LIBANIO (Λιβάνιος, Libanius)
Retore greco del sec. IV d. C., nato ad Antiochia nel 314 da ragguardevole famiglia, e avviato dalla madre e dagli zii allo studio della retorica, volle recarsi ad Atene, poco più che ventenne, allo scopo di perfezionarsi; e si trovò a seguire, piuttosto che il suo conterraneo Epifanio o il più celebre Proeresio, un oscuro arabo di nome Diofanto. Poi viaggiò ancora, e dopo il 340 lo troviamo già come maestro a Costantinopoli, dove, al pari delle altre grandi città, quali Atene, Antiochia, Pergamo, Alessandria, Nicomedia, era una scuola ufficiale e fiorente di letteratura. Ma come succede, fra gl'intrighi e le invidie sempre eccitabili in un ambiente simile, non ebbe la meglio, e fu costretto ad andarsene prima a Nicea, e poi per un lustro, floridissimo per la sua vita e per la sua attività, a Nicomedia (344-48). Ritornò quindi a Costantinopoli, ad Atene, e nel 354 si ritirò ad Antiochia, dove morì negli ultimi anni dell'impero di Teodosio, forse il 393.
Quanto all'attività letteraria, L. non è affatto diverso dal tipo molto noto del sofista greco: esercizî adatti all'insegnamento scolastico su argomenti fittizî, commenti di autori antichi, discussione dei più semplici problemi morali fatta a base di luoghi comuni e di buon senso, e tutte cose di questo genere. A conoscere l'uomo, è molto utile osservare che fra l'enorme congerie dei suoi volumi non poche volte egli spende le sue parole per interessi pratici e per il bene degli amici, e soprattutto in difesa della sua città, approfittando della valentia nel dire e della considerazione in cui è tenuto da ragguardevoli personaggi: in un'epoca in cui si lasciava piuttosto ai vescovi la cura del benessere pubblico, L. fu per due volte il patrono della sua città, per la quale dapprima egli scrisse un discorso all'imperatore Giuliano nel 363, e che in seguito difese nel 387, per il decennale dell'impero di Teodosio, quando il popolo antiocheno distrusse le immagini dell'imperatore e dei suoi familiari (Oraz., 19-23).
Della vita di L. due sono gli avvenimenti più memorabili: l'amicizia con Giuliano l'Apostata e l'insegnamento di Giovanni Crisostomo. Questi fu da giovane tra i suoi discepoli, nello stesso modo che Basilio e Gregorio furono alla scuola d'Imerio. Per opera di questi maestri di retorica, l'ellenismo rifluisce ora a grandi fiotti nella formazione spirituale delle menti più vigorose del cristianesimo, e le affina in quell'arte della parola che ormai è resa indispensabile per i grandi vescovi dalle agitazioni e dal conflitto delle credenze nel seno stesso della chiesa. D'altra parte L. vide nell'imperatore apostata, sotto il cui regno godette della maggiore considerazione, il difensore più volte invocato dell'ellenismo, e fu partecipe della sua grande illusione. Giuliano si rivolgeva a lui col nome di "fratello carissimo e amatissimo" (Ep. 27), e L. pianse la morte immatura dell'imperatore (Oraz. 17 e 18; Epist. 1220).
Più che interesse letterario, l'enorme opera di L. presenta importanza storica, essendo un'ottima fonte per la conoscenza della vita privata e politica del sec. IV; ma in molta parte è vanità retorica o puro esercizio scolastico, di quella retorica che non offre interesse neppure per l'erudito, perché non dà frammenti o citazioni o notizie nuove dell'antichità classica. Risulta che neppure tutte le opere scritte da Libanio sono giunte fino a noi, come pure è certo che di quelle conservate alcune sono apocrife, per esempio la corrispondenza con Basilio di Cesarea.
Non potendo entrare tutti in un codice, i suoi scritti fino dall'antichità si vollero dividere in tre grandi serie: Orazioni (λόγοι), Declamazioni (μελέται), Epistole; e sono rappresentati da quasi 500 codici disseminati in tutto il mondo.
Le Orazioni sono 64 (voll. I-IV), e portano questo nome anche lettere aperte, opuscoli in forma narrativa, libelli, ampliamenti e rimaneggiamenti di veri discorsi. Sono importanti specialmente quegli scritti che ci dànno notizia della sua vita e della sua scuola, e otto discorsi (12-18 e 24) che si riferiscono in vario modo all'imperatore Giuliano: alcuni di questi, famosissimi nell'antichità, esaltano in varie occasioni le gesta e la gloria dell'imperatore nel suo breve regno, e sono specialmente rivelatori, insieme all'Or. 30 (contro la distruzione dei santuarî pagani nel 384), delle idee religiose di questo retore, il quale è attaccato alla tradizione per un motivo sentímentale: lo affligge soprattutto la decadenza degli studî (Oraz., 3, 31, 34, 43, 58), e quell'ascetismo che deprezza la vita e le antiche glorie dell'Ellade, l'arte, la poesia, l'eloquenza; ciò che gli fa considerare il cristianesimo come un'empietà dal punto di vista religioso e una barbarie sotto l'aspetto sociale.
Le Declamazioni sono comprese nei voll. V-VII, e sono una cinquantina, d'argomento vario, o mitologico, o storico, o etologico. Sono composte alla maniera dei sofisti, con argomenti fittizî presi dalla storia o dai tribunali, e a volte anche assolutamente fantastici e lontani dalla realtà. Derivano specialmente dalle abitudini e dall'ambiente scolastici, ma già da qualche secolo il popolo greco si era abituato ad ascoltare queste finzioni come dilettevoli conferenze. Per dare un'idea di simili composizioni, basta ricordare i temi di qualcuna delle più celebri: Decl. 1, apologia di Socrate; Decl. 6, autodifesa di Oreste in tribunale dall'accusa di matricidio; quattro filippiche, che dimostrano un buono studio di Demostene, di Eschine e della storia di quell'epoca; Decl. 26, un tipo melanconico fa istanza che gli sia fatta bere la cicuta per sfuggire alla chiacchiera asfissiante della sua novella sposa.
Nel vol. VIII sono pubblicate le Esercitazioni (προγυμνάσματα), che sono tipi di esercizi scolastici e raccolte di notizie utili al retore futuro: sono sentenze, detti celebri, elogi, descrizioni, confutazioni, loci communes, piccoli discorsi in bocca a personaggi del mito o della storia (ethopoeiae), e sono esercizî brevi ed elementari che avevano una secolare tradizione nella scuola dei retori, e fra i quali non poco si è introdotto di apocrifo. Ma dell'autenticità di tutta quanta la raccolta si è dubitato senza argomenti positivi. Incontestata è invece l'altra opera di Libanio, che sta nel vol. VIII e che deriva essa pure dall'attività scolastica, le succinte e sempre utili Notizie dei discorsi di Demostene precedute da una Vita del medesimo, opera composta a Costantinopoli nel 352 dietro invito del proconsole Monzio.
Di Libanio infine possediamo più di 1500 Lettere (X e XI), a persone e a personaggi d'ogni genere, quante non abbiamo di nessun altro fra gli scrittori antichi; e sono naturalmente piacevoli per lo stile attico, spiritoso, limpido, e molto importanti per la conoscenza dell'autore e dell'epoca sua.
L., ancora vivo, fu onorato pubblicamente in molte città, famoso dovunque per l'eloquenza. Nel campo della filosofia, di cui pure si piccavano questi sofisti, egli era di molto inferiore al suo rivale Temistio, che a Costantinopoli dominava dopo il 350. Antagonismo egli ebbe con Imerio di Atene, il quale, benché nutrito degli antichi scrittori attici, pure si professava moderno nelle tendenze retoriche e nella composizione. In L. la venerazione per gli autori e i poeti antichi è spinta al massimo; egli dice che da Demostene ha imparato a parlare, e lo studio di Demostene specialmente, d'Isocrate e di Platone si palesa in ogni pagina, e insieme a essi, qualche volta, Elio Aristide, che egli ammirava grandemente. Fu denominato il piccolo Demostene, ma in lui, naturalmente, si cercherebbe invano la stoffa dell'oratore: egli è sempre il sofista facile e colorito nell'invenzione, un po' carico e oscuro nella frase, qualche volta fine e umoristico. Ma in tutto il periodo bizantino, egli fu messo alla pari con i maggiori rappresentanti dell'eloquenza classica; e ha pure attirato, ai tempi nostri, le giovanili cure filologiche di Giacomo Leopardi.
Ediz.: L'edizione da usare è quella in voll. 11 di R. Foerster (Lipsia 1903-1922), dei quali il nono è stato pubblicato postumo nel 1927 a cura di E. Richtsteig, che ha pubblicato anche un volumetto contenente l'indice a tutta l'edizione di Foerster (Libanii, XII, 1923). Le Lettere di L. erano state pubblicate la prima volta da G. C. Wolf, ad Amsterdam, solo nel 1738. Da vedere inoltre M. Schwabe, Analecta Libaniana, Berlino 1918.
Fonti: Si potrebbe narrare minutamente la vita di Libanio, ricavandola in generale dai suoi scritti e in particolare dalla sua prima orazione, che è in sostanza un'autobiografia, scritta in tardissima età. Abbiamo di L. anche una biografia scritta senza molta informazione e senza buon criterio da un contemporaneo, Eunapio, nelle Vite di sofisti. Altra fonte sono alcune Lettere di Giuliano e qualche passo di Giovanni Crisostomo.
Bibl.: Per la vita e le opere, vedi L. Petit, Essai sur la vie et la correspondance du soph. Lib., Parigi 1866; M. Petit de Julleville, L'école d'Athènes au IVe siècle, Parigi 1868; ottimo E. R. Sievers, Das Leben des Lib., Berlino 1868; O. Seeck, Die Briefe des Lib. zeitlich geordnet, Lipsia 1906; complessivamente l'art. di Foerster-Münscher, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, coll. 2485-2551. Cfr. in generale G. Misch, Geschichte der Autobiogr., I, Lipsia 1907, p. 357; per la corrispondenza con Basilio, G. Pasquali, in Studi ital. di filol. class., n. s., III, p. 129 segg.; per il centinaio di lettere latine falsificate dall'umanista Francesco Zambeccari, v. R. Foerster, Die Briefe des Lib., Stoccarda 1878; per le particolarità del suo stile retorico, E. Rother, De Lib. arte rhetorica quaestiones selectae, Breslavia 1915.