LESCHE (λέσχη)
Con questo nome i Greci designavano un edificio pubblico, di ricovero e di ritrovo, di cui l'accesso era aperto a tutti: i mendicanti vi trovavano asilo per la notte, gli oziosi vi si recavano il giorno per scambiare qualche parola; talora anche delle persone stanche vi andavano a trovar riposo, e perfino dei maestri di filosofia vi tenevano lezione. Dall'uso dell'edificio la parola passò al significato traslato di conversazione, o chiacchiera. Perciò un'etimologia comune collegava la parola col verbo λέγω, "parlo"; assai più verisimile è però l'altra etimologia, pure frequente negli scrittori antichi, dalla radice λέχος, "letto": essa è anche confermata dal significato primitivo del termine (λέσχα "lastra tombale", o "letto funerario"). È quindi verosimile l'ipotesi che lesche abbia designato originariamente la banchina collocata sulla tomba, e solo posteriormente sia passata a indicare le sale costruite presso le tombe, dove si riunivano i familiari del morto per le celebrazioni rituali, e poi per le deliberazioni in genere interessanti la famiglia: tradizioni gentilizie che sarebbero confermate anche da qualche documentazione, come la testimonianza di Proclo dell'esistenza di 360 lesche ad Atene, corrispondenti ad altrettanti γένη, la protezione accordata alle lesche dal dio πατρῷος per eccellenza, Apollo, con l'epiteto di λεσχηνόριος, e infine la deposizione nelle lesche di atti interessanti il demo, come p. es. una copia del contratto di affitto del demo di Exone (Inscr. Gr., II, 1055). Anche forse i pasti in comune del demo nei giorni di festa avevano luogo in tali locali, com'è ricordato precisamente per i Beoti.
Le lesche, menzionate come luogo di ritrovo di oziosi già in Omero e in Esiodo, ci sono testimoniate specificamente soltanto per poche città: oltre a quelle già citate, sappiamo di una lesche dipinta di Sparta, di quella di Calcide, e della famosa lesche di Delfi affrescata da Polignoto; per Atene un'iscrizione rinvenuta sulle pendici della Pnice ricorda un ὅρος λέσχης, e un'altra al Pireo un λεσχέον δημοσίον ὅρος, che, poco sicuramente, è stato posto in rapporto con le 360 lesche ricordate da Proclo.
Per quanto riguarda il carattere architettonico di tal genere di edifici non abbiamo nessuna indicazione dettagliata dagli antichi; solo si può dire che essi non vanno confusi per la forma con gli altri luoghi di riunione, come le esedre o i portici, e che per lo più dovevano essere simili all'esemplare più famoso tramandatoci dall'antichità, quello dei Cnidî a Delfi, i cui ruderi, messi in luce sotto al muro di sostegno del recinto del santuario, hanno palesato la pianta d'una semplice sala rettangolare, larga 19 m. e profonda 9, con un ingresso nel centro della facciata lunga meridionale; la sala era coperta e il tetto era sostenuto originariamente da otto pilastri lignei, di cui si sono conservati i basamenti dei quattro sul lato orientale. Nessuna traccia purtroppo si è rinvenuta delle celebri pitture di Polignoto, rappresentanti in due grandi composizioni l'episodio degl'Inferi dell'Odissea, e il sacco di Troia dell'Iliade.
Bibl.: Dümmler, Delphikà, Basilea 1894, p. 23 segg. (Kl. Schr., II, p. 147 segg.); E. Bourguet, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités, III, p. 1103 segg.; S. Dragoumis, in Ath. Mitt., XVII (1892), p. 147 segg.; K. Lange, Haus u. Halle, Lipsia 1885, p. 122 segg.; Oehler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, ii, col. 2133 seg.