PICARESCA, LETTERATURA
. Dal nome del protagonista, il pícaro, si suole indicare con letteratura picaresca quel genere narrativo spagnolo apparso a metà del sec. XVI e sviluppatosi con larga fortuna, oltre che nel paese d'origine, la Spagna, anche nelle altre letterature europee, in Francia e Germania soprattutto; soltanto in Spagna, tuttavia, esso riuscì a creare una lunga tradizione artistica, con un particolare tipo stilistico e una congeniale rispondenza spirituale.
Il termine pícaro è documentato in Spagna fino dal 1520; tuttavia nel Lazarillo (1554) la voce non figura mai; i dizionarî la registrano più tardi, nei primi del Seicento, con il senso di "persona vile", "mascalzone" ecc. L'etimo è tuttora incerto; scartato il raccostamento di pícaro con pica e picar, fondato del resto soltanto sul dato fonetico, è sembrata più verosimile la derivazione da picard, il nome dell'abitante della Piccardia, che ebbe nel Medioevo senso dispregiativo e che poté penetrare in Spagna durante le guerre in Piccardia e nella Fiandra; infatti il fiammingo picker indicava allora una specie di servitore, uomo di umile fatica e proveniente da uno strato sociale inferiore.
La prima opera decisamente picaresca, che rivestì il valore di vero e proprio modello, è l'anonimo Lazarillo de Tormes (v. lazarillo), apparso nel 1554. Nel piccolo romanzo si presentano già nettamente delineati e quasi stilizzati i caratteri fondamentali del genere; non solo in rapporto al contenuto e alla tecnica del racconto, che nei romanzi posteriori, nonostante le diverse amplificazioni, si mantennero pressoché analoghi, ma anche e principalmente per l'atteggiamento umano e il sottile gusto estetico che vi si traducono, rimasti peraltro insuperati, anche se qualcuno degl'imitatori abbia introdotto maggiore varietà di materia e più larghi interessi.
Tutti i romanzi picareschi, infatti, sono rimasti fedeli al procedimento autobiografico: il protagonista - si chiami Lazarillo, Guzmán, Marcos, Don Pablo, Gil Blas e così via - racconta egli stesso le avventure e disavventure della propria esistenza; immerso fino dalla nascita in una vita di stenti e di espedienti, il picaro non conosce che i lati più poveri e gli aspetti più tristi della società; senza educazione, se non quella che si fa a sue spese dal contatto diretto con la dura realtà quotidiana, rimane nel corso degli anni e delle vicende un primitivo, più che un semplice; privo di una sua precisa funzione sociale, senza eccessivi scrupoli ma anche alieno dalla condotta delittuosa, trascorre la sua esistenza in margine alla legge e alla morale, in balia della sorte mobilissima che a lui, più d'ogni altro mortale, nega stabilità e benessere. Ignaro di ambizioni, se non di quell'unica dell'immediato lucro, il picaro si muove in prevalenza entro un ambiente gretto e meschino, dove l'umanità è spiritualmente angusta e della vita possiede soltanto le astuzie, i raggiri, gli egoismi, le piccole risorse. Di condizione quasi sempre servile, incostante e scansafatiche, incalzato di solito dalla fame, egli cambia padroni e mestieri, imparando a conoscere le molteplici vie per le quali gli uomini si procurano un tozzo di pane e attuano o dissimulano i loro bassi istinti. Cosicché l'attenzione fondamentale dello scrittore è rivolta in prevalenza a un determinato tipo sociale, che ha il grigiore della vita grama e miserabile e ha bandito da sé i più delicati affetti, le finzioni sentimentali e liriche, tutte le forme elevate di cultura e d'idealità. Ne deriva un nuovo tipo d'arte, in aperto contrasto con la letteratura tradizionale, quasi un robusto e schietto naturalismo ante litteram, ma libero da ogni finalità programmatica; così con il Lazarillo e via via con i suoi seguaci penetrano nel campo della fantasia altri interessi umani e altri motivi narrativi che hanno il fascino della realtà immediata e senza vani incantamenti, quella di tutti i giorni e di tutti i climi. Ma la maggiore originalità di quest'opera e del genere che essa inaugura consiste specialmente nel tono stilistico amabilmente satirico e umoristico, nel suo atteggiamento spirituale spregiudicato e scanzonato, nel senso vivacissimo del pittorico, del ridicolo, del grottesco: tutti motivi che presuppongono una coscienza estetica assai matura e scaltrita e un ambiente intellettuale che ha assimilato alcune forme spirituali del Rinascimento.
A parte le analogie - e non soltanto esterne - che si potrebbero istituire con opere lontane nel tempo e di clima culturale diverso (specialmente con il Satiricon di Petronio e con l'Asino d'oro d'Apuleio) anch'essi fondati sullo schema autobiografico e sorretti da tendenze ed elementi realistici, sebbene con una ben diversa prospettiva spirituale (e si noti, per es., come esuli dal genere picaresco l'osceno e il pornografico, a quelli invece indispensabili), è innegabile che presentimenti di quest'arte non mancavano nella stessa letteratura spagnola: certi atteggiamenti dell'arciprete de Hita nel suo Libro de Buen Amor (v. hita) e molta sostanza umana della Celestina (v.) avevano tentato il realismo letterario, con vigorosa adesione artistica verso figure e vicende d'ordine sociale e morale inferiore; ma in entrambe le opere, il loro realismo stava in funzione di un mondo lirico più complesso e di presupposti culturali assai diversi: se mai, esse attestano, assieme e forse più eloquentemente di altre manifestazioni letterarie, come nella tradizione della Spagna fosse viva e immanente l'esigenza di forme spirituali e artistiche tenacemente concrete, che il Lazarillo e in genere il romanzo picaresco appagavano ora in nuovi modi.
Il Lazarillo rimane il più delizioso fra i romanzi picareschi; obbedisce a una misura stilistica così delicata e agile, così maliziosa e leggiera, che ha potuto creare tutto un genere narrativo senza che, in definitiva, potesse essere superato dagl'imitatori. Nel suo contenuto è già fissato l'interesse sociale che starà a base di tutta la letteratura picaresca: dal cieco mendicante al chierico di Maqueda, dal cavaliere di Toledo al frate della Mercè, dall'alguacil" all'arciprete di San Salvatore, è un misto di miseria e di malignità, di bassezza umana e d'ipocrisia formale, dietro cui si profila la disgregazione spirituale della stanca società spagnola, che della grande età cavalleresca e conquistatrice conserva soltanto le vuote apparenze formali: è un aspetto, ancora in forma provvisoria, di quella coscienza umana e storica che si svilupperà nel Don Chisciotte. L'attenzione per questo mondo realistico e furbesco, a parte le continuazioni e i rifacimenti dello stesso Lazarillo, si arricchisce di figure e di gesta nell'opera di Mateo Alemán: Primera parte de la vida dei pícaro Guzman de Alfarache (Madrid 1599) e Segunda parte de la vida de G. de A., atalaya de la vida humana (Lisbona 1603), vera epopea della miseria e del vizio. Qui la vita del picaro è più varia, e il corso delle sue azioni si sussegue con ritmo più precipitoso; all'ambiente paesano in cui opera, da Lazarillo è sostituito uno sfondo più ampio, che si distende da Siviglia a Madrid, dalla Spagna per tutta Italia, e dalla vita miserabile e casalinga risale a classi sociali più elevate; lo stesso elemento furbesco che nel primo romanzo era tenuto su un piano intenzionalmente comico, fatto di piacevole astuzia più che di cattiveria, nel Guzman intacca l'intero mondo morale e finisce con lo scoprire un interiore e crudo cinismo. Cosicché l'arte equilibrata del Lazarillo, che coloriva le persone e le cose di grazia caricaturale, serbando sempre un suo particolare pudore, si fa irruente e sfacciata nello spirito disordinato dell'Alemán, ma altrettanto vigorosa per l'evidenza rappresentativa e l'intuizione psicologica di questa vita istintiva, spregiudicata, prepotente, rivolta unicamente al lucro, al senso, al vizio. C'è complessivamente una dispersione morale e sociale che rivela le particolari condizioni della civiltà spagnola, di carattere e di portata internazionale, ma ormai travagliata da una fatale crisi spirituale e politica. Dopo il romanzo dell'Alemán il genere ha una lussureggiante fioritura: il picaro assume perfino spoglie e sentimenti femminili (La pícara Justina è del 1605); ma la maggiore deformazione è operata da Vicente Espinel nella sua Vida del escudero Marcos de Obregón (Madrid 1618), romanzo avventuroso, oltre che picaresco; con lui l'interesse principale si sposta verso l'elemento romanzesco, ed è perduto il gusto stilistico del Lazarillo, ottenuto soprattutto per quella condizione di distacco spirituale dell'autore dalla sua materia; al contrario, l'Espinel contamina la finzione autobiografica, che negli altri aveva un puro valore di tecnica narrativa, con avvenimenti della propria vita, che a lui si presentano ancora in forma cronachistica e discorsiva. Egli che era vissuto fino ai quarant'anni in mezzo alle vicende più impensate e alle esperienze più fortunose (a volta a volta studente, scudiero, soldato, schiavo di pirati, e infine pacifico canonico; versato nella poesia, abile nella musica e nel canto, curioso di discipline umanistiche) portò nella sua arte l'impronta ancora appassionata della sua sorte bizzarra e mobilissima, senza dimenticare la sua diversa cultura, la propria saggezza morale, la maturità della sua esperienza, tanto che il Marcos de Obregón si risolve in una corsa nel mondo dell'imprevisto, dalla Spagna in Italia, e dall'Atlantico alle coste africane; c'è la sorpresa e la compiacenza dinnanzi alla mutevolezza della propria vita, anziché quella superiorità estetica che contempla e domina il puro mondo picaresco.
Soltanto un artista consumato come il Quevedo poteva intendere e risentire il sottile gusto artistico a cui s'ispirava la prima opera picaresca: il suo Buscón infatti (apparso nel 1616, ma composto parecchi anni prima), è il più vicino al Lazarillo, anche se risulta troppo scaltrito e troppo preso dall'amore per il pittoresco; egli vi ha portato la sua vivace coscienza moralistica e satirica; ma mentre nei Sueños essa si dispiega in forma dimostrativa e razionale, nel Buscón è il lievito intellettuale che fa fermentare un contenuto prevalentemente rappresentativo, riuscendo a celarsi dietro i valori estetici e stilistici del romanzo. Sono accentuati i motivi caricaturali e grotteschi, risultano ancora piu̇ stilizzati i modi cinici della coscienza picaresca, sono investiti sentimenti e aspetti più vasti e più complessi, quali appunto potevano sorgere dall'intelligenza erasmiana dell'autore, ma è sempre mantenuto un equilibrio formale che fa agire e parlare le cose e gli uomini direttamente, con l'evidenza mimetica e immediata della commedia. Per questa via, ma con procedimenti del tutto personali, il Cervantes si adeguava anch'egli a questo mondo, veristico e deformatore al tempo stesso; nella sua grande arte il genere si evolveva verso il puro colore stilistico, con finalità del tutto opposte a quelle romanzesche e autnbiografiche in cui s'era avviato il romanzo picaresco. Alcune delle sue Novelas exemplares, specie quella di Rinconete y Cortadillo, sono pezzi di bravura pittorica, più che intuizione di un mito lirico: vi si sente l'acquafortista che mette tutto in rilievo e in luce, e si appaga delle linee e dei colori più che della vita interiore; con il Cervantes è rotto nuovamente l'equilibrio formale del Lazarillo, ma questa volta per un eccesso di gusto estetico, che ha reso perfino irreale e sovrumano quell'ambiente che inizialmente doveva rispecchiare le forme più tipiche e prossime della vita quotidiana.
Con Lazarillo, Guzmán de Alfarache, Marcos de Obregón, Don Pablo del Buscón (a cui è da aggiungere l'Estebanillo González [1646], artisticamente inferiore ai suoi fratelli maggiori), la galleria dei tipi e dei modi picareschi è completa; i loro caratteri, il loro amhiente, il particolare spirito che li sorregge penetra nella maggior parte della letteratura spagnola, per tutto il sec. XVII e per buona parte del seguente: non soltanto nelle opere narrative, ma anche nella commedia, nelle memorie biografiche, nelle cronache civili, nei trattati morali, negli opuscoli satirici, con una tale forza di espansione che dalla Spagna il genere trapassa in tutte le letterature europee: e se in Italia l'influsso rimase limitato a singole traduzioni, contagiandosise mai nella vita empirica per certe concomitanze sociali e storiche, ma non riuscendo mai a penetrare nell'ambito della vera e propria letteratura, dove la novella boccaccesca aveva già appagato per lunga tradizione interessi umani ed estetici assai affini ma artisticamente più vitali (il Marcolfo e il Bertoldo della tradizione italiana sono di origini culturali diverse), nella Francia e nella Germania il romanzo picaresco suggerì opere originali e determinò nel genere narrativo di quelle letterature un orientamento prezioso e decisivo.
Senza A.-R. Lesage, la letteratura francese si sarebbe limitata ad accogliere singole traduzioni del romanzo picaresco, ma non ne avrebbe mai rielaborato e assimilato la nuova tecnica narrativa. Viceversa questo geniale saccheggiatore della letteratura spagnola, di cui amò soprattutto gli aspetti comici, satirici, romanzeschi e perfino estrosi, se ne fece tramite intelligente e originale: per tutta la sua lunga attività letteraria attinse alle fonti castigliane, soprattutto ai due generi, la commedia e il romanzo, ch'erano più congeniali al suo spirito e meglio rispondevano agl'interessi di un pubblico più vasto. Egli trovò nel suo temperamento francese un'equilibrio formale, fatto di leggerezza e di grazia, che gli permise di rifondere in un solo romanzo quasi tutta la materia spagnola - dal Lazarillo al Guzmán, dall'Estebanillo al Marcos de Obregón - creando quasi un corpus del picaresco, sotto il nome, anch'esso castigliano, di Gil Blas de Santillana (1715-1735; ediz. definitiva 1747). Il Lesage conservò lo scenario, i tipi, le vicende del paese d'origine, tanto che il suo Gil Blas parve una semplice traduzione; ma v'infuse a piene mani quell'esprit gaulois ch'egli ebbe inesauribile e schietto, sicché l'opera risulta assolutamente nuova, anche se la traccia delle fonti non è mai dissimulata.
Lontano ormai dalla squisita levità formale del primo Lazarillo, alieno anche da quella acuta, sottile e spietata critica sociale del Guzmán e del Buscón, meno appassionato per il romanzesco e meno contemporaneo del Marcos de Obregón, il Gil Blas ebbe tuttavia il merito di rendere più europeo il genere spagnolo, riportandolo più risolutamente alla tradizione del puro narrare e annunziando la tecnica del romanzo moderno, specie in contrapposizione alla tradizione sentimentale-arcadica.
In Germania, viceversa, il genere picaresco, entrato nel momento della sua maggiore fertilità, con traduzioni, riduzioni e rifacimenti, assunse per tempo una particolare rielaborazione, sempre più distaccata dai modelli e dal loro essenziale tipo realistico, episodico e scettico, fino a creare un'opera che del picaresco possiede gli schemi biografici e avventurosi, ma lo spirito è sempre più invaso da una nuova pensosità etica e religiosa, più aderente al fatto storico e agl'interessi intellettualistici e sociali del Seicento tedesco. I contatti politici e letterarî fra la Germania e la Spagna spiegano la prontezza con cui fu introdotto nella lingua tedesca il Guzmán de Alfarache, nella versione di Aegidius Albertinus (Der Landstörtzer Guzman von Alfarache oder Picaro genannt, Monaco 1615), che aveva già tradotto opuscoli di Antonio de Guevara, mosso da motivi religiosi e didattici; e, infatti, la seconda parte della sua rielaborazione picaresca si allontana più decisamente dall'originale, per immettere un contenuto prevalentemente moraleggiante e pedagogico. Questo carattere fideistico, che trasportava nel campo della polemica religiosa e dommatica un'opera sorta al di fuori di essa, rimarrà essenziale alla tradizione dello Schelmenroman tedesco: il continuatore dell'Albertinus, che si nasconde sotto il falso nome di Frendenhold (Francoforte 1620) e traduce non già i modelli spagnoli ma un libro devoto e di pellegrinaggio allora assai diffuso (il Reissbuch des heylichen Lands, Francoforte 1585), non possiede più alcuna traccia del romanzo picaresco. A questo invece risaliva il Grimmelshausen (v.) con il suo Simplicissimus (1668 in 5 libri, poi nel 1669 in 6 libri), nel quale la tradizione narrativa spagnola è riadattata con piena originalità a un diverso clima spirituale, sociale e civile, sicché al di sotto della pura tecnica strutturale, si affermano esperienze e finalità antitetiche al tipo estetico che va dal Lazarillo al Gil Blas.
Di origini autonome è la figura di Eulenspiegel (v.), che quando appare alla ribalta letteraria (la prima redazione nota è del 1515) oscilla fra l'ultima evoluzione del giullare medievale e certi presentimenti del picaro spagnolo. Certo per influsso della letteratura picaresca e del corrispondente Schelmenroman tedesco, Eulenspiegel si venne sempre più assimilando al genere satirico, conservando tuttavia una sua originaria rozzezza popolaresca che valse a distinguerlo dal tipo del vero e proprio picaro: l'ultima evoluzione di Eulenspiegel è avvenuta in terra fiamminga entrando nella letteratura romantica con il De Coster, che ne fece l'eroe nazionale del suo paese, pur conferendogli una certa patina picaresca, proprio quando ormai da più di un secolo il genere picaresco s'era risolto nel tipo romanzesco e psicologico.
Bibl.: Per l'etimo di pícaro, cfr. A. R. Nykl, Pícaro, in Revue hisp., LXXVII (1929), pp. 172-186; L. Spitzer, Pícaro,in revista de filol. española, XVII (1930), pp. 181-182; e G. J. Geers, in Mélanges... offerts à J. J. Salverda de Grave, Groninga 1933, pp. 132-38. Si vedano gli articoli dedicati ai singoli autori: F. de Haan, An Outline of the history of the Novela picaresca in Spain, New York 1903; F. W. Chandler, The Literature of Roguery, Boston 1907 (trad. spagnola: La novela picaresca en España, a cura di P. A. Martin Robles, Madrid 1913); J. D. M. Ford, Possible foreign sources of the Spanish novel of roguery, Boston 1913; Q. Saldaña, El pícaro en la literatura y en la vida española, in Nuestro tiempo, XXVI (1926), p. 103 segg.; G. Calabritto, I romanzi picareschi di M. Alemán e V. Espinel, Malta 1929. - Per la Francia si veda alla voce lesage. - Per la Germania, cfr. anche: H. Rausse, Zur Geschichte des spanischen Schelmenromans in Deutschland, Münster 1908; R. Bottacchiari, Grimmelshausen, Torino 1920; v. inoltre: J. Vles, Le roman picaresque hollandais des XVIIe et XVIIIe siècles et ses modèles espagnols et français, L'Aia 1926.