Tedesca, letteratura di lingua
Chi voglia ricostruire un possibile profilo del panorama letterario di lingua tedesca nell'arco di tempo successivo alla data limite del 1989, non può non tenere conto del dibattito politico sul tema della riunificazione con il quale - e in modo pressoché esclusivo - la letteratura di questi anni, nella specificità del suo linguaggio, ha interagito e si è confrontata. I nomi di G. Grass e M. Walser, ambedue nati nel 1927, appartenenti dunque alla generazione di coloro che hanno attraversato la tragedia storica della Germania e figure tra le più rappresentative della letteratura tedesco-occidentale, potrebbero costituire un autorevole punto di partenza con le loro posizioni contrapposte e le rispettive rielaborazioni letterarie delle vicende tedesche. Per Grass, instancabile avversario della riunificazione in una 'grande Germania' sulla quale vede proiettarsi minacciosa l'ombra del passato nazista, l'unico modello accettabile che potrebbe "soddisfare il bisogno d'identità dei tedeschi" è quello confederativo che si richiama all'idea di Kulturnation. Walser, al contrario, affronta la questione della riunificazione partendo da una posizione intenzionalmente apolitica, richiamandosi a una 'patria' unica, incancellabile dalla memoria storica individuale. Sul piano del discorso letterario Grass con il romanzo Ein weites Feld (1995; trad. it. È una lunga storia, 1998) coglie il momento della trasformazione intrecciandolo a centocinquant'anni di storia tedesca, ma l'ultima passeggiata dei protagonisti li porta, con un preciso significato politico, al di là dei confini della Germania. Walser invece, con Ein springender Brunnen (1998), pone in primo piano il motivo della Heimat inteso in una connotazione regionale e sostanzialmente come luogo affettivo.
Ma il possibile percorso all'interno della produzione letteraria tedesca tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21° sec. potrebbe seguire un itinerario diverso. Se c'è un luogo, in senso strettamente topografico e urbanistico, sul quale è possibile misurare concretamente le mutazioni e le innovazioni intervenute all'interno della letteratura contemporanea di lingua tedesca a partire dagli anni Novanta, questo è Berlino. E non solo perché in generale l'architettura registra i passaggi della Storia o perché quella città porta scritti in modo particolarmente forte nel suo tessuto metropolitano i segni delle trasformazioni che sono avvenute a partire da quel 1989 che ha cancellato l''altra Germania'. Berlino e il suo paesaggio urbano sono, certamente più di quanto sia accaduto in altre realtà geopolitiche e a prescindere dalla tendenza ormai diffusa a leggere la città come macrotesto, un fattore fondamentale nella ricerca dell'identità tedesca. Non è solo un caso che sul terreno della letteratura, dopo le provocatorie osservazioni di qualche critico che lamentava una mancata attenzione verso la nuova metropoli, la tanto attesa grande opera sulla Germania della svolta sia Ein weites Feld, il già citato romanzo di Grass in cui si ricostruisce la memoria storica della nazione attraverso la mappa topografica della città. Le due dimensioni, quella architettonica e quella politica, vengono insomma a costituire - e non solo in questo caso macroscopico - un nesso imprescindibile lungo il quale si realizza il confronto con il passato, con la storia più recente dei quarantdi Stato socialista, ma anche con gli anni più lontani del nazionalsocialismo.
E però, se è vero che la città costituisce più che lo sfondo il soggetto privilegiato della letteratura successiva al 1989, l'attenzione di scrittori e poeti non sembra tanto rivolta alla modificazione più vistosa intervenuta nell'immagine della città, vale a dire al crollo del muro e poi alla sua successiva, pressoché totale scomparsa. L'oggetto 'muro', in tutta la sua valenza concreta, ma anche simbolica e ideologica, paradossalmente viene messo come tra parentesi, materialmente e psicologicamente rimosso nella ricerca piuttosto di tracce di un altro passato. Ciò che interessa sembra essere infatti una ricognizione a largo raggio attorno a spazi urbani, edifici, monumenti legati alla memoria tedesca. Sicché anche nel romanzo di Grass quel 'vasto campo', che poi è la Berlino dei mesi immediatamente successivi alla grande svolta, sembra avere un suo preciso punto focale nella Colonna della vittoria, un monumento, appunto, inaugurato nel 1873 sul Königsplatz per celebrare l'unificazione tedesca sotto la guida della Prussia e poi trasferito nel 1938-39 sulla Charlottenburger Chaussee. Coronata da una figura che simbolicamente univa l'idea dell'antica divinità della vittoria con la prussiana Borussia, la colonna è una vera e propria icona urbana. Utilizzata anche da W. Wenders nel film Der Himmel über Berlin (1987; Il cielo sopra Berlino) come osservatorio sulla città per l'angelo Damiel che trova posto tra le ali dorate della figura in una esplicita contrapposizione di segni, è su di essa che il romanzo di Grass si apre e si chiude come in una doppia dissolvenza proiettando l'ombra del trionfalismo di allora sull'arroganza dei 'vincitori' tedesco-occidentali di oggi. Anche un romanzo successivo, Rot (2001; trad. it. 2005) di U. Timm (n. 1940), pone in primo piano la Colonna della vittoria e il suo forte carattere simbolico. Qui il monumento è inserito addirittura nel progetto (fallito) di un attentato esplosivo previsto per il giorno del trasferimento del governo da Bonn a Berlino, e il gesto acquista una particolare rilevanza sia storica sia politica rispetto a un simbolo di cui Timm porta allo scoperto lo stretto rapporto con il potere. Per I. Liebmann (n. 1943), una scrittrice tedesco-orientale che già nel 1988 si era trasferita all'Ovest, la figura dorata sulla colonna diventa un punto di riferimento, l'asse attorno al quale sembra ruotare, insieme al traffico che si muove in circolo sul Grosser Stern, tutta Berlino (In Berlin, 1994). Fin dai suoi esordi la Liebmann aveva del resto intuito come interrogare la città nella realtà dei suoi microcosmi e dei suoi spaccati minimalisti (Berliner Mietshaus, 1982; trad. it. 1992) consentisse l'apertura dello sguardo sulla Storia. È quasi con una sorta di ostinazione che la scrittrice va alla ricerca di segni e di testimonianze del passato con un procedimento che dalla consultazione di biblioteche e archivi passa all'attraversamento fisico della città, colta nelle sue strade, nelle case e nei negozi, fino ai dettagli delle insegne o delle scritte su un muro. L'occhio fotografico che guida la sua scrittura le fa ripercorrere un angolo della città da una prospettiva del tutto particolare (Stille Mitte von Berlin. Eine Recherche rund um den Hackeschen Markt, 2002), dove le fotografie un po' ingiallite, scattate dalla stessa Liebmann negli anni Ottanta e pensate come materiali su cui costruire un romanzo, si accompagnano a pagine di riflessione che intrecciano passato e presente. Per D. Grünbein (n. 1962), il poeta di Dresda il cui esordio alla vigilia del crollo del muro è accompagnato da uno straordinario successo, l'esperienza nella Berlino degli anni della svolta coincide con la scoperta di una "terra di nessuno", con un'"area di transito", con uno "spazio privo di confini ben definiti", e non solo evidentemente nel senso di una geografia politica. E sempre riaffiora la storia tedesca in cui alle tracce della barbarie nazionalsocialista si sovrappongono e si mescolano quelle della realtà tedesco-orientale e poi, ancora, i segni del degrado urbano contemporaneo. Negli appunti berlinesi di Grünbein, raccolti nel volume in prosa Das erste Jahr (2001; trad. it. 2004), il nuovo millennio, nonostante la costellazione tutta privata (l'esperienza della paternità) entro la quale si collocano le sue riflessioni, significa la scoperta di una topografia inedita in cui viene alla luce una città con i suoi cantieri e "il bosco spoglio delle sue gru", ma dove ai margini di quel Potsdamer Platz, destinato a diventare di nuovo un centro dalle architetture avveniristiche, il sottosuolo nasconde un luogo tragicamente simbolico, "i resti sigillati della cancelleria del Reich". Per le storie poliziesche opera di P. Biermann (n. 1950), Berlino, dopo essere stata l'espressione della scena pop degli anni Ottanta (Potsdamer Ableben, 1987; trad. it. Karin, Kim, Klaus e gli altri, 1998), diventa la cifra di una realtà enigmatica, colta da una scrittura puntuale e al tempo stesso attenta a restituirla in tutte le sue bande ottiche e sonore. Una realtà che appare tuttavia ancora e permanentemente attraversata dal conflitto intertedesco in cui si nasconde e fiorisce la criminalità nata con il processo di riunificazione (Herzrasen, 1993; Vier, Fünf, Sechs, 1997).
Gli scorci su Berlino che ci restituisce la più recente l. di l. t. non ruotano, insomma, tanto attorno alla città futura quanto piuttosto attorno al suo passato. Ritorna infatti di frequente l'immagine rovesciata della 'città di sopra', dove il sottosuolo, con ciò che esso nasconde o porta alla luce nel corso degli scavi, dei lavori di demolizione e ricostruzione, è visto e rappresentato come una metafora della nuova città. La letteratura - in modo parallelo a quanto è avvenuto sul terreno dell'architettura - sembra così aver percepito nel sottosuolo del paesaggio urbano berlinese un forte potenziale simbolico. I protagonisti del romanzo di Grass nelle loro minuziose, quasi ossessive esplorazioni di strade e quartieri, case e locali di Berlino vanno in fondo alla ricerca di "ciò che si deposita sotto la superficie". Se gli scavi di fondazione della nuova Berlino lasciano aperti enormi crateri rendendo trasparente la 'città di sotto', il camminamento sotterraneo che porta alla Colonna della vittoria, di cui scrivono Grass e Timm, viene a trovarsi su quella stessa linea della rete dei bunker, delle gallerie della metropolitana, ma anche dei tanti scantinati che ospitano locali e club alternativi. Le architetture e i sistemi di difesa del Terzo Reich si incrociano così con quelli della RDT e con i luoghi della subcultura dando vita a una bizzarra 'fantasia noir' in cui la città, come dice Grünbein, si trasforma in una metropoli che sembra costantemente in cerca di una via di fuga. Il romanzo Ich (1993) scritto da W. Hilbig (n. 1941) si confronta con le connessioni tra intellettuali e potere, in quella RDT che lo scrittore aveva lasciato nel 1985, dalla prospettiva di un informatore della Stasi, la polizia segreta della Germania Est. Che si vogliano considerare i pellegrinaggi del protagonista nel sottosuolo della città una metafora dell'attività di quel capillare e invasivo organismo di controllo o piuttosto di quella dello scrittore e della sua esistenza nel mondo contemporaneo e che, più in generale, si voglia interpretare il romanzo come un resoconto realistico o come una parodia, resta comunque un dato di fatto che anche qui la città viene esplorata nei suoi percorsi sotterranei, nel reticolato di spazi, meandri e cunicoli che disegnano una sorta di altra realtà. Calato nel sottosuolo di Berlino Est, il protagonista ascolta tutti i suoni della 'città di sopra' e vede protendersi verso il basso le fondamenta dei suoi edifici. L'antropomorfizzazione della città-metropoli, che nella tradizione letteraria tedesca ha un suo straordinario precedente in Berlin Alexanderplatz (1929; trad. it. 1931) di A. Döblin (1878-1957), sembra dunque la modalità quasi inevitabile attraverso la quale la letteratura degli anni Novanta legge il grandioso processo di radicale trasformazione dell'assetto urbano di Berlino, assimilata a un gigantesco corpo messo a nudo e vivisezionato su un tavolo operatorio (P. Schneider, n. 1940: Eduards Heimkehr, 1999), descritta con il lessico postmoderno dell'anatomia o, ancora una volta, come un Moloch (R. Jirgl, n. 1953: Hundsnächte, 1997; Abtrünnig. Roman aus der nervösen Zeit, 2005). Una antropomorfizzazione che è fissata anche dall'occhio 'esterno', per es., del nederlandese C. Nooteboom (n. 1933) nelle pagine di una sua 'lezione berlinese' (Rückkehr nach Berlin, 1998), dove una gigantesca città sembra sollevarsi dalla terra degli scavi di fondazione e pure prendere vita, così come nella forma del romanzo (Allerseelen, 1999), in cui le stratificazioni della Storia tornano a far riflettere. Lo sguardo che la letteratura rivolge alla topografia urbana non coglie soltanto i macrosegni della Storia, ma, come già si è visto in parte per la Liebmann, si sofferma a indagare anche i luoghi di una storia minore, che non passa soltanto attraverso le esplorazioni nel quartiere orientale del Prenzlauer Berg con il suo doppio volto di 'scena' della letteratura non ufficiale e insieme di laboratorio di una opposizione in realtà pilotata dalla polizia segreta (Hilbig), ma tocca anche le 'Kneipen' e i piccoli caffè, ultime minimali reliquie di un passato scomparso e nostalgicamente rivisitato (B. Burmeister, n. 1940: Unter dem Namen Norma, 1994).
Nella geografia della memoria tedesca accanto a Berlino altre due città, Lipsia e Dresda (non a caso ambedue dell'Est), occupano le pagine della letteratura sia pure da una prospettiva necessariamente diversa che, tuttavia, coinvolge allo stesso modo la questione dell'identità nazionale e locale. Il contesto lipsiense è il tema per eccellenza di E. Loest (n. 1926), i cui testi - sia quelli narrativi sia quelli autobiografici o saggistici - da sempre raccontano la storia della città sassone, sua patria di adozione (Völkerschlachtdenkmal, 1984; Zwiebelmuster, 1985). La ricerca di Loest, che mescola finzione e realtà, sembra culminare in edifici carichi di valore storico: così la Nikolaikirche dell'omonimo romanzo (1995), punto di aggregazione a Lipsia delle 'manifestazioni del lunedì' che hanno preparato la svolta del 1989, viene contrapposta simbolicamente alla Paulinerkirche, demolita dalla insensibilità architettonica e dalle pregiudiziali ideologiche dello Stato socialista, mentre il palazzo del tribunale, nel quale "è stata decisa la storia tedesca ed europea", consente di far tornare in primo piano i grandi processi del passato, attraverso due opposte strategie narrative, il minuzioso realismo della documentazione d'archivio e il gioco improbabile del contatto via Internet con i protagonisti di vicende lontane nel tempo (Reichsgericht, 2001). Il capoluogo della Sassonia è presente soprattutto nella lirica e con un deciso cambiamento di direzione rispetto agli anni precedenti alla caduta del muro. La 'Scuola sassone', che nella RDT aveva dato vita con S. e R. Kirsch, con K. Mickel (1935-2000) e H. Czechowski (n. 1935) a un'intensa produzione poetica nella quale era dominante il legame con i paesaggi della Heimat intesa come dimensione esistenziale, non può ora non registrare le mutazioni radicali che hanno investito uomini e spazi. La città sull'Elba appare collocata entro una linea di catastrofi storiche che dal bombardamento aereo britannico arrivano all'"inaridimento del Paese" negli anni della RDT e fino alle conseguenze della riunificazione. Dresda, con la sua piazza "che fu una delle più belle d'Europa", appare così "tre volte distrutta" (Czechowski), e la Prager Strasse, ridotta a un unico blocco di cemento, nasconde i morti sotto il suo lastricato (B. Köhler, n. 1959).
A subire l'urto della riunificazione è ovviamente anche la provincia tedesco-orientale, sottoposta a un meccanismo di omologazione per il quale le strade che collegano tra loro i piccoli centri, con i supermercati, le stazioni di servizio e le esposizioni di automobili, sono ormai indistinguibili da quelle che attraversano il Middle West americano (Czechowski, I. Schulze, n. 1962). Simple storys (1998) di Schulze è la prima e la più fortunata raccolta di istantanee sulla provincia tedesco-orientale - in questo caso la Turingia, colta nella stagione del mutamento politico-economico - che ritorna anche in Neue Leben (2005) nella variante moderna di un romanzo epistolare. Nuova è la cifra che caratterizza questo repertorio di vita quotidiana, e non tanto perché nuove sono le situazioni, i punti di riferimento, gli stessi oggetti d'uso della quotidianità, legati a una logica del mercato, del consumo e del marchio prima sconosciuta. Modificato è soprattutto il tono con cui la giovane generazione di autori come Schulze (che è nato a Dresda) si confronta con il crollo della RDT. Il furor melancholicus - come era stato definito il senso di frustrazione e di perdita delle illusioni, spesso non privo di risentimento, di molti scrittori della RDT appartenenti alla generazione vissuta ancora sotto il segno dell'utopia socialista - appare infatti superato. Un quadro disincantato, a cui sono del tutto estranei pathos e spettacolarità, è quello che ci restituiscono i testi di Schulze, e l'occhio con cui J. Franck (n. 1970) descrive i suoi personaggi appare freddamente sezionatore anche là dove va a cogliere la dimensione più immediatamente fisica delle relazioni interpersonali (Liebediener, 1999; Bauchlandung, 2000).
Il disincanto arriva fino all'umorismo e all'ironia con la generazione che non ha vissuto in prima persona le fatiche e le utopie della costituzione dello Stato socialista e può permettersi di guardare a quel mondo addirittura nella forma della farsa e del grottesco (Th. Brussig, n. 1965: Helden wie wir, 1995, trad. it. 1995; Am kürzeren Ende der Sonnenallee, 1999, trad. it. 2001), come del resto ha potuto fare il regista tedesco-occidentale W. Becker nel film Good bye Lenin! (2003), anche se la riunificazione, nonostante i modi parodistici, non appare per nulla realizzata nella sostanza e la svolta non si presenta come un evento in sé concluso (Brussig, Wie es leuchtet, 2004). Non è infrequente, d'altra parte, che l'avvenimento della riunificazione venga intenzionalmente ignorato o, in ogni caso, sia messo tra parentesi ogni pathos della storia e venga privilegiato, anziché il grande scenario urbano, lo sguardo minimalista sulla quotidianità, come accade nei 'romanzi berlinesi' di S. Regener (n. 1961: Herr Lehmann, 2001; trad. it. 2003) e N. Ohler (n. 1970: Mitte, 2001).
Un tema che sembra scavalcare i confini generazionali e di geografia politica è l'interrogazione sull'identità tedesca che torna di nuovo a essere presente, e con una rilevante incidenza, anche nella letteratura del nuovo millennio. A caratterizzarla è un doppio movimento che, per consentire di trovare i punti di riferimento nel presente, da un lato chiama in causa il passato collettivo con tutte le tragiche implicazioni legate a colpe e rimozioni, dall'altro va a scavare nella dimensione individuale e privata. Rispetto alle indagini che muovevano dal ritrovamento di vecchie lettere, come nel caso di M. Maron (n. 1941) - di formazione tedesco-orientale - e del suo Pawels Briefe. Eine Familiengeschichte (1999), o dagli affondi in una oscura memoria familiare, come per Die Züchtigung (1985; trad. it. Tua madre era come te?, 1994) dell'austriaca A. Mitgutsch (n. 1948), non appare cambiata nel corso degli anni la strategia narrativa che attinge - o finge di attingere - agli archivi ufficiali o privati. Continuano così a essere riscoperte (o in parte reinventate) le storie di fratelli diversamente perduti, proposte dai tedesco-occidentali H.-U. Treichel (n. 1952: Der Verlorene, 1998, trad. it. Il fratello perduto, 2000; Menschenflug, 2005) e Timm (Am Beispiel meines Bruders, 2003; trad. it. 2005), o le storie delle madri e dei padri, raccontate, per es., dallo svizzero U. Widmer (n. 1938: Der Geliebte der Mutter, 2000, trad. it. 2002; Das Buch des Vaters, 2004) e, sul versante austriaco, da E. Menasse (n. 1970: Vienna, 2005; trad. it. Tutto il resto è di primaria importanza, 2006) che riflette sull'identità e sulle origini ebraiche di una famiglia. E qui, se non si avverte l'urgenza di veri e propri bilanci, è comunque evidente l'intenzione e il gesto di ricomposizione di frammenti.
Il recupero della memoria e la rielaborazione del passato però non riguardano solo, in una prospettiva ravvicinata, il rapporto intertedesco e, sulla distanza più lunga, la tragedia della Germania nazista nel complicato intreccio di colpa collettiva e di colpa individuale o nelle ripercussioni fin dentro la contemporaneità, come, per es., nel fortunato romanzo di B. Schlink (n. 1944) Der Vorleser (1995; trad. it. A voce alta, 1996), o là dove si affronta la questione dei profughi nella loro diversa stratificazione storica: proposta da Grass nella novella Im Krebsgang (2002) con la vicenda dell'affondamento, avvenuto nel 1945, del transatlantico Wilhelm Gustloff a opera di un sottomarino sovietico, intrecciata alle vicende della storia della Repubblica Democratica Tedesca da Ch. Hein (n. 1944) in Landnahme (2004; trad. it. 2005) e ambientata dalla Franck con il suo Lagerfeuer (2003; trad. it. Il muro intorno, 2006) in un campo di accoglienza tedesco negli anni Settanta. Un altro snodo storico con il quale si confrontano - o meglio tornano ciclicamente a confrontarsi - gli scrittori tedeschi è il 1968. Timm, che con Heisser Sommer (1974) e Kerbels Flucht (1980) aveva descritto illusioni e disillusioni dei movimenti studenteschi, con Der Freund und der Fremde (2005) ritaglia un'angolazione particolare (l'uccisione di B. Ohnesorg a Berlino durante una dimostrazione contro lo shāh di Persia) per raccontare le esperienze politiche e quelle letterarie di una generazione con la lucida distanza dell'investigatore ma insieme con la partecipazione del compagno di strada; F.Ch. Delius (n. 1943), sullo sfondo di una vicenda autentica e di un intreccio inventato che prende le mosse dal 1968, torna indietro fino a giungere agli anni Cinquanta e al nazionalsocialismo portando allo scoperto crimini e colpe, desiderio di giustizia e vendetta (Mein Jahr als Mörder, 2004); mentre B. Morshäuser (n. 1953) con In seinen Armen das Kind (2002) offre un ritratto desolato e di estrema durezza del mondo postsessantottino.
Sul terreno della scrittura nuovi, interessanti accenti si riscontrano, al di là delle sue sperimentazioni ortografiche, nella densità del tessuto linguistico del già citato Jirgl o nelle scelte di K. Hensel (n. 1961), per la quale il confine tra realtà e fantasia (spesso grandguignolesca) è costantemente fluido (Falscher Hase, 2005). F. Zaimoglou, che è nato in Turchia nel 1964 e vive in Germania, scardina i meccanismi linguistici attraverso una mescolanza spesso provocatoria e violenta fatta di gergo delle scene metropolitane e di quella che ha definito Kanak Sprak (1995), la lingua degli immigrati turchi, con la quale intende sottolineare la differenza e insieme l'ibridazione delle culture (German Amok, 2002); l'ungherese T. Mora (n. 1971) descrive con un'attenzione quasi ossessiva alla lingua il mondo di chi è senza patria calandolo in atmosfere livide e cupe (Alle Tage, 2004); il siriano R. Schami (n. 1946) con Die dunkle Seite der Liebe (2004; trad. it. 2006) scrive uno straordinario epos moderno, nel quale elementi fiabeschi, una storia d'amore e faide familiari si proiettano sullo sfondo dei grandi, drammatici temi politici e religiosi del Medio Oriente. Sulle scene teatrali l'austriaca E. Jelinek (n. 1946), premio Nobel nel 2004, continua a riproporre con sarcasmo sferzante e nel suo consueto gesto di sfida temi legati all'attualità politica e ai meccanismi della società patriarcale (Der Tod und das Mädchen I-V, 2003), chiamando in causa figure della fiaba e protagoniste della letteratura con cui intreccia una fitta rete intertestuale. Il tedesco A. Ostermaier (n. 1967) sollecita una percezione del reale nella sua multidimensionalità (Death Valley Junction, 2000), stabilendo contatti con altri linguaggi come il film e la lirica. Una letteratura, quella di lingua tedesca, passata attraverso il difficile snodo della riunificazione che si interrogara ossessivamente sulla propria identità nazionale, ma con uno sguardo verso il mutato panorama europeo e il mondo.
bibliografia
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