TESSALONICESI, Lettere ai
Sono due lettere di S. Paolo, indirizzate ai cristiani di Tessalonica, e contenute nel Nuovo Testamento.
Tessalonica (oggi Salonicco; v.) ai tempi di S. Paolo doveva abbondare di commerci, ricchezze, e di gente che mercanteggiava in Oriente e in Grecia; con i commerci e la prosperità anche la corruzione dei costumi, come la nostra lettera conferma, dilagava. Né mancava una colonia assai numerosa di Giudei, i quali vi possedevano pure una sinagoga.
S. Paolo, accompagnato da Sila e Timoteo, circa il 51, nel suo secondo viaggio di missione, da Troade nell'Asia Minore, sbarcò a Neapoli (oggi Cavala), predicò prima in Filippi, dove fu tratto dinnanzi ai tribunali, gettato in carcere, ma subito dopo liberato, e continuando poi per la via Egnazia, incontrò Anfipoli, Apollonia, donde pervenne a Tessalonica (Atti, XVII,1-10). Annunziò il Vangelo innanzi tutto, secondo il suo costume, nella sinagoga dei Giudei per tre settimane, e quantunque gli Atti non lo dicano se non implicitamente, dovette per qualche tempo anche evangelizzare i gentili, e così vi fondò una comunità cristiana, di cui, con pochi di origine giudea, facevano parte molti pagani e specialmente donne di condizione assai elevata (Atti, ibidem); incontrò però ben presto forti opposizioni specialmente presso i Giudei (cfr. anche I Tess., II, 16) per cui fu costretto a frettolosamente allontanarsi. Venne in Berea, quindi ad Atene; il suo cuore però era in ansia per i fedeli di Tessalonica, così all'improvviso abbandonati: vi mandò quindi Timoteo, e al ritorno di costui, avvenuto quando l'apostolo si era già trasferito in Corinto (I Tess., III, 6; Atti, XVII, 15; XVIII, 5), conobbe le cose di quella chiesa e si decise a scrivere la prima delle due lettere ai Tessalonicesi. Timoteo, a quel che se ne deduce dalla medesima, trovò i credenti, quantunque fatti bersaglio a molestie e maltrattamenti per parte dei proprî concittadini, molto fermi nella fede, ma preoccupati per il pensiero dell'imminente ritorno glorioso del Signore (parusia): li angustiava specialmente il dubbio sulla sorte che vi avrebbero avuto i fedeli già defunti. Colpirono Paolo anche le molte accuse, dicerie, che contro la propria persona si spargevano dai suoi nemici, e la corruzione che, nonostante la sincera fede dei Tessalonicesi, tuttora purtroppo vi regnava (I Tess., II-IV, 12).
Prima lettera. - La prima lettera, come non è difficile determinare da quanto è detto sopra, dovette essere scritta circa il 51 (v. la cronologia nella voce paolo, Santo), in Corinto, dove Paolo allora si trovava e si trattenne ancora per non poco tempo.
Contenuto della prima lettera. - Premesso il solito saluto, indirizzato ai Tessalonicesi a proprio nome congiuntamente con quello di Sila e di Timoteo, dopo aver ringraziato Dio dei doni loro concessi, Paolo ha cura prima di tutto di respingere le accuse mossegli dai suoi nemici, il che gli è facile compiere con la semplice narrazione del suo apostolato presso di loro: egli, quantunque angosciato per le persecuzioni subite in Filippi, con grande ardore ha annunciato loro l'Evangelo, fidato nella celeste missione ricevuta direttamente da Cristo, e per la quale conseguentemente non ha mai cercato di piacere agli uomini, ma a Dio, né ebbe cura dei beni terreni, e così, quantunque fosse in diritto di esser sostentato da loro, ha voluto procurarsi il vitto lavorando con le proprie mani. Poteva anche ostentare e usare tutta la sua autorità, datagli da Dio, ma ha preferito vivere in mezzo a loro come una nutrice in mezzo ai figli, ed anche al presente il suo cuore anela di rivederli. Questo amore lo ha spinto a mandar loro Timoteo per consolarli nelle persecuzioni che soffrono specialmente dai giudei, e al ritorno di costui con grande gioia ha appreso che son rimasti fermi nella fede e nella carità.
Ricordino adunque sempre di camminare come egli ha loro insegnato, specialmente fuggano la fornicazione ed usino onestamente, con santità, delle proprie mogli, come si guardino dal raggirare e offendere il proprio fratello in queste cose (fuggano l'adulterio). Cerchino anche di vivere quieti e di non trascurare il consueto lavoro. Quanto poi alla carità, gode nell'apprendere quanto fra loro si amino; crescano in questo amore e trattino bene anche con gl'infedeli (capp. I-IV).
Riguardo a quelli già defunti prima della parusia, non stiano in ansietà, giacché non solo risusciteranno a simiglianza di Gesù risorto, ma in nessuna cosa saranno inferiori ai viventi in quel tempo. Invero quando tornerà il Signore dalle nubi del cielo, prima risorgeranno i morti in Cristo poi "noi i viventi, i rimasti fino alla parusia del Signore (ἡμεῖς οἱ ζῶντες, οἱ περιλειπόμενοι εἰς τὴν παρουσίαν τοῦ Κυρίου) saremo rapiti insieme con loro verso il Cristo nell'aria e così resteremo sempre con il Signore". Quanto poi al tempo e al momento (περὶ δὲ τῶν χρόνων καὶ τῶν καιρῶν) non avete bisogno, o fratelli, aggiunge l'apostolo, che noi ve ne parliamo, poiché siete stati su ciò molto bene da noi istruiti: il Signore verrà all'improvviso come un ladro di notte, conviene adunque non stare nelle tenebre né addormentati affinché quel giorno non ci sorprenda impreparati. So bene però, fratelli, che voi non siete figli delle tenebre, ma della luce; camminate adunque sempre onestamente, come nella luce del giorno. Vivete in pace specialmente con i vostri superiori, esercitate le opere di misericordia e rendete bene per male.
Preghino sempre, anche per Paolo e non estinguano lo Spirito, né disprezzino la profezia. Si salutino con il bacio santo e leggano questa lettera dinnanzi a tutta la comunità dei fedeli. Seguono i consueti saluti (capp. IV-V).
La questione dell'autenticità. - Tale questione per questa prima lettera non presenta grandi difficoltà: essa non solo fu ritenuta genuino scritto di Paolo fino dai primissimi tempi cristiani: Marcione l'aveva inserita nella sua collezione di lettere paoline (Tertull., Adv. Marcionem, V, 5); il Canone Muratoriano (lin. 54-55), Ireneo (Contra Haer., V, 6,1), Clemente di Alessandria (Paedag., I,1), Eusebio (Hist. eccl., III, 3, 25), Tertulliano (De resurrectione carnis, 24), ecc., la ritengono parimente senza alcuna esitazione di Paolo; ma anche al sorgere prima del protestantesimo e poi del razionalismo biblico, non fu mai messa in dubbio se non da pochissimi e per meri pregiudizî sistematici; così la rigettò F.C. Baur (Der Apostel Paulus, 2a ed., p. 364 seg.), il quale per le sue note dottrine sulle fazioni petrine e paoline nella Chiesa primitiva, ritenne autentiche solo le quattro lettere maggiori (I e II Corinzî, Romani e Galati); la rigettarono poi alcuni critici estremisti, specie olandesi (Pierson, Naber, Loman, van Manen, ecc.), i quali misero in dubbio o rifiutarono tutte le lettere di Paolo. Oggi però, gli studiosi del Nuovo Testamento, a qualunque scuola appartengano, la ritengono scritto genuino dell'apostolo. Invero la lingua, lo stile, i sentimenti, le dottrine che vi troviamo, appaiono appartenere a quanto da tutti è ritenuto come proprio e caratteristico di Paolo; le circostanze storiche poi, a cui si fa allusione, concordano pienamente con quanto sappiamo dell'apostolato di lui dagli Atti e dalle altre Lettere.
Il tempo della "parusia". - Al capo IV, v. 15, di questa lettera troviamo un passo che ha dato e dà occasione a molte dispute fra cattolici e non cattolici; ivi dove l'apostolo parla della sorte dei defunti prima della "parusia", dice: "Noi vi diciamo questo come parola del Signore, che noi, i viventi, i rimasti fino alla parusia del Signore in nulla preverremo quelli che già si sono addormentati (...ὅτι ἡμεῖς οἱ ζῶντες οἱ περιλειπόμενοι εἰς τὴν παρουσίαν τοῦ Κυρίον οὐ υὴ ϕϑάσωμεν τοὺς κοιμηϑέντας)". Ha forse qui l'apostolo espressa la convinzione che egli sarebbe rimasto in vita fino al ritorno glorioso del Signore? Lo sostengono la gran parte dei critici razionalisti e protestanti, mentre i cattolici lo negano. Certo a primo aspetto le parole sembrano dar ragione ai non cattolici, ma se si esamina un po' più accuratamente il testo ed il contesto, ci sembra che quella prima impressione non venga confermata. Innanzi tutto le parole ἡμεῖς οἱ ζῶνψες οἱ περιλειπόμενοι, data la ripetuta presenza in greco dell'articolo possono esser tradotte: "Noi (cioè) i viventi, i rimasti fino alla parusia del Signore..." e così Paolo avrebbe parlato non direttamente di sé e dei cristiani allora con lui viventi, ma a nome di quelli che si sarebbero trovati ancora in vita al ritorno del Signore: in tal modo, fra gli altri, nell'antichità intesero questo passo Giovanni Crisostomo (Patrol. Graeca, LXVII, 436), ottimo conoscitore degli scritti paolini e con lui Teodoreto, Teodoro di Mopsuestia, Metodio, Giovanni Damasceno, Ecumenio, Teofilatto, così pure S. Agostino (De civ. Dei, XX, 20, 2) S. Girolamo (Patrol. Lat., XXII, 971) ed altri. D'altra parte, se Paolo avesse avuto la convinzione della sua sopravvivenza fino a quell'evento, avrebbe egli poche righe dopo, al cap. V, v.1, detto: "Riguardo al tempo e al momento sappiamo che il Signore verrà all'improvviso, come un ladro di notte"? E si noti che la frase περὶ δὲ τῶν χρόνων καὶ τῶν καιρῶν, la quale ricorre altre volte nelle Scritture, sia per la parola χρόνος, sia per l'uso, significa: riguardo al tempo "vagamente considerato", e non riguardo all'istante, al momento... Nella seconda lettera ai Tessalonicesi poi, scritta poco dopo e da ritenersi essa pure autentica, si afferma che il credere imminente la parusia è un errore, una seduzione: prima dovrà accadere una grande apostasia (ἡ ἀποστασία) e poi apparire l'uomo del peccato, l'anticristo (II Tess., II, 1-5): ora nel fervore della vita cristiana di quei primi tempi una tale apostasia non era da ritenersi così prossima. Del resto anche nella lettera ai Romani scritta 6 o 7 anni più tardi troviamo annunziato da Paolo che prima della fine dei tempi si dovrà verificare la conversione del popolo giudaico in massa (Rom., XI, 25-33); ma, parimente, come si sarebbe potuta pensare imminente questa conversione allora, quando i Giudei dappertutto non facevano che osteggiare la cristiana religione nascente? Sembra dunque che l'avvenimento parusiaco, inquadrato in questi altri eventi, certamente non occulti allo spirito dell'apostolo, non potesse esser ritenuto da lui in modo positivo e certo così vicino da doverlo trovare in vita. Sembra che sarebbe più ragionevole dire che, mentre egli non escludeva assolutamente anche un prossimo ritorno del Signore nel gran giudizio, tuttavia niente si sentiva in grado di affermare con certezza.
Seconda lettera. - Questa appare subito intimamente congiunta colla prima, non solo per l'identità sostanziale dell'argomento, ma anche per una sorprendente simiglianza di lingua, stile, e per lo sfondo delle medesime circostanze storiche, per modo che tutto ciò ha dato a non pochi razionalisti una ragione per negarne l'autenticità.
Contenuto della seconda lettera. - In questa l'apostolo, dopo aver reso grazie a Dio per la fermezza nella fede e carità dei Tessalonicesi, torna a parlare del tempo della parusia, esortando a non turbarsi, come se il giorno del Signore fosse imminente: non si lascino sedurre da false voci, false profezie, o lettere supposte dell'apostolo, giacché prima deve venire l'apostasia, poi deve manifestarsi un uomo che combatterà contro tutto ciò che è Dio o appartiene al suo culto (τὸ σέβασμα), pretendendo per sé stesso onori divini (l'anticristo). Esso ora è trattenuto da un ostacolo, ma quando questo verrà rimosso, apparirà in tutta la sua malefica potenza per la rovina di quanti non vollero ricevere la parola di vita del Vangelo. Per i Tessalonicesi però l'apostolo ringrazia Dio che li chiamò alla fede e alla santità; perseverino in esse e osservino quanto l'apostolo annunciò loro o con parole o con lettera. Preghino anche Iddio per lui, che sempre è perseguitato da cattivi uomini. Fuggano quelli che non vivono secondo le dottrine da lui insegnate. E come egli fra loro si guadagnò il cibo lavorando con le proprie mani, così facciano essi; non sieno inquieti od oziosi, si ricordino che chi non vuol lavorare non dovrebbe mangiare. Non cessino dall'esercitare la beneficenza; e il Signore della pace conceda loro pace sempre in ogni luogo (capp. I-III).
La lettera che nell'intestazione porta, come nella prima, il nome di Timoteo e Sila insieme con quello di Paolo, si chiude con questa specie di sigillo ad indicarne l'autenticità: "Saluti per mia mano, di Paolo, questo è il segno che io pongo in ogni mia lettera, così scrivo".
Come abbiamo accennato, questa lettera anche oggi presso critici acattolici trova non pochi avversarî. Nemico dell'autenticità fu per primo J. E. C. Smidt (1801), poi C. Baur, H. J. Holtzmann, C. Weizsaecker, P. Wendland, H. von Soden, e pochi altri. Fr. Spitta la vorrebbe scritta da un discepolo di Paolo, p. es., Timoteo; altri ne credono apocrifa solo la sezione escatologica (II, 1-13), come il Dobschütz; M. Goguel la dice scritta da Paolo, ma indirizzata ai fedeli di Berea; A. Harnack pure la dice di Paolo, diretta però ai giudeo-cristiani di Tessalonica.
Ma vi sono ragioni sode per negarne l'autenticità? Se guardiamo alle antiche testimonianze, certamente no; la lettera non solo è conosciuta fino dal sec. I e Policarpo la cita (Filip., II), ma Marcione stesso l'aveva ricevuta fra le lettere paoline, e lo stesso fanno poi il Canone Muratoriano (lin. 54-55), Ireneo (C. Haeres., III, 7, 2), Clemente di Alessandria (Strom., V), ecc.; insomma la tradizione le è favorevole, assolutamente, come per la prima. Le difficoltà adunque, se vi sono, solo dalla critica interna dovrebbero risultare, e in essa di fatto si fondano gli avversarî dell'autenticità. Dicono che la somiglianza con la prima, specie nella lingua, è tale che piuttosto che un medesimo autore arguirebbe un intelligente falsario. Non riusciamo però a vedere come le somiglianze di lingua e di stile, anche grandi, possano essere decisive ragioni onde negare l'attribuzione di più scritti a un medesimo autore. Ma, soggiungono, le dottrine escatologiche sono diverse: qui si parla di un'apostasia, di un anticristo che devono precedere la venuta del Signore, sembra adunque che non verrà la parusia durante la vita dell'apostolo, né come un ladro di notte, come si affermava nella prima lettera. Si può però rispondere che questi segni precursori non sappiamo quando verranno, e così ogni cosa resta nell'imprevisto, anzi neppur sappiamo quanto tempo correrà fra essi e la parusia. Che poi l'apostolo affermi nella prima lettera che la parusia lo troverà vivente, è una sentenza, come abbiamo veduto, la quale non risulta con chiarezza e probabilità dalle parole di lui.
Alcuni critici infine, quali Grozio, C. Baur, J. Weiss, vorrebbero invertire l'ordine cronologico delle due lettere; tuttavia non sembra che anche in questo ci si possa discostare da quanto la tradizione ha trasmesso. La prima lettera invero appare scritta non appena l'apostolo ricevette le prime notizie sullo stato della chiesa di Tessalonica da poco lasciata (I Tess., III,1-7); e ciò non risulta dalla lettura della seconda.
Bibl.: Fra gli autori più recenti che hanno trattato delle lettere ai Tessalonicesi meritano di essere ricordati specialmente: A. Harnack, Das Problem des zweiten Thessalonicherbriefes, in Sitzungherichte der König. preuss. Akad. der Wissenschaft, Berlino 1910, pp. 560-78; W. Wrede, Die Echtheit des zweiten Thessalonicherbriefes, Lipsia 1908; M. Dibelius, Die Briefe des Apostels Paulus an die Thessalonicher, Tubinga 1911; M. Goguel, L'énigme de la IIe Épître aux Thess., in Revue de l'hist. des Religions, Parigi 1915, p. 247 segg.; F. P. Gutjhar, Die zwei Briefe an die Thess. u. der Brief an die Galater, 2a ed., Gratz 1912; C. Lattery, The Epistles to the Thessalonians, Londra 1913; J. Knabenbauer, Commentarius in Epist. ad Thessalonicenses, Parigi 1913; I. M. Vosté, Commentarius in Epist. ad Thessalon., Roma 1917; A. Steinmann, Die Briefe an die Thess. u. Galater, Bonn 1918; A. Plummer, A Commentary on S., Paul's first a. second Epistle to the Thessalonians, voll. 2, Londra 1918; I. E. Frame, The Epistles of St. Paul to the Thessal., Edimburgo 1922; J. Graafen, Die Echtheit des zweiten Briefes an die Thessalonicher, Münster in Vestfalia 1929.