Abstract
Declinata dalla Carta costituzionale quale prima e più importante tra le cd. libertà civili, alla libertà personale è specificatamente dedicato l’art. 13 Cost. che tutela, dal punto di vista processuale, tanto la libertà fisica, cioè il diritto di disporre della propria persona senza coercizioni fisiche o materiali, quanto le altre libertà che incidono in qualunque modo sulla sfera fisica o morale o sociale della persone. In ossequio al valore che tali libertà rivestono e alle garanzie assicurate dall’art. 13 Cost. e l’art. 5 CEDU, alla legge processuale spetta stabilire i casi e le modalità attraverso le quali si può procedere alla compressione di queste libertà e strutturare i rimedi e controlli a salvaguardia della sua inviolabilità, rafforzata, di recente, dalla l. 16.4.2015, n. 47. Analoghe tutele devono investire le misure pre-cautelari che, nei casi di necessità e urgenza, dopo l’arresto in flagranza di reato ex artt. 380 e 381 c.p.p. o il fermo di un indiziato di reato ex art. 384 c.p.p., possono essere disposte in via preventiva dall’autorità giudiziaria.
È considerazione sin troppo scontata che il tema della libertà personale sia intrinsecamente connaturato e compenetrato con il processo penale.
Sia che si osservi la questione nella prospettiva dell’accertamento della responsabilità (proscioglimento-condanna), sia che si consideri la questione sotto l’aspetto delle cautele endoprocessuali ovvero dei provvedimenti precautelari connessi all’ arresto o al fermo, il problema della libertà della persona è sicuramente centrale.
Il processo, infatti, è strumento di equilibrio tra Stato ed individuo, tra autorità e libertà (Amato, G., Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Milano, 1967).
Il tema, quindi, può essere esaminato da prospettive molto diverse: sono, invero, coinvolti profili di diritto penale sostanziale, di esecuzione penale, di diritto penitenziario, oltre che – naturalmente – di aspetti più strettamente processuali, ad ampio raggio.
Da quest’ultima prospettiva, peraltro, oltre a toccare le tematiche relative all’accertamento della colpevolezza, alla premialità, alle garanzie, il tema coinvolge le misure cautelari, cioè, la possibilità di restringere la libertà della persona prima dell’accertamento della responsabilità del fatto per il quale si procede: la materia suggerisce una prima “chiave” problematica di lettura al livello dei modelli processuali (Marzaduri, E., voce Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in Dig. pen., vol. VIII, 1994, 96).
Se, invero, la restrizione anticipata della libertà appare non solo compatibile, ma addirittura connaturata, all’essenza stessa del modello inquisitorio (puro), governato dalla presunzione di colpevolezza, un discorso diverso deve essere prospettato con riferimento al modello accusatorio (puro). Come ha, anche, recentemente confermato il legislatore (l. 16.4.2015, n. 47), la logica della presunzione di non colpevolezza sottesa al rito de quo non appare pienamente compatibile con provvedimenti restrittivi “anticipatori” di un giudizio di responsabilità. Peraltro, la prospettazione di modelli misti, pur con accentuazioni dichiaratamente accusatorie (di garanzia), finisce per vedere la presenza di queste cautele anche in questi modelli processuali.
Le stesse Corti internazionali, muovendo dalla riconosciuta presenza di queste forme restrittive della libertà, spostano l’accento sulle garanzie che al ristretto devono essere riconosciute.
È, invero, questo il terreno del confronto, nella misura in cui le esigenze del singolo si scontrano –sempre più, alla luce dei più recenti eventi internazionali – con le esigenze collettive di sicurezza.
Il tema della libertà personale, peraltro, è risalente. Cercando – pur con tutte le approssimazioni del caso – di fissare un momento cruciale nel dibattito in materia, deve farsi riferimento all’habeas corpus, in quanto da quella “nozione” il tema subisce una inequivoca indicazione ed una precisa dimensione giuridica. L’habeas corpus, abbreviazione dell’antica formula processuale del high prerogative writ, nata nell’Alto medioevo quale forma di controllo del sovrano sull’attività giurisdizionale delle corti e dei signori feudali progressivamente trasformato – dalla Petition of rights del 1628 e dall’ Habeas Corpus Act del 1679 e del 1816 – rappresenta un elemento vitale per la sottoposizione dell’autorità pubblica alla legge. Esso si traduce in un comando rivolto dal giudice a chiunque detenga una persona di condurla al suo cospetto affinché possa esaminare la legalità della detenzione. Si è detto che il suo significato non può venire misurato dalla frequenza con cui gli uomini ottengono in tal modo la libertà ma, ciò che conta, è che la polizia ed altri siano a conoscenza che esso è immediatamente utilizzabile per impedire una detenzione illegale.
Derivante dalla common law inglese, il writ di habeas corpus si presenta come un’ordinanza, di antica origine. Il common law conosce, infatti, varie specie di ordinanze, miranti a differenti finalità, tra queste, sicuramente quella più importante, in quanto è diretta alla tutela della libertà individuale, per mezzo dell’attuazione di un immediato controllo giurisdizionale della legalità di ogni arresto e detenzione, è, appunto, il writ di habeas corpus ad subiiciendum. Storicamente, la legge del 1960 (Administration of Justice Act) sull’amministrazione della giustizia ha sfortunatamente ristretto il conferimento della libertà mediante l’habeas corpus: prima l’ordine del giudice di procedere alla liberazione dell’individuo era definitiva, successivamente il detentore poteva chiedere l’assenso di appellarsi direttamente alla Camera dei Lord contro la concessione dell’ habeas corpus da parte di una sezione dell’Alta Corte.
L’habeas corpus mira ad ottenere un’inchiesta giudiziaria sulla legalità di qualsiasi forma di limitazione della libertà personale (si tratti di fermo della polizia, di detenzione, di ricovero in una casa di cura per malattie mentali, ecc…); esso può venire impiegato per saggiare la sufficienza giuridica di un’imputazione concernente una persona accusata di un reato: in conclusione, l’ordine rappresenta la salvaguardia più preziosa delle libertà personali. L’ordine – com’è intuibile – si è arricchito nel tempo di garanzie ed ulteriori diritti. Come ha affermato, in tempi risalenti, la Corte suprema, l’ordine non è «un rimedio statico, ristretto, formalistico» poiché il suo «grandioso fine» consiste nella «protezione degli individui contro l’erosione del loro diritto ad essere liberi da ingiuste restrizioni alla loro libertà». Caratteristica e scopo dell’habeas corpus è quella di assicurare la rapida liberazione della persona illegalmente detenuta: trattasi di un ordine «di diritto» perché viene emanato automaticamente alla dimostrata adduzione di un motivo e, nel passato, «di alta prerogativa», in quanto emesso in nome del potere sovrano. La principale arma costituzionale dell’habeas corpus è stata la clausola del «due process» del quattordicesimo emendamento: dopo che un detenuto ha esaurito i rimedi di diritto statale a sua disposizione, egli può rivolgersi ad un tribunale distrettuale federale per ottenere, quale pretesa a un diritto soggettivo federale, un ordine di habeas corpus.
La traduzione sul piano convenzionale di quell’antico diritto traspare dall’art. 5 § 3, CEDU (e dall’ omologo art. 9 § 3, Patto inter. dir. civ. e pol.), il quale stabilisce che «ogni persona arrestata o detenuta nelle condizioni previste dal § 1 c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere posta in libertà durante l’istruttoria. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all’udienza»: la previsione si sostanzia in una garanzia contro la privazione arbitraria o ingiustificata della libertà così da imporre il rilascio dell’interessato dal momento in cui il suo mantenimento in vinculis cessi d’essere ragionevole. L’ipotesi si adatta, specificatamente, alla custodia disposta nell’ambito di un procedimento penale, qualunque sia la fonte da cui scaturisce la restrizione (arresto o cautela), operando quando derivi da un autonomo provvedimento della polizia giudiziaria, dei privati o da un magistrato, compreso quello esercente le funzioni giurisdizionali. In ordine all’organo innanzi al quale la persona deve essere tradotta, la disposizione internazionale richiede unicamente che questo possieda i caratteri dell’indipendenza, tanto dall’esecutivo quanto dalle parti in causa, talché esso può anche non possedere i caratteri della giurisdizionalità; tuttavia, al magistrato è fatto divieto – anche nell’ambito cautelare – di poter svolgere nel corso dello svolgimento procedimentale le funzioni di organo d’accusa.
Caratteristica del diritto statuito all’art. 5 § 3, CEDU è quello d’imporre un controllo sulla legalità della privazione della libertà automatica e rapida (amplius, Ubertis, G., Principi di procedura penale europea, Milano, 2009). In linea con l’ordine dell’ habeas corpus, la Convenzione introduce una importante garanzia contro trattamenti illeciti nei confronti di coloro che si trovano nell’impossibilità di attivarsi autonomamente per far valere i propri diritti (soggetti in stato d’infermità, stranieri, ecc…). Quanto all’attuazione della tutela nel processo italiano, il richiamo va – ad esempio – agli istituti dell’udienza di convalida e all’interrogatorio di garanzia.
Diverso, pur trattandosi di previsioni le cui esigenze possono essere congiuntamente soddisfatte, appare il diritto confezionato dal § 4 dell’art. 5, co. 4, CEDU (e dal parallelo art. 9 § 4 Patto inter. dir. civ. e pol.) che statuisce come «ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di indirizzare un ricorso ad un tribunale affinché esso decida, entro brevi termini, sulla legalità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegale». In questo caso, il controllo sulla legalità della restrizione sottende un’iniziativa di parte, una domanda dell’interessato.
La “legalità” va intesa quale verifica delle condizioni legittimatrici della restrizione e degli altri aspetti legali (ad es. la competenza).
In generale, la disposizione convenzionale non impone necessariamente che il controllo venga condotto da un’autorità diversa da quella che ha deciso la detenzione, salva la preventiva garanzia – all’atto dell’adozione della misura – di una procedura “equa” cui abbia potuto partecipare, anche tramite un rappresentate, l’interessato. L’autorità deve essere, anche in questo caso, indipendente dall’esecutivo e dalle parti in causa, deve poter effettuare un controllo di legittimità e ordinare l’immediata liberazione del soggetto. La procedura deve articolarsi secondo “equità”, assicurando, altresì, il diritto del ristretto ad essere sentito, il diritto ad essere difeso da un legale (anche – ove non abbiente – con il gratuito patrocinio), la garanzia del contraddittorio e la parità delle armi, attraverso la celebrazione di un’udienza. La disposizione impone che la decisione intervenga «entro brevi termini».
A livello costituzionale le tutele appena indicate sono deducibili dal combinato disposto degli artt. 24, co. 2 e 111, co. 7, Cost. nella parte in cui riconoscono – rispettivamente – ad ogni persona il diritto di difesa, quale «diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», e il diritto di proporre ricorso per cassazione «contro i provvedimenti sulla libertà personale». Sul piano processuale la traduzione dei diritti de quibus appare più ampia e completa: oltre alla proposizione della domanda innanzi al giudice di legittimità (ricorso per saltum), la legge ammette che la persona ristretta possa presentare un’istanza di controllo (per tutte le misure – coercitive o interdittive, tanto sui provvedimenti genetici, quanto su quelli che incidono sulla cautela in esecuzione) ad un organo ad hoc, terzo rispetto al giudice che ha adottato la misura, qual è il Tribunale della libertà, avente una competenza “funzionale”. L’organo – meglio noto come Tribunale del riesame/appello – decide in composizione collegiale ed è dotato di particolari poteri di verifica e pregnanti poteri decisori. La procedura – in conformità a quanto imposto dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali – si articola in termini serrati, con idonee tutele a favore del ristretto, e garantisce tempi brevi di decisione, rafforzati, peraltro, dalla recente l. n. 47/2015, decorsi i quali – ancorché solo per il riesame – senza che il tribunale emetta la decisione, la misura perde efficacia, facendo riacquistare al ristretto la libertà.
Calando questi riferimenti nel codice di procedura penale vigente, il tema della libertà personale finisce inevitabilmente per coinvolgere una molteplicità di profili.
Si è così preso atto che la tutela non doveva assicurare soltanto la libertà “fisica” della persona, ma più in generale “le libertà” della stessa, in quanto estrinsecazione della sua personalità (v., ancora, Marzaduri, E., voce Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in Dig. pen., vol. VIII, 1994).
Si é, altresì, considerato che alla ineludibile riserva di legge doveva essere affiancata anche la riserva di giurisdizione: in altri termini, fermo restando che resta compito del legislatore fissare le condizioni (casi e modi) della restrizione, l’atto concreto di restrizione deve essere attribuito solo al giudice (e non più genericamente all’autorità giudiziaria) come confermano gli artt. 279 e 391 c.p.p. Restano conferiti al p.m. solo residuali poteri di intervento in via d’urgenza, salva la convalida del giudice da esercitare in tempi brevi (artt. 384-391 c.p.p.).
In questo contesto, il legislatore si è premurato di definire le condizioni in presenza delle quali è possibile restringere la libertà degli indagati o degli imputati: rigorosa determinazione dei tradizionali pericula libertatis, forte ancoraggio probatorio della gravità indiziaria, elevate soglie di pene detentive e specifiche tipologie incriminatici sono i caposaldi contenutistici dell’intervento a cui si aggiungono gravosi obblighi motivazionali a carico del giudice (l. n. 47/2015).
La raggiunta consapevolezza che, come la reclusione non può essere l’unica pena, così la carcerazione preventiva non può costituire l’unica cautela ma al contrario deve essere effettivamente l’extrema ratio, porta a prevedere un ampio catalogo di misure, applicabili anche cumulativamente – proprio per consentirne l’“adeguamento” al caso concreto – variamente graduato in punto di afflittività e di intensità, da renderle funzionali – in termini di adeguatezza, proporzionalità, gradualità – al caso concreto, evitando, altresì, anche negli sviluppi procedimentali ogni automatismo, in modo da consegnare al giudice un potere valutativo, caso per caso, ed un obbligo motivazionale, sempre sindacabile.
La considerazione che le istanze di protezione collettiva non possono sacrificare le soggettive istanze di tutela e garanzia, innesta ulteriori conseguenze: contemperamento delle esigenze di segretezza dell’attività d’indagine con quelle di difesa, attraverso un’ampia discovery; progressiva anticipazione delle garanzie del contraddittorio non incompatibile con le esigenze dell’azione “a sorpresa” propria delle cautele; rigide o, quanto meno, serrate scansioni temporali finalizzate alla verifica dei presupposti dei provvedimenti coercitivi; reiterate azioni di controllo – sia officiose sia ad iniziativa di parte – del perdurare delle condizioni sottese alla condizione del soggetto ristretto, con parallela salvaguardia – in linea con le istanze europee – delle vittime di taluni specifici reati; ragionevolezza dei tempi di durata dei provvedimenti, da considerarsi tendenzialmente provvisori e temporanei, in quanto “provvisori” e cautelari; rafforzamento degli strumenti di controllo attraverso un articolato sistema di gravami e di impugnazione.
Restano acquisite alla “cultura” del processo e della vicenda cautelare, la tutela della persona, il rispetto delle figure soggettive deboli, la considerazione delle esigenze individuali di vita, latamente intesa, la riparabilità dei provvedimenti ingiusti.
Non sono mancati, invero, i momenti di “crisi”, fra cui vanno annoverati i tempi non rigorosamente definiti delle decisioni della Cassazione, ai quali ha rimediato la l. n. 47/2015 ma che la giurisprudenza tende, tuttavia, a “minimizzare”. Restano ancora aperte le questioni riguardanti la durata eccessiva della custodia cautelare per effetto di provvedimenti sospensivi ed interrottivi connessi agli sviluppi processuali, la mancata previsione della libertà su cauzione, da modularsi secondo le disponibilità e le condizioni economiche soggettive, e la mancata disponibilità di strumenti elettronici di controllo, in dispregio a quanto viene preteso in sede sovranazionale. Ancora, restano aperti gli sviluppi della necessaria separazione del procedimento cautelare rispetto a quello di merito: trattasi di un punto da tenere fermo anche dopo gli interventi operati dal legislatore del 2015, posto che una loro eccessiva omologazione e compenetrazione rischia, infatti, di trasformare le cautele in una inopportuna (e incostituzionale) anticipazione della pena.
Artt. 2, 3, 13, 24 e 111 Cost.
Oltre agli autori citati nel testo, si rinvia a Chiavario, M., Libertà, III) Libertà personale (dir. proc. pen.), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1993, 5 ss.; Chiavario, M., La riforma del processo penale, II ed., Torino, 1992, 140; Chiavario, M., Una “carta di libertà” espressione di un impegno civile: con qualche sgualcitura (e qualche….patinatura di troppo), in AA.VV., Comm. c.p.p. Chiavario, III, Torino, 1990, 8 ss.; De Caro, A., Libertà personale e sistema processuale penale, Napoli, 2000, 37 ss.; Grevi, V., Le garanzie della libertà personale dell’imputato nel progetto preliminare: il sistema delle misure cautelari, in Giust. pen., 1988, I, c. 481 ss.; Grevi, V., Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano, 1976; Spangher, G., Considerazioni sul processo <criminale> italiano, Torino, 2015.