letizia
La parola letitia è fra quelle raccomandate in VE II VII 5,, certamente per la sua essenza latineggiante.
Per il significato e l'uso di l., che ha un numero notevole di occorrenze, si può incominciare dal Buti, il quale chiosa a Pg VII 1: " Allegrezza hae prima movimento nell'anima, e chiamasi giubilo; e poi esce nel volto, e dilatasi nella faccia, e chiamasi letizia ". Essa sarà caratteristica delle anime del Paradiso, sì da identificarsi con il valore di " beatitudine ", " gioia paradisiaca ", " felicità celeste ".
Nella Vita Nuova, tuttavia, l. ancora equivaleva semplicemente a " gioia ", " piacere ", " soddisfazione ": quando [Beatrice] passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea (XXVI 1), e queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia (a proposito del cominciamento della canzone Donne ch'avete, XIX 3); e così l. vale " allegria ", " stato di chi è lieto ", in Vn III 7 la sua letizia si convertìa in amarissimo pianto, o ancora " aspetto lieto " (§ 3); sì che portar letizia (XXXI 17 74) equivale a " rallegrare ", " allietare ". In Pg XIII 120 (veggendo la caccia, / letizia presi a tutte altre dispari), la l. colpevole dell'invidiosa Sapia è dispari, cioè non paragonabile, per intensità, a nessun'altra letizia.
In alcuni casi il nome è strettamente correlato all'aggettivo ‛ lieto ': si veda per es. il passo di Cv I VIII 7 se 'l dono non è lieto nel dare e nel ricevere, non è in esso perfetta vertù... Questa letizia non può dare altro che utilitade (per il concetto cfr. Tomm. Comm. Ethic. II lect. III). In Pd II 144 la l. che luce, traluce, per pupilla viva, " attraverso la pupilla dell'uomo ", è paragonata alla virtù della natura lieta degli angeli, che " si esprime... negli astri come luce; e a una maggiore o minore intensità di letizia corrisponde nella stella... un maggiore o minor grado di luminosità " (Sapegno). Il rapporto ‛ lieto ' l. si chiarisce in Pd I 31 (parturir letizia in su la lieta / deifica deïtà dovria la fronda / peneia...), benché alcuni commentatori abbiano proposto di leggere il testo diversamente; ma l'espressione dantesca, nonostante le riserve del Cesari e del Tommaseo, è efficace proprio per questo concetto della l. che si accumula su l. (cfr. Andreoli e, per il costrutto, Pg XXVII 121). La l. di Apollo è " l'espressione più alta del gaudio che viene dall'arte " (Grabher; v. anche Petrocchi, ad l.). Alla letizia di Pd IX 67 (con valore concreto: si allude a Folchetto di Marsiglia) risponde il letiziar del v. 70.
Per tutto il Paradiso la l. è l'espressione della felicità delle anime, continuamente accompagnata dalla luce, e spesso tanto intensa da impedire che D. possa ammirare l'anima gaudente; perciò spesso essa, anziché rivelare, ‛ nasconde ' o ‛ fascia ' lo spirito beato. E la luce aumenta talvolta d'un tratto, lampeggiando e folgorando il poeta, per l'aumentare della gioia dell'anima, come quando, in Carlo Martello, " la luce della beatitudine celeste " è " accresciuta dalla nuova allegrezza " per l'incontro con D. (Chimenz, a Pd VIII 52). Vedi anche Pd V 136, XIV 19, XXI 56, XXVI 135.
Beatrice, gli angeli, tutte le anime sono ‛ pieni di l. ' (Pd V 107, VI 119, VIII 85, XXIII 23, XXV 16); la l. è la " frusta ", l'impulso, la forza che fa ‛ roteare ' le anime, per festeggiare D. (XVIII 42); è la caratteristica più evidente del Paradiso, soprattutto dell'Empireo (cfr. XXX 41 e 42): " l'Empireo... è pieno della luce della mente divina, donde la pienezza dell'amore dei beati verso Dio... e di qui ancora la pienezza della loro gioia " (Chimenz). Persino " Maria... nei Santi che la contemplano diveniva letizia manifestata negli occhi. L'espressione dantesca è potentissima nella sua concisione " (Porena, a Pd XXXI 134). Altrove Maria è detta l'alta letizia che spira del ventre / che fu albergo del nostro disiro (XXIII 104; si tratta di un astratto per il concreto, come in XXVIII 120 gli ordini di letizia sono le gerarchie degli angeli lieti; e cfr. IX 67, già citato).
Altrove, l. passa a significare " ciò che è cagione di letizia ": il Paradiso può essere chiamato etterna letizia (Pd XIX 23) non solo perché sede di Dio e perciò origine di ogni gioia, ma anche perché luogo ove è solo gioia. In Pd XXXI 62 l'uso del sostantivo appare, alla nota troppo analitica del Porena, poco appropriato: s. Bernardo diffuso era per gli occhi e per le gene / di benigna letizia.
Il costrutto ‛ far l. di sé ' equivale a " rallegrarsi ", in Pd XVI 20; l'intero passo è bene interpretato dal Chimenz: la mente " si rallegra di sé medesima, constatando d'esser capace di sostener che non si spezzi, cioè di resistere senza spezzarsi... a tanta allegrezza ". La l. è attribuita non solo a esseri intelligenti ma anche ad animali, come gli uccelli del Paradiso terrestre (Pg XXVIII 16). Una sola volta il sostantivo è usato al plurale (Pg XXIX 33), a indicare le " gioie " della vista e dell'udito, simili a quelle di cui D. ha già goduto nel Paradiso terrestre. In Pg XVI 72 letizia è contrapposta a lutto; l'una è il premio, l'altro il castigo divino che aspetta gli uomini dopo la loro morte. Si noti che nell'Inferno non si ha una sola occorrenza del termine.