LETE (Λήϑη, Lethe)
Figurazione mitica connessa con l'oltretomba degli antichi Greci. In Aristofane (Rane, 185) e in Platone (Repubbl., X, 621) si trovano per la prima volta nominati i "campi di L." e il "fiume di Lete", cioè della dimenticanza, dove debbono andare ad abbeverarsi le anime destinate a entrare in nuovi corpi. Su questa dottrina e sulla concezione di L. pare abbiano agito notevolmente influssi orientali ed egiziani; e numerosi paralleli di essa offre anche l'indagine folkloristica. Presso gli orfici, la dottrina di L. appare assai modificata poiché, fra i precetti che l'anima di ogni defunto dovrà osservare al suo ingresso nell'oltretomba, v'è quello di bere alla fonte di Mnemosine, tenendosi lontana da quella di L.; mentre in altri riti spettanti al culto di divinità ctoniche si prescriveva di bere alla fonte di Lete, per ottenere dimenticanza di tutti i pensieri di prima, e alla fonte di Mnemosine, per poter ricordare tutte le cose viste (nel santuario, simbolo dell'oltretomba). Tale è anche la funzione di Lete in Virgilio.
Come dea, L. non compare che nelle combinazioni dei mitografi: Esiodo (Teog. 227) la fa figlia di Eris; altri la dicono madre delle Cariti. Abbastanza antica è la leggenda (riferita da Apollodoro, Epit., I, 24) che narrava come Ade avesse avuto ragione di Teseo e di Piritoo, scesi a rapirgli Persefone, facendoli sedere sul trono di Lete, dove rimasero prigionieri.
Bibl.: A. Dieterich, Nekyia, Lipsia 1893, p. 90 segg.; E. Rohde, Psyche, trad. it., I, Bari 1914, p. 318; II, ivi 1916, pp. 715-723; H. W. Stoll, in Roscher, Lexikon der griech. und. röm. Mythologie, II, col. 1956 segg.; W. Kroll, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 2141 segg.