci arrivano dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze (De Caro 20155).

Sul piano dell’analisi concettuale, i progressi sono stati notevoli da diversi punti di vista. In primo luogo, la definizione stessa di libero arbitrio è stata oggetto di importanti discussioni e ridefinizioni: una delle più rilevanti, per es., concerne il nesso tra questa idea e la possibilità di fare altrimenti, che la tradizione filosofica ha interpretato come essenziale e che alcuni autori oggi contestano (Mele 2009). In secondo luogo, è controverso se il libero arbitrio sia condizione di possibilità della responsabilità morale o della razionalità o della dignità umana. Infine, si è molto discusso della compatibilità del libero arbitrio con il determinismo e con l’indeterminismo.

Le principali concezioni contemporanee possono essere raggruppate in due grandi famiglie: il compatibilismo, secondo il quale la l. è compatibile con il determinismo causale, e il libertarismo (o incompatibilismo libertario), per il quale la l. è compatibile soltanto con l’indeterminismo causale. Ma entrambe queste famiglie di concezioni incontrano difficoltà concettuali molto rilevanti. Pertanto, poiché sembra che il determinismo e l’indeterminismo causale siano logicamente esaustivi, la questione del libero arbitrio si presenta come estremamente ostica. Ed è per questo che molti autori contemporanei si dichiarano scettici rispetto alla possibilità di risolvere la questione o addirittura arrivano ad affermare che il libero arbitrio è una mera illusione (Gazzaniga 2011).

Molte sono le scienze i cui risultati vengono utilizzati nel contesto delle discussioni sul libero arbitrio. Della fisica si è già detto: in questo caso la questione è se l’ambito macroscopico, e in particolare quello dell’agire umano, abbia carattere deterministico o indeterministico (Searle 2007). Ma è rilevante anche la biologia, soprattutto per il ruolo che i condizionamenti genetici operano sui nostri comportamenti. In questo senso, però, va ricordato che la tesi del presunto ‘determinismo genetico’, per quanto popolare sui mass media, è in realtà insostenibile: anche volendo assumere un punto di vista strettamente deterministico, i nostri comportamenti non potranno mai essere il frutto esclusivo del nostro patrimonio genetico, perché dipenderanno sempre anche dalle nostre interazioni con il mondo esterno.

Di qualche rilievo, negli ultimi anni, sono state anche le indagini nell’alveo della cosiddetta filosofia sperimentale, che hanno carattere sociologico e riguardano le nostre intuizioni prefilosofiche. L’idea fondamentale è che il senso comune abbia intuizioni di tipo libertario: ovvero che a livello prefilosofico gli esseri umani pensino che l’azione libera presupponga l’esistenza di corsi d’azione alternativi e che siano gli agenti a determinare quali tra questi corsi d’azione si attualizzano. Questa tesi è tuttavia stata contestata da alcuni studi che paiono suggerire che le nostre intuizioni sono piuttosto di tipo compatibilistico (nel senso che quando compiamo un’azione libera, ciò accade perché noi decidiamo di compierla volontariamente: anche se la nostra volontà è determinata da fattori al di là del nostro controllo). La discussione in questo campo è aperta; ma resta aperta anche la questione di quanto le intuizioni prefilosofiche sul libero arbitrio siano rilevanti rispetto alle argomentazioni che si possono portare pro e contro le diverse opzioni teoriche.

I processi decisionali, la psicologia cognitiva e le neuro-scienze. – I risultati di gran lunga più rilevanti degli ultimi trent’anni provengono però dall’ambito della psicologia cognitiva e delle neuroscienze. E, in quest’ambito, il contributo più discusso è certamente quello offerto da Benjamin Libet, neurofisiologo di Stanford scomparso nel 2007. Libet (2004) offre una presentazione complessiva di una lunga serie di pionieristici esperimenti escogitati già negli anni Settanta al fine di studiare i meccanismi sottostanti i processi decisionali e il rapporto tra il livello della decisione consapevole e quello dei processi neurali sottostanti. In una particolare versione di questi esperimenti, Libet chiedeva al soggetto sperimentale di compiere un semplice movimento come la flessione di un dito; questo movimento doveva essere compiuto spontaneamente, quando il soggetto avesse avvertito l’impulso a compierlo. Allo stesso tempo, il soggetto doveva controllare, usando uno speciale orologio, il momento esatto in cui avvertiva l’impulso a flettere il dito; e nel frattempo un’apparecchiatura misurava l’attività elettrica del suo cervello. Sulla base di centinaia di ripetizioni dell’esperimento, Libet osservò che il soggetto avvertiva l’impulso a flettere il dito circa 200 millisecondi prima dell’azione. Il dato più interessante, tuttavia, fu che 550 millisecondi prima del compimento di quest’azione (e dunque 250 millisecondi prima che il soggetto sia consapevole dell’impulso a flettere il dito) nel cervello del soggetto si verificava un rilevante incremento dell’attività elettrica (readiness potential, ossia «potenziale di prontezza») che, come mostrava l’analisi statistica, era causalmente correlato all’esecuzione dell’azione. Ciò avrebbe dovuto indurci a concludere, per Libet, che l’atto volizionale ha una causa inconscia e dunque non può essere definito libero nel senso che la tradizione filosofica ha dato a questo termine. Al soggetto resterebbe però, secondo Libet, una sorta di ‘libertà di veto’, nel senso che nei 200 millisecondi che separano la consapevolezza dell’impulso a piegare il dito e l’effettivo compimento di quest’azione l’agente può decidere di interrompere la catena causale che porterebbe a tale azione. Non pochi interpreti, tuttavia, sono stati più radicali di Libet e hanno concluso che i suoi esperimenti dimostrano, o almeno suggeriscono, l’infondatezza del-l’idea tradizionale del libero agire nel suo complesso. Dagli esperimenti di Libet è nata una feconda tradizione sperimentale sul cui valore filosofico si discute ancora molto. Non v’è ragione di pensare, peraltro, che la ricerca scientifica possa, da sola, dirimere la questione del libero arbitrio (Mele 2009). Non è previsione azzardata, però, che nei prossimi anni una gran messe di dati psicologico-cognitivi e neuroscientifici porterà nuova luce sui nostri processi decisionali (Dennett 2003).

La discussione sulla libertà in politica. – Anche la discussione degli ultimi anni sulla l. intesa in senso politico si è sviluppata attorno ad alcuni nuclei tematici principali. Il primo è quello legato alla famosa distinzione operata da Berlin tra l. negativa (ovvero la possibilità di agire liberi da vincoli e costrizioni) e l. positiva (ovvero la possibilità di autodeterminarsi, scegliendo valori e obiettivi da perseguire; Carter 2012). Alcuni autori, di matrice liberale o conservatrice, hanno riproposto in anni recenti l’idea di Berlin secondo cui la l. positiva porta in sé i germi del paternalismo, dell’autoritarismo e del totalitarismo, perché può portare a pensare che chi detiene il potere possa imporre una particolare visione di quale sia il bene individuale che i cittadini devono perseguire. In quest’ottica, la vera l. è piuttosto quella negativa, che garantisce semplicemente l’esistenza di una sfera di azione in cui le azioni del cittadino non siano sottoposte a vincoli esterni (in questo senso, dunque, la l. negativa è vista come il fondamento dei diritti civili, come la l. di espressione o di religione). Altri autori, hanno ritenuto che da sola la l. negativa non può garantire il riequilibrio economico-sociale e l’equità che è fondamento della società democratica, e che a questo fine sia importante mettere tutti i cittadini nella condizione di esercitare i propri diritti: e questo obiettivo è piuttosto legato all’ideale della l. positiva. Infine altri autori ancora hanno messo in questione la stessa dicotomia l. negativa/l. positiva come semplicistica, proponendo analisi concettuali più complesse.

Altre importanti discussioni hanno riguardato il ruolo che la nozione di libertà gioca nei maggiori paradigmi contemporanei della filosofia politica: dal contrattualismo liberale di John Rawls e Thomas Scanlon al repubblicanesimo di Quentin Skinner e Maurizio Viroli, dall’etica del discorso di Jürgen Habermas e Karl-Otto Apel al comunitarismo di Alasdair MacIntyre e Michael Sandel, sino al libertarismo, alle filosofie della differenza e alla tradizione della biopolitica. Infine va ricordato che un nuovo importante filone di ricerca riguarda la discussione su quali siano gli indicatori e le possibili misure della libertà politica nei diversi contesti sociopolitici (Carter 1999).

Bibliografia: I. Carter, A measure of freedom, Oxford 1999; D. Dennett, Freedom evolves, New York 2003 (trad. it. Milano 2004); B. Libet, Mind time. The temporal factor in consciousness, Cambridge (Mass.) 2004 (trad. it. Milano 2007); K. Flikschuh, Freedom. Contemporary liberal perspectives, Cambridge 2007; J.R. Searle, Freedom and neurobiology. Reflections on free will, language, and political power, New York 2007; A.R. Mele, Effective intentions. The power of conscious will, Oxford 2009; M.S. Gazzaniga, Who’s in charge? Free will and the science of brain, New York 2011; I. Carter, Positive and negative liberty, in Stanford Encyclopedia of philosophy, ed. E. Zalta, 2012, http://plato. stanford.edu/entries/liberty-positive-negative/ (11 luglio 2015); M. De Caro, Il libero arbitrio, Roma-Bari 20155.

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