DE LIBERO, Libero
Nacque a Fondi (ora in provincia di Latina) il 10 sett. 1903 da Francesco e da Cesira Faiola.
Della sua adolescenza e della prima giovinezza in provincia, "dentro una famiglia numerosa", disse egli stesso nel corso di un'intervista (cfr. Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960, p. 155): "Sono stato il solito ragazzo nutrito con schiaffi, fette di pane e libri d'ogni specie che, un giorno, scrive una poesia e se ne vergogna più che d'un grosso peccato, poi da giovane ci riprova e se ne vergogna di meno, ma da uomo ha continuato senza tanti scrupoli". Per un anno soggiornò in un convento-seminario a sud di Roma con la promessa di farsi frate; testimonianza di quanto "fosse drammatica la situazione di un intellettuale italiano sotto una certa latitudine, obbligato a simili scelte" (cfr. G. Piovene, prefaz. a Camera oscura, Milano 1974, p. XI). Dell'anno trascorso nel convento, tra sottomissione e spirito ribelle, spavento e rabbia, affanno religioso e desiderio di fuga, conserverà lucido e amaro ricordo nel romanzo autobiografico Camera oscura, scritto nel 1950 e pubblicato nel 1952. Il suo "migliore noviziato" avvenne nel periodo degli studi classici, tra Ferentino e Alatri, con letture sistematiche di Dante, Petrarca, e la scoperta "ubriacante" dei poeti moderni, da Leopardi a Baudelaire.
Nel 1927 si trasferì a Roma, ufficialmente per frequentare i corsi della facoltà di giurisprudenza; in realtà per uscire dal mondo amato ma ristretto della sua Ciociaria. Fuori dal paese, "odoroso fantasma", cominciò a pubblicare i primi racconti sul Popolo di Roma e sull'Ambrosiano di Milano. Nel cortile della Sapienza conobbe Luigi Diemoz, e insieme con lui, all'inizio del 1928, dette vita ad un quindicinale letterario di orientamento filo-novecentista, L'Interplanetario. Ne uscirono solo otto numeri, ma ricchi di firme promettenti: C. Alvaro e M. Bontempelli, A. Moravia (che vi pubblicò un capitolo poi soppresso degli Indifferenti ancora inediti), M. Gallian (con il suo Dramma nella latteria), L. Sinisgalli. Nel febbraio 1928 A. G. Bragaglia gli rappresentò al teatro romano degli Indipendenti il lavoro scenico Frangiallo che come osserva lo stesso D. (cfr. Ritratti su misura di scrittori italiani, cit., p. 156), "fece scandalo e fu per lui un'esperienza assai importante".
Mentre frequentava il caffè Aragno, dominato dalla presenza di Vincenzo Cardarelli e Francesco Trombadori, gli anni 1928-1934 lo videro partecipe della romana scuola pittorica di via Cavour. Nelle forme del sodalizio congeniale e spontaneo lavoravano gomito a gomito i pittori M. Mafai, Antonietta Raphaël sua moglie, Scipione (pseudonimo di Luigi Bonichi) e i letterati G. Ungaretti, Sinisgalli e il De Libero. Erano tutti mossi gli artisti - appare rilevante tra di loro la funzione di stimolo culturale svolta dallo scultore Marino Mazzacurati - e i letterati da una fervida, autodidatta passione, aperta ai più moderni interessi creativi, al centro dei quali stava il rapporto intenso e tonale con i monumenti architettonici e "segreti" della Roma secentesca. Del gruppo Mafai-Raphaël-Scipione, di quelli che saranno poi chiamati i pittori della Scuola romana, il giovane D. diventò vigile consigliere, premuroso interprete e fiancheggiatore della loro ricerca. A lui, al suo dibattito critico si devono i primi saggi su Mafai e Scipione (rivelatosi alla mostra "Amatori e cultori" nel marzo 1930).
Entrato nell'ambiente degli artisti romani ("quella fu la grande stagione dell'amicizia", scriverà poi in Roma 1935, Roma 1981, p. 24), fu verso la fine del 1933 che il D. cominciò a fare "assiduamente" la cronaca delle arti. L'incarico gli venne affidato da G. B. Angioletti sull'Italia letteraria; rivista che Angioletti dirigeva insieme con Curzio Malaparte e sulla quale aveva presentato le prime liriche del De Libero. Dal 1935 al 1938 il D. diresse la galleria romana La Cometa, fondata dalla contessa Anna Letizia Pecci Blunt, una aristocratica mecenate, appassionata di arte, musica, letteratura, la quale, per la galleria da lei ideata aveva tratto il nome dalla impresa araldica del suo prozio papa Leone XIII: La Cometa.
Il 15 apr. 1935 la galleria, nella piazzetta di Tor de' Specchi, di fianco al palazzo Pecci in piazza Aracoeli, venne inaugurata con una mostra di disegni di Corrado Cagli. All'indomani dell'esposizione grafica del Cagli, ebreo, il quotidiano Il Tevere del gerarca Telesio Interlandi e il suo settimanale artistico-letterario Quadrivio scatenarono una violenta campagna razzista contro La Cometa, mantenuta viva e ininterrotta dal 1936 al 1939. La galleria della contessa Pecci, il direttore D. e gli artisti che vi esponevano - Tosi, Manzù, Ziveri, Melli - venivano denigrati come fautori di un'"arte degenerata", internazionalista, cosmopolitica, decadente. La mostra di dipinti di Carlo Levi, anch'egli ebreo, allora confinato in Basilicata, venne scambiata per una provocazione. Non meno "provocatoria" la celebre esposizione del 1937 con le Demolizioni; losguardo pittorico accorato che Mafai gettava sullo scempio del tessuto urbano della vecchia Roma consumato dal fascismo, era molto simile alla trasformazione dei luoghi e della gente della sua Ciociaria temuto dal De Libero.
Nonostante i ripetuti attacchi, le calunnie e i tentativi di censura, la Pecci e i suoi collaboratori, in primis il D., proseguirono la loro fertile, molteplice attività: mostre d'arte (Afro, De Chirico, Guttuso, Manzù, Menzio, Messina, Pirandello, Purificato, Severini, Tosi), concerti, conferenze, edizioni di letteratura (nelle Edizioni della Cometa uscirono opere di Savinio, Sinisgalli, Landolfi, Bontempelli, Papi, Brandi). Sempre nell'intento di far conoscere all'estero l'arte italiana, la galleria della Cometa aprì nel dicembre 1938 una succursale a New York, The Comet Gallery. Avrebbe aperto una succursale anche a Parigi (in progetto mostre di Picasso, Cocteau, Ensor), se gli avvenimenti non fossero precipitati. La galleria della Cometa come centro antifascista era "un'invenzione speciosa"; eppure la polizia arrivò a pretendere non solo l'elenco degli espositori (che dovevano declinare generalità e iscrizione al partito), ma addirittura l'elenco dei visitatori, dei frequentatori abituali. A questo punto fu proprio il D. "a sconsigliare un inutile eroismo. La Cometa, che non ebbe nemmeno l'onore di essere proibita, chiuse la sua bella porta verde e chi ci perdette fu Roma, furono gli artisti italiani" (cfr. Roma 1935, pp. 50 s.).
Nel 1941 ottenne la nomina a docente di storia dell'arte al liceo artistico di Roma. La prima raccolta poetica Solstizio era stata pubblicata nel 1934 da Ungaretti nei Quaderni di Novissima (editore De Fonseca); nella raccolta 1932-34 liriche come Tre canti per una speranza, E questi sono i territori, Giorno campestre, di un descrittivismo simbolico, investivano la terra madre e i paesaggi di dolorosa, antica favola. Proverbi agresti "(L'infanzia cresciuta / ogni governo nega: // alla bestia legata / non giova pastore") percorrono la sua raccolta dal titolo Proverbi (1937) nella direzione di una liricità greca popolarescamente riconquistata. Con Eclisse (1940) la poesia del D. tocca la sua maturità, superata ormai ogni esperienza letteraria, compresi gli iniziali modelli ermetici, giungendo ad una disinvolta, vitale autonomia nel rapporto uomo-natura.
La guerra, l'occupazione tedesca, il rinnovarsi dell'antico, secolare dolore della gente italiana nella tragedia comune produssero la svolta "civile" di Il libro del forestiero e Banchetto, due raccolte scritte tra il 1938 e il 1945 (pubblicate dopo la guerra, rispettivamente nel 1946 e nel 1949). Banchetto, da sinonimo di vita - nel precedente Eclisse la parola "banchetto" significava appunto presenza vitale - diventa testimone di morte.
Intorno alla Ciociaria dilagano, tra ribellione e pietà, emozioni e immagini di "storia funesta", di "lupi tedeschi" che sbranano: "Povera figlia dei monti, povera madre dei fiumi / il tuo passato è una rosa appassita / ... / O mia patria decorata di scheletri" (O mia patria in tutti i pensieri). Nella lirica Settembre tedesco il lamento del poeta compiange un bimbo trucidato a Forte Pietralata: "di undici anni, figlio di Maria, / Claudio Bin che rideva / fu ucciso col mitra perché rideva".
Dopo il 1945 e per oltre vent'anni fino al 1970, il D. svolse una intensa attività narrativa e saggistica mentre taceva la sua vena poetica. A tre volumi di racconti, Malumore (1945). Il guanto nero (1959), Racconti alla finestra (1969), si affiancarono due romanzi, Amore e morte (1951) e Camera oscura (1952).
Come dichiara il titolo, nella silloge Racconti alla finestra è lo stesso narratore che, in prima persona, narra la vita che appare sotto i suoi occhi lungo la strada nelle più strane combinazioni (Quelli che ci passano accanto, Il venditore di stoffe, Alla finestra, Fatterelli e fatti, Buongiorno, signore). I pezzi migliori si rifanno al gusto del "petit poème en prose"; sono episodi, momenti anche assurdi e dolorosi del vivere quotidiano rappresentati con un forte e amaro senso del grottesco (Un abito da ridere).Quanto alla vicenda di Amore e morte, il D. se la "portava dentro da anni"; l'urto della cronaca e la "lezione degli eventi" fanno maturare una vicenda drammatica raccontata con analitico distacco.
Nel secondo romanzo Camera oscura, accanto al severo padre Dan, rettore dell'educandato, accanto ai prefetti (delicato e tisico il prefetto Bossi) e ai compagni, amici e "nemici" (come il Vecchi, suicida e quindi maledetto), emerge la figura autobiografica del giovane protagonista che percorre "l'infinita scala delle afflizioni per arrivare ad una pace fittizia". Dal chiuso, dai cupi segreti del convento (dove i frati ogni venerdì del mese si frustano a sangue tanto da macchiare i muri), le sequenze si aprono liberatorie e luminose verso l'esterno (le maestrine del villaggio incontrate durante le passeggiate).
Nel periodo 1945-1970 gli interventi saggistici del D. riguardano Valéry parente illustre (1955) - del poeta simbolista francese il D. restò lettore scrupoloso e interprete quanto mai attendibile -, e lo Hommage à Valery Larbaud (1957).Consistenti e pregevoli le monografie d'arte Mafai (1949), Volti di Masaccio (1956), Il trionfo della morte (1958:lungo studio sull'affresco di anonimo quattrocentista), Gentilini (s.d.), Enotrio (1962), Sinisgalli, poeta che disegna (1963).Negli anni 1946-49 condusse a termine la traduzione del Diario (1928-1943) di Julian Green, che andava ad aggiungersi alle precedenti versioni di G. Apollinaire, Pittori cubisti (1944) e J. K. Huysmans, Qualcuno (1944).
Con la raccolta Di brace in brace vinse il premio Viareggio 1971.Sono sessanta poesie della più fedele e avanzata maturità, scritte tra il 1956 e il 1970, che svolgono la trama vita-morte sul registro della fuga polverosa del tempo; agli accenti polemici (Per una ragazza virtuosa di giorno) si alternano ritmi e segni di tragicità ellenica (come nell'epitaffio Per Alessandra Albani), con risonanze memoriali e pittoriche dalla Roma di Scipione (Di notte tornando a casa).
Nel 1972 il D. riordinò l'intero corpus dei suoi versi con la silloge Scempio e lusinga, secondo un'idea strutturale di romanzo come biografia e metafora di sé, uomo inquieto, escluso e "forestiero", in conflitto col paesaggio e la storia di una nativa terra ciociara, dove la memoria va consumando i miti dell'amore e della morte.
La precedente raccolta, intitolata, appunto Romanzo (1965), era composta di poesie estratte, per unità tematiche, da Solstizio (1934), Proverbi (1937), Testa (1939), Eclisse (1940), Il libro del forestiero (1945), Banchetto (1949); ogni gruppo antologico portava l'anno di pubblicazione perché (come avvertiva la nota in calce al volume, p. 147) "giustamente scandisce i periodi in cui furono scritte quelle poesie quanto lo svolgimento di una vicenda che, nel titolo stesso della raccolta, riassume un significato preciso come conseguenza naturale del proprio carattere".
L'ultima raccolta Circostanze (1976)conferma l'originalità del D., "poeta puro", tra ermetismo e surrealismo, che medita la ricorrenza e il destino di un'Italia arcaica, senza tempo, proiettando distacco e memoria, ironia e grazia sui lontani, perduti orizzonti di una Ciociaria umile e mitica.
Il D. morì a Roma il 4 luglio 1981.
Opere: Poesia: Solstizio, Roma 1934 e 1936; Proverbi, ibid. 1937; Testa, ibid. 1939; Eclisse, ibid. 1940 e 1943; Epigrammi 1938, Milano 1942; seconda ediz. con acqueforti di R. Bellucci, Gubbio 1971; Il libro del forestiero (1930-1942), Roma 1945 e Milano 1946; Post-scriptum nella bottiglia, con una litografia di Domenico Purificato, Roma 1945; Banchetto (1943-1947), Milano 1949; Ascolta la Ciociaria, Roma 1953; seconda ediz. accresciuta, Milano 1953; Settembre tedesco, con un'acquaforte di Renzo Vespignani, Verona 1962; Sono uno di voi, con un'acquaforte di Franco Gentilini, Trieste 1963; Romanzo, Milano 1965; Madrigali, con un'acquaforte di Franco Gentilini, Lussemburgo 1967; Sono uno di voi (1945-1956), Alpignano 1969; Posludio, con tre acqueforti di Franco Gentilini, Verona 1971; Di brace in brace (1956-1970), ibid. 1971; Scempio e lusinga (1930-1956), Milano 1972; Circostanze (1971-1975), ibid. 1976; Poesie, scelte a cura di A. Valentini, introduz. di C. Bo, ibid. 1980.
Prosa: Malumore (racconti), Roma 1945; Amore e morte (romanzo), Milano 1951, Camera oscura (romanzo), ibid. 1952; seconda ediz. con prefaz. di Guido Piovene, ibid. 1974; Il guanto nero, con illustrazioni di Fabrizio Clerici, Venezia 1959; Racconti alla finestra, con prefaz. di G. Vigolo, Milano 1969; Roma 1935, Roma 1981.
Critica letteraria: Valéry parente illustre, Milano 1955; Hommage à Valéry Larbaud, in Nouvelle Revue française (Paris), 1° sett. 1957.
Critica d'arte: Ceracchini, Roma 1945; Mafai, ibid. 1949; Volti di Masaccio, Ivrea 1956; Il trionfo della morte, Palermo 1958; Gentilini, Milano s. d.; Enotrio, Roma 1962; Sinisgalli, porta che disegna, ibid. 1963; Mino Maccari, Milano 1976.
Traduzioni: G. Apollinaire, Pittori cubisti, Roma 1944; J. K. Huysmans, Qualcuno (Degas, Cézanne, Forain, Whistler, Rops, Delacroix, Ingres), ibid. 1944; J. Green, Diario (1928-1943), 3 voll., Milano 1946-1949.
Fonti e Bibl.: G. Contini, L. D., in Letteratura dell'Italia unita 1861-1968, Firenze 1968, p. 914; G. Mariani, L. D., in Novecento, VI, Milano 1979, pp. 5834-42; C. Bo, Introduzione a Poesie, Milano 1980, pp. 9-13; F. Del Beccaro, D. L., in Diz. della letteratura mondiale del 900, Roma 1980, pp. 830 s.; G. Manacorda, D., in Storia della letter. ital. tra le due guerre, Roma 1980, pp. 288-290; R. Luperini, D., in Il Novecento, II, Torino 1981, pp. 600 s.; M. Cucchi, D., in Dizionario della poesia italiana, Milano 1983, pp. 119 s.