LEVI DELLA VIDA, Giorgio
Nacque a Venezia il 22 ag. 1886, da Ettore e da Amelia Scandiani, entrambi di famiglia ebraica assimilata non osservante.
La professione del padre, dirigente di banca, condusse la famiglia ad abitare a Firenze, a Roma, a Genova, e quindi, definitivamente, a Roma. Fu a Genova che l'adolescente L. decise di dedicarsi agli studi di orientalistica.
Ciò avvenne dopo una crisi religiosa che condusse il L. a leggere J.-E. Renan e ad apprendere da autodidatta l'ebraico per leggere l'Antico Testamento, ma anche ad accostarsi al cristianesimo modernista, al quale sarebbe rimasto intellettualmente vicino e che avrebbe, insieme con la riflessione ininterrotta sull'ebraismo come religione morale, temperato il razionalismo della sua successiva scelta laica.
Nel 1904, l'anno seguente il ritorno a Roma, il L. s'iscrisse alla facoltà di lettere della Sapienza, dove seguì i corsi di ebraico e di lingue semitiche di I. Guidi, fondatore della moderna orientalistica italiana, quelli di arabo di C. Schiaparelli e di epigrafia greca di F. Halbherr. In questi anni strinse duratura amicizia con G. Pasquali, M. Guidi, figlio di Ignazio, L. Venturi e L. Salvatorelli, suoi compagni di corso. Nel 1909, dopo un viaggio in Egitto al seguito di I. Guidi, chiamato a insegnare nella neonata Università laica del Cairo, sostenne con lo stesso Guidi una tesi di argomento siriaco (Un opuscolo siriaco inedito di filosofia popolare attribuito a Beroso, in Riv. degli studi orientali, III [1910], pp. 7-43). Successivamente vinse una borsa di studio presso la Scuola archeologica italiana di Atene, quindi una borsa per il Cairo, preparatoria a una futura nomina in quell'Università, dove poté entrare in contatto con C.A. Nallino, che all'epoca vi insegnava. Rientrato in Italia nel 1911, il L. iniziò a collaborare alla redazione dei monumentali Annali dell'Islam, ideati e diretti dallo storico orientalista Leone Caetani, del quale, pur non essendone stato allievo diretto, avrebbe riconosciuto l'influenza decisiva sulla propria formazione, insieme con quella di Guidi; nello stesso anno, sposò Mimì (Adelaide) Campanari, dei marchesi di Castelmassimo di Veroli. Nel 1913 vinse il concorso per la cattedra di arabo al R. Istituto universitario orientale di Napoli.
A Napoli si stabilì per due anni (fra i suoi allievi dell'epoca, E. Cerulli ed Esther Panetta), e frequentò regolarmente la cerchia di Benedetto Croce, col quale avrebbe mantenuto rapporti di stima e amicizia fino agli anni Trenta.
Allo scoppio della guerra, il L. fu richiamato e assegnato a compiti di censura e traduzione. Non avverso, inizialmente, all'intervento, egli maturò, anche in seguito ad ampie letture storiche, un ideale politico di tipo socialista e un convinto antimilitarismo. Nel 1916 vinse il concorso per la cattedra di lingue semitiche all'Università di Torino, dove restò poco più di un biennio. All'inizio del 1920 fu chiamato, infatti, a sostituire I. Guidi, giunto alla pensione, sulla cattedra di ebraico e lingue semitiche dell'Università di Roma.
A Roma il L. iniziò, a fianco dell'attività accademica e istituzionale (nel 1921 fu, con Nallino, fra i fondatori dell'Istituto per l'Oriente, dal cui consiglio si sarebbe dimesso nel 1924 "per evitare ogni contatto, anche indiretto, col governo fascista", Note autobiografiche, pp. 122 s.), un'intensa attività di pubblicista, collaborando fra l'altro con E. Buonaiuti e con la Rivista di cultura (poi La Cultura) diretta da C. De Lollis - da lui conosciuto negli anni trascorsi a Genova -, con scritti di argomento storico-religioso, letterario e orientalista. Allo stesso tempo, incoraggiato dall'amico Salvatorelli, scriveva su Il Paese e La Stampa articoli di politica interna ed estera, nei quali espresse la sua netta opposizione al fascismo, che gli valse, pochi giorni dopo la marcia su Roma, "il consueto olio di ricino" (cfr. Note autobiografiche, p. 126, in cui si narra anche delle due lettere di protesta che avrebbe scritto in seguito a G. Gentile e allo stesso B. Mussolini). Dopo il delitto Matteotti, il L. fu tra i firmatari del crociano Manifesto degli intellettuali e aderì all'Unione nazionale di G. Amendola. Nel 1926, tuttavia, dopo il fallito attentato a Mussolini del 31 ottobre, abbandonò l'impegno attivo nell'antifascismo, che avrebbe richiesto l'entrata in clandestinità, per dedicarsi più intensamente all'insegnamento (fra i suoi allievi di questo periodo, E. Sereni, Maria Nallino, figlia di Carlo e, brevemente, F. Gabrieli), rinunziando peraltro, dall'anno successivo, alla direzione della Scuola orientale dell'Università onde evitare compromessi con il ministero fascista dell'Educazione nazionale. La sua dichiarata scelta politica e anzi una "repugnanza quasi fisiologica al fascismo" non ne interruppero la collaborazione scientifica con il gruppo degli islamisti romani, impegnati, con diversi gradi di convincimento, nella politica coloniale del governo fascista, ai quali lo univano tuttavia legami di scuola e, come nel caso di Michelangelo Guidi, di fraterna amicizia. Dal 1927 il L. fu chiamato da Gentile a collaborare all'Enciclopedia Italiana con l'impegno che i suoi contributi fossero apolitici (per i difficili rapporti con Gentile, allora e in seguito, cfr. Il collega Gentile, in Fantasmi ritrovati, pp. 213-250).
Da tale collaborazione sarebbero nate alcune voci orientalistiche ancora oggi fondamentali (poi ripubblicate in Arabi ed Ebrei nella storia), come Arabi, Semiti ed Ebrei. Per quest'ultima, che sottolineava come la "storia sacra" degli Ebrei sia da intendersi, non dissimilmente da quella cristiana primitiva, come memoria della nascita dell'identità nazionale, in quanto tale passibile di un'esegesi storica e filologica delle sue fonti, egli ricorda di essere entrato in conflitto con l'interpretazione confessionale del gesuita Alberto Vaccari, supervisore delle voci ecclesiastiche per l'Enciclopedia, il quale consentì tuttavia, dopo un dibattito acceso e puntiglioso, a pubblicarla senza modifiche (Note autobiografiche, pp. 148-150).
Nel 1931 fu promulgato il decreto che imponeva agli universitari il giuramento di fedeltà al fascismo, al quale il L. rifiutò di sottomettersi, preferendo abbandonare l'insegnamento universitario e le altre cariche istituzionali, insieme con la sicurezza economica che ne derivava. Fu il prefetto della Biblioteca apostolica Vaticana, mons. E. Tisserant, a procurargli un impiego alternativo che gli permise di proseguire la sua attività di studioso, invitandolo, con il consenso di papa Pio XI, a curare i manoscritti arabi islamici della Vaticana, incarico che tenne dal 1932 al 1939, e che portò alla pubblicazione sia di un catalogo (Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, Città del Vaticano 1935), sia di una serie di studi di storia culturale (Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, ibid. 1939). Per conto della Vaticana il L. partecipò a diversi convegni internazionali e tenne a Parigi, nel 1938, una serie di lezioni al Collège de France (Les Sémites et leur rôle dans l'histoire religieuse, anch'esse ripubblicate in Arabi ed Ebrei). Fino al 1938, anno della morte di Nallino, la sua collaborazione con l'Istituto per l'Oriente e con le riviste della scuola orientalistica romana non conobbe interruzioni, così come la collaborazione con l'Enciclopedia, proseguita fino al 1937, quando Gentile giudicò giunto il momento di porvi fine. Fu l'entrata in vigore delle leggi razziali a convincere tuttavia il L. ad abbandonare, nel 1939, l'Italia per gli Stati Uniti, già superati i cinquant'anni e da solo (la famiglia, considerata ariana, poté restare), per accettare l'offerta d'insegnare semitistica per un biennio alla University of Pennsylvania di Filadelfia, incarico che sarebbe diventato permanente e che gli permise di dare un apporto influente allo sviluppo degli studi semitici e arabo-islamici negli Stati Uniti. Nonostante gli intensi rapporti di collaborazione scientifica e di amicizia stretti all'interno della comunità orientalistica statunitense, all'epoca rifugio di numerosi illustri espatriati europei, e nonostante la sua presenza nei circoli e associazioni degli esuli italiani (s'iscrisse, nel 1940, alla Mazzini Society), il L. non intendeva restare negli Stati Uniti e fin dal 1943, all'indomani dell'armistizio, cercò di rientrare in Italia per ricongiungersi alla famiglia. Vi riuscì nel 1945 e fu subito reintegrato nell'insegnamento e negli incarichi precedenti (fu, fra l'altro, invitato ad assumere la direzione dell'Enciclopedia Italiana dall'allora commissario, A. Zottoli). La deludente atmosfera politica dell'immediato dopoguerra, unita a difficoltà familiari e ad alcuni lutti dolorosi, fra i quali la morte dell'amico M. Guidi, lo spinsero tuttavia a ripartire per gli Stati Uniti insieme con la moglie, e a restarvi ancora dal 1946 al 1948. Al suo ritorno definitivo in Italia il L. riprese le lezioni presso l'Università di Roma, dove tenne, fino al 1956, la cattedra di storia e istituzioni musulmane (poi islamistica).
Nonostante le sue memorie esprimano un sentimento fortemente autocritico nei confronti della carriera scientifica in relazione a tale periodo, in questi anni il L. fu il più noto e apprezzato orientalista italiano, attivo nella pubblicazione d'importanti saggi storici e letterari, assiduo ai convegni internazionali, presente nel comitato editoriale dell'Encyclopédie de l'Islam come rappresentante dei Lincei, socio delle principali società orientalistiche in Europa, in America e in Israele.
Dal 1952 egli si ritirò quasi completamente dagli incarichi di rappresentanza e dalla partecipazione a convegni e riunioni di orientalisti, accettando tuttavia su richiesta del direttore M. Missiroli, una collaborazione con il Corriere della sera, che proseguì, non senza interruzioni, fino al 1958.
Proprio da tale collaborazione sarebbe nato l'invito della regista Margherita Wallmann a fornire la sua consulenza per l'allestimento del David di D. Milhaud alla Scala, nel 1955, esperienza che appassionò singolarmente il Levi Della Vida.
Il 1955 fu segnato, altresì, dalla morte della moglie, mentre l'anno successivo sancì l'uscita dai ruoli attivi dell'Università, dal L. stesso richiesta, e dalla vita pubblica. Negli anni dal 1956 alla morte, il L. attese alla pubblicazione dei suoi scritti, senza abbandonare l'attività di ricerca: fra gli altri, uscirono in questo periodo Aneddoti e svaghi arabi e non arabi (Milano 1956), insignito con il premio Viareggio per la saggistica; il Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana (Città del Vaticano 1965); nonché Fantasmi ritrovati (Milano 1966), vincitore del premio Enna.
Il L. morì a Roma il 25 nov. 1967.
Nell'ultimo anno della sua vita gli fu attribuito il premio internazionale M. Lidzbarski per l'epigrafia semitica, mentre la University of California istituì una medaglia e un premio annuale a suo nome per gli studi orientalistici e, per iniziativa dell'amico ed estimatore G.E. von Grunebaum, una "Giorgio Levi Della Vida Conference" che continua a tenersi con cadenza biennale, a riconoscimento dell'importante contributo dato dal L. all'orientalistica nordamericana.
L'ingente produzione scientifica del L. (recensita in Oriens antiquus, VII [1968], pp. 17-38, e aggiornata in G. L.D. nel centenario, pp. 67-81) si è svolta nel campo degli studi semitici in generale, compresi gli studi siriaci ed ebraici, e degli studi neopunici e arabo-islamici.
Sebbene quest'ultimo settore abbia finito per prendere il sopravvento, è dagli studi siriaci che ha inizio la carriera di ricercatore del L., nel solco del magistero filologico di I. Guidi, con lo studio dello Pseudo Beroso, oggetto della tesi di laurea che avrebbe poi sostanzialmente riveduto nel 1951, sulla base di nuovi manoscritti e degli studi accumulatisi (La dottrina e i dodici Legati di Stomathalassa, Roma 1951); delle Sentenze pitagoriche in versione siriana, in Riv. di studi orientali, III (1910), pp. 595-610; con la pubblicazione del Dialogo delle leggi dei paesi, attribuito alla scuola di Bardesane. L'interesse per il campo siriaco, vivo soprattutto nella prima parte della sua carriera accademica, non si sarebbe esaurito mai del tutto e fino agli ultimi anni il L. dette contributi, soprattutto di tipo antiquario e sulla storia dei primi studi in Europa. Nell'esaminarne l'opera in questo campo (cfr. G. L.D. nel centenario), R. Contini ne mette in luce la duplice matrice classicistica e orientalistica, la stessa che nutrì il suo interesse per l'epigrafia semitica nordoccidentale e neopunica in particolare, ossia punica di epoca romana, prima di lui scarsamente studiata e che egli inaugurò con gli studi sulle iscrizioni tripolitane raccolte dalle missioni archeologiche a seguito dell'occupazione coloniale (Le iscrizioni neopuniche della Tripolitania, in Libya, III [1927], pp. 91-116). Negli anni successivi, il L. si dedicò allo studio delle iscrizioni provenienti soprattutto da Leptis Magna, presso l'odierna Tripoli, che gli permisero di ricostruire la lingua e la scrittura neopuniche di Tripolitania, delle quali egli dimostrò la sostanziale conformità alla lingua fenicia tradizionale. Egli riconobbe, inoltre, nei documenti epigrafici una peculiare commistione di cultura punica e romana che considerava indizio di un'assimilazione senza superflua oppressione, sottolineando la quale non nascondeva, come era suo solito, "un giudizio sulle tendenze politiche e ideologiche contemporanee" (M.G. Amadasi Guzzo, L'epigrafista, in G. L.D. nel centenario, p. 43) ovvero, sulla gestione della colonia tripolitana, assai contestata dalla scuola di Guidi e Nallino.
Negli anni dell'esilio americano, il L. si dedicò soprattutto ad affinare l'interpretazione di documenti epigrafici già pubblicati, mentre, al rientro in Italia, riprese la descrizione delle nuove lapidi scoperte e che a lui vennero regolarmente sottoposte, come al maggior editore di epigrafia punica e neopunica. Il progetto di raccogliere questa produzione in un corpus epigrafico, interrotto dalla sua scomparsa, fu ripreso e portato a termine da M.G. Amadasi Guzzo, come Iscrizioni puniche della Tripolitania (1927-1964), Roma 1987.
Prima di passare agli studi arabo-islamici, occorre distinguere il gruppo numeroso di saggi sulla storia del popolo ebraico e quelli sui Semiti in generale, presentati soprattutto in occasione di conferenze o come contributi all'Enciclopedia Italiana. Se, accettando di considerare categorie e oggetti scientifici oggi considerati superati, come nel caso dei "Semiti", alcuni di tali studi si adeguano a uno spirito del tempo al quale avevano sacrificato Guidi e i suoi allievi, essi non indulgono mai in definizioni assolute né abbandonano il procedere empirico ma sempre considerano, dei casi generali esaminati, le varianti storicamente realizzate, senza tralasciare l'importanza dei miti fondatori delle grandi religioni semitiche, nei quali, più che nell'espressione metafisica di un'ipotetica razza, è riconosciuta una possibile "caratteristica dei Semiti".
L'attenzione ai fenomeni religiosi e la brillante capacità di penetrazione e di sintesi storica informarono l'opera scientifica del L. nel campo arabo-islamico, dove egli esordì, nel segno del Caetani, con uno studio tratto dall'opera dello storico al-Balādhurī, incentrato sulla figura del cugino di Muḥammad e ultimo "califfo ortodosso" 'Alī ibn Abī Ṭālib (Il califfato di 'Alī secondo il Kitāb Ansāb al-ashrāf di al-Balādhurī, in Riv. di studi orientali, VI [1915]). Oltre venti anni dopo, il L. sarebbe tornato sulla stessa fonte con uno studio sul primo califfo umayyade (Il califfo Mu'āwiya secondo il Kitāb…, Roma 1938) in collaborazione con Olga Pinto. Entrambi i saggi sono rappresentativi dello stile del L. arabista: conoscitore infallibile della lingua preislamica e islamica, decifratore di oscure allusioni genealogiche e prosopografiche, traduttore elegante ed erudito di poesia. L'interesse per la poesia, nel senso arabo classico di registro di tradizioni linguistiche, tribali e morali, e quello affine per la genealogia furono anzi, insieme con la superiore conoscenza della storia politica arabo-islamica, la cifra della sua produzione in questo campo, fino ai grandi saggi della maturità. Ne è prova il suo capolavoro filologico, l'edizione dei trattati di lessicografia ippologica d'Ibn al-Kalbī e Ibn al 'Ārābī (Les "Livres des chevaux" de Hisam ibn al-Kalbī et Muḥammad ibn al-'Arābī, Leiden 1928), d0ve è raccolto, in modo tipicamente asistematico, quanto i filologi arabi medievali ritennero degno di essere ricordato su tale soggetto. I numerosi e brillanti articoli di storia letteraria, ispirati dagli stessi interessi, si affiancarono, fino alla fine degli anni Trenta, agli articoli sintetici scritti per l'Enciclopedia, fra i quali spicca la già menzionata voce Arabi, storia, dove, pur accogliendo lo scetticismo di Caetani nei confronti della primitiva tradizione storica islamica, il L. ne modera le conclusioni più radicali con l'importanza accordata al fattore religioso, tuttavia "inteso nell'accezione molteplice e ricca di gradazioni e sfumature che l'indole del fenomeno religioso comporta".
L'abbandono dell'Università e l'impiego alla Vaticana, negli anni Trenta, orientarono per un periodo la sua ricerca verso la catalogazione e lo studio dei fondi manoscritti, e verso la storia della loro costituzione. A tali studi il L. tornò nell'ultima parte della sua vita, con il Secondo elenco (cit.) e con la descrizione dei manoscritti vaticani di origine spagnola (ripubblicata nel volume postumo, a cura di M. Nallino, Note di storia letteraria arabo-ispanica, Roma 1971). Al "filone spagnolo", e in particolare allo studio della tradizione latina nella cultura mozarabica, il L. dedicò crescente attenzione a partire dagli anni americani, con una serie di saggi ripubblicati in parte negli Aneddoti e svaghi, in parte nelle Note autobiografiche. Questi studi appartengono, al tempo stesso, a quello che si rivela essere, in un bilancio finale, il filone centrale delle ricerche arabo-islamiche del L., e probabilmente della sua intera carriera di studioso, ossia l'indagine delle contaminazioni e trasformazioni di temi letterari e religiosi nel passaggio attraverso i diversi sistemi culturali, fra antichità e medioevo. Da questo filone, nel quale culminano quello filologico e quello storico, nascono alcuni fra i saggi più belli e giustamente famosi, come Le fonti islamiche dell'Isabella ariostesca, sintesi di decenni di ricerche (ripubblicato in Aneddoti e svaghi).
Infine, un cenno merita l'ininterrotta attività di recensore del L., nella quale egli dispensò come altrove erudizione e acribia, ma soprattutto relativamente ai ricordi di studiosi da lui personalmente conosciuti e apprezzati, tali e tanti da formare un importante sottoinsieme della sua amplissima bibliografia (quelli dedicati agli orientalisti romani suoi contemporanei e amici, commosso omaggio alla scuola straordinaria di Guidi e di Nallino, sono raccolti in Aneddoti e svaghi e in Fantasmi ritrovati).
Fonti e Bibl.: G. Levi Della Vida, Note autobiografiche (datt., Roma 1958); F. Gabrieli, G. L.D., necr. in Riv. degli studi orientali, XLII (1967), pp. 281-295; S. Moscati, Ricordo di G. L.D., in Oriens antiquus, VII (1968), pp. 281-295; M. Nallino, G. L.D.: l'uomo e il maestro, in Oriente moderno, XLVIII (1968), pp. 305-321; F. Gabrieli - L. Salvatorelli - S. Moscati, G. L.D. (commemorazione dell'Accademia naz. dei Lincei), Roma 1969; F. Tessitore, G. L.D. nella storiografia italiana tra Otto e Novecento, in Arabi ed Ebrei nella storia, Napoli 1984, pp. 11-48; M.G. Amadasi Guzzo, Cenni biografici, in G. Levi Della Vida, Visita a Tamerlano. Saggi di storia e letteratura, Napoli 1988; R. Contini, Gli studi siriaci, in G. L.D. nel centenario della nascita (1886-1967), Roma 1988, pp. 25-40; M.G. Amadasi Guzzo, L'epigrafista, ibid., pp. 41-51; R. Traini, L'arabista, ibid., pp. 53-66; sul rifiuto del giuramento al fascismo: H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze 2000, pp. 50-61; G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001, pp. 94-100, 116-121, 126 s. e ad ind.; sui rapporti con gli orientalisti romani e l'Istituto per l'Oriente: B. Soravia, Ascesa e declino dell'orientalismo scientifico in Italia, in Il mondo visto dall'Italia, a cura di A. Giovagnoli - G. Del Zanna, Milano 2004, pp. 271-286.