LETTERATURE MIGRANTI.
– La letteratura mondo. Bibliografia
La letteratura mondo. – Nell’ultimo decennio, negli studi letterari, ci si è allontanati sempre di più dalla nozione di ‘letteratura nazionale’ facendo invece prevalere un approccio transnazionale, non più legato a una dimensione territoriale o linguistica. Se già nel 1827, reagendo alla posizione di Johann Gottfried von Herder che predicava un rapporto di necessità tra lingua, nazione e letteratura, Johann Wolf gang von Goethe sosteneva che la nozione di letteratura nazionale non significava più molto e che andava urgente-mente sostituita con quella di Weltliteratur (letteratura mondiale), il processo da lui auspicato si è mostrato estremamente complesso e forse, in quei termini, irrealizzabile (Moretti 2000).
Ogni analisi del campo letterario non può più, almeno a partire dagli anni Novanta del 20° sec., evitare la contaminazione con approcci disciplinari che la tradizione culturale ed educativa dell’Occidente aveva sempre presentato come separati dall’ambito della letteratura quando non esplicitamente come suoi antagonisti. La sociologia, la politica e l’economia con le loro moderne implicazioni etiche ed estetiche hanno dato vita, soprattutto in ambito anglosassone, a nuove discipline letterarie come gender, women, gay, lesbian, black, ethnic, postcolonial... studies, talvolta con il paradossale effetto di discriminare autori e produzioni letterarie separandoli dal loro contesto storico culturale.
A partire dall’assunto che il romanzo è il genere letterario che mostra con più evidenza mutazioni ed evoluzioni del campo letterario e dei suoi rapporti con il mondo, tanto che in diverse epoche, e in particolare nella nostra, il termine è considerato sostanzialmente come un sinonimo di letteratura, il dibattito teorico degli ultimi due decenni può essere riassunto intorno all’opposizione letteratura mondo/global novel laddove per quest’ultimo si intende «il romanzo che aspira a una dimensione globale soprattutto in termini commerciali» (Morace 2014, p. 108). Come mostra Rosanna Morace (2014) tale opposizione discende a sua volta, con ragioni ed esiti diversi, da opposizioni come centro/periferia (Moretti 1994) o planetario/globale (Spivak 1990). Tale acceso dibattito si è poi calato, in forme varie, in alcuni ambiti nazionali occidentali con esiti diversi e in una generale confusione terminologica nella quale neologismi e reinterpretazioni di termini ‘tradizionali’ rendono difficile la composizione di un quadro chiaro. L’idea di una ‘letteratura mondo’ si è trovata infatti a confrontarsi con le categorie, peraltro piuttosto recenti, delle -fonie (francofonia, ispanofonia ecc.) o delle letterature postcoloniali, categorie formate cioè a partire dalla lingua, le prime, o dalla collocazione geografica (con tutte le implicazioni storico-politiche del caso), le seconde.
Come segnala Pascale Casanova (1993) nell’Inghilterra degli anni Ottanta la categorizzazione di ‘letteratura del Commonwealth’ sembrava voler far credere a un nuovo ordine mondiale multiculturale, esente da confini e barriere di ordine politico, etnico e linguistico, in cui il centro non occupava più una posizione dominante. Uno dei principali attori di quel mondo letterario, Salman Rushdie, presentava la sua situazione di scrittore anglofono e postcoloniale in termini assai meno idilliaci anche se non privi di una forte speranza: «È questo che fa dei migranti figure così importanti: il fatto che radici, lingua e norme sociali sono tre dei punti più importanti per la definizione di che cos’è un uomo. Il migrante, avendole rinnegate tutte e tre, è costretto a trovare nuovi modi per descriversi, nuovi modi per essere uomo. [...] siamo uomini tradotti. Normalmente si pensa che qualcosa vada sempre perduto in una traduzione: io continuo ostinatamente a sostenere che qualcosa può anche essere guadagnato» (Imaginary homelands, 1982, 1992, p. 17).
Il dibattito su questo tema si è sviluppato in Francia in tempi molto più recenti. Nel 2004 Jacques Chevrier ha introdotto il termine migritude. Si tratta di un concetto che va ben oltre la semplice giustapposizione di migration e negritude da cui deriva: «questo neologismo rinvia tanto al tema dell’immigrazione quanto allo statuto di espatriati della maggior parte di questi scrittori che hanno lasciato Dakar e Douale per Parigi, Caen o Patin. Lungi dall’essere fonte di ambiguità, tale statuto sembra aver disinibito gli autori riguardo le questioni di appartenenza» (Chevrier 2004, p. 97). Ma un complesso e articolato dibattito si è sviluppato a partire dalla pubblicazione, su «Le Monde» del 15 marzo 2007, di un manifesto intitolato Pour un littérature monde en français e firmato da 44 autori in vario modo legati al movimento della ‘migritudine’. In linea di principio il manifesto non si discosta molto da quanto si è visto accadere nel Regno Unito salvo che, se lì la nuova posizione veniva elaborata dalle istituzioni accademiche e letterarie, nel caso della Francia l’esigenza di una definizione che superi la ‘francofonia’, della quale il manifesto dichiara apertamente il decesso, nasce per così dire dal basso. Per questi autori il referente non è più costituito, nemmeno su un piano simbolico, dalla Francia o dai Paesi francofoni, ma dal mondo, inteso come spazio aperto e non vincolato da frontiere di alcun genere. I 44 concludevano celebrando il costituirsi di una nuova «letteratura-mondo in francese» transnazionale nella quale «la lingua finalmente liberata dal patto esclusivo con la nazione, si apra al dialogo tra le culture al di fuori di ogni forma di imperialismo culturale» o linguistico. Ma, parallelamente a queste prese di posizione teoriche, che hanno anche provocato variegate reazioni nel campo letterario e non solo francese, va rilevato che, almeno dall’inizio del 21° sec., questa letteratura ha la particolarità di essere prodotta da autori migranti, anche di seconda generazione, definiti intrangers in alcuni studi recenti (Vitali, in Intrangers, 2011), che rivendicano l’appartenenza a diverse culture, utilizzano un linguaggio letterario libero e personale e vogliono essere percepiti tanto come prodotti quanto come attori della mondializzazione e della modernità.
In Italia, più che di un passato coloniale, la ‘letteratura migrante’ si nutre delle grandi migrazioni di massa che fan no della penisola un punto di passaggio verso altre destinazioni europee o, in alcuni casi, di un punto di approdo. Nata come fenomeno «sotto traccia» (Gnisci 2003), con testi spesso a quattro mani (naturalmente la conoscen za della lingua italiana è scarsissima tra i migranti della globalizzazione), a carattere prevalentemente autobiografico e pubblicati da piccole e coraggiose case editrici, negli ultimi anni la letteratura della migrazione ha conquistato uno spazio importante sia in campo editoriale sia in quello della critica accademica. Tale successo è dovuto alla nuova attenzione, anche da parte di grandi case editrici, a scrittori italiani di ‘seconda generazione’ come Igiaba Scego
o Cristina Ali Farah.
Bibliografia: S. Rushdie, Imaginary homelands, «London Review of books», 7 October 1982, 4, 18, poi in Imaginary homelands. Essays and criticism 1981-1991, New York 1992, pp. 9-21; G. Spivak, The post-colonial critic. Interviews, strategies, dialogues, New York-London 1990; P. Casanova, La world fiction. Une fiction critique, «Liber»,16, suppl. di «Actes de la recherche en sciences sociales», décembre 1993, 100; F. Moretti, Opere mondo, Torino 1994; F. Moretti, Conjectures on world literature, «New left review», 2000, 1, pp. 54-68; A. Gnisci, Creolizzare l’Europa.Letteratura e migrazione, Roma 2003; J. Chevrier, Afrique(s)-sur-Seine. Autour de la notion de migritude, «Notre librairie», juillet-décembre 2004, 155-156, pp. 96-100; Pour une littérature-monde en français, «Le Monde», 15 mars 2007; Intrangers, 1° vol., Postmigration et nouvelles frontières de la littérature beur, sous la direction de I. Vitali, Louvain-La-Neuve 2011; R. Morace, Il romanzo tra letteratura-mondo e global novel, «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», 2014, 2, pp. 103-22.