LIBERALE di Iacopo da Verona (Liberale da Verona; Della Biada, Liberale)
Nacque attorno al 1445 a Verona, dove risulta registrato nel 1455 all'età di dieci anni. Il nome della famiglia paterna, Bonfanti, è ricordato soltanto nel suo testamento del 1527 (Eberhardt, 1974, p. 108). Il padre, Iacopo della Biava (Biada), fornaio e drappiere nativo di Monza ma residente a Verona fin dal 1433, aveva sposato nel 1438 Iacopa Solimani, figlia del pittore Zenone. Da questa unione dovrebbe essere nato L. (Rognini), considerando che un documento del 1481 lo identifica come nipote del pittore veronese Nicolò Solimani, figlio di Zenone. Iacopa morì entro il 1455, poiché in quell'anno Iacopo della Biava risulta essere sposato a una certa Margarita, di venticinque anni.
Rimasto orfano anche del padre, nel 1465 L. abitava ancora a Verona, dove il 19 gennaio comparve come testimone in un atto di concessione del monastero olivetano di S. Maria in Organo, nel quale è detto esercitare la professione di fornaio.
Secondo Vasari, L. sarebbe stato discepolo del pittore veronese Vincenzo di Stefano, che nel 1463 avrebbe realizzato una Madonna nella chiesa di Ognissanti a Mantova. Tuttavia di questo artista non sopravvive alcuna testimonianza; mentre l'opera citata corrisponde a un affresco firmato e datato 1463 da Nicolò Solimani, stabilitosi definitivamente nella città lombarda. Ciò potrebbe ricondurre al sodalizio di L. con lo zio, ma non è possibile accertare se fosse stato quest'ultimo ad avviarlo all'arte pittorica.
Sulla prima educazione artistica di L. si sono fatte diverse supposizioni, talvolta pienamente divergenti, dalle quali emerge la difficoltà di collocare nell'ambiente veronese della metà del Quattrocento un pittore molto originale, che avrebbe ottenuto la sua prima importante affermazione lontano da quel contesto. In particolare, la vena espressionistica che contraddistingue la sua arte è stata fatta risalire tanto all'orientamento tardogotico, rappresentato in città da Michele Giambono (Del Bravo), quanto alla temperie culturale della Ferrara estense, dove in particolare avrebbe potuto conoscere le invenzioni formali di Michele Pannonio (De Marchi, 1993). D'altro canto l'accostamento a Nicolò Solimani, pittore che meditò sulle opere mantovane di Andrea Mantegna, introduce un ulteriore punto di riferimento nella maturazione del giovane L., ma non è sufficiente a chiarire del tutto la formazione del suo vocabolario figurativo.
Nei primi mesi del 1467 L. si trovava a Siena, dove in quasi un decennio illuminò almeno sedici libri di canto per l'Opera del duomo (ora nella Biblioteca Piccolomini).
È lui probabilmente il "giovanetto lombardo" (Eberhardt, 1983, p. 229) che il 24 gennaio, come prova d'esame, ricevette l'incarico di eseguire la miniatura di una lettera "C". Il 13 febbraio successivo gli furono affidate alcune miniature del graduale 24.9, non ancora terminate allorquando, nel novembre 1468, accettò di ornare anche il graduale 20.5. Questo secondo codice, eseguito in tre fasi fino al novembre 1470, è il solo interamente decorato da L., la cui firma compare infatti nel bas-de-page della miniatura grande istoriata che apre il volume.
Nello stesso periodo ricevette due acconti (24 febbraio e 30 apr. 1468) e un saldo (28 dic. 1469) per miniature eseguite sui libri corali del vicino archicenobio di Monte Oliveto Maggiore, casa madre degli olivetani.
Secondo Vasari (p. 278), L. sarebbe giunto a Siena al seguito dell'abate generale dell'Ordine, miniando per esso "molti libri" e guadagnandosi poi l'incarico di ornare alcuni codici della famiglia Piccolomini, oltre ai graduali dell'Opera. È probabile, dunque, che L. si fosse trasferito in Toscana attorno al 1466, dapprima prestando servizio per l'archicenobio. D'altronde, un documento del 14 febbr. 1467 attesta che gli olivetani del convento fuori porta Tufi (Monte Oliveto Minore) lo avevano raccomandato ai fattori dell'Opera; e ancora nel 1472 L. teneva un deposito monetario presso il convento di Monte Oliveto Maggiore. La cronologia delle sue miniature per i corali olivetani (conservati nel duomo di Chiusi fin dalla soppressione napoleonica, avvenuta nel 1810) si intreccia con quella delle prime decorazioni dei codici senesi. Il suo intervento è stato riconosciuto nei volumi A (una lettera grande figurata e quindici lettere piccole), Q (tre mezzane figurate e quattordici piccole), R (tre mezzane figurate e trenta piccole), Y (tre mezzane figurate e quindici piccole). In queste opere si è cercato di cogliere i riflessi della sua prima formazione: le suggestioni inventive contratte dall'officina ferrarese della Bibbia di Borso d'Este, evocazioni del cromatismo trecentesco lombardo, derivazioni dal repertorio ornamentale tardogotico, nonché intromissioni della pittura senese coeva. A dispetto di questa difformità di interpretazioni, vi è però unanimità nel delineare un percorso evolutivo che parte dal diffuso arcaismo dei codici di Chiusi per culminare nelle miniature senesi con l'acquisizione di uno stile personale aggiornato al rinnovamento in corso nei più avanzati laboratori di miniatura dell'Italia settentrionale. I progressi di L. in questa direzione si manifestano già nel passaggio tra gli ultimi corali olivetani e i primi due senesi, con una più organica resa delle figure e dell'impianto spaziale e un distacco crescente dal gusto tardogotico nella scelta dei motivi ornamentali. Un vertice di assoluta originalità è raggiunto nella figura dell'Aquilone del graduale 20.5, in cui si esprimono il dinamismo, il vigore plastico e la libertà creativa tipiche di Liberale. Il raffronto con le dimensioni e i motivi decorativi del graduale 24.9 ha permesso di identificare la lettera "C" datagli in prova nel gennaio 1467 con quella, proveniente da Siena, che racchiude un Cristo circondato da una gloria di angeli (Birmingham, Barber Institute). A questa prima fase senese, inoltre, è stato ricondotto anche un piccolo gruppo di dipinti, comprendente tre Madonne col Bambino rilevate su un arcaizzante fondo dorato (Altenburg, Lindenau Museum; già Budapest, collezione Pétery; Parigi, collezione privata) e una piccola Natività (Firenze, collezione Serristori).
Nella maturazione di modi espressivi più moderni giocò un ruolo fondamentale la vicinanza di Girolamo da Cremona, maestro più anziano educato alla nuova cultura ferrarese e mantegnesca, che all'inizio del 1470 soggiornò brevemente a Siena per realizzare tre miniature del graduale 28.12.
Il suo rapporto con L. è stato oggetto di discussione fino a quando le ricerche documentarie di Eberhardt (1983) hanno fatto chiarezza sulla cronologia e sulla paternità delle decorazioni dei corali senesi. Da principio non sembrano esserci stati scambi artistici fra i due, come dimostrano le miniature del graduale 25.10 realizzate nell'autunno 1470 da L., che peraltro manca dai registri contabili fra novembre 1469 e agosto 1470. In dicembre, però, ricevette l'incarico di completare il graduale 28.12, potendo così confrontarsi con le tre predette illustrazioni del collega, attraverso le quali venne a conoscenza di un repertorio ornamentale classicheggiante. Da questo momento assunse le forme tipiche di Girolamo (perle, rosette, boccioli, medaglioni, foglie d'acanto) per inquadrare le proprie composizioni figurative, impiegandole tanto nel graduale 28.12, consegnato nel marzo 1471, quanto nella Crocifissione del Missale Romanum (Siena, Biblioteca comunale), pagatagli un mese dopo.
Una nuova assenza dai documenti senesi, a partire da questa data fino all'agosto 1472, lascia supporre una temporanea sospensione della collaborazione con l'Opera, che secondo buona parte della critica sarebbe motivata dalla realizzazione della pala per l'altar maggiore del duomo di Viterbo, raffigurante Cristo Redentore con i ss. Giovanni Evangelista, Leonardo, Benedetto (o Bernardo), Giovanni Battista e vescovo donatore, recante la data 1472.
Scartata una precedente attribuzione a Girolamo da Cremona, la tavola è stata assegnata a L. sulla base di somiglianze con alcune sue miniature, compreso il Cristo del Barber Institute. Il dinamismo espressivo che agita i panneggi, peculiare della sua arte, si sposa qui con l'eleganza di figure slanciate e longilinee, le cui forme scavate sembrano intagliate nel legno. Oltre che l'assimilazione dei motivi decorativi e dell'acceso cromatismo caratteristici di Girolamo, si manifesterebbero in questa composizione gli effetti dell'incontro con la pittura e la scultura senesi, avvenuto a contatto con le opere lasciate in città da Donatello e con la produzione di Neroccio Landi, di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta e di Francesco di Giorgio. Proprio da quest'ultimo e da Antonio Federighi L. sembra apprendere il gusto per l'antico e l'organizzazione prospettica degli sfondi architettonici, come appare nelle due tavole di predella raffiguranti S. Pietro risana lo storpio (Berlino, Staatliche Museen) e S. Pietro rifiuta il denaro di Anania e Safira (Cambridge, Fitzwilliam Museum), assorbite nel suo catalogo per analogia con alcune miniature degli anni 1469-70. A Francesco di Giorgio - che a sua volta, nell'Incoronazione della Vergine dipinta per Monte Oliveto Maggiore tra 1472 e 1474 (Siena, Pinacoteca nazionale), fa sua la vivacità compositiva di L. - riconduce una serie di cassoni matrimoniali istoriati attribuiti a Liberale stesso. Tra questi si segnalano il Ratto di Elena (Avignone, Musée du Petit-Palais), il Ratto d'Europa (Parigi, Musée du Louvre) e le tre tavole ricavate da un unico pezzo raffiguranti Serenata, Giocatori di scacchi (New York, Metropolitan Museum) e Giovani uomini (Settignano, collezione Berenson), in cui le capigliature e i costumi alla moda, la diafana leggiadria delle figure, la tecnica di graffiare i motivi decorativi svelando lo strato sottostante d'oro e argento, rimandano immediatamente alla produzione di Francesco di Giorgio, con il quale si è addirittura ipotizzato che L. avesse istituito una società specializzata in questo genere di dipinti (Christiansen). Ancora prestiti da Francesco di Giorgio si ritrovano in una piccola Natività (New Haven, Yale University, Jarves Collection), comunemente riferita a questa fase artistica di Liberale.
Fra agosto e dicembre 1472 L. decorò il graduale 21.6, nel quale portò a compimento il processo di elaborazione dell'arte di Girolamo da Cremona, desumendone in particolare l'uso di colori più splendenti, quasi smaltati.
Dal canto suo Girolamo non restò indifferente ai modi di L., al quale si ispirò per imprimere maggiore espressività e libertà di movimento alle proprie composizioni. Nonostante il proficuo scambio, i loro stili rimangono comunque ben distinguibili: più fluida la pennellata di L., contraddistinta da lumeggiature dorate che fanno guizzare la luce sulle forme, più tenue e controllata la resa pittorica di Girolamo, le cui figure hanno fisionomie regolari e i cui colori non sono ravvivati dalle violente accensioni di Liberale.
Nel 1473 i due lavorarono fianco a fianco, illuminando talvolta gli stessi volumi; ma questa stagione ebbe presto termine quando Girolamo lasciò definitivamente Siena, nei primi mesi del 1474. Dalla fine del 1472 fino a quel periodo, L. aveva ornato ben sei graduali (23.8, 16.1, 19.4, 18.3, 17.2, 22.7).
La corretta interpretazione dei libri contabili dell'Opera ha smentito l'ipotesi che alcune di queste miniature fossero state colorate da Girolamo su disegno di L., sebbene sia possibile che i due artisti avessero eccezionalmente collaborato nei graduali 16.1 e 23.8. Somiglianze con minii di L. contenuti in quest'ultimo volume hanno peraltro indotto a credere di sua mano anche tre illustrazioni di un Libro d'ore appartenuto ad Artemisia Piccolomini (Filadelfia, Free Library, Lewis Collection), a parziale conferma di una sua collaborazione con la famiglia senese, riferita da Vasari. Dopo la fase di iniziale accostamento, L. e Girolamo ritornarono a esprimere due linguaggi artistici pienamente autonomi, ma con un effetto di normalizzazione che va a danno soprattutto del primo. Nel 1474 L. completò alcune miniature dell'antifonario 10.L lasciate incompiute da Girolamo, ormai partito da Siena, e si dedicò alla decorazione dell'antifonario 1.A. Un altro vuoto documentario, tra novembre 1474 e giugno 1475, è stato messo in relazione con l'esecuzione della Madonna in trono col Bambino, i ss. Benedetto (o Bernardo) e Francesca Romana e tre angeli per la chiesa olivetana di S. Maria Nova a Roma, generalmente attribuita a Liberale. Nel giugno 1475 concluse la decorazione dell'antifonario 10.L insieme con Venturino Mercati da Milano, con il quale illuminò inoltre gli antifonari 13.O (giugno-ottobre 1475), 3.C (novembre-dicembre 1475) e 12.N (dicembre 1475 - aprile 1476).
Fra aprile e maggio 1476 L. lasciò Siena per trasferirsi nuovamente a Monte Oliveto Maggiore. Il 22 giugno, ancora ospite dell'archicenobio, mandò una sua "soma" a Firenze (Eberhardt, 1983), forse nell'intenzione di sostarvi per qualche tempo. Si può solo presupporre che in queste circostanze avesse fatto definitivo ritorno al Nord, dal momento che non si hanno più sue notizie fino al 9 sett. 1481, quando firmò insieme con Nicolò Solimani un accordo per decorare la cappella Tonso nella chiesa servita dell'Annunziata a Rovato; di questi affreschi tuttavia non vi è più traccia.
Il 7 maggio 1487 stipulò un accordo con gli olivetani di Sant'Elena, isola sita all'estremità orientale di Venezia, per la pala dell'altar maggiore della chiesa (Danzi; Tagliaferro).
La scrittura, che conferma la presenza di L. in laguna documentata già un mese prima, fornisce in dettaglio le misure e il soggetto della tavola (un'Assunzione della Vergine con i dodici apostoli), che doveva essere sormontata da una scultura di S. Elena. I contraenti fissavano un compenso di 400 ducati e un termine di due anni e mezzo per la consegna, che tuttavia non è certo sia mai avvenuta. Nel contratto si conveniva inoltre che L. avrebbe realizzato il quadro a Verona, dove evidentemente aveva allestito la sua bottega, e che - su richiesta dei committenti - si sarebbe ispirato a un S. Sebastiano da lui dipinto per il concittadino Alessandro Marescalchi.
Il rapporto continuativo con gli olivetani sembra testimoniato anche dalla sola opera firmata e datata di L.: la pala raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Lorenzo, Cristoforo, Bernardo e un beato olivetano (Berlino, Staatliche Museen), del 1489, la cui iconografia suggerisce una provenienza da una chiesa dell'Ordine.
A quella data L. si era ormai stabilito a Verona, dove fra luglio e agosto 1488 sostenne una lite giudiziaria contro la locale arte dei falegnami. L'anno seguente sposò Ginevra figlia di Giovanni Piccinino, barbiere di origine cremonese. Con lei e con le figliolette Lucrezia e Girolama abitava in contrada di S. Giovanni in Valle nel 1492, quando risulta essere iscritto all'estimo e all'anagrafe. Nel gennaio del 1493 fu chiamato dal Comune insieme con Domenico Morone e Antonio Giolfino per stimare le sculture da collocarsi sulla loggia del Consiglio, segno che il maestro aveva raggiunto una posizione di rilievo nell'ambito artistico cittadino.
La documentazione scritta è però avara di notizie relative al suo operato in questi anni, a dispetto della lunga lista di dipinti enumerata da Vasari, che comprende, fra gli altri, l'Adorazione dei magi (duomo), i tre scomparti di predella con Natività, Adorazione dei magi e Morte di Maria (Palazzo vescovile, già duomo), l'Assunzione di s. Maria Maddalena con le ss. Caterina e Toscana e quattro angeli (S. Anastasia), S. Metrone fra i ss. Domenico e Antonio da Padova (S. Vitale, già S. Maria del Paradiso), lo sportello raffigurante sul recto e sul verso rispettivamente l'Adorazione dei magi, S. Pietro e S. Girolamo fra i ss. Francesco e Paolo (Museo di Castelvecchio, già S. Maria della Vittoria). Si tratta di opere databili genericamente dopo il ritorno dalla Toscana, la cui attribuzione può essere confermata solamente per via stilistica.
Sicura è invece la paternità degli affreschi che ornano la cappella Bonaveri in S. Anastasia, dove la firma di L. è apposta su una lesena a sinistra dell'arco di ingresso.
Anche in questo caso la datazione è controversa, talvolta situata a ridosso della costruzione della cappella (1491), talaltra riferita a successive campagne decorative (1495, 1498). Il complesso figurativo comprende una Pietà (lunetta superiore), il Padre Eterno con una gloria di angeli (parete superiore), i Ss. Pietro, Paolo, Domenico, Pietro Martire e Lucia e Allegorie (parete inferiore).
Fra il 1495 e il 1496 L. ricevette alcuni pagamenti dagli olivetani di S. Maria in Organo per pitture nelle celle del convento e nelle cappelle della chiesa, e per alcune "figure". Questi lavori, tuttavia, non sono stati identificati.
Tra le opere della fase veronese, le tre tavolette del Palazzo vescovile sembrano databili attorno al 1489, anno in cui Antonio Giolfino intagliava l'altare ligneo dell'Assunta in duomo, di cui esse formavano la predella. La perizia del miniatore segna queste composizioni di piccolo formato, affini all'Adorazione del duomo, animate dalla gesticolazione vivace delle figure e dall'energica increspatura delle pieghe. Un notevole equilibrio nella distribuzione dei volumi contraddistingue altresì le tavole più grandi (come la pala del 1489), laddove il vigore plastico non va a scapito della grazia e lascia affiorare una vivida tensione emotiva, che tocca vertici di struggente drammaticità nei tipici volti piangenti, particolarmente apprezzati da Vasari. Questa vibrante espressività attraversa un folto gruppo di quadri devozionali raccolto attorno a una Pietà firmata (Firenze, collezione Torrigiani), il cui schema è replicato in numerose varianti (si veda in particolare quella di Monaco, Alte Pinakothek) e adattato alla dimensione monumentale nel lunettone della cappella Bonaveri. Vi si possono accostare alcune versioni di Cristo alla colonna (Cannes, Musée de la Castre; Firenze, collezione Longhi; Torino, collezione Sartori), e per certi aspetti anche il vigoroso S. Sebastiano di Milano (Pinacoteca di Brera), rilevato su uno sfondo veneziano, concepito forse nel soggiorno lagunare ma proveniente da Ancona. Di esso esisteva una variante (già Berlino, Kaiser Friedrich Museum, distrutta nel 1945), ambientata in un paesaggio con rovine classiche, mentre lo stesso soggetto ritorna in una tavola trasportata su tela, il cui pendant rappresenta un Beato agostiniano (Princeton, University Art Museum).
Come frescante, L. avrebbe forse decorato alcune facciate di case veronesi: se Vasari gli attribuiva un intervento sull'esterno della casa dei Cartai, sembra possibile assegnargli i lacerti molto rovinati di un'Incoronazione della Vergine e di un Peccato originale sulla facciata della casa n. 27 di piazza delle Erbe. Vasari accenna anche a una fitta produzione di cassoni matrimoniali, segnalandone uno in casa di Vincenzo de' Medici a Verona. A questo filone, che secondo alcuni sarebbe stato inaugurato nella città veneta dallo stesso L. dopo la sua esperienza toscana, apparterrebbe il Trionfo della Castità e dell'Amore (Verona, Museo di Castelvecchio). Sembra invece che L. avesse quasi del tutto abbandonato la miniatura, nonostante alcune sue tipizzazioni facciali ritornino in tre minii provenienti da un graduale di S. Maria in Organo e raffiguranti la Natività di Cristo, l'Adorazione dei magi e S. Giovanni Evangelista (ibid.). Infine è stata avanzata l'ipotesi, sulla base di confronti con le miniature di Siena, che L. abbia disegnato le illustrazioni dell'Aesopus moralisatus edito a Verona da Giovanni e Alberto Alvise nel 1479, tradotte in xilografia da ignoto. Attende un'ulteriore verifica anche la proposta di L. come autore dell'illustrazione nel frontespizio delle Antiquarie prospettiche romane, edite a Roma attorno al 1496 da Andreas Freitag e Johann Besicken (Dillon Bussi).
Da un contenzioso con il suocero Giovanni Piccinino si apprende che entro il 1501 L. rimase vedovo, mentre l'anagrafe dell'anno successivo testimonia l'avvenuto matrimonio con una certa Paola. Ancora in vita nel 1518, quando i due consorti erano nuovamente iscritti all'anagrafe, la seconda moglie morì probabilmente entro il 1525, se nel febbraio di quell'anno L. contraeva davanti al notaio il patto nuziale con Eva, figlia del medico Rodolfo.
In questo periodo L. non sembra essersi più allontanato da Verona. Registrato negli estimi del 1502, 1515 e 1518, egli sottoscrisse come testimone un atto notarile del 1515 e una sentenza arbitrale del 1519, e fu coinvolto in una causa civile nel 1523.
Il 5 ag. 1527 dettò testamento nella propria casa di S. Giovanni in Valle alla presenza, tra gli altri, del pittore Bonifacio di Bartolomeo Pasini e dell'intagliatore Francesco di Antonio Began.
Il L. nominò la moglie Eva usufruttuaria dei propri beni mobili e immobili, stabilendo che alla morte di questa fossero considerate eredi universali Margherita e Lucrezia, figlie del pittore Francesco Torbido, al quale lasciò un'ancona raffigurante l'Assunzione della Vergine e affidò il compito di portare a termine una pala per la Confraternita laica della Beata Vergine nella cattedrale di Verona.
La notizia fornita da Vasari, secondo cui L. sarebbe morto nel giorno di S. Chiara (11 agosto) del 1536, è smentita dall'anagrafe veronese del 1529, che menziona il pittore come già deceduto. È possibile che la data dell'11 ag. 1527, successiva di un giorno alla deposizione del testamento da parte del notaio presso l'Ufficio del registro, corrisponda a quella della morte di Liberale.
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