Lex mercatoria
Definizione e nascita
Il fenomeno della lex mercatoria non sollecita, specie in tempi recenti, l’interesse e gli interrogativi dei soli giuristi. Insieme a essi, filosofi, sociologi, economisti, politologi, studiosi delle istituzioni, storici accostano, ciascuno attraverso la propria lente, la lex mercatoria. E non di rado ritrovano nella sua rinnovata fortuna la traccia dell’evoluzione dei rapporti e dei conflitti socioeconomici della nostra epoca, dell’età globale. La descrizione giuridica di quel che attualmente può intendersi per lex mercatoria e, ancor più, delle linee sulle quali si muove la sua evoluzione non può allora essere disgiunta dalle suggestioni che provengono dalle diverse, appena ricordate, fonti di indagine: appare allora utile prenderle in considerazione per dar conto di quel che, giuridicamente, oggi e in prospettiva, rappresenti la lex mercatoria all’interno del sistema delle regole dei rapporti economici.
Si intende per lex mercatoria, pur nell’inevitabile genericità e approssimazione di ogni definizione, l’insieme di regole, elaborate dagli operatori economici o, se si preferisce, in seno alla business community, che vuol porsi come ordinamento autonomo e sovranazionale, destinato a disciplinare i rapporti commerciali internazionali su un piano di prevalenza o di parità con le leggi nazionali o le convenzioni internazionali.
Storicamente l’espressione lex mercatoria – o quella equivalente di ius mercatorum – si ricollega al fenomeno, sviluppatosi lungo tutto il corso del Medioevo, di creazione del diritto a opera dei mercatores: un processo nato dallo stratificarsi degli usi e delle consuetudini del commercio e progressivamente istituzionalizzato, con l’affermarsi delle corporazioni, negli statuti. Un diritto che nasceva in consapevole alternativa allo ius commune (e anche al diritto canonico), come diritto ‘speciale’, perché applicabile ai rapporti commerciali e perché creato dal ceto dei mercanti, e come diritto ‘universale’ destinato a regolare i rapporti tra mercanti indipendentemente dalla loro nazionalità, dai luoghi dello scambio e dalle regole che in essi erano vigenti. Un diritto, inoltre, che si caratterizzava per l’onnicomprensività del suo ambito di efficacia. Non erano, infatti, soltanto le regole di diritto sostanziale a comporre lo ius mercatorum: particolari erano anche le regole sull’accertamento tanto del suo rispetto quanto delle sue violazioni. L’accertamento era affidato a tribunali speciali, composti essenzialmente da mercanti, con regole procedurali, le quali erano ispirate a semplicità e a speditezza.
Ed era un sistema di regole che giungeva anche a elaborare alcuni strumenti autonomi di coercitività: per fare soltanto un esempio, colui il quale si sottraeva a quanto stabilito dai giudici delle fiere era destinatario di un ordine di presentazione, per la cui esecuzione le autorità della patria del debitore dovevano prestare assistenza. La mancata presentazione del singolo comportava il bando dalle fiere; la mancata assistenza dell’autorità di una città oppure di un Paese comportava «il grande bando dalla fiera, che ha per effetto l’esclusione dalla fiera di tutti i cittadini di quella città o di quel Paese» (L. Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, 1891; trad. it. 1913, p. 183).
Un modello transnazionale, diremmo oggi, di produzione e riconoscimento del diritto e della giustizia dei mercanti a tutela degli interessi del loro ceto, in cui le regole erano continuamente create dall’uso del commercio ma che comunque i mercanti, all’interno delle corporazioni e con l’aiuto del giurista, raccoglievano e sistemavano in un processo di continuo rinnovamento non interrotto. Sistema e processo che non limitavano i loro effetti ai rapporti tra i mercanti: sia perché essi finivano per applicarsi anche ai rapporti in cui solo una parte era mercante, sia perché (ma qui l’evoluzione si è snodata su tempi assai più lunghi attraverso e a ragione di profondi mutamenti istituzionali ed economici) è dallo ius mercatorum che sono nati e si sono sviluppati istituti giuridici destinati a essere utilizzati allo scopo precipuo di regolare pure i rapporti fra privati.
Dall’antica alla nuova lex mercatoria
L’antica lex mercatoria nasce e si sviluppa in uno scenario nel quale il signore, il principe, l’autorità comunale (a seconda delle varie forme di potere che in quei tempi si affiancavano o si succedevano) non pretende per sé il ruolo di regolatore locale di tutti i rapporti giuridici collegati al suo territorio o ai suoi cittadini. Come è stato detto con espressione felice è un legislatore ‘appartato’ (Grossi 2007), un giudice chiamato ad applicare equità in uno scenario di diritti a vocazione universale: lo ius commune discendente dal diritto romano; lo ius canonicum, espressione del potere ecclesiale tutt’altro che indifferente alla regolamentazione delle cose mercantili (basti pensare al divieto dell’usura e allo stimolo che ciò ha rappresentato per la creazione di istituti giuridici da parte della lex mercatoria al fine di ‘aggirarla’); lo ius mercatorum, appunto, la cui ragione di universalità sta nell’assenza di confini del commercio e dell’attività dei mercanti, nel comune linguaggio delle regole che gli affari parlano e intendono parlare nell’interesse del loro sviluppo, nella necessaria sua adattabilità alle mutevoli esigenze delle vicende economiche, e che solo un sistema di regole che ripete il suo contenuto dalle prassi e dagli usi del suo ceto può assicurare.
Nel trascorrere dei secoli il descritto quadro istituzionale muta radicalmente: la nascita e lo sviluppo degli Stati-nazione sostituisce al legislatore ‘appartato’ un legislatore presente, che vuole esercitare la piena potestà regolamentare sui soggetti e sui rapporti che hanno collegamento con il proprio territorio. Certo, non si tratta di un diritto ostile ai mercanti: essi ottengono spesso dagli Stati regole speciali, giungendo a ‘commercializzare’ il diritto dei privati o comunque a renderlo funzionale allo sviluppo della libertà dell’iniziativa economica e della borghesia, in misura sempre più vasta via via che i modelli economici alternativi a quelli capitalistici chiudono la loro storia. Certo è, però, un diritto che, anche nella disciplina dei rapporti economici, attribuisce alla legge, emanata nelle forme fissate dall’istituzione statale, un rango preminente sugli usi o sulle consuetudini e il ruolo di arbitro della loro rilevanza sul piano strettamente giuridico formale.
Semplificando all’estremo, è la stagione che giunge alla sua maturazione (ma anche all’inizio del suo tramonto) con i codici nazionali (specie nei Paesi di tradizione giuridica latina), con il positivismo giuridico (in irrimediabile conflitto con la libertà commerciale, finanziaria, economica: M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa, 1994, p. 108), con la considerazione del giudice quale bouche de la loi; che nella legge risolve il diritto, fondato sul piano della teoria generale sulla norma fondamentale (Grundnorm) kelseniana a conferma di un legame fra legge e territorio (Irti 2006). È la stagione in cui il conflitto fra i diritti degli Stati chiamati a regolare i rapporti contrattuali fra privati, e con essi anche i rapporti commerciali e di impresa, viene principalmente risolto con le norme di diritto internazionale privato e processuale che, all’interno di ogni ordinamento, stabiliscono quale legge nazionale deve essere applicata e da quale giudice quando la relazione intercorra fra soggetti di nazionalità diversa; o, in alternativa, e in misura sempre crescente con il passare del tempo, viene risolto tramite il sistema delle convenzioni internazionali (e da parte dei giuristi, con i primi tentativi di creare diritti uniformi, comuni a più Stati).
Sullo sfondo, e soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, si muove l’evoluzione degli assetti istituzionali nel processo di formazione del diritto. Si assiste, così, anzitutto alla sempre crescente internazionalizzazione dei luoghi di produzione delle regole del mercato, anche e proprio in ragione delle esigenze dell’economia e della libera circolazione delle merci e dei servizi. Il riferimento immediato è, in Europa, alla Comunità europea; su scala mondiale al ruolo delle Nazioni Unite, ma anche a quello di varie agenzie internazionali, come la WTO (World Trade Organization), cui gli Stati aderiscono e alle cui decisioni si sottomettono. Nello stesso tempo, però, il tramonto dei totalitarismi comporta la sempre maggiore identificazione della regola di fonte legale – statale o anche frutto della scelta dello Stato di accettare, tramite ratifica o abdicazione volontaria, il sacrificio della propria potestà legislativa in favore di quella attribuita a organismi internazionali o sopranazionali – con la legittimazione democratica della norma. Ci si chiede, allora, se sia opportuno riconoscere oppure assecondare il riconoscimento del ruolo di fonti alternative di diritto a regole prive di tale legittimazione: proprio quel ruolo che, come vedremo, la nuova lex mercatoria richiede per sé.
La nuova lex mercatoria, appunto: costanti nel tempo, pur nel mutamento degli scenari storici, politici, istituzionali e sociali, sono rimaste la vocazione alla specialità e universalità del diritto commerciale. Anzi, queste caratteristiche si sono enfatizzate nell’era dell’economia globale dove non solo gli scambi, ma anche la produzione, in ragione della convenienza economica, sono ampiamente delocalizzati. È consueto il riferimento all’esempio delle modalità di produzione e realizzazione di un chip per computer: come scrive, fra i molti, il presidente della Federal reserve, Ben S. Bernanke, prendendo, per es., un produttore statunitense, la ricerca e/o lo sviluppo sono effettuati in California, la produzione avviene in Texas, in Germania e in Giappone, i test e i controlli finali in Thailandia, Singapore, Malaysia e in Cina, e infine la vendita avviene in tutti i mercati mondiali (Bernanke 2006). Nello stesso tempo si consolida la vocazione all’internazionalizzazione dei mercati anche per i prodotti di aziende locali di dimensioni non rilevanti: non solo le grandi corporation a carattere multinazionale ma – anche grazie allo strumento del commercio elettronico – le piccole e medie imprese intrattengono rapporti con imprenditori, commercianti e consumatori di differenti nazionalità. Sul versante giuridico, dunque, non meraviglia che, rivendicando una non interrotta continuità, si sia tornati dalla seconda metà del Novecento a scrivere di lex mercatoria e si sia giunti in questi anni, e in misura via via crescente, a un’approfondita elaborazione dell’individuazione del suo contenuto e della sua effettiva capacità di porsi come fonte del diritto commerciale internazionale. Il desiderio dei mercanti olandesi del Seicento e dei loro giuristi, per cui le regole del commercio non debbano soggiacere alle divisioni del mondo, è vivo e attuale: possibilità, grado e ampiezza della sua realizzazione devono però essere verificati in uno scenario, come si diceva, profondamente mutato rispetto alle origini. E conviene, perché il discorso sia correttamente impostato, muovere proprio dall’individuazione delle fonti della nuova lex mercatoria.
Le fonti
Non di rado, in ambito giuridico, si ritiene che, a dispetto della suggestione che ispira, il contenuto della nuova lex mercatoria sia vago e indefinito, se non proprio riducibile, in concreto, a principi talmente generici da essere patrimonio di ogni ordinamento o almeno di quelli dei Paesi a economia avanzata. Il rilievo è ingeneroso specie con riferimento alle più recenti evoluzioni della lex mercatoria: all’opposto, il meccanismo di formazione delle regole che si vuole riconducibili al nuovo ius mercatorum, mentre ripercorre dei sentieri antichi, rivela anche il suo rapporto di confronto/conflitto con le norme di legge a derivazione statale o internazionale.
Gli usi e le prassi del commercio internazionale sono, da sempre, la base, che incessantemente si rinnova, della lex mercatoria. Gli usi e la prassi, a loro volta, nascono e si sviluppano innestati in un contratto. Quelli che oggi conosciamo come contratti tipici d’impresa, disciplinati nei codici nazionali di tutto il mondo, nascono spesso dai contratti elaborati dai mercanti in tempi passati o più recenti; ma nulla è cambiato al riguardo ai nostri giorni. Le esigenze operative dell’economia e della finanza richiedono continuamente modelli di accordo e forme giuridiche nuove che non trovano corrispondenza piena nei contratti tipici: così, come è sempre accaduto, dove più intensa e veloce è la dinamica degli affari gli operatori economici e i loro professionisti creano schemi contrattuali che la globalizzazione dei mercati esporta rapidamente in tutto il mondo. Alcuni hanno nomi ormai familiari all’uomo della strada (per es., leasing, franchising), altri restano ancora patrimonio degli iniziati (si pensi ai vari contratti derivati del mercato finanziario). Come è stato efficacemente osservato «il contratto si fa prassi, la prassi genera l’uso e l’uso crea la norma» (Roppo 2001, p. 1085), ma nell’economia globale e soprattutto nelle relazioni internazionali, la norma è sempre, inevitabilmente, destinata a una vana rincorsa. Il contratto, la prassi, l’uso chiedono, a mezzo dei loro creatori, di essere regola autonoma del rapporto al quale si riferiscono: di essere, appunto, il diritto dei mercanti.
Contratti, prassi e usi non restano affidati alla sola, talora fragile, consistenza della consuetudine del comportamento: così come, all’interno delle corporazioni, essi diventavano oggetto di raccolta in statuti, oggi organizzazioni internazionali dell’economia e del commercio, espressione del ceto mercantile, ne predispongono modelli e raccolte destinati, a seconda dell’oggetto, alla generalità degli operatori economici o agli appartenenti a determinati settori. Gli esempi sono molti: basterà qui ricordare la International chamber of commerce (ICC) che pubblica, con aggiornamenti periodici, i cosiddetti Incoterms – raccolte di usi della vendita internazionale con trasporto – o le norme uniformi in tema di credito documentario, che regolano per larga parte l’esecuzione e il finanziamento degli scambi internazionali. Ma si possono annoverare tra essi anche le law firms (studi legali) o i giuristi interni che prestano all’impresa – e in particolare alla grande impresa – il loro servizio giuridico di creazione delle forme e delle regole più efficienti e flessibili per l’esercizio dell’attività economica (Ferrarese 2006).
Altra ‘fonte’ della lex mercatoria viene ravvisata nei principi giuridici comuni ai diversi ordinamenti statali: si tratta del tronc commun o common core del diritto commerciale internazionale, in cui le regole statali diventano, quando condivise in modo universale, diritto sovranazionale destinato a essere applicato senza nessuna mediazione delle regole di individuazione del diritto nazionale applicabile tramite il diritto internazionale privato. Importante sviluppo di questo approccio teorico è quello che considera il diritto materiale uniforme, contenuto nelle convenzioni internazionali, destinato non solo a essere legge formale dei rapporti a esso applicabili, ma anche a rappresentare l’espressione generale dello ius mercatorum internazionale: dunque utilizzabile anche per disciplinare contratti che non vi sarebbero a rigore soggetti. Ciò tanto più quanto le convenzioni internazionali si siano rivelate di ampio successo: si pensi alla Convenzione di Vienna (la United Nations convention on contracts for the international sale of goods,1980, entrata in vigore nel 1988) sulla vendita internazionale di beni mobili, ratificata da oltre 70 Paesi, che spesso è utilizzata in pronunce arbitrali come espressione di una lex mercatoria universale della materia.
Naturale evoluzione della ricerca nelle leggi e nelle convenzioni esistenti delle tracce di una lex mercatoria universale è il fenomeno, per così dire, della codificazione extrastatuale dei principi generali di un diritto commerciale internazionale, o, più precisamente, del diritto dei contratti commerciali internazionali, che conosce attualmente una significativa fortuna applicativa. Di tale fenomeno l’espressione di maggior ambizione e di maggior successo sono certamente i principi dell’Institut international pour l’unification du droit privé (UNIDROIT) sui contratti commerciali internazionali, redatti nel 1994 e aggiornati nel 2004. Elaborati da un gruppo di giuristi di diverse nazioni per l’UNIDROIT – istituto delle Nazioni Unite per l’unificazione del diritto – i principi nascono con l’ambizione di offrire agli operatori economici e, ancor più, a chi è chiamato a decidere controversie in materia di contratti commerciali internazionali, un testo strutturato secondo gli schemi classici di una legge (specificamente di una parte generale del diritto dei contratti commerciali). Sono gli stessi principi però a rivendicare la loro natura non normativa, di restatement ovvero di ricognizione e sistemazione delle regole oggettive del commercio internazionale, ritenute di comune e condivisa utilizzazione nella prassi del commercio internazionale. Ambizione, come si dirà, non rimasta delusa, pur se talvolta si rimprovera ai principi di aver svolto anche una funzione creativa e non meramente ricognitiva delle regole oggettive del commercio internazionale. Sulla stessa linea si collocano i PECL (Principles of European Contract Law) elaborati da un commissione di giuristi in seno alla Comunità europea, e il censimento, costantemente aggiornato presso l’Università di Colonia dal Center for transnational law, di principi e regole la cui diffusione ne giustifica l’inclusione all’interno di una ideale lex mercatoria.
Infine, nell’ambito delle fonti dell’attuale diritto dei mercanti, un posto non trascurabile spetta alla giurisprudenza degli arbitri chiamati a decidere controversie in materia di diritto commerciale internazionale. La frequenza, specie nei contratti di maggior rilievo economico, delle clausole che devolvono ad arbitri – spesso secondo le regole di arbitrati amministrati presso le Camere di commercio – la definizione delle controversie, ha generato una giurisprudenza sensibile alle istanze di delocalizzazione del diritto applicabile ai contratti internazionali. Ciò sia per scelta contrattuale delle parti sia per le regole sul diritto applicabile dettate nei regolamenti degli arbitrati amministrati, sia, infine, per una naturale tendenza degli arbitri internazionali a non sentirsi, per definizione, vincolati a un diritto nazionale.
I lodi arbitrali internazionali, con una forma di autopoiesi delle regole, hanno non solo fatto di frequente riferimento alla lex mercatoria quale fonte delle loro decisioni, ma individuandone il contenuto si sono posti essi stessi come fonte delle regole del commercio internazionale; secondo un processo ben noto anche negli ordinamenti nazionali il diritto a matrice giurisprudenziale, derivante dall’interpretazione e dall’integrazione delle norme di legge, è da tempo annoverato fra le fonti del diritto vivente (Galgano 2005).
Dunque, il quadro delle regole che si raccolgono sotto l’ampia definizione di lex mercatoria è composito e, per sua natura, in perenne evoluzione: e quel che più sollecita l’attenzione dei vari studiosi di diversi campi di indagine è comprendere quale sia, oggi, la sua effettiva capacità di rappresentare un diritto di natura non legale e non statale dei rapporti commerciali internazionali e quali problemi e conflitti questa pretesa sia destinata a suscitare.
Fuga dalla legge
Usi e prassi del commercio internazionale, clausole e regole standard contenute nei modelli contrattuali hanno un’elevata capacità di imporsi come regole effettive dei rapporti commerciali internazionali, in ragione della loro spontanea applicazione da parte dei contraenti e della più generale considerazione della loro vincolatività da parte della comunità degli affari. Se gli operatori del commercio internazionale si attengono sistematicamente alle regole che sono fissate nel contratto fra loro stipulato, agli usi e alle prassi consolidatesi in un determinato settore e fissati dalle agenzie internazionali alle quali si è fatto cenno, si può affermare che i rapporti commerciali internazionali sono regolati da una lex mercatoria che si impone ai suoi destinatari per il solo fatto della sua esistenza e del suo rispetto; tanto più se ciò avviene senza che si senta la necessità di interrogarsi sulla compatibilità di tali regole con le norme di legge di fonte nazionale o internazionale.
Su un piano ancor più specifico la concreta effettività della lex mercatoria può apprezzarsi quando, pur in presenza di un conflitto sulla regola da applicare a un determinato rapporto, le parti prestino obbedienza spontanea a una decisione che individui tale regola proprio in alcune delle fonti non normative che compongono il mosaico della lex mercatoria, e non in una legge nazionale o in una convenzione internazionale. Ciò accade, in particolare, con riguardo alle decisioni rese negli arbitrati internazionali: il fenomeno è tanto più rilevante ai fini dell’analisi sull’effettività della lex mercatoria quanto più si diffonderà il ricorso all’arbitrato come forma dello ius dicere nei rapporti commerciali internazionali, e quanto più si affermerà (v. oltre) l’orientamento degli arbitri del commercio internazionale di poter liberamente delocalizzare il diritto applicabile in favore di regole transnazionali a fonte non legale. In tal modo l’effettività concreta della lex mercatoria copre la regola e la sua applicazione: così come nel Medioevo regola e sua applicazione erano affidate, nelle fiere, all’uso dei mercanti e ai loro consoli.
Su altro versante, parzialmente differente (tanto che si potrebbe dubitare del fatto che si tratti di un’altra manifestazione dell’effettività spontanea della lex mercatoria), si assiste, specie nei contratti commerciali di rilievo economico importante (per es., grandi contratti di investimento), intercorrenti talvolta fra imprese private e Stati sovrani o soggetti di loro emanazione, alla pretesa delle parti di rendere il contratto interamente autosufficiente come fonte delle regole di completamento a esso applicabili. Si parla così, fra diffidenza dei giuristi e interesse di sociologi ed economisti, di contratto senza legge. Evitando di confondere questo fenomeno con quello in cui le parti prevedono che la lex mercatoria sia il diritto applicabile al contratto (v. oltre), l’elaborazione di un contratto che tenda da un lato (come non di rado vorrebbe la legge) a regolare tutte le possibili evenienze e, dall’altro, soprattutto a prevedere gli strumenti necessari a superare, operativamente e sul piano interpretativo, il ricorso al completamento legale o giudiziario, è perfettamente funzionale alle esigenze di un’economia globale, specie nei settori a più alta intensità di investimento di risorse. La legge nazionale (tanto più se controllabile da una delle parti) diviene elemento di incertezza poiché variabile nel corso della lunga esecuzione del contratto: nel contratto le parti ripongono la convinzione – spesso in concreto fallace – di poter regolare definitivamente ed esclusivamente il miglior assetto dei loro interessi e la miglior tutela del loro investimento.
«Il contratto ha forza di legge fra le parti», recita l’art. 1372 c.c.: «il contratto è la sola legge fra le parti» è il principio che i contraenti vogliono realizzare. Il giurista sa che non esistono, nella realtà, contratti senza legge o che non siano, almeno in astratto, sottoposti a una legge: nello stesso tempo sa che il diritto non è riducibile alla legge. Nei termini appena descritti la lex mercatoria diviene, in senso lato, parte di quelle regole che pur non avendo valore normativo in concreto, sono in grado di disciplinare i comportamenti dei soggetti ai quali si rivolgono; regole alle quali gli operatori economici si conformano volontariamente e la cui capacità di imposizione sta, di volta in volta, nella forza di chi le elabora e le consolida, nella loro effettiva attitudine a rispondere in modo equilibrato o non eccessivamente sperequato alle esigenze dei suoi destinatari e nel discredito economico di coloro i quali non le osservano.
In questa forma ed entro questi limiti la lex mercatoria può dirsi espressione di un ordinamento che concorre a delineare le regole dei rapporti commerciali internazionali. Sociologi e filosofi del diritto hanno individuato proprio nell’autobbligazione e nella natura di norme-potere (in alternativa alle norme-dovere) le caratteristiche delle regole che, in un’epoca di diritto statale debole e chiamato a disciplinare importanti fenomeni sociali ed economici che trascendono i limiti del singolo ordinamento, si danno agenzie e organizzazioni più o meno dotate di riconoscimento istituzionale e di capacità di giudicare della loro applicazione (si pensi alla già citata WTO). In esse hanno inserito anche la lex mercatoria come espressione, nell’ambito privatistico (che sarebbe incline al codice dell’autobbligazione più che al codice dell’obbedienza: Catania 2008, p. 84), dell’ordinamento di un’economia e una finanza globale che nelle regole autoprodotte vede la forma più efficiente di risoluzione dei possibili conflitti. Pure hanno sottolineato che essa appare, specie in alcuni settori, più che l’espressione di un ceto mercantile descrivibile in maniera unitaria, l’emanazione di agenzie dei ‘mercanti’ più forti, con la conseguente creazione di un diritto diseguale.
Ma per rispondere alla domanda se, oltre a questa e pur importante soglia di effettività, la lex mercatoria abbia oggi la capacità e la possibilità di essere una fonte autonoma del diritto dell’economia e della finanza internazionale, per quali rapporti e per quali soggetti, si deve mettere la lex mercatoria a confronto con l’ordinamento giuridico statale o internazionale e con il suo diritto: la legge.
Fra autonomia negoziale e risoluzione dei conflitti
Leggi nazionali, convenzioni internazionali e lex mercatoria pongono regole di completamento e di risoluzione dei conflitti nei rapporti giuridici dell’economia internazionale. Rapporti giuridici di natura essenzialmente privatistica, per i quali tradizionalmente gli ordinamenti giuridici delle economie liberali accordano ampio spazio, nella cornice delle norme di legge, all’autonomia negoziale.
Nel sistema delle fonti dei diritti nazionali, si diceva, il contratto, gli usi, le prassi, hanno tradizionalmente un rango inferiore alla legge: intanto possono operare in quanto essi non vi urtino e in quanto la legge autorizzi il loro utilizzo in funzione di completamento degli accordi delle parti. Questa subordinazione, nel caso della lex mercatoria composta di regole prive di valore normativo formale, viene posta in crisi.
In primo luogo si fa strada la tendenza, assecondata talvolta dalle stesse leggi nazionali o dalle convenzioni internazionali, all’applicazione della lex mercatoria in via diretta o quanto meno concorrente con le norme statali. Ciò accade specie innanzi agli arbitri internazionali: e i giudici nazionali hanno in alcune occasioni qualificato legittimo e secondo diritto il lodo che abbia deciso in base alla lex mercatoria. In secondo luogo si registra l’apertura, nelle leggi nazionali, nelle convenzioni internazionali e da parte dei tribunali arbitrali, all’autonomia negoziale nella scelta del diritto applicabile, nel senso che le parti legittimamente potrebbero decidere di sottoporre il contratto alla lex mercatoria.
Qualche riferimento più squisitamente tecnico potrà meglio far comprendere la soglia di effettività che per questa strada la lex mercatoria ha raggiunto o può aspirare a raggiungere. Non di rado nei contratti commerciali internazionali, specie quelli di maggiore rilevanza economica, all’inserimento della clausola che attribuisce ad arbitri la competenza a risolvere le controversie derivanti dal contratto si aggiunge quella di una scelta del diritto astatuale. Pur essendo assai raro che in un contratto si ritrovi l’espressa indicazione della lex mercatoria come diritto applicabile, ricorrono invece i riferimenti a espressioni quali i ‘principi generali del diritto commerciale internazionale’, ‘usi del commercio internazionale’ o, più in generale ancora, all’equità o ai principi generali del diritto. Non è infrequente che in sede arbitrale queste clausole vengano prese sul serio e siano lette come espressione della chiara volontà delle parti di non voler affidare la soluzione del conflitto a una normativa nazionale o a una convenzione internazionale. Nello stesso tempo non pochi regolamenti delle camere arbitrali internazionali, che amministrano numerose procedure arbitrali, e anche alcune norme nazionali e convenzioni internazionali in tema di arbitrati internazionali, prevedono che gli arbitri debbano comunque tener conto non solo della volontà delle parti in merito al diritto applicabile (senza distinguere fra leggi, convenzioni o principi generali del commercio internazionale), ma anche degli usi e prassi del commercio internazionale, pure là dove le parti abbiano scelto l’applicazione di una legge nazionale.
Gli arbitri di conseguenza applicano in questi casi la lex mercatoria come diritto scelto dalle parti o derivante dalle regole degli arbitrati amministrati: e questa scelta, di recente, risulta agevolata dal fatto che, come si notava in precedenza, i contorni della lex mercatoria si fanno via via più definiti e strutturalmente simili a una legge. Talvolta qualche lodo arbitrale si ritiene autorizzato, nel giudicare di contratti commerciali internazionali, ad applicare la lex mercatoria e a disapplicare quella nazionale in relazione a comportamenti concludenti delle parti o, addirittura, alla semplice assenza di una clausola di scelta del diritto nazionale. Si contano sempre più numerosi, così, i lodi arbitrali che nel decidere in base ai principi generali, agli usi o alle prassi del commercio internazionale, adottano i principi UNIDROIT come regola in base alla quale assumere la decisione (v. la rassegna pubblicata periodicamente nella rivista «Diritto commerciale internazionale»).
Certo la lettura delle decisioni non offre un quadro a tinte nette: spesso i lodi, a sorreggere la decisione, utilizzano contemporaneamente e sullo stesso piano lex mercatoria (ovvero le sue varie componenti) e norme nazionali; tuttavia la sede arbitrale, nei termini ora precisati, è un luogo dove la lex mercatoria assume un grado chiaro di capacità di essere fonte del diritto commerciale internazionale.
Davanti ai giudici nazionali il discorso cambia: sono rari i riferimenti delle sentenze alla lex mercatoria come fonte della decisione. Anche ove, per ipotesi, le parti abbiano indicato in essa (con le espressioni di cui si è appena detto) il diritto applicabile, è remota la possibilità che un giudice nazionale assecondi questa volontà; quasi impossibile che ciò accada nel silenzio delle parti sul diritto applicabile al contratto. In questo caso la capacità della lex mercatoria di diventare, al di fuori delle sedi arbitrali, vera fonte del diritto a carattere astatuale richiede ancora oggi un passo indietro – esplicito o in via interpretativa – della legge e dello Stato, in sede nazionale o internazionale, in favore dell’autonomia negoziale: quello di concedere, almeno nei contratti commerciali internazionali, all’autonomia negoziale il potere di imporre a un giudice statale la propria scelta del diritto applicabile anche in favore di regole prive di valore normativo. Non è un’ipotesi dell’irrealtà: qualche interprete ne afferma l’attuale sostenibilità. Il ‘considerando’ 13 del recente regolamento comunitario n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma i) nel delineare i confini dell’autonomia negoziale nella scelta della legge applicabile al contratto afferma che «il regolamento non impedisce che le parti includano nel loro contratto, mediante riferimento, un diritto non statale oppure una convenzione internazionale»: si vedrà in futuro quale lettura, in concreto, verrà data a tale indicazione.
Dalle linee sin qui tracciate emerge un dato economico – spesso non sufficientemente considerato – che vale la pena di sottolineare. La realtà economica che la lex mercatoria vuole regolare non genera rapporti omogenei: e questo fenomeno è riscontrabile in misura accentuata per effetto della diffusione del carattere internazionale delle relazioni economiche. Infatti, accanto a contratti complessi e di rilievo economico significativo, nei quali le parti sono disposte ad affrontare costi di transazione anche al fine di disciplinare il diritto applicabile al contratto e di affidare le risoluzioni delle controversie a (spesso costosi) arbitrati internazionali, vi sono numerosi contratti commerciali internazionali di estrema semplicità e di modesto valore unitario, in cui le parti non hanno né convenienza né competenza a elaborare regole contrattuali complesse. In questi ultimi non vi saranno clausole di scelta del diritto né il ricorso all’arbitrato; assai minore, dunque, sarà la possibilità che alla lex mercatoria tocchi il ruolo di fonte del completamento del contratto oppure della risoluzione del conflitto.
Dunque quando si registra, come si è appena visto, un doppio binario di effettività della lex mercatoria come fonte del diritto commerciale internazionale che dipende dal concreto uso che le parti fanno dell’autonomia negoziale, il suo carattere di universalità necessariamente si stempera per diventare, piuttosto, il diritto o dei rapporti commerciali a carattere complesso oppure dei rapporti in cui una delle parti sia in grado di imporre all’altra un regolamento contrattuale tale che conduca all’applicazione della lex mercatoria.
Legge e lex mercatoria
L’effettività che l’autonomia negoziale può dare alla lex mercatoria non è tuttavia senza limiti. Già, in linea generale, si potrebbe osservare che con un tratto di penna un legislatore può azzerare il rilievo della volontà delle parti nella scelta del diritto e del giudice, e che l’autonomia della lex mercatoria come fonte del diritto dei commerci internazionali è comunque una concessione della legge. Ancora, e non a torto, si osserverà che, in concreto, l’esecuzione coattiva delle decisioni fondate sulla lex mercatoria richiede l’intervento dell’autorità statale e, per i lodi internazionali, il rispetto dei presupposti del loro riconoscimento da parte dello Stato (Irti 2006). L’osservazione, formalmente corretta, è tuttavia incompleta se posta quale chiave generale per la comprensione del fenomeno della lex mercatoria; è invece utile se collocata nella giusta prospettiva, e cioè quella della ricostruzione dei limiti legali alla capacità espansiva della lex mercatoria, vuoi in via autonoma, vuoi avvalendosi della volontà delle parti.
Nel tempo dell’economia globale e dell’ampia libertà di mercato il terreno sul quale legge e lex mercatoria sono destinate a entrare in conflitto è quello delle aree che l’autorità statale o anche internazionale rivendica alla sua potestà esclusiva; quelle aree che possono dirsi parte del cosiddetto ordine pubblico economico nazionale o internazionale e che si traducono in norme cosiddette di applicazione necessaria, o che comunque non possono essere disattese da una contraria scelta del diritto o del giudice a opera delle parti. Nessuna lex mercatoria potrebbe entrarvi: se, in suo nome, un lodo arbitrale disattendesse queste norme la sua esecuzione diventerebbe impossibile perché le autorità dello Stato non ne riconoscerebbero l’efficacia, in ciò non ostacolate dalle convenzioni internazionali in materia di arbitrato.
Di queste norme alcune riguardano le sempre esistenti e sempre mutevoli forme di riflesso nei rapporti economici delle crisi delle relazioni statali, quali, per es., i vari embargo commerciali: con il loro superamento le leggi dell’economia si riespandono. Altre invece rappresentano la risposta alla sempre maggiore e pervasiva influenza che l’attività di impresa e correlativamente le regole create dagli operatori dell’economia e della finanza hanno nella vita delle persone comuni. Il pensiero va, per es., all’attrazione all’economia e alla finanza libera e privata della realizzazione di esigenze fondamentali per l’esistenza dell’uomo (si pensi al legame fra regole del mercato finanziario e la funzione previdenziale dell’investimento); ai disequilibri che regole create dal mercato inevitabilmente recano con sé, che richiedono interventi affinché il diritto dei rapporti economici non sia soltanto – come si diceva – il ‘diritto del più forte’.
Le norme in tema di tutela dei consumatori sono l’esempio più evidente di questa evoluzione: di esse, per es., la Convenzione di Roma afferma che non possono essere sacrificate sull’altare dell’autonomia negoziale nella scelta delle regole contrattuali e di diritto in sede contrattuale e neppure, quindi, della lex mercatoria. E la crescente espansione delle norme di questo tipo, anche con caratteri più specifici, in settori in cui la fonte privata dei modelli contrattuali è particolarmente marcata (si pensi, per es., al settore finanziario), rende sempre più evidente il conflitto fra potestà legislativa esercitata a protezione del contraente debole e regole contrattuali, prassi o usi generati dagli operatori del settore.
Né deve ritenersi che questo conflitto si vada svolgendo soltanto sul piano dei rapporti giuridici fra chi appartiene al ceto imprenditoriale o mercantile e chi invece ne sia estraneo, così che queste regole riguarderebbero rapporti per definizione estranei al nucleo essenziale della lex mercatoria, da sempre nata per disciplinare i rapporti fra mercanti (ma che, si ricordi, ha svolto il ruolo di fucina delle regole poi utilizzate anche nei rapporti in cui solo una parte era mercante). Da un lato, per taluni settori (quello finanziario appena citato) la normativa di tutela si applica – anche se con modulazioni diverse – indipendentemente dal fatto che il cliente sia o meno imprenditore. Dall’altro lato, in alcuni Stati è sempre più diffusa la tendenza a prevedere discipline di tutela dell’impresa debole rispetto all’impresa forte: e la delocalizzazione produttiva in atto crea, in linea di massima, una distribuzione geografica precisa, fra Paesi ove sono allocate le imprese deboli (subfornitori, terzisti) e quelli ove invece operano le imprese forti. Ci si può dunque ben domandare (ma, in realtà, già oggi si pone il problema) se anche nelle relazioni fra imprenditori, per riequilibrare rapporti di forze diseguali, si dovrà assistere a limitazioni poste dalla legge all’autonomia negoziale in sede di conformazione del contratto (e ciò, per es., accade in Italia ove si nega ingresso a clausole che riflettano squilibri dovuti ad abuso di dipendenza economica di un’impresa sull’altra) e così, in sede internazionale, alla libera applicazione della lex mercatoria, ovvero alla libera sua scelta come diritto del contratto. Rivelando che la visione della lex mercatoria come diritto di ceto, e così destinata a regolare rapporti fra soggetti non diseguali per forza o comunque come diritto che esprime esigenze e interessi tendenzialmente comuni, è, almeno nell’attuale assetto dell’economia, poco più che suggestione; e rivelando che solo l’immagine di un costante dialogo/conflitto fra diritto dello Stato o degli Stati e diritto che si genera dalla pratica degli affari e che anticipa e rinnova le regole dei rapporti economici è in grado di offrire una corretta raffigurazione del ruolo della lex mercatoria, per il giurista, ma anche per gli studiosi delle tante discipline che vi hanno rivolto l’attenzione.
Non è un caso che questo dialogo/conflitto fra legge e diritto dei mercanti si trasferisca, con il passare del tempo, su un livello transnazionale. Il riferimento non è soltanto, per es., per stare all’esperienza europea, alla fonte comunitaria delle norme che fissano i valori da proteggere anche di fronte alle regole dell’economia; le Nazioni Unite elaborano documenti volti a fissare principi di comportamento per le imprese affinché siano tutelati i diritti umani fondamentali; ai singoli Stati, ancora, è affidata la possibilità di limitare l’efficacia delle regole sulla libertà del commercio internazionale in nome di valori e interessi maggiormente meritevoli di tutela.
Insomma: nell’era globale è il mondo chiamato a rendere compatibili regole del commercio e valori non negoziabili delle comunità degli uomini.
La lex mercatoria è dunque sì l’espressione di una importante fonte del diritto dei rapporti economici internazionali, ma la sua effettiva capacità di porsi come regola autonoma di tali rapporti in alternativa alla legge degli Stati è influenzata e condizionata dai vari fattori giuridici, sociali ed economici che si sono esposti. La lex mercatoria è nata e vorrebbe continuare a essere, come è stato scritto dal giurista, «senza tempo, né patria» (L. Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, 1891; trad. it. 1913, p.183), o secondo il pensiero del filosofo «libera da ogni differenza di luogo» (M. Cacciari, Geo-filosofia dell’Europa, 1994, p. 126): come ogni regola, però, essa resta figlia del suo tempo e, almeno sino a oggi, a una patria, talvolta, deve chiedere d’esser applicata.
Bibliografia
F. Galgano, Lex mercatoria, Bologna 2001.
V. Roppo, Il contratto, e le fonti del diritto, «Contratto e impresa» 2001, 3, pp. 1083-85.
F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna 2005.
B.S. Bernanke, Global economic integration. What’s new and what’s not?, Jackson Hole (Wyo) 2006, http://www.federalreserve.gov/newsevents/speech/Bernanke20060825a.htm (10 marzo 2009).
M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari 2006.
N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari 2006.
P. Grossi, L’Europa del diritto, Roma-Bari 2007.
A. Catania, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale, Roma-Bari 2008.