LIBANIO (Λιβάνιος, Libanius)
Celebre avvocato e maestro di retorica, nato ad Antiochia sull'Oronte, nel 314 d. C. e morto circa nel 393.
L. proveniva da famiglia della grande borghesia locale, caduta in disgrazia sotto Diocleziano e quindi impoveritasi. Dopo avere errato come conferenziere in varie città dell'Oriente, insegnò a Costantinopoli, stabilendosi quindi nel 354 in patria, dove visse circondato di onori e di rispetto fino alla morte. Nel corso di questi anni L. svolse una varia attività di maestro, di consigliere politico, di avvocato della sua patria, rievocata con compiacimento nella Autobiografia. La sua influenza fu assai larga attraverso i 200 scolari, a molti dei quali, divenuti alti funzionari dell'Impero, inviò numerose lettere; né mancò di rivolgere panegirici e larvati consigli ai vari imperatori, succedutisi in questi turbinosi decenni, da Costanzo II a Giuliano, a Teodosio. Così la sua vasta opera (si sono salvati in una tradizione assai ricca ben 64 discorsi, 1544 lettere, numerose declamazioni e altri scritti retorici) si rivela preziosa e, pur attraverso il manierismo di stile caro alla tarda sofistica, uno specchio di aspetti della vita sociale e degli ideali paganeggianti proprî alle cerchie aristocratiche di Siria. Un enorme valore rivestono, infatti, alcuni dei suoi discorsi (anche se soltanto pochi furono veramente pronunziati), come ad esempio quelli Sui patrocinii, Sui templi, i panegirici di Giuliano, esaltato anche da morto (l'Epitaffio è del 368), al pari delle sue numerose lettere. Un notevole interesse per la storia del costume e del teatro pantomimico conserva il discorso Sui danzatori (Or., lxiv, ed. Foerster, iv, p. 420 ss.), utile altresì a intendere la predilezione nell'arte figurativa dell'epoca per soggetti mitici, colti in movimento, o anche per scene omeriche, come quella di Briseide portata via dalla tenda di Achille (cfr. op. cit., iv, p. 462, 14). Dal punto di vista dell'archeologo e dello storico dell'arte preziose e non ancora esaurientemente utilizzate risultano operette come le seguenti:
1) l'Antiochikòs (Or., xi, F. i, pp. 437-535), una lunga orazione in lode di Antiochia - scritta nel 360, recitata in parte nei giochi olimpici di questa città celebrati nello stesso anno - nella quale L. presenta un quadro vivido, anche se alla luce artificiale della retorica, della grande metropoli, dei suoi sobborghi (celebre Dafne), dei quartieri, dei ninfei, dell'ippodromo, del palazzo di Diocleziano, della ricchezza di acque e di bagni pubblici. Nello sviluppare quest'ultimo motivo L., impiega espressioni che evocano certe rappresentazioni della Tyche di Antiochia, quale sembra lecito ritrovare sopra una stringa aurea di cintura di Coudray, nell'Oise. Un'mustrazione topografica di Antiochia (v.) e di Dafne, da confrontare con il testo di L., è data dal noto mosaico di Yakto, ritrovato a Dafne, lo stesso con la personificazione di Megalopsychia (v.), alla cui comprensione concettuale di fondamentale importanza sono riusciti alcuni passi di L., l'autore meglio qualificato a farci valutare la tendenza alla personificazione propria dell'arte e della mentalità dell'uomo colto del basso Impero.
2) I Progymnasmata (ο ᾿Εκϕράσεις, F. viii, p. 460 ss.), di cui soltanto 7 componimenti sono ritenuti genuini, mentre i rimanenti si rivelano stilisticamente più tardi. Sono esercitazioni di scuola, fatte con la confessata ingenuità di mostrare come il discorso possa competere con opere figurative o scene naturali. Così la ἔκϕρασις 2 descrive una pittura di soggetto campestre, con case rustiche, figure di lavoratori, un carro e un tempio. La quarta presenta una città costruita in altura, cinta di mura, dalla quale scendono uomini coronati di rose. Altri giacciono su variopinti tappeti sotto due alberi, tra i quali è teso un telone purpureo per proteggerli dal sole mentre banchettano; servi sono intorno, un cane davanti la tavola e un cavallo che pasce. Un quadretto che evoca rappresentazioni come quelle del piatto di argento di Cesena (v.) o del mosaico della diaeta della villa tardo-romana di Piazza Armerina (v.). Ambedue queste pitture, descritte da L., erano nel bouleutèrion di Antiochia. La ἔκϕρασις 5 descrive la gioiosa e suggestiva festa delle calende di gennaio, utile a comprendere motivi delle figurazioni musive del mese di gennaio (v. mesi). A parte alcune altre ἐκϕράσεις non tutte genuine, come quelle che descrivono gli effetti della primavera nella natura (7), una visione di porto (8), statue di Ercole (15), di Medea (20), di Atena (22), dell'eroe Aiace furente, col petto nudo (23), un interesse particolare suscita la ἔκϕρασις 3, purtroppo frammentaria, intitolata Della corsa degli eroi (ed. Foerster, viii, pp. 468-470). Essa descrive una pittura relativa all'episodio saliente dell'Iliade, xxiii, con la corsa in onore del morto Patroclo, mentre Agamennone e Menelao, dietro ai quali sono tre scudieri, siedono giudici. Tra essi due è il canuto Nestore, che mostra di parlare con il gesto delle dita. Assiste anche Achille in ansia, avvolto in una clamide che lascia in nudità il ventre, la coscia e la gamba... (qui il testo si interrompe). Il confronto con la miniatura lvi dell'Iliade Ambrosiana riesce suggestivo.
Bibl.: R. A. Pack, Studies in Libanius a. Antiochene Society under Theodosios (Diss. Univ. Michigan, 1935); P. Wolf, Vom Schulwesen der Spätantike; Studien zu Libanius, Baden-Baden 1953; P. Petit, Libanius et la vie municipale à Antioche au IVe siècle ap. J.-C., Parigi 1955 (Inst. Fr. d'Arch. de Beyrouth); id., Les étudiants de Libanius, Parigi 1957; id., in Ant. Class., XXVI, 1957, pp. 347-382; A. J. Festugière, Antioche païenne et chrétienne. Libanius, Chrysostome et les moines de Syrie, Parigi 1959 (Bibl. Fr. d'Ath., 194). L'edizione dell'opera omnia di L. fu curata da R. Foerster, in voll. XII, Teubner, Lipsia 1903-22. Per il Pro templis (Or., XXX, F. III, p. 87 ss.), cfr. van Loy, in Byzantion, VIII, 1933, p. 7 ss., p. 389 ss. Per il De patrociniis (Or., XLVII, F. III, p. 404 ss.), cfr. L. Harmand, Libanius. Discours sur les Patronages, Parigi 1955. All'Antiochikòs sono dedicate pagine da Gl. Downey, The Olimpic Games at Antich, in Trans. Proc. Amer. Philol. Ass., LXX, 1939, p. 433 s.; id., Personifications of Abstract Ideas in the Antioch Mos., ibid., LXIX, 1938, p. 358 (per il concetto di Megalopsychia); id., The Palace of Diocletian at Antioch, in Annales Arch. de Syrie, III, 1953, p. 106 s. (l'autore prepara da tempo una grande storia di Antiochia); A. J. Festugière, op. cit., pp. 23-37 (trad. di parte del discorso), pp. 38-61 (commento arch. R. Martin); D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, Princeton 1947, p. 2, I. Per il richiamo al tipo di Tyche, cfr. G. Manganaro, in Arch. Class., XII, 1960, p. 189 ss. Per la ἔϕρασις, 4, cfr. R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic Byzant. Miniatures of the Ilias, Olten 1955, pp. 127-128. Per la ἔϕρασις Della corsa degli eroi, cfr. G. Manganaro, in Studi Miscellanei (Seminario di Archeol. d. Univ. Roma), I, 1961, p. 55 ss. e note 25 ss.