Libertà e determinismo
Le discussioni filosofiche sulla libertà si dividono in due principali ambiti tematici, caratterizzati da costellazioni di problemi filosofici ben distinte, sebbene non del tutto irrelate: quello della libertà politica e quello del libero arbitrio. La questione della libertà politica riguarda il nesso individuo-potere ovvero la relazione che intercorre tra i diritti e l'autonomia individuale, da una parte, e la coercizione sociale, dall'altra; e, poiché le forme della coercizione sociale sono molteplici, diverse sono anche le forme della libertà: politica stricto sensu, giuridica, morale, religiosa, economica e così via. La questione del libero arbitrio concerne, invece, il problema della libertà dell'agire e del volere preso nel suo senso più astratto, sullo sfondo del nesso individuo-natura (mentre nella formulazione più antica il tema era discusso sullo sfondo del nesso individuo-divinità).
A partire dalla fine del 20° sec. si è assistito a un notevole ritorno di interesse della filosofia per il tema del libero arbitrio, soprattutto nell'ambito anglosassone di matrice analitica, dove pure aveva subito un lungo oblio a causa del bando neopositivistico nei confronti delle questioni metafisiche tradizionali. Con la crisi del neopositivismo e degli atteggiamenti radicalmente antimetafisici, la discussione su tale tema è dunque tornata a svilupparsi in una molteplicità di direzioni, e ciò in quanto, come è ormai ampiamente riconosciuto, il cosiddetto problema del libero arbitrio si compone, in realtà, di una serie di problemi più specifici intrecciati tra loro.
In primo luogo, è una questione concettuale aperta se il libero arbitrio sia compatibile con il determinismo, con l'indeterminismo, con entrambi o con nessuno dei due (nel qual caso il libero arbitrio parrebbe impossibile). In secondo luogo, esiste una questione empirica del libero arbitrio: ci si può cioè chiedere se, ed eventualmente in quali casi, gli esseri umani siano liberi. Inoltre è controverso se il libero arbitrio sia condizione di possibilità della responsabilità morale o della razionalità o della dignità umana. Infine vengono discusse le relazioni tra il libero arbitrio individuale e la libertà politica (Pettit 2001). E la lista di questioni aperte potrebbe continuare.
La discussione di tali questioni è però subordinata a un'adeguata definizione dei termini rilevanti e allo scioglimento preliminare di alcuni equivoci comuni. La stessa definizione di libero arbitrio, in effetti, è problematica: tradizionalmente, per es., non c'è accordo se tale concetto si applichi solo all'agire o concerna anche la volontà. La maggior parte degli autori che partecipano al dibattito, tuttavia, concorda nel ritenere che il libero arbitrio presupponga due condizioni, nel senso che, prese individualmente, tali condizioni appaiono necessarie per il possesso del libero arbitrio (più controverso è se esse, prese congiuntamente, ne siano anche condizioni sufficienti). In tale pro-spettiva, nessuna concezione della libertà può dirsi adeguata se non è in grado di dare conto di entrambe le condizioni. Secondo la prima di esse, la libertà presuppone che all'agente si prospettino diversi corsi d'azione alternativi. Detto altrimenti: c'è un senso in cui, al momento di compiere un'azione libera, un agente potrebbe compierne una alternativa. La condizione delle possibilità alternative tuttavia non basta: la nozione di libertà, infatti, implica che la scelta tra questi corsi d'azione alternativi non avvenga casualmente, non sia cioè il prodotto di fattori fuori dal controllo dell'agente (come accade, per es., quando qualcuno decide quale azione compiere in base al lancio di una moneta). È dunque necessario che la scelta tra i corsi d'azione alternativi sia determinata dall'agente o, almeno, che questi partecipi in maniera rilevante al processo che conduce all'attualizzazione di quello specifico corso d'azione. La domanda da porsi allora è: in quale modo deve essere fatto il mondo affinché queste due condizioni possano darsi congiuntamente?
Per poter rispondere, occorre riferirsi a un'importante distinzione scientifico-metafisica: quella tra determinismo e indeterminismo ovvero, più specificamente, tra le versioni causali di tali nozioni nell'ambito della visione scientifica del mondo (esistono, in effetti, versioni di determinismo che non concernono la causalità e/o le leggi scientifiche, come, per es., il determinismo logico e alcune versioni del determinismo teologico). Il determinismo causale è la tesi secondo la quale ogni evento è effetto di un insieme di altri eventi che lo determinano, ovvero lo necessitano in accordo alle leggi di natura, e dunque congiuntamente presi ne rappresentano la causa sufficiente. L'indeterminismo causale è la negazione della tesi deterministica ed è compatibile sia con l'esistenza di eventi non causati sia con l'esistenza di eventi causati in modo probabilistico.
Determinismo e indeterminismo causali sono tesi mutuamente esclusive e congiuntamente esaustive: una, e una sola, di esse è vera. La maggior parte degli autori contemporanei, inoltre, lega la nozione di causalità a quella di legge di natura, nel senso che, secondo questa prospettiva, ogni relazione causale esemplifica una legge di natura. In questa luce, chiedersi se sia vero il determinismo causale (o se sia vero il suo opposto, cioè l'indeterminismo causale) significa chiedersi se l'insieme delle leggi di natura abbia carattere deterministico oppure indeterministico, e più specificamente se abbia carattere deterministico l'ambito dell'agire umano.
Questo tema è rilevante, perché una delle questioni cruciali è stabilire l'eventuale compatibilità del libero arbitrio con il determinismo e/o con l'indeterminismo causali. Come si è visto, infatti, affinché una determinata concezione del libero arbitrio possa dirsi soddisfacente, essa deve rendere conto sia della condizione delle possibilità alternative sia di quella dell'autodeterminazione. Il nodo cruciale della questione, tuttavia, è che le due principali concezioni del libero arbitrio - ovvero il compatibilismo, secondo il quale la libertà è compatibile con il determinismo causale, e il libertarismo (o incompatibilismo libertario), per il quale la libertà è compatibile soltanto con l'indeterminismo causale - incontrano notevoli difficoltà nel soddisfare queste condizioni. Pertanto, dal momento che il determinismo e l'indeterminismo causale sembra siano logicamente esaustivi, la questione del libero arbitrio si presenta come estremamente ostica. Così molti autori contemporanei si dichiarano scettici rispetto alla possibilità di risolvere la questione del libero arbitrio (Nagel 1986, van Inwagen 2000) o addirittura arrivano ad affermare che il libero arbitrio è una mera illusione (McGinn 1993, Smilansky 2000).
Spesso, però, viene sostenuto che, siccome la scienza (in particolare la meccanica quantistica) avrebbe provato la verità dell'indeterminismo, il mistero del libero arbitrio sarebbe definitivamente risolto. In realtà questa tesi è errata per una molteplicità di motivi, che è istruttivo prendere in considerazione.
In primo luogo, potrebbe accadere che la meccanica quantistica venga un giorno soppiantata da una teoria deterministica. Inoltre, secondo molti l'indeterminismo quantistico non ha ricadute significative sul livello macroscopico e dunque gli eventi macroscopici in genere, e le nostre azioni in particolare, obbediscono a leggi deterministiche. In molte scienze umane, d'altra parte, si assiste a un notevole ritorno di interesse per teorie di carattere deterministico. Ne segue che, se veramente il determinismo rappresentasse una minaccia per la libertà umana (un punto che in realtà, come si vedrà, è controverso), allora dovremmo concludere che quella minaccia non ha affatto cessato di incombere su di noi.
Ma c'è anche una ragione concettuale (già sviluppata da D. Hume) per pensare che il problema del libero arbitrio non sarebbe risolto neppure se si riuscisse incontrovertibilmente a mostrare che l'ambito dell'agire umano è indeterministico. In sé il mero indeterminismo fisico - comportando la semplice casualità degli accadimenti - non garantisce affatto la libertà; anzi, secondo molti filosofi, la rende impossibile. L'idea è che, se fosse vero l'indeterminismo, le azioni umane, al pari degli altri eventi, sarebbero fisicamente indeterminate; nulla, dunque, ne determinerebbe il verificarsi e, a fortiori, nemmeno gli agenti. Così gli agenti non eserciterebbero alcun controllo sulle proprie azioni; e dunque - conclude questo argomento - la libertà collasserebbe sul caso. E, indubbiamente, l'idea di libertà che ci sta a cuore (quella connessa all'autonomia, alla responsabilità, alla dignità, alla razionalità) non può essere confusa con l'idea di caso, di mera accidentalità.
Questo argomento stabilisce dunque che, di per sé, l'indeterminismo non è condizione sufficiente per la libertà (con buona pace di quanti affermano che, visto che il mondo è indeterministico, allora ipso facto si prova la nostra libertà). È tuttavia controverso se tale argomento presenti anche implicazioni più generali. Molti filosofi, seguendo Hume, sostengono infatti che l'argomento proverebbe anche che l'indeterminismo non può in alcun caso coesistere con la libertà. Secondo altri filosofi, invece, tale argomento stabilisce soltanto che l'indeterminismo non basta a garantire la libertà, ma non dimostra affatto che è incompatibile con essa. Anzi, per i fautori del libertarismo l'indeterminismo (pur non essendo condizione sufficiente della libertà) ne è condizione necessaria. Secondo questa prospettiva affinché si dia la libertà occorre che l'indeterminismo si coniughi con altre condizioni necessarie. Stabilire quali siano queste condizioni necessarie è compito a cui i filosofi libertari hanno risposto con varie proposte.
Secondo alcuni, per comprendere come la libertà sia possibile occorre postulare uno speciale potere causale degli agenti, irriducibile alla normale causazione tra eventi: ovvero il potere di iniziare nuove catene causali senza essere in ciò determinati. Per usare una significativa espressione di R.M. Chisholm, quando gli agenti agiscono liberamente essi sono come i "primi motori immobili" della tradizione aristotelica: nessun fattore, infatti, li determina a intraprendere l'azione (gli agenti sono cioè "inclinati" nelle loro scelte dalla loro storia e dal modo in cui è fatto il mondo, ma non sono "necessitati"). In questo modo, ogni volta che compie un'azione libera, un agente arricchisce il mondo di una nuova catena causale che poi procederà il suo corso secondo le leggi naturali. L'obiezione principale a questa teoria non è difficile da immaginare: essa sembra sovvertire la visione scientifica del mondo, che unifica il mondo sotto le leggi causali della fisica e non lascia spazio per alcun "primo motore immobile". A questa obiezione, alcuni libertari hanno risposto tentando di mostrare la conciliabilità della causazione degli agenti con quanto la scienza contemporanea dice sul mondo naturale (O'Connor 2000). Non pare illegittimo dire, però, che un tale programma risulti ancora ben lontano dall'aver trovato una forma soddisfacente.
Un'altra versione del libertarismo è il cosiddetto indeterminismo causale. Secondo questa concezione, nella catena di nessi causa-effetto che conduce al compimento di una determinata azione interverrebbe un decisivo momento indeterministico (che molti identificano con il momento deliberativo); ma tale momento indeterministico non sarebbe affatto ostacolo alla libertà in virtù del suo carattere causale (Kane 1996). Secondo i fautori di questa concezione, in sostanza, l'elemento causale sarebbe la condizione ulteriore, in grado di impedire che con l'indeterminismo la libertà collassi sul caso. Da una parte, infatti, la possibilità di corsi d'azione alternativi sarebbe garantita dall'elemento di indeterminazione nel percorso causale che conduce all'azione; dall'altra, però, il carattere causale di tale elemento permetterebbe di spiegare come l'agente possa esercitare il controllo sulle proprie azioni (nel senso che l'agente causa le azioni mediante i suoi rilevanti stati mentali: desideri, intenzioni ecc.).
Tuttavia questa concezione non è affatto immune da difficoltà. Tra le varie critiche, una in particolare appare molto insidiosa. Essa riformula in maniera più sofisticata l'accusa, che è stata già considerata, secondo la quale l'indeterminismo impedisce agli agenti di esercitare il controllo sui corsi d'azione che intraprendono. In effetti, in questo scenario, l'aspetto causale e quello indeterministico paiono radicalmente scissi: per quanto un agente possa (per mezzo dei suoi stati mentali) causare un, l'aspetto indeterministico è sempre tale che, esattamente nella stessa situazione, egli avrebbe potuto scegliere diversamente, causando una diversa azione (se così non fosse, la sua scelta sarebbe stata de-terminata). Di conseguenza, dato che, in quello specifico momento, dagli stati interni dell'agente - dalle sue credenze e dai suoi desideri - sarebbero potute discendere scelte e azioni diverse, non si può dire che tali stati abbiano determinato la differenza, facendo sì che l'agente scegliesse, per es., di andare al cinema invece che leggere un libro. E, in verità, come si è visto, se un atto è indeterminato, per definizione nulla lo determina e a fortiori nemmeno l'agente: dunque, se anche fosse vero che l'agente causa indeterministicamente le proprie azioni, non ne seguirebbe che egli possa auto-determinarsi, che, cioè, sia in grado di determinare quale tra i possibili futuri si attualizzerà. Tuttavia, secondo la nostra intuizione l'idea di libertà richiede essenzialmente quella di autodeterminazione. L'indeterminismo causale, dunque, non pare in grado di fornire un'adeguata concezione della libertà.
Ma non è solo il libertarismo a essere sotto attacco. Lo è infatti anche la principale concezione alternativa, il compatibilismo, secondo il quale il libero arbitrio è compatibile con il determinismo - una tesi, questa, risalente a J. Locke, Hume e J.S. Mill e difesa, tra gli altri, da D.C. Dennett (2003).
Tra le critiche tradizionalmente mosse contro tale concezione la principale è forse quella secondo cui il determinismo non può essere compatibile con la libertà in quanto renderebbe impossibile per un agente agire diversamente da come di fatto agisce. In una parola, il determinismo parrebbe rendere impossibile che all'agente si diano possibilità alternative. Ma la condizione delle possibilità alternative è, come si è visto, condizione necessaria della libertà. Non mancano proposte, da parte dei filosofi compatibilisti, tese a risolvere il problema. Una tipica strategia consiste nel riprendere il classico suggerimento humeano secondo il quale la condizione delle possibilità alternative è in realtà da intendersi in senso condizionale: l'idea è che, quando compie un'azione libera, un agente potrebbe fare altrimenti nel senso che se avesse una volontà diversa da quella che effettivamente ha (se avesse diversi desideri e diverse intenzioni), allora potrebbe agire diversamente da come di fatto agisce.
Molti però criticano questa proposta come meramente ad hoc, in quanto essa non avrebbe motivazioni indipendenti, ma sarebbe escogitata solo per dare conto del problema delle possibilità alternative in una prospettiva compatibilistica. Invero, l'intuizione legata all'idea che la libertà richiede le possibilità alternative sembra implicare che queste possibilità vengano presentate all'agente categoricamente, non condizionalmente. Quando si dice che un agente agisce liberamente, si intende dire che egli, qui e ora, potrebbe agire diversamente da come di fatto agisce: non che potrebbe agire diversamente se la sua volontà fosse diversa. A questa obiezione i compatibilisti rispondono con sottili analisi semantiche riguardo al concetto di possibilità qui rilevante. Essi distinguono, per es., tra possibilità intesa come capacità (che non è impedita dal determinismo) e possibilità intesa come opportunità (che è invece impedita, ma non sarebbe richiesta dalla possibilità di fare altrimenti), oppure tra la capacità di fare altrimenti e il suo esercizio. Gli avversari del compatibilismo, tuttavia, non sono affatto convinti dalla fondatezza di queste distinzioni, che a loro paiono bizantine, e ribadiscono con forza la loro intuizione, secondo la quale senza l'esistenza di possibilità alternative hic et nunc la libertà non può che essere una chimera. Tuttavia la ragione principale per cui, dagli ultimi decenni del 20° sec., molti filosofi hanno preso a dubitare delle presunte virtù del compatibilismo è soprattutto un nuovo e importante argomento: il cosiddetto argomento della conseguenza (van Inwagen 1983 e 2000).
Ecco una versione informale di questo argomento. Per poter agire liberamente rispetto a una qualsiasi azione particolare, un agente deve controllare quell'azione. Tuttavia, per poterlo fare, l'agente dovrebbe controllare o gli eventi nel passato remoto oppure le leggi della natura: ossia i due fattori da cui - se il determinismo causale è vero - quell'azione (al pari di tutti gli altri eventi) è necessitata. Purtroppo, ambedue i fattori sono al di là del controllo di qualunque agente, poiché il passato è inalterabile (niente o nessuno può controllarlo) e le leggi della natura sono ineludibili (nessun essere umano può violarle). Dunque, poiché ogni azione è determinata da fattori al di là del controllo degli agenti, nessun agente può mai agire liberamente.
L'argomento della conseguenza è stato, ed è tuttora, ampiamente discusso. I fautori del compatibilismo hanno provato ad attaccarne l'una o l'altra delle premesse, ma non pochi filosofi lo hanno trovato convincente. Per questo motivo, il compatibilismo - che per un lungo periodo aveva conosciuto vaste fortune in ambito anglosassone - affronta una seria crisi teorica.
Si è visto dunque, sia pure in maniera sommaria, quali difficoltà si siano presentate alle due principali concezioni della libertà, il libertarismo e il compatibilismo. Il libertarismo, radicando la libertà nell'indeterminismo, sembra presupporre una metafisica radicalmente antiscientifica oppure fa collassare la libertà sulla mera casualità. Il compatibilismo invece, connettendo la libertà al determinismo, non lascia spazio per la libertà di agire nel senso che agli agenti non si presenta mai la possibilità di agire diversamente da come di fatto agiscono. In questa prospettiva, non pochi filosofi affermano che la questione della libertà è in realtà irresolubile (che è un mistero e sempre lo rimarrà) e altri arrivano addirittura a sostenere che la libertà è una mera illusione. Non mancano però filosofi che, più ottimisticamente, e fidando nella correttezza delle nostre intuizioni sulla libertà, tentano di risolvere le difficoltà in cui sono impaniati il libertarismo e il compatibilismo.
Bibliografia
P. van Inwagen, An essay on free will, Oxford 1983.
Th. Nagel, The view from nowhere, New York 1986 (trad. it. Milano 1988).
C. McGinn, Problems in philosophy: the limits of inquiry, Oxford 1993.
R. Kane, The significance of free will, Oxford 1996.
P. van Inwagen, Free will remains a mistery, in Philosophical perspectives, 2000, 12, pp. 1-19.
T. O'Connor, Persons and causes: the metaphysics of free will, Oxford 2000.
S. Smilansky, Free will and illusion, Oxford 2000.
D. Pereboom, Living without free will, Cambridge 2001.
P. Pettit, A theory of freedom: from the psychology to the politics of agency, Oxford 2001 (trad. it. Libertà: libero arbitrio e libertà politica, Milano 2005).
D.C. Dennett, Freedom evolves, New York 2003 (trad. it. Milano 2004).
M. De Caro, Il libero arbitrio: una introduzione, Roma 2004.