PAVANA, LETTERATURA
. Va sotto questo nome un'esuberante fioritura di componimenti più o meno scherzosi in verso o in prosa, nei quali è stato usato il dialetto rustico padovano (dai contadini detto una volta pavano), che avendo per suo centro naturale il territorio di Padova, dove maggiore è la romanità del fondo linguistico, si estende a quasi tutta la regione veneta, in qualche lato pur sconfinando, e tingendosi di ladino, di trevigiano (cioè del trevisano dei colli), di lombardo e di emiliano via via che si avvicina alle parlate del Friuli, di Belluno, di Mantova e d'oltre Po. E così la città più dotta del Veneto fu pur quella che diede sviluppo in modo fantastico a questa letteratura la quale volle per solito ostentare nel più incondito linguaggio la massima rozzezza, a dispetto d'ogni affinamento di pensiero e di vita, con una sguaiata caricatura del villano, ridicola maschera da carnevale.
I più antichi documenti che ce ne restano sono due sonetti caudati del sec. XIV, scambiatisi tra Marsilio da Carrara e Francesco di Vannozzo, un poeta mezzo giullare. Molti se ne hanno del secolo seguente, di contenuto spesso mordace; notevoli quelli provenienti dal ducato ferrarese, ispirati da odio contro quel governo. Anche più interessanti nel rispetto storico sono i sonetti e le barzellette stampate nel principio del Cinquecento mentre infuriava la guerra intorno a Padova, in cui si esprimono i sentimenti del contado in favore della repubblica di San Marco e contro gli stranieri invasori e i nobili ribelli di terraferma.
Da questo tempo, fra tanti contrasti, lamenti, satire, mariazi (cioè farse di goffi amorazzi e nozze villerecce) e altre opericciole di cantastorie e buffoni, nate soprattutto per canzonare i villani, s'insinua qua e là un moto d'umana simpatia, di benigno compatimento verso quegli sciagurati, ignoto quasi alle altre letterature rusticali; il quale affiora, con strano contrasto, fino in una delle tradizionali invettive contro di loro, che s'intitola L'alfabeto dei villani.
Da tale materiale giullaresco, misto e informe, Angelo Beolco, detto Ruzzante (1502-1542; v.), seppe trarre per il primo vere opere d'arte e figurare in discorsi, dialoghi e commedie, sovente con perfetta obiettività, anche con spietata crudezza, la vita sfaticata e torbida del contadino.
Non era egli ancora morto che per tutte le città venete e sino in villaggi si scrivevano rime e prose in lingua pavana. Migliore tra l'innumerevole turba si leva Giambattista Maganza di Este (morto nel 1586), che piegò tale rustico eloquio a insospettate grazie e vezzi e scapricciature amorose. In gara con lui rimarono il prete Agostino Rava (morto nel 1583), mansionario e maestro del coro nella cattedrale di Vicenza, e un sarto analfabeta, Bartolomeo Rustichello da Zento, pure vicentino. Le rime loro comparvero sotto i nomi di Magagnò, Menon e Begotto in una copiosa raccolta, che ebbe l'onore di più edizioni e ne conteneva insieme altre di minori, quali Giacomo Morello detto Moratto, un diavolo d'un canonico padovano, e Giambattista Calderari, cavaliere di Malta, infiammato amante, che secondo la moda loro si chiamò Braghin Caldiera di Forabusi da Bolzan.
Il parlare pavano non mancò di fare la sua comparsa tra i servi delle commedie, cominciando da quelle di Andrea Calmo, e tra le novelle, per es., dello Strapparola. Servì inoltre a polemiche letterarie e storiche e scientifiche. Memorabile è il Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella nuova (1605), opera di discepoli e amici di Galileo, stesa su cartelle fornite in parte da lui che molto si dilettò di leggere e interpretare a forestieri il Ruzzante. Letterati di grido dal sec. XVI al XIX non sdegnarono di confondersi tra le frotte dei rimatori pavani. Nella seconda metà del Settecento un dottissimo abate, Michele Pavanello di Vicenza (1724-1801), volle anche tradurre in pavano, come già altri avevano fatto del Petrarca e dell'Ariosto, Anacreonte e Teocrito, parendogli che questo linguaggio agguagli perfettamente il dorico "nella dolcezza e forza, come pure nella naturale semplicità e nella proprietà e nella special significazione dei termini". E nella seconda metà dell'Ottocento, rinverdendo lo stile al contatto diretto e quotidiano con la gente di campagna, Domenico Pittarini di Arcignano di Sandrigo in quel di Vicenza (1829-1902), fervido patriota, scrisse tra l'altro una commedia, La politica dei villani, che piacque assai.
Né è più cessato il costume di scrivere in pavano: ne offrono tuttora occasione lauree, nozze, prime messe, ingressi e partenze di prelati e di altre autorità, mascherate e feste diverse; né manca anche oggi tra i vivi, dopo la morte di Achille Tian, un burlone d'una virtù mimetica straordinaria, chi s'è fatto un bel nome in siffatte piacevolezze, primo fra tutti Guido Boldrin padovano.
Cfr.: La prima parte de le rime di Magagnò, Menon e Begotto, in lingua rustica padovana, ecc., Padova 1558, a cui seguono in anni diversi altre tre parti; Poesie varie dell'abate Michele Pavanello, ecc., Vicenza 1789-97; Galileo, Opere, II, Firenze 1891, pp. 307-34.
Bibl.: G. Da Schio, Saggio del dialetto vicentino, ecc., Padova 1855; A. Tolomei, Delle vicende del vernacolo padovano, in Scritti vari, ivi 1894, pp. 15-38; R. Wendriner, Die paduanische Mundart bei Ruzante, Breslavia 1889; E. Lovarini, Antichi testi di letteratura pavana, Bologna 1894; id., L'alfabeto dei villani, in Il libro e la stampa, Milano 1910; id., Galileo interprete del Ruzzante, in Boll. del museo civ. di Padova, 1927; id., Galileo scrittore pavano?, in Atti e mem. dell'Accad. di scienze... di Padova, 1928; D. Merlini, Saggio di ricerche sulla satira del villano, Torino 1894; C. Pasqualigo, La lingua rustica padovana nei due poeti G. B. Maganza e D. Pittarini, ecc., Verona 1908; A. Mortier, Ruzzante, Parigi 1927-28; R. Viola Muzolon, La lett. pavana nel quadro della lett. cinquecentesca, in Riv. letter., VI (1934), fasc. 3; F. Mutinelli, Lessico veneto, ecc., Venezia 1851; D. Bortolan, Vocab. del dial. antico vicentino, Vicenza 1893; da consultare pure gli altri vocabolarî veneti e i glossarî in fine alle Lettere di A. Calmo edite da V. Rossi, Torino 1888, e alle Rime di B. Cavassico edite da V. Cian e C. Salvioni, Bologna 1893-94.