Abstract
La voce analizza la disciplina costituzionale e sopranazionale della libertà di riunione, inquadrandola in una cornice storica e sistematica, particolarmente sensibile alla fenomenologia sociale e politica sottostante alla riunione e al rapporto tra la libertà di riunione e gli altri diritti fondamentali.
Diritto individuale che richiede, per esplicarsi, la compresenza di due o più persone, la libertà di riunione evoca, per sua stessa natura, alcuni snodi fondamentali del rapporto storico tra costituzionalismo e diritti. Centrale, senza dubbio, il profilo del rapporto tra autorità e libertà, e la pluralità di modelli disciplinari cui la diversa modulazione di tale rapporto, di volta in volta accolta dalle Costituzioni, ha dato luogo. Allo stesso tempo, tuttavia, la riunione chiama in causa la dimensione solidale dei diritti fondamentali, vale a dire il rilievo essenziale – e sempre più avvertito nelle società complesse – delle dinamiche di relazione e riconoscimento nelle modalità di esercizio di tali diritti. Anche nelle dinamiche della riunione, in altri termini, non rileva dunque soltanto il rapporto verticale tra i soggetti e la pubblica autorità, che con essi entra in relazione a fini di garanzia degli interessi collettivi con i quali la riunione può entrare in conflitto (sicurezza e incolumità pubblica, secondo il modello accolto dalla Costituzione italiana); altrettanto importante appare la dialettica tra dimensione individuale e dimensione collettiva, suscettibile di condizionare, come meglio si vedrà, aspetti pur puntuali della disciplina di tale diritto. Anche in questo caso, peraltro, il diverso rilievo attribuito, nelle esperienze costituzionali, alla dimensione comunitaria-assembleare (ma anche, più in generale, al fenomeno associativo), vale ad ispirare diverse modulazioni della disciplina costituzionale della libertà di riunione, e a qualificarne la collocazione sistematica (Ridola, P., Democrazia pluralistica e libertà associative, Milano, 1987; Sàlat, O., The right to freedom of assembly: a comparative study, Oxford, 2015).
D’altro canto, l’evoluzione storica della disciplina della libertà di riunione mostra che l’intreccio tra dimensione individuale e dimensione collettiva ha contribuito ad un progressivo arricchimento della sua proiezione politica. Così, per limitarsi ad un esempio, mentre in epoca statutaria la disciplina della riunione operava prevalentemente in ottica di salvaguardia dell’ordine costituito rispetto al potenziale di dissenso (o, al limite, di sovversione) ascritto all’esercizio di tale diritto (Ruotolo, M., Le libertà di riunione e di associazione, in Ridola, P.-Nania, R., a cura di, Diritti costituzionali, vol. II, Torino, 2001, 470), negli ordinamenti di democrazia pluralista la peculiare virtualità politica della libertà in esame viene preservata e promossa, come elemento imprescindibile di una dialettica democratica aperta alle più ampie possibilità di partecipazione (Barbera, A., Principi costituzionali e libertà di corteo, in AA. VV., Studi in memoria di Carlo Esposito, IV, Padova, 1974, 2723 ss.).
La libertà di riunione assume dunque, nel costituzionalismo contemporaneo, la duplice funzione di presidio della dimensione individuale (Ridola, P., Diritti fondamentali. Un’introduzione, Torino, 2006) e di tassello fondamentale nella costruzione dello spazio pubblico democratico, garantendone la continua ridefinizione e riarticolazione secondo dinamiche di tipo comunicativo e partecipativo (Ridola, P., Costituzione, stato e società nelle democrazie pluralistiche. Lo “spazio pubblico”, in Id., Stato e Costituzione in Germania, Torino, 2015, 123 ss.; Sàlat, O., op. cit., 2-3), così contribuendo ad irrobustire il processo di integrazione della comunità politica.
Vi è, anzitutto, una dimensione della riunione legata alla sua “fenomenologia di tipo sociale” (Borrello, R., Riunione (diritto di), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1401), che rinvia al senso peculiare della compresenza fisica. A riunirsi, infatti, sono persone, e nella corporeità della riunione risiede un primo fondamentale veicolo espressivo di rivendicazioni, esperienze di vita, e possibilità di sinergia tra la dimensione individuale e quella collettiva: esiste, insomma, una “performatività incarnata e plurale” della riunione (Butler, J., Notes toward a performative theory of assembly, Cambridge, 2015, 8) che sembra chiamare in causa, secondo concetti familiari al costituzionalista italiano, la proiezione sociale del principio personalista. Allo stesso tempo, dare il giusto rilievo alla circostanza che nella riunione la rivendicazione sia anzitutto incarnata in corpi, significa sottolineare che la responsabile partecipazione dell’individuo alla costruzione della comunità politica passa anche attraverso dinamiche di riconoscimento ed empatia che qualificano la dimensione solidale e cooperativa dell’impegno politico (nella misura in cui attraverso la compresenza fisica ci si riconosce nell’altro e con l’altro, portatore di rivendicazioni di vita, visioni del mondo e dimensioni di esperienza analoghe alle nostre; Butler, J., op. cit., 10-11, 15, 21-22). Nella riunione fisica, in altri termini, l’esercizio delle libertà civili assume la forma della relazione interpersonale, si apre al riconoscimento dell’altro e alla solidarietà, e conferisce profondità inedita alle rivendicazioni cui la libertà di riunione è (o può essere) strumentale. La riunione, insomma, è sempre “espressiva”, sia nel senso che essa crei un significato socialmente comprensibile, sia nel senso che lo rappresenti alla collettività, facilitandone il riconoscimento (Sàlat, O., op. cit., 7).
L’esercizio della libertà di riunione è, in questo senso, “matrice” di formazioni sociali, ma la sua disciplina deve sempre mantenere stabile l’equilibrio tra la tutela della posizione dei singoli e il riconoscimento della formazione sociale stessa, proprio perché – almeno con riguardo alla Costituzione italiana – la formazione sociale appare originariamente strumentale a garantire il libero svolgimento della personalità (Borrello, R., op. cit., 1404-1405; Ridola, P., Garanzie costituzionali e dimensioni dei diritti di libertà, in Id., Diritti di libertà e costituzionalismo, Torino, 1997, 1 ss., spec. 14 ss.). Riunione come diritto individuale e riunione come formazione sociale si trovano così in un legame necessariamente sinergico: la formazione sociale è sì “plastica realizzazione dell’efficacia della situazione soggettiva tutelata” (Pace, A., La libertà di riunione nella Costituzione italiana, Milano, 1967, 145) ma identifica, al tempo stesso, l’imprescindibile spazio di esperienza in cui la dimensione individuale si salda a quella del riconoscimento solidale nella costruzione dello spazio pubblico.
Questa dimensione socio-solidale rinvia, evidentemente, alla dimensione politica dell’esercizio della libertà di riunione che, seppur non esaurendo l’ambito oggettivo della sfera di libertà protetta – ché lo spazio pubblico non è soltanto spazio politico in senso stretto, ma contempla anche più complesse dinamiche di tipo culturale (Ridola, P., Stato e Costituzione, cit.) – ne rappresenta una delle proiezioni più significative: come è stato suggestivamente affermato, infatti, «la libertà in esame si colloca […] lungo un crinale nel quale è difficile distinguere con nettezza la faccia rivolta alla società da quella che guarda l’ordine politico» (Prisco, S., Riunione (libertà di), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1994, 1).
Allo stesso tempo, è innegabile che, nelle società complesse contemporanee, la riunione – seppur ormai condizionata da sinergie in parte inedite con i mezzi di comunicazione di massa e (soprattutto negli ultimi anni) con i social networks – esplichi proprio nella dimensione politica la sua funzione più significativa, anche e soprattutto sotto il profilo dell’apertura del processo politico alla partecipazione di soggetti estranei al circuito della dimensione istituzionale della rappresentanza: esperienze come Occupy! o gli stessi moti che hanno condotto alle cd. “primavere arabe” mostrano la persistente vitalità dello strumento della riunione come veicolo di istanze di riconoscimento e, soprattutto, di approfondimento della qualità della vita democratica, aprendo una “nuova fase nella dialettica tra cittadini e potere politico” (Ruotolo, M., op. cit., 470). In altri termini, la riunione mantiene intatta, pur con gli aggiornamenti resi inevitabili dalla mutata configurazione dello spazio pubblico, la sua tradizionale funzione di “momento dialettico e comunicativo tra governanti e governati”, anche rendendo visibile il “corpo del sovrano”, in funzione di promozione e rappresentazione del pluralismo sociale e politico (Esposito, M., Riunione (libertà di), Diz. dir. pubbl. Cassese, V, Padova, 2006, 5365; ma cfr. già Pace, A., La libertà di riunione, cit., 3).
Nella «tendenza generale dei diritti di libertà civile a tradursi in diritti di libertà politica […] cioè in diritti a più che in diritti da (quindi in strumenti per concorrere a determinare la politica nazionale)» (Barbera, A., op. cit., 2726) appare così confermata la dinamica che – tipicamente nell’esercizio della libertà di riunione – conduce dalla dimensione individuale, attraverso l’esperienza del riconoscimento e della relazione solidale e cooperativa con l’altro, ad una configurazione della partecipazione politica che resti saldamente ancorata, almeno nella logica e nell’impianto assiologico della nostra Costituzione, alla premessa personalista.
Gli intrecci così sommariamente descritti confermano che il rilievo sistematico della libertà di riunione appare intimamente legato al rapporto di questa con l’esercizio di altri diritti costituzionalmente garantiti. Nella configurazione della libertà di riunione, e conseguentemente nel suo concreto assetto disciplinare, è presente, in altri termini, un elemento di strumentalità, che la lega ad altri diritti fondamentali, senza tuttavia obliterarne la componente liberale-individualistica (Pace, A., La libertà di riunione, cit., 147; per diverse sfumature Prisco, S., op. cit., nonché Mortati, C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1962, 995).
Così, se oggetto della garanzia costituzionale resta il “fatto materiale strumentale” della riunione (Borrello, R., op. cit., 1418), l’esistenza di un nesso di strumentalità rispetto all’esercizio di altri diritti fondamentali non può essere ignorata, per le inevitabili interferenze che ne sorgono (Prisco, S., op. cit., 4; v. anche Ridola, P., Nuovi orientamenti della giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di libertà di riunione, in Giur. Cost., 1979, 6, 502-503), ma anche perché tale nesso è espressione del legame più profondo tra la libertà di riunione e il complesso dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti (Borrello, R., op. cit., 1404).
La natura individuale della libertà di riunione – seppur qualificata dalla necessità della compresenza di altri soggetti per il suo realizzarsi – impedisce peraltro che il nesso di strumentalità possa tradursi in un legame di tipo funzionalistico. La rilevanza dei fini della riunione non può in altri termini spingersi fino a lasciar condizionare da essi la disciplina della riunione medesima, che resta ancorata alla garanzia del fatto materiale della compresenza fisica di più persone in un luogo, indipendentemente dai fini che esse perseguano. Il profilo finalistico potrà rilevare, piuttosto, all’esterno della cornice delineata dall’art. 17 Cost., e nella direzione, almeno triplice, di rafforzare gli strumenti di garanzia (ad es. con riguardo all’individuazione di riserve di legge implicite, Pace, A., La libertà di riunione , cit., 45 ss., 54 ss.), di individuare il confine tra l’ambito di incidenza dell’art. 17 e quello di altre disposizioni costituzionali concorrenti o, piuttosto, di consentire l’intervento della pubblica autorità in caso di perseguimento di finalità non lecite. Ciò che resta fermo, tuttavia, è che la finalità della riunione non può giustificare discipline differenziate: in questo senso si è espressa, peraltro, C. cost., 18.3.1957, n. 45 (Borrello, R., op. cit., 1408 ss.; Ridola, P., Nuovi orientamenti della giurisprudenza, cit.; Gardino Carli, A., Riunione (libertà di), in Dig. pubbl., XIII, Torino, 1997, 483).
In altri termini, la riunione resta protetta in sé e per sé, indipendentemente dalla sua finalità: d’altro canto, la posizione di un simile nesso comporterebbe il rischio di un controllo sull’orientamento ideale della riunione, vale a dire sulla sua compatibilità con l’ordine pubblico inteso in senso ideale (Pace, A., La libertà di riunione, cit., 152 ss.; Ridola, P., Nuovi orientamenti della giurisprudenza, cit., 496 ss.). Allo stesso tempo, il carattere strumentale della riunione rinvia, sul piano teorico, alla consapevolezza dei molteplici legami concreti tra essa e più ampie dinamiche di partecipazione sociale e politica (cfr. anche Butler, J., op. cit., 8).
Si può parlare, in quest’ottica, di una strumentalità mite, che deve essere continuamente composta in armonia con il profilo individuale, in ossequio alla più generale opzione del Costituente a favore di un rapporto aperto e intimamente dialettico tra dimensione individuale e dimensione collettiva.
Con riferimento all’ambito soggettivo, l’art. 17 della Costituzione riserva l’esercizio della libertà di riunione ai soli cittadini: il dato testuale viene interpretato dalla dottrina unanime non nel senso di una esclusione assoluta degli stranieri dal godimento di tale diritto, bensì nel senso di un rinvio alla discrezionalità del legislatore in tema di estensione ad essi delle libertà civili, sulla base dell’art. 10, co. 2, Cost. (Pace, A., Art. 17, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, vol. II, Bologna, 1977, 145 ss., 162; Pace, A., La libertà di riunione, cit., 29 ss.; Tarli Barbieri, G., Art. 17, in R. Bifulco, R.-Celotto, A.-Olivetti, M., a cura di, Commentario della Costituzione, vol. I, Torino 2006, 386; Esposito, M., op. cit., 5367; Gardino Carli, A., op. cit., 491). Deve essere peraltro osservato che la discrezionalità del legislatore deve ritenersi assoggettata, in materia, al principio costituzionale di eguaglianza, con riferimento al principio di non discriminazione di cui al comma 1, ma anche, in particolare, al disposto del secondo comma: esso, che significativamente fa riferimento alla rimozione degli ostacoli che impediscono la piena partecipazione dei “lavoratori” all’organizzazione sociale, economica e politica del Paese, ben può (e deve) essere riferito agli stranieri, specie se si considera il nesso tra titolarità di un rapporto di lavoro e regolarità del soggiorno (Schillaci, A. Soggiorno e lavoro: profili critici della condizione giuridica del migrante, in Rimoli, F., a cura di, “Immigrazione e integrazione. Dalla prospettiva globale alle realtà locali”, vol. I, Napoli, 2014, 625 ss.). A ciò si unisce la mutata configurazione della presenza di stranieri sul nostro territorio, ormai passata da una connotazione episodica a quella dell’insediamento di comunità stabili e caratterizzate da un significativo tasso di integrazione con la comunità sociale e politica. Ne consegue – anche alla luce del disposto dell’art. 2, co. 1-2, d.lgs. 25.7.1998, n. 286 – che gli stranieri debbano ritenersi ad oggi titolari della libertà di riunione, anche in vista della promozione della loro piena integrazione sociale e politica.
Sempre con riferimento all’ambito soggettivo di esercizio del diritto, deve farsi riferimento, in estrema sintesi, al regime speciale previsto per gli appartenenti alle forze armate, cui è precluso l’esercizio della libertà in discorso, senza autorizzazione, in luoghi militari: divieto più volte confermato dalla Corte costituzionale, giacché il principio “secondo cui «l’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica» non esclude affatto che l’esercizio dei diritti di libertà da parte dei militari debba armonizzarsi con i fini istituzionali delle Forze stesse” (C. cost., 24.1.1989, n. 24; 11.2.1982, n. 31).
La definizione della nozione costituzionale di riunione deve essere orientata al particolare favor del Costituente verso la prevalenza del principio di libertà, in una con la particolare considerazione delle formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo. Ne consegue che per riunione costituzionalmente garantita deve intendersi, in senso generalissimo, la volontaria compresenza fisica di due o più persone in uno stesso luogo, per il perseguimento di finalità comuni: all’interno di tale nozione deve farsi pertanto rientrare il cd. assembramento, inteso come riunione non organizzata e non preavvisabile (ma volontaria, Ruotolo, M., op. cit., 473; cfr. anche Pace, A., La libertà di riunione, cit.,17 ss., 20, nonché Pace, A., Art. 17, cit., 149 ss.; cfr. anche Gardino Carli, A., op. cit., 480).
In altri termini, il carattere generico della nozione costituzionale di riunione, lungi dal rappresentare un rischio per specifiche tipologie di riunione, conferma il particolare favor costituzionale per il genus riunione e non per una particolare specie di essa (Pace, A., Art. 17, cit., 149 ss.; diversamente Barbera, A., op. cit., 2726-2727, già nel 1974 auspicava una miglior specificazione delle riunioni costituzionalmente tutelate, nel quadro dell’individuazione di ulteriori forme di partecipazione democratica; contra, Pace, A., Art. 17, cit.,155, sostiene che una eccessiva frammentazione avrebbe finito per creare dubbi per le tipologie non espressamente menzionate).
L’unico criterio distintivo costituzionalmente rilevante, al fine della classificazione e della conseguente disciplina della riunione, è quello rappresentato dal luogo in cui la riunione si svolge, rimanendo irrilevante ogni altro aspetto, soggettivo, oggettivo o finalistico (Pace, A., La libertà di riunione, cit., 75). L’art. 17 Cost., a differenza dell’art. 32 dello Statuto Albertino, individua il crinale della distinzione nel carattere pubblico del luogo in cui si svolge la riunione, limitando a questa eventualità l’onere del preavviso alla pubblica autorità (v. infra, par. 4.3), mentre è pacifico che tutte le tipologie di riunione restino assoggettate ai limiti generali di cui al primo comma dell’art. 17 (carattere pacifico e assenza di armi; per la possibilità di un loro scioglimento ai sensi del terzo comma del medesimo art. 17, v. infra, par. 4.3). Ai fini della definizione del carattere pubblico, privato o aperto al pubblico del luogo rileva, peraltro, non la proprietà del luogo stesso, ma l’uso che ne venga fatto (Pace, A., La libertà di riunione, cit., 78; Pace, A., op. cit., 1977, 164), in generale dovendosi intendere per luogo privato, quello in cui il titolare del diritto sul bene mantenga la piena disponibilità del luogo, e per luogo aperto al pubblico, quello in cui lo jus admittendi sia soggetto a condizioni predeterminate (come ad es. il pagamento di un biglietto). La prevalenza della destinazione d’uso sulla titolarità del bene si lega strettamente al regime costituzionale di disciplina, come sede di bilanciamento tra interessi contrapposti. La necessità del preavviso per le sole riunioni in luogo pubblico si giustifica, in quest’ottica, alla luce della «potenziale collisione con altri beni costituzionalmente protetti» (Pace, A., Art. 17, cit., 176; in generale, Borrello, R., op. cit., 1418 ss. e 1426 ss.; per i rapporti tra libertà di riunione in luogo privato e libertà di domicilio Pace, A., La libertà di riunione, cit., 83 ss.).
L’art. 17 pone, al primo comma, un limite generale alla libertà di riunione, consistente nel carattere pacifico e nell’assenza di armi; tale limite, come accennato, vale per tutte le tipologie di riunione previste dalla disposizione in esame. In generale, deve essere ribadito che l’ambito di applicazione dei limiti alla libertà in discorso resta circoscritto alla riunione intesa come “fatto materiale strumentale” (Borrello, R., op. cit.), mentre non rilevano, almeno concettualmente, limiti che traggano giustificazione “dall’attività «finale» in essa posta in essere” (Pace, A.,Art. 17, cit., 156-157). Ciò implica, peraltro, che la tutela della riunione prevalga rispetto alla repressione di comportamenti lesivi da parte di singoli (finché questi possano essere allontanati, la riunione non deve essere sciolta, Pace, A., Art. 17, cit., 174).
Quanto all’interpretazione del limite generale (“pacificamente e senz’armi”), esso viene unanimemente inteso come riferito al solo ordine pubblico in senso materiale (cfr. ad es., Gardino Carli, A., op. cit., 484; Pace, A., Art. 17, cit., 159): la stessa Corte costituzionale, nel fare salve le disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 654 e 655 c.p. (grida sediziose e adunata sediziosa) ha riconosciuto in tali fattispecie ipotesi di reato che «si armonizzano perfettamente col precetto dell’art. 17 della Costituzione, poiché rispondono appunto alla necessità di assicurare l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, tendono cioè a garantire beni che sono patrimonio dell’intera collettività» (C. cost., 27.2.1973, n. 15; per la nozione di armi, v. Tarli Barbieri, G., op. cit., 391; Borrello, R., op. cit., 1424 ss.; per la nozione di armi improprie, cfr. C. cost., 29.4.1982, n. 79).
Le differenze di disciplina gravanti sulle diverse tipologie di riunione (in relazione al luogo in cui esse si svolgono) possono tradursi in un limite all’esercizio della libertà di riunione dei partecipanti alla riunione solo eventualmente, e alle condizioni previste dalla Costituzione. Come accennato, la principale differenza tra i regimi disciplinari della riunione in relazione al tipo di luogo in cui essa si svolga consiste nell’onere, posto in capo ai promotori della riunione in luogo pubblico, di darne preavviso all’autorità di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima. L’analoga previsione di un preavviso per le riunioni in luogo aperto al pubblico, contenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.d. 18.6.1931, n. 773, d’ora in poi T.U.L.P.S.) all’art. 18, co. 1, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza del 8.4.1958, n. 27 (allo stesso modo, C. cost., 15.12.1967, n. 142, avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 68 del T.U.L.P.S., che assoggettava a licenza del questore eventi ricreativi anche in luoghi aperti al pubblico, mentre C. cost., 15.4.1970, n. 56, avrebbe ritenuto la persistente necessità della licenza per eventi organizzati nell’esercizio di una attività imprenditoriale, con conseguente applicazione dell’art. 41 Cost., in luogo dell’art. 17).
Se è pertanto chiara la differenziazione tra le diverse tipologie di riunione, in relazione ai poteri preventivi dell’autorità di pubblica sicurezza, lo stesso non è a dirsi per i poteri di intervento successivo a tutela dell’ordine pubblico: in questo senso, ad esempio, C. cost., 7.5.1975, n. 106, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 16 del T.U.L.P.S., nella parte in cui ammette l’intervento delle forze di polizia nell’ambito di riunioni in luogo aperto al pubblico, giacché tale intervento «non collide con il diritto di riunione ed anzi è volto ad agevolarlo, assicurandone il regolare svolgimento».
Con riferimento specifico al preavviso richiesto per le riunioni in luogo pubblico, deve ritenersi ormai chiarito che lo stesso non configuri, in alcun modo, una condizione di legittimità dello svolgimento della riunione (Pace, A., op. cit., 1967, 14 ss., 94-95), bensì un onere (così Pace, A., Art. 17, cit., 1977, 176), posto in capo ai promotori della riunione, in funzione di “mero ausilio privato dell’attività di osservazione della polizia” (Ridola, P., Nuovi orientamenti della giurisprudenza, cit., 491; Pace, A.,La libertà di riunione, cit., 94; in generale Borrello, R., op. cit., 1432 ss.): diversamente argomentando, si finirebbe per far ricadere sui partecipanti alla riunione le conseguenze negative di un’omissione che da loro non dipende, ed esula dalle condizioni cui la riunione è sottoposta ai sensi dell’art. 17, co. 1, Cost. (Gardino Carli, A., op. cit., 480). In questo senso, peraltro, si è espressa C. cost. 10.5.1979, n. 11 (Ridola, P., Nuovi orientamenti della giurisprudenza, cit.; Gardino Carli, A., op. cit., 487), mentre C. cost. 7.7.1976, n. 160, ha rigettato la questione di legittimità della quantificazione in tre giorni del termine imposto per il preavviso dall’art. 18 del T.U.L.P.S. Il preavviso non è richiesto, peraltro, per le riunioni elettorali (18, co. 7, del T.U.L.P.S.) come segno di regime privilegiato per le riunioni finalizzate a favorire il processo democratico (Tarli Barbieri, G., op. cit.). L’opzione costituzionale di non sottoporre le riunioni in luogo pubblico ad un regime di tipo autorizzatorio si pone in linea non soltanto con il particolare favor per la riunione, di cui si è detto, ma anche, più in generale, con l’idea di una declinazione del rapporto tra libertà e autorità in termini cooperativi: come sottolineato da Barbera, A., op. cit., 2733, infatti, il preavviso pone in capo all’amministrazione la responsabilità di attivarsi con provvedimento motivato per l’eventuale divieto o per la prescrizione di modalità alternative di svolgimento della riunione, in vista della miglior garanzia di diritti fondamentali o interessi pubblici eventualmente concorrenti, quali la libertà di circolazione (Borrello, R., op. cit., 1420; analogamente – seppure con sfumature diverse, Mancini Proietti, M., Della libertà di riunione e della sua tutela, in Riv. polizia, 2012, 743). Allo stesso tempo, mentre resta esclusa ogni ipotesi di divieto preventivo generale, è posto in capo all’amministrazione uno stringente obbligo di motivazione in ordine alle specifiche ragioni che impediscono lo svolgimento di quella specifica riunione, in senso assoluto o nelle modalità preavvisate dai promotori. Particolarmente interessante, sul punto, la vicenda della Direttiva 26.1.2009 del Ministro dell’Interno, recante una ipotesi di divieto preventivo di carattere generale in relazione ad alcuni luoghi, caratterizzati da una particolare valenza simbolica. La Direttiva, criticata dalla dottrina e censurata dalla giurisprudenza amministrativa (Brunelli, G., Quando (e come) la libertà di riunione è cinta d’assedio, in Costituzionalismo.it, 2012, 2; Buscema, L., Note minime in materia di libertà di riunione e tutela dell’ordine pubblico, in Consulta online, 2012; Mancini Proietti, M., op. cit., 744 ss.), incideva pesantemente non solo sulla dimensione politica della libertà di riunione, precludendone l’esercizio in luoghi simbolici (così evocando, in ultima analisi, la stessa nozione di ordine pubblico in senso ideale: Mancini Proietti, M., op. cit., 749), ma presentava gravi profili di illegittimità sia sotto il profilo della fonte, sia sotto il profilo della totale assenza di un potere di valutazione della concreta pericolosità della riunione, come richiesto dall’art. 17 Cost. (che parla di “comprovati motivi”) e dallo stesso art. 18 del T.U.L.P.S.
Qualche considerazione deve essere svolta, inoltre, sull’art. 18, co. 4 del T.U.L.P.S., ai sensi del quale «il questore, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, può impedire che la riunione abbia luogo e può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo alla riunione». Tale disposizione pone delicati problemi interpretativi sul piano dei presupposti per l’esercizio del potere di divieto, e parte della dottrina ne ha invocato da tempo la dichiarazione di illegittimità costituzionale (Barbera, A, op. cit., 2749; contra, Tarli Barbieri, G., op. cit., 397). Pare condivisibile, al riguardo, l’opinione di quanti hanno tentato una interpretazione costituzionalmente orientata della previsione e, ribadendo che l’omesso avviso non è di per sé causa di illegittimità della riunione, hanno subordinato l’esercizio del potere di divieto alla sussistenza, per comprovati motivi, di un legame tra l’omesso avviso e la concreta pericolosità della riunione (Ruotolo, M., op. cit., 482-483). Problemi altrettanto complessi – anche sul piano del rapporto tra l’art. 17 e l’art. 21 – sono posti dagli artt. 20 e 21 del T.U.L.P.S., nella parte in cui contemplano la possibilità di scioglimento della riunione in caso di grida sediziose o di esposizione di emblemi sovversivi o che rechino vilipendio allo stato: in modo convincente, Borrello, R., op. cit., 1423, ne sostiene l’illegittimità costituzionale, nella parte in cui non limitano il giudizio di disvalore ai soli comportamenti che travalichino in violazione dei limiti della pacificità e dell’assenza di armi, o arrechino pregiudizio alla sicurezza/incolumità pubblica.
La difficile configurabilità di limiti certi all’esercizio del potere di divieto di cui all’art. 18 del T.U.L.P.S. (che si salda al più generale rilievo della strutturale inadeguatezza delle conferenti previsioni del testo unico, Mancini Proietti, M., op. cit., 731) fa sì che resti aperta la questione, dibattuta in dottrina, della qualificazione giuridica della riunione in luogo pubblico, in questi casi, come interesse legittimo, in conseguenza della previsione, in capo alla pubblica amministrazione, di un potere discrezionale. A tale proposito, fermo restando che, nel caso di divieto per omesso avviso, la degradazione potrebbe al più riguardare i soli promotori, resta controversa la sorte del diritto, nel caso di esercizio dei poteri discrezionali di cui agli artt. 20 e 21 del T.U.L.P.S. (sul punto, v. Pace, A., op. cit., 1977, 189, nonché Pace, A., op. cit., 1967, 99 ss.; Gardino Carli, A., op. cit., 492-493; Borrello, R., op. cit., 1423). Strettamente legato alla delimitazione dei poteri spettanti all’amministrazione è, peraltro, il problema dell’assenza di adeguate garanzie giurisdizionali avverso il divieto preventivo, o lo scioglimento da parte dell’autorità di p.s. , “soprattutto in termini di rapidità ed efficacia del diritto in ipotesi leso” (Prisco, S., op. cit., 9; in generale Esposito, M., op. cit., 5373, Tarli Barbieri, G., op. cit., 400-401), anche sotto il profilo della possibilità di adire la giurisdizione amministrativa in sede cautelare o quella ordinaria ai sensi dell’art. 700 c.p.c., in relazione alla qualificazione giuridica della posizione vantata (Ruotolo, M., op. cit., 484 ss.); condivisibile, sul punto, la proposta formulata in dottrina, di introdurre un procedimento giurisdizionale ad hoc, ad esempio modellato sulle analoghe garanzie desumibili dagli artt. 13 e 21 Cost.
Alcuni brevi cenni devono essere svolti, in conclusione, sulle indicazioni che provengono – in tema di libertà di riunione – dal diritto sopranazionale.
Sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconoscono e disciplinano la libertà di riunione, riunendo la relativa disciplina a quella della libertà di associazione e limitandosi a tutelare la libertà di riunione “pacifica” (cfr. rispettivamente, gli artt. 11 CEDU e 12 CDFUE).
La Corte di giustizia dell’Unione europea – peraltro prima dell’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali – ha riconosciuto che la libertà di riunione, come risultante dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, costituisce un diritto fondamentale tutelato e garantito dal diritto dell’Unione (C. giust., 12.6.2003, C-112/00, Schmidberger). In tale decisione, la Corte ha avallato la scelta delle autorità austriache di non impedire una riunione pacifica che aveva comportato, per 30 ore, il blocco della circolazione sull’autostrada del Brennero, ritenendo che la tutela della libertà in discorso rappresenti un legittimo obiettivo alla luce del quale limitare la libertà di circolazione delle persone e delle merci nel territorio dell’Unione stessa: in particolare, la possibilità di un conflitto interordinamentale occasionato dal contrasto tra la protezione della libertà di circolazione garantita dal diritto UE e la libertà di riunione garantita dalla Costituzione austriaca è evitata grazie allo “spostamento” del bilanciamento tra i due diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento europeo.
Indicazioni altrettanto interessanti provengono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, specie per ciò che riguarda il rilievo attribuito alla dimensione finalistica della libertà di riunione e dunque alla tutela indiretta degli obiettivi di carattere ideale sottesi all’esercizio di tale libertà. Tra le molte decisioni, si segnalano in questa sede quelle relative ai provvedimenti restrittivi adottati nei confronti di riunioni volte a celebrare le giornate dell’orgoglio omosessuale (cd. Pride) in alcuni Paesi dell’Europa orientale. In tutte queste decisioni (si tratta di C. eur. dir. uomo, 3.5.2007, Baczowski c. Polonia; 21.10.2010, Alekseyev c. Russia; 12.6.2012, Genderdoc c. Moldova) la Corte unisce ad un severo scrutinio sulle concrete modalità con cui le amministrazioni locali hanno provveduto ad irrogare il divieto, la particolare considerazione degli esiti discriminatori cui il divieto stesso ha condotto. In particolare, l’obiettivo della riunione vietata – promuovere la conoscenza della comunità e dello stile di vita omosessuale, al fine di contrastare il diffuso stigma sociale subito dalla minoranza omosessuale nei paesi interessati – è riconosciuto come meritevole di particolare tutela, risolvendosi il divieto della riunione in una condotta discriminatoria in un ambito inerente al nucleo più intimo dell’identità e della dignità personale, nel quale gli Stati possiedono un margine di apprezzamento assai ristretto, con conseguente violazione dell’art. 11 e dell’art. 14 della Convenzione. Il particolare rilievo riconosciuto alla dimensione finalistica della riunione vietata contribuisce a confermare che la libertà di riunione rappresenta – anche sullo scenario europeo – uno strumento essenziale dello spazio pubblico, nell’ottica di un approfondimento della qualità della vita democratica, da perseguire anche attraverso la plastica rivendicazione di una presenza civile e di una istanza di riconoscimento sociale e giuridico (Thomas, K.L., We’re here, we’re queer, get used to it: freedom of assembly and gay Pride in Alekseyev v. Russia, in Oregon Rev. of Int. Law, 2014, n.. 473 ss; in generale Guazzarotti, A., Art. 11, in Bartole, S.-De Sena, P.-Zagrebelsky, V., dir., Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, 421 ss.; Ridola, P., Art. 11, in Bartole, S.-Conforti, B.-Raimondi, G., dir., Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova 2001, 352 ss.).
Art. 17 Cost; R.d. 18.6.1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); art. 11, CEDU; art. 12 Carta dir. fond. U.E.
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