RAGAZZI, LETTERATURA PER.
– Letteratura e alfabetizzazione. Le due tradizioni della letteratura per l’infanzia. Gli stili cognitivi. Bibliografia
Letteratura e alfabetizzazione. – A lungo, la migliore spiegazione storica della nascita tardiva di una letteratura per l’infanzia è stata quella di Philippe Ariès, in base alla quale un mercato editoriale per utenti pre- e postpuberali non avrebbe potuto nascere prima della fine del 17° sec. per la semplice ragione che antecedentemente a quel la data l’infanzia non era concepita come qualcosa di diverso dall’età adulta. Solo a partire dalla formazione dei grandi Stati assoluti una serie di fenomeni storico-sociali quali l’intensificarsi delle relazioni affettive tra genitori e figli, la diminuzione dell’indice di mortalità, i mutamenti degli stili di vita e della configurazione stessa degli ambienti domestici avreb be portato a una considerazione autonoma e anzi privilegiata della condizione infantile (Ariès 1960; trad. it. 1968, passim).
Dopo cinquant’anni dalla pubblicazione di L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien régime l’ipotesi storiografica di Ariès ha subito rimarchevoli correttivi. Gli studi sui mutamenti cognitivi apportati dalla stampa in Occidente (Ong 1982, trad. it. 2010, pp. 178-80), le ricerche sulla presenza di una letteratura rivolta ai bambini già in epoca medievale (Adams 1998, p. 8), le indagini sull’editoria di testi religiosi prodotti appositamente per l’infanzia sin dalla metà del Cinquecento (Wooden 1986, pp. 31 e segg.) e infine gli studi sull’alfabetizzazione minorile all’inizio del Settecento (Morgenstern 2009, pp. 14 e segg.) hanno mostrato come in realtà una rappresentazione culturale del fanciullo sia sempre esistita. Ciò che avrebbe essenzialmente causato la genesi della l. per r. è l’introduzione, lenta ma incalzante, di un sistema di istruzione a partire dai sei anni. Parliamo di addestramento neurocognitivo, non di dogmi educativi. In base a questa nuova ipotesi, non sarebbe stata un’idea dell’infanzia a tenere a battesimo una letteratura di genere, ma sarebbe stata quest’ultima ad alimentare le rappresentazioni sociali del bambino. Se, in accordo con gli studiosi che negli ultimi anni hanno meglio affrontato questo problema, assumiamo il 1744 come data inaugurale della children’s literature occidentale – l’anno in cui John Newbery pubblica A little pretty pocket book, di fatto un abbecedario dove l’autore si rivolge a un pubblico di genitori affinché leggano ai propri figli le narrazioni fiabesche e immaginifiche contenute nel testo –, è perché solo una storia della scolarizzazione e dei processi di alfabetizzazione può spiegare la genesi di un mercato della lettura per bambini e adolescenti che, da quel momento, è divenuto sempre più esteso, sino al vero e proprio boom registrato negli anni Ottanta del Novecento.
La l. per r. lega il proprio destino a quello della scolarizzazione a tal punto che oggi si potrebbe leggere la saga di Harry Potter di J.K. Rowling – sette romanzi (19972007), ciascuno ambientato in un anno scolastico dell’istituto per apprendisti maghi di Hogwarts, sul modello della scolarità britannica a ciclo unificato, le cosiddette boarding schools, che già avevano costituito l’oggetto di un celebre romanzo per l’infanzia, Tom Brown’s school days (1857; trad. it. Gli anni di scuola di Tom Brown, 1966) di Thomas Hughes – come la grande, celebrativa metafora di un genere letterario vincolato sin dalla nascita al mondo dell’istruzione. Il caso dell’Italia è significativo: uno dei primi testi di letteratura per l’età evolutiva è infatti il Giannetto (1837) di Luigi Alessandro Parravicini, manuale di letture scolastiche (Boero, De Luca 2009, p. 13), ma ciò vale a maggior ragione per Cuore (1886) di Edmondo De Amicis, romanzo in forma diaristica che dura lo spazio di un anno scolastico (da lunedì 7 ottobre 1881 a lunedì 10 luglio 1882). Insom ma, in Italia la letteratura per l’infanzia stenta a decollare sino all’Unità, quando una serie di interventi legislativi (in particolare la legge Casati del 1859 e la legge Coppino del 1879, che coinvolsero sia pure in misura insufficiente i figli delle classi medie e medio-basse nel mondo dell’alfabetizzazione) dette straordinario impulso alla produzione di testi per i minori.
Le due tradizioni della letteratura per l’infanzia. – I due grandi codici tematico-morfologici in cui si assesta la letteratura per l’infanzia sono quello della fiaba, dove tutto è platealmente controfattuale (per i filosofi del linguaggio, è controfattuale un enunciato che non rispetta le convenzioni in uso nella realtà storico-sociale dove l’enunciato viene prodotto), e quello del romanzo di formazione, dove la storia di un protagonista giovane che trova o fallisce il proprio destino ricorre a convenzioni mimetico-realistiche.
La fiaba, il racconto folclorico di origine orale e più tardi il fantasy costituiscono una forma di comunicazione privilegiata degli adulti con i bambini, nel presupposto che questi ultimi siano ancora cognitivamente incapaci di distinguere il reale dall’immaginario e il possibile dall’impossibile, dove i personaggi agiscono avvalendosi di strumenti magici. Nondimeno la libertà immaginativa che essa consente, la netta divisione del bene dal male e la nitidezza degli accadimenti non spiegano a sufficienza perché la fiaba si iscriva subito all’albo della letteratura per l’infanzia, sin dal momento in cui Giambattista Basile dedica il suo Cunto de li cunti (1634-36) ai «peccerille», cioè ai fanciulli, e Charles Perrault attribuisce finzionalmente la paternità dei suoi contes de fées al giovane figlio Pierre Darmancourt.
Va precisato che il momento forse più straordinario della letteratura per l’infanzia che adotta la morfologia della fiaba, spalmandola sia su stringhe romanzesche lunghe e complesse sia su schemi favolistici brevi ed enigmatici, va dalla pubblicazione di Alice’s adventures in wonderland (1865; trad. it. Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie) di Lewis Carroll al Petit prince (1943; trad. it. Il piccolo principe, 1943) di Antoine de Saint-Exupéry, in un arco cronologico che ospita altresì testi divenuti quasi paradigmatici per l’immaginario collettivo, per es., Peter Pan in Kensington Gardens (1906; trad. it. Peter Pan nei giardini di Kensington, 1919) di James M. Barrie e The wonderful wizard of Oz (1900; trad. it. Il meraviglioso mago di Oz) dello statunitense Lyman F. Baum, o innovativi capolavori come Le avventure di Pinocchio (1883) di Carlo Collodi. Ciò che accomuna queste opere è senza dubbio la raffigurazione di scenari onirici e refrattari al senso comune, per cui un luogo familiare o comunque sia reale (un parco londinese, le desolate praterie del Kansas, il paesaggio rurale toscano) consente l’accesso e talvolta ‘contiene’ non luoghi di pura fantasia in cui l’esistenza sembra amministrata secondo principi, linguaggi e costumi del tutto differenti da quelli della vita reale.
Suzy Lee, scrittrice e illustratrice coreana, ce ne offre un esempio contemporaneo con la sua ‘trilogia del limite’ (Mirror, 2003; Wave, 2008, trad. it. L’onda, 2008; Shadow, 2010, trad. it. Ombra, 2010): violando continuamente il limite fisico dello spazio occupato dalla legatura del picturebook, fa sì che i mondi ‘separati’ della doppia pagina si tocchino e mescolino i propri elementi, permettendo il passaggio da una dimensione reale a una fantastica.
La letteratura per l’infanzia sembra inverare l’idea darwiniana delle intrinseche molteplici possibilità che la realtà contiene, benché inespresse o invisibili (Grilli 2011, p. 37), come gli asteroidi miniaturizzati dove c’è posto solo per un abitante e le stelle fungono da lampioni (Saint-Exupéry) o le città di Smeraldo dove si incontrano boscaioli di latta o uomini di paglia in cerca del loro cervello (Baum). Il potenziale eversivo e centrifugo di questi mondi possibili viene ammortizzato dalla regia di un narratore adulto che orienta alla fine l’intreccio verso conclusioni normalizzanti: gli scenari onirici esperiti da Alice sono soltanto il sogno di un caldo pomeriggio estivo; il piccolo principe svanisce in un’inesistenza senza ritorno; Dorothy torna nella sua fattoria del Kansas grazie a un paio di scarpe magiche; Pinocchio diviene un fanciullo in carne e ossa e così via. Ma intanto generazioni e generazioni di lettori-bambini hanno attraversato questi mondi fluorescenti e anomici (Cambi 1999, pp. 27-37).
David Almond attua oggi un’operazione contraria, poiché è il perturbante che invade temporaneamente lo spazio sicuro del bambino, come manifesta l’incipit di Skellig (1998; divenuto una pièce nel 2003 per la regia di Trevor Nunn e successivamente adattato per il teatro dallo stesso autore su musiche di Tod Machover): «Lo trovai nel garage un sabato pomeriggio [...]. Era disteso al buio dietro le casse, nella polvere e nella sporcizia. Era come se fosse lì da sempre. Era lurido, pallido e secco e credevo che fosse morto. Mi sbagliavo di grosso. Presto avrei cominciato a vedere la verità, che al mondo non c’era mai stato un altro essere come lui» (trad. it. 2009, p. 7).
Un rilievo altrettanto e addirittura più marcato va riconosciuto alla letteratura per l’infanzia che adotta il format del romanzo di formazione (Moretti 19993) o Bildungsroman, una modulazione particolare che il novel per adulti acquisisce in Germania alla fine del Settecento, quando in genere ritrae un giovane protagonista che abbandona la provincia e si trasferisce in ambiente urbano per esplorare le proprie capacità acquisendo una maggiore saggezza e maturità. Ben presto il romanzo di formazione per fanciulli si sdoppia nella variante maschile del racconto d’avventure, spesso incentrato sul cronotopo dell’isola (se il Robinson Crusoe, 1719, è l’archetipo, Treasure Island di Robert Louis Stevenson ne costituisce la canonizzazione nel 1883) e nella variante femminile del romanzo domestico, spesso ambientato entro i confini spaziali di un giardino, che trova in Little women (1868, trad. it. Piccole donne) della statunitense Louisa May Alcott il suo momento fondativo (Zanotti 2001, pp. 29 e segg.).
Nell’ambito dell’editoria per ragazzi contemporanea si assiste sempre più spesso a un’ibridazione di genere dei cronotopi: nel graphic novel The invention of Hugo Cabret (2007; trad. it. La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, 2007) di Brian Selznick (da cui è stato tratto il film Hugo Cabret diretto nel 2011 da Martin Scorsese), il protagonista dodicenne orfano solo e derelitto (siamo a Parigi nel 1831) vive nei recessi dimenticati della stazione, ed è negli interni della stazione che si svolgono le vicende raccontate. Per omeostasi, gli esempi femminili sembrano uscire dai loro ambienti domestici, come fa sapientemente la protagonista dell’albo illustrato Frau Meier, die Amsel (1995; trad. it. La signora Meier e il merlo, 2003), di Wolf Erlbruch, che abbandona la sua ansia e negatività per imparare a volare.
Si comprende come il romanzo di formazione abbia svolto compiti simbolici ritenuti essenziali per mediare il passaggio tra pubertà e giovinezza nelle società occidentali in fase di avanzata industrializzazione. Un rito di iniziazione dagli esiti a volte positivi, a volte nefasti, con una strutturazione binaria degli spazi (la città e la solitudine del paesaggio alpestre in Heidi, 1880, di Johanna Spyri, gli interni domestici e il giardino circostante in The secret garden, 1911, di Frances Hodgson Burnett ecc.) e del sistema dei personaggi (divisi drasticamente in adulti e ragazzi), non senza un marcato ricorso a episodi che inducano alla commozione (cioè all’immedesimazione empatica del lettore nel personaggio attraverso la mediazione del narratore) e possano risultare illustrativi di un precetto etico condiviso: dietro ogni testo, infatti, si intravede la necessità di addomesticare il ribellismo infantile entro i confini di uno stile di vita legittimato da processi di socializzazione pienamente gestiti dalle classi dirigenti.
Se le storie raccontate hanno un orientamento oppressivamente pedagogico, gli intrecci narrativi ci si presentano con una struttura piramidale come nei romanzi per adulti: un incipit dove appare uno scenario statico, uno svolgimento spesso dovuto a traslazioni del protagonista (come nel romanzo maschile, dove è un’isola il punto di fuga) o a improvvise rivelazioni (come nel romanzo femminile, dove è il giardino a ospitare tali rivelazioni), infine un explicit non necessariamente fausto.
Rispetto ai romanzi per adulti, a contraddistinguere la letteratura per l’infanzia di ogni tempo e luogo sia nel format fiabesco sia in quello del Bildungsroman è tuttavia l’intreccio episodico. Da Alice a Pippi Calzelunghe e Harry Potter il protagonista (singolo o collettivo) esperisce un accadimento particolare in un luogo specifico, per poi passare a un altro evento in un nuovo spazio (Barcellona 2002). Tutto e sempre, nei testi letterari per l’infanzia, sembra procedere per addizione successiva di scenari narrativi autonomi e ben circoscritti. In Wonder (2013; trad. it. 2013), best-seller della grafica e art director Raquel J. Palacio, gli episodi sono scanditi invece da punti di vista che si alternano; il tutto è raccontato attraverso una costellazione di sguardi dove l’Io narrante cambia a ogni capitolo passando dall’undicenne protagonista August alla sorella Via, all’amica Summer, agli amici Jack e Julian per poi ritornare ad August nel finale.
Gli stili cognitivi. – Il tentativo di spiegare la struttura paratattica delle narrazioni per bambini da parte di linguisti, neurocognitivisti, studiosi di letteratura e pedagogisti costituisce l’innovazione maggiore che la comunità scientifica abbia apportato alle convinzioni di Jean Piaget (1896-1980), che evidenziò la diversità qualitativa tra il pensiero del bambino e quello dell’adulto riconoscendovi una lenta e progressiva ascesa. Oggi comprendiamo l’intrinseca funzione adattativa di una letteratura specifica per i bambini: non si tratta di inculcare formule precettistiche nelle menti di individui in formazione, ma della messa a punto di stili cognitivi, poiché grazie alla loro chiarezza classificatoria e alla semplificazione concettuale fiabe e romanzi per l’infanzia si sono rivelati preziose palestre mentali per leggere gli eventi quotidiani, colmando le lacune di informazione attraverso la memoria semantica (che registra i frames, ossia la definizione astratta di un evento) e la memoria episodica (che registra gli scripts, ossia le azioni possibili che possano occorrere all’interno di un frame). Quando, per es., Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe dopo che Mangia-fuoco gli ha donato cinque monete d’oro affinché le dia a Geppetto, un lettore-bambino entra nel frame «Inusuale e fortunosa accumulazione di ricchezza» disponendo di diversi scripts (quello di Pinocchio che vorrebbe seminare il denaro e raccoglierlo in un secondo momento, per vederlo moltiplicato; quello del Gatto e della Volpe, che vogliono dissotterrare il denaro di Pinocchio e impossessarsene in modo fraudolento ecc.). La struttura scriptica (Cardarello 2004, pp. 37-44) della letteratura per l’infanzia, dunque, addestra il bambino a leggere l’esperienza quotidiana offrendogli le opportune risorse immaginative per sopravvivere alla nuova, inedita miscela di stili di vita, tradizioni culturali e sostrati etnici che la vita da adulto gli farà sperimentare.
Romance (2013; trad. it. Ballata, 2013), dell’illustratore franco-belga Bernard Granger (in arte Blexbolex), è un picturebook esemplare se parliamo di morfologie narrative. L’autore costruisce il racconto in base a una progressione geometrica. Si tratta della storia di un viaggio costituita da sette sequenze, storia che ricomincia per sette volte; l’autore fornisce cioè sette contenitori che si allargano progressivamente: ogni volta le cose che vede il lettore aumentano in progressione geometrica fino a essere centoventinove elementi che a partire dalla quotidianità (la scuola, il tragitto, la casa) danno vita a un racconto fantastico, dove sortilegi, rapimenti, sparizioni, viaggi avventurosi, malefici, colpi di fortuna e amori trionfanti si alternano in un crescendo narrativo che, a partire dallo schema rigido della cornice, crea una fiaba fatta di universali narrativi, con le icone classiche della strega e della regina, non senza che ricorrano le immagini di Cenerentola e Biancaneve, del gatto e della volpe di Pinocchio, di un folletto che ricorda Puck dello shakespeariano A midsummer night’s dream, o di Papageno e del suo flauto magico.
Parliamo ancora di memoria semantica con Neil Gaiman e Charles Vess e il loro Instructions (2010), riuscito esempio di sceneggiatura narrativa. Così come le sceneggiature (scripts) rappresentano alcune situazioni stereotipate, come andare al cinema o al ristorante, in questo caso l’impegno cognitivo da affrontare è un’avventura, e gli autori ci suggeriscono come gestire i difficili passi per riuscire nell’impresa: «Raggiungi il portone di legno nel muro che non avevi mai visto prima. Chiedi ‘permesso’ prima di aprire il chiavistello, poi entra, cammina lungo il sentiero. Un folletto di rosso metallo è appeso alla porta di verde dipinta, a far da batacchio, non toccarlo: ti morderà le dita. Attraversa la casa. Non prendere niente. Non mangiare niente. Comunque: se una creatura ti dice che ha fame, nutrila. Se ti dice che è sporca, puliscila. Se urla che fa male, se puoi, lenisci il suo dolore. Dal giardino sul retro potrai vedere il bosco selvaggio. Il pozzo profondo che incontrerai porta al Regno d’Inverno, un’altra terra esiste lì in fondo. Se qui ti volti indietro, potrai tornare sui tuoi passi, senza rischi; non ci perderai la faccia. La mia stima di te non diminuirà. Una volta attraversato il giardino sarai nella foresta. Gli alberi sono verdi. Occhi osservano dal sottobosco. Sotto una quercia nodosa siede una vecchia. Potrebbe chiederti qualcosa. Dagliela. Ti indicherà la via per il castello. Dentro ci sono tre principesse, non fidarti della più giovane. Passa oltre. Nella radura oltre il castello, i dodici mesi siedono attorno a un fuoco, scaldandosi i piedi, scambiandosi storie. Possono concederti favori, se sei educato. Puoi raccogliere fragole nel gelo di dicembre. Fidati dei lupi, ma non dir loro dove sei diretto. Il fiume può essere attraversato con il traghetto. Il traghettatore ti porterà. (La risposta alla sua domanda è questa: Se cede il suo remo al passeggero, egli sarà libero di lasciare la nave. Diglielo solo a distanza di sicurezza)» (trad. it. Istruzioni. Tutto quello che devi sapere per il tuo viaggio, 2012, p. 14).
Bibliografia: P. Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien régime, Paris 1960 (trad. it. Padri e figli nell’Europa medievalee moderna, Bari 1968); W.J. Ong, Orality and literacy. The technologizing of the word, London-New York 1982 (trad. it. Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna 1986); W.W. Wooden, Children’s literature of English Renaissance, Lexington 1986; G. Adams, Medieval children’s literatures: its possibility and actuality, «Children’s literature», 1998, 26, pp. 1-24; F. Cambi, Tradizioni nazionali europee della fiaba, in Itinerari nella fiaba, a cura di F. Cambi, Pisa 1999; F. Moretti, Il romanzo di formazione, Torino 19993; M. Roggero, L’alfabeto conquistato. Apprendere e insegnare nell’Italia tra Sette e Ottocento, Bologna1999; P. Zanotti, Il giardino segreto e l’isola misteriosa. Luoghi della letteratura giovanile, Firenze 2001; L. Barcellona, Il burattino itinerante: uno studio sullo spazio, in Le avventure di Pinocchio, a cura di I. Pezzini, P. Fabbri, Roma 2002, pp. 35-73; R. Cardarello, Storie facili e storie difficili. Valutare i libri per bambini, Azzano San Paolo 2004; K. Coats, Looking glasses and neverlands: Lacan, desire, and subjectivity in children’s literature, Iowa City 2004; P. Boero, C. De Luca, La letteratura per l’infanzia, Roma-Bari 2009; J. Morgenstern, Playing with books. A study of the reader as child, Jefferson-London 2009; G. Grilli, La letteratura invisibile. Infanzia e libri per bambini, Roma 2011.