lessico e formazione delle parole
L’insieme sempre mutevole dei vocaboli di una lingua
Il lessico è il complesso di tutte le parole che le persone usano per comunicare tra loro. Ogni lingua ha il suo lessico. Il grande insieme della lingua italiana, similmente a quelli di altre lingue, comprende anche le parole di origine straniera che sono entrate nell’uso. Il lessico ha una grande vitalità interna e una notevole capacità di trasformazione: le parole che lo compongono possono infatti modificarsi e combinarsi tra loro, dando origine a parole sempre nuove
Il lessico della lingua italiana è dato dalle parole che tutti noi scriviamo e leggiamo, che diciamo e sentiamo. Ma quanto può essere grande questo insieme? Ebbene, il lessico è, almeno in teoria, infinito. Non perché il numero delle parole italiane esistenti sia infinito, ma perché nella lingua italiana, al pari che in altre lingue, è possibile inventare parole sempre nuove. Per adeguarsi ai bisogni comunicativi ed espressivi dei parlanti il lessico si rinnova e si arricchisce continuamente. La vita di una società si riflette quindi nelle parole usate dalle persone che ne fanno parte.
Osserviamo la parola bagnoschiuma. Possiamo certamente distinguere al suo interno altre due parole conosciute, bagno e schiuma. Ecco: combinare le parole tra loro è uno dei tre meccanismi principali con cui è possibile, in italiano, creare nuove parole. Con questo sistema, dall’unione di cassa e panca si ottiene cassapanca, da aspirare e polvere viene fuori aspirapolvere, da pasta e asciutto è nata pastasciutta.
Un altro modo per trasformare le parole in qualcosa di nuovo è aggiungere a esse ‘pezzetti’ che ne cambiano un po’ il significato. Questi piccoli elementi (come -étto, -ino, -óne, super-, iper-, maxi-, mini- e così via) possono essere sistemati all’inizio della parola (prefissi) o alla fine (suffissi): così dall’aggiunta di super- e iper- a mercato abbiamo rispettivamente supermercato e ipermercato, e scuola può diventare miniscuola, superscuola, scuolina, scuolona e qualche volta anche scuolaccia.
La terza possibilità è quella di usare una parola che conosciamo per indicare una cosa nuova. Chi naviga in Internet sa benissimo che il virus non è più solo un microrganismo che causa una malattia negli uomini o negli animali, ma anche un programma che trasmette una ‘malattia’ al computer provocandone il malfunzionamento; il telefonino non è un telefono piccolo, ma significa ormai telefono cellulare. Virus e telefonino sono dunque due parole nuove, non nella loro forma, ma nel loro significato.
«Ti va uno yogurt?». Sicuramente abbiamo capito tutti che cosa ci è stato offerto: se la parola yogurt è capita e usata con tanta facilità da chi parla italiano, allora possiamo dire con certezza che è parte del lessico italiano. Eppure, dal modo in cui è scritta, appare chiaro che la sua origine non è italiana: infatti, quante parole italiane conosciamo con la y? In effetti, yogurt viene dalla lingua turca, ma è ormai diventata anche una parola italiana. Gli studiosi chiamano prestiti le parole di origine straniera che entrano nel lessico italiano. Il prestito linguistico, però, è diverso dal prestito di denaro: la lingua che presta una parola non ne rimane priva; la lingua che riceve in prestito una parola non ha alcun obbligo di restituirla!
Qualche volta le parole prese in prestito vengono un po’ modificate nella loro forma, in modo da essere più simili alle parole italiane (prestiti adattati): ciò è successo per esempio a sigaro, che deriva dallo spagnolo cigarro, o a benzina, che viene dal tedesco Benzin. Altre volte, invece, esse entrano nell’italiano esattamente come sono nella lingua straniera (prestiti non adattati): è il caso di skateboard, rimasta esattamente uguale all’inglese, o di roulotte, identica all’originale francese.
Come abbiamo visto, molte parole italiane provengono da altre lingue: dal francese, dall’inglese e, in misura minore, dallo spagnolo, dalle lingue degli antichi popoli germanici (Goti, Longobardi, Franchi), dall’arabo. Anche altre lingue hanno dato e continuano a dare tuttora il loro contributo: per esempio, dal norvegese proviene sci, dal finlandese sauna, dal cinese tè, dal giapponese karaoke.
Tuttavia, la maggior parte delle parole italiane deriva dal latino. Alcune sono arrivate a noi attraverso l’uso costante di generazione in generazione; come un vestito che viene passato di padre in figlio si consuma, così queste parole si sono via via modificate nella loro forma: per esempio, dal latino petroselinum abbiamo ottenuto l’italiano prezzemolo. Altre parole, che erano uscite dall’uso, sono state invece riprese direttamente dai testi scritti in latino, come vestiti tirati fuori da un vecchio armadio dove sono stati conservati per secoli senza essere indossati. In questo caso la loro forma non si è ‘consumata’ e rimane molto simile a quella originale latina, come nel caso di condominio, ripreso dal latino condominium.
Un buon numero di parole italiane deriva infine dai dialetti, di cui l’Italia, per ragioni storiche, è ricchissima. Tutti conosciamo la parola ringhiera, ma forse non sappiamo che viene dal dialetto lombardo. Allo stesso modo, fanno parte del lessico italiano burino, originario del romanesco, mozzarella, che viene dal napoletano, e pelandrone, dal dialetto piemontese. Ciao, forse la parola italiana più nota nel mondo, deriva dal dialetto veneziano; era infatti il saluto che si scambiavano i veneziani in segno di rispetto: sciao, cioè «schiavo», nel senso di «servo vostro». Anche la parola pizza, conosciutissima all’estero, ha origini dialettali: proviene infatti dal napoletano.
Nel corso della storia c’è sempre stato un paese o un popolo che ha avuto sull’Italia una maggiore influenza rispetto ad altri: a causa dei frequenti contatti di tipo commerciale, per questioni politiche, per un grande prestigio in campo culturale o magari per tutti questi motivi messi insieme. Da quel popolo e dalla sua lingua venivano perciò prese in prestito moltissime parole. Tuttavia, soltanto una parte di esse è rimasta nel lessico italiano.
Oggi si sente spesso dire che l’italiano è in pericolo e che l’inglese lo sta lentamente sostituendo. Ma invece di spaventarci per l’invasione dell’inglese, riflettiamo piuttosto sui luoghi in cui più frequentemente lo sentiamo usare (e, purtroppo, non sempre in maniera corretta).
Grazie all’uso del computer è stato possibile analizzare statisticamente grandi quantità di testi scritti e di discorsi parlati; questi studi hanno dimostrato che le parole inglesi usate nei discorsi di tutti i giorni non sono poi molte, intorno all’1% del lessico quotidiano. Tuttavia nei giornali e in televisione ne sentiamo e ne leggiamo tantissime: sembra quasi che in questi ‘luoghi’ le parole inglesi siano considerate più brillanti, eleganti e dotate di fascino. Eppure molto spesso esiste una parola italiana che ha lo stesso significato e la stessa dose di eleganza.
Dunque, cosa si può fare? Basta solo un po’ di buona volontà. Quando leggiamo o sentiamo una parola inglese, pensiamoci su prima di riutilizzarla: solo perché l’abbiamo sentita pronunciare in televisione, non è detto che sia la parola migliore! Se poi quella parola risulta la più adatta al nostro discorso, allora usiamola pure: l’importante è scegliere con intelligenza e non lasciare che sia la televisione a decidere per noi. Così, nonostante i prestiti da altre lingue, che sono comunque un segno di vitalità del lessico, l’italiano continuerà a godere di buona salute.
Abbiamo visto che le possibilità di inventare parole sempre nuove sono praticamente infinite; in realtà, le parole che usiamo per la maggior parte del tempo sono un numero abbastanza limitato. Infatti, le parole non hanno tutte la stessa importanza e la stessa frequenza.
Alcuni studiosi hanno individuato una lista di circa 7.000 parole di uso comune (il cosiddetto vocabolario di base), con le quali facciamo quasi tutti i discorsi che ci servono nella vita quotidiana. Dunque, sono parole che praticamente ogni italiano conosce. I testi che sono scritti usando le parole del vocabolario di base sono capiti dalla maggioranza delle persone, anche da quelle che hanno frequentato la scuola per poco tempo.
Sarebbe perciò importante che i testi ufficiali destinati ai cittadini, per esempio quelli redatti dalle pubbliche amministrazioni, fossero scritti usando il più possibile le parole del vocabolario di base; sull’autobus la scritta «timbrare il biglietto» sarebbe sicuramente più comprensibile di «obliterare il titolo di viaggio» e vorrebbe dire la stessa cosa! Anche i giornali dovrebbero impegnarsi di più nell’usare le parole del vocabolario di base, in modo da garantire la possibilità di capire le informazioni al maggior numero di persone. Si tratta di un cammino ancora all’inizio; ma proprio per facilitare questo obiettivo, sono ormai moltissimi i dizionari che segnalano al loro interno le parole di base dell’italiano: chi si occupa di scrivere per il pubblico trova così un aiuto nella scelta delle parole e può sicuramente ottenere una maggiore chiarezza e una più ampia comprensione da parte di chi legge.
4°- 9° secolo. Durante le dominazioni barbariche l’italiano ha accolto molte parole provenienti dalle lingue delle popolazioni germaniche. Sono parole legate soprattutto alla quotidianità (albergo, bianco, bosco, scherzare), ma anche al combattimento (guardia, guerra).
9°-15° secolo. A partire dalla dominazione araba in Sicilia e per tutto il Medioevo, l’arabo porta molte parole all’italiano. Sono termini del commercio (dogana, magazzino, quintale), termini delle scienze (alchimia, algebra, zero), parole riferite a cibi (albicocca, carciofo, melanzana, zucchero).
15°-17° secolo. Nel Cinquecento e nel Seicento la Spagna è una grande potenza politica e militare, il cui dominio raggiunge anche le Americhe. È perciò forte in questi due secoli l’influenza dello spagnolo sul lessico italiano. Molte parole si riferiscono alla vita sociale (baciamano, compleanno, complimento), ma anche alle novità provenienti dal Nuovo Mondo (cacao, mais, patata).
17°-19° secolo. Dalla metà del Seicento e per tre secoli è il francese che influisce in maniera notevole sul lessico italiano, in ogni campo: dalla cultura alla vita quotidiana, dall’ambito militare al settore dell’amministrazione. Il suo influsso era stato importante anche nel Medioevo, ma in questo periodo si fa sentire in misura ancora maggiore. Il francese è la lingua straniera che ha dato il maggior numero di parole all’italiano. Sono parole spesso riconoscibili perché simili nella forma ai vocaboli italiani: ambulanza, carabiniere, cotoletta, cravatta, marciapiede, marionetta, parrucca, sabotaggio.
19°-20° secolo. A partire dalla fine dell’Ottocento cominciano a entrare, in misura prima modesta e poi sempre più consistente, le parole inglesi; tra le prime, ricordiamo goal, meeting e sport. L’influsso dell’inglese, o meglio dell’angloamericano cresce moltissimo nella seconda metà del Novecento, quando gli Stati Uniti assumono il ruolo di paese guida dell’Occidente: oggi l’inglese è la lingua più conosciuta e prestigiosa. Le parole inglesi, essendo state importate più recentemente, sono entrate spesso nella forma originaria e risultano quindi più immediatamente individuabili: boom, gap, scoop, sit-in, sponsor, spot.