Vedi LEPTIS MAGNA dell'anno: 1961 - 1995
LEPTIS MAGNA (Λέπτις, Λ. μεγάλη; Lepcis, Leptis magna)
Città della Tripolitania, principale porto della regione fra le due Sirti, detta in antico degli Emporia. Fu tra le più antiche colonie fenicie dell'Africa, fondata già verosimilmente all'inizio del primo millennio a. C., allo scopo soprattutto di trar profitto dal commercio dell'interno del continente, della Phasania o paese dei Garamanti (v.), che aveva su questa costa il suo più vicino sbocco al mare. Il nome Lbqy o Lpqy è certamente punico: i Latini lo trascrissero Lepcis e tale forma si conservò nei testi epigrafici locali fino a tarda età, mentre nelle fonti letterarie, soprattutto greche, si tramutò assai presto in Leptis. Indipendentemente dal proposito di distinguerla dalla città africana di egual nome sulla costa della Bizacena, la città tripolitana fu designata con l'epiteto di Magna, che entra nell'uso tra la fine del I e il principio del II sec. d. C.
In effetti, la favorevole posizione, la prosperità della regione adiacente, sia della costa che dell'immediato retroterra, promossero un rapido sviluppo dell'emporio fenicio. Tributaria di Cartagine almeno dal IV sec. a. C., la città passò nel dominio del re di Numidia, Massinissa, tra la seconda e la terza guerra punica; i Romani vi posero una guarnigione durante la guerra di Giugurta, e da allora divenne socia et amica del popolo romano; con la Numidia entrò a far parte della provincia dell'Africa dopo la battaglia di Tapso (46 a. C.), serbando tuttavia una sua propria autonomia di governo. Forse municipio circa la metà del I sec. d. C. (sotto Claudio o sotto Nerone), ebbe il diritto di colonia da Traiano nel 110. Ma fu soprattutto grazie al favore di Settimio Severo, nato nella città nel 146 d. C., che Leptis raggiunse grandiosità e splendore edilizio. La seconda metà del III sec. vide già il suo declino, accentuatosi nel IV, dopo le incursioni delle tribù indigene del retroterra, gli Austuriani. Ai danni degli uomini si aggiunsero presto quelli della natura, e cioè le alluvioni del torrente che traversa la città, e più tardi l'invasione delle sabbie marine. Una certa rifioritura la città ebbe con la riconquista bizantina dell'Africa, pur essendo ormai la sua area limitata alla parte più vicina al mare. Sopravvisse ancora, sebbene ridotta a modesto villaggio, alla prima invasione araba; la seconda invasione, quella hilaliana del sec. XI, la spense definitivamente: i suoi monumenti giacquero da allora sotto una pesante coltre di sabbia, che in alcuni punti raggiungeva i 10-12 metri di altezza. Tale protezione la salvò, soprattutto nei suoi quartieri più importanti, dalla rovina; solo dal sec. XVII si cominciarono a trarre di sotto la sabbia colonne ed elementi architettonici, spediti in Europa: in pochi anni il console francese a Tripoli Lemaire poté inviare al suo sovrano varie centinaia di colonne. Qualche modesta ricerca vi fu effettuata dai Turchi; l'esplorazione metodica si iniziò dagli archeologi italiani nel 1921, e da allora essa è stata perseguita costantemente pur nell'alternarsi di periodi di maggiore o minore intensità; ed essa continua ancora oggi. Si sono succeduti in tale esplorazione P. Romanelli, R. Bartoccini, G. Guidi, G. Caputo, E. Vergara Caffarelli. Particolare interesse assumerebbe ancora lo scavo di importanti settori della città per chiarirne la struttura urbanistica (come la congiunzione della Via Colonnata - v. fig. 674 - con la zona del porto) e la ricomposizione di alcuni insigni monumenti (quali l'arco di Settimio Severo e parti del Foro Nuovo) dei quali esistono le strutture quasi al completo.
1. Topografia generale. - I mercanti fenici, secondo il loro costume, dovettero porre il loro primo stanziamento a riparo degli scogli che proteggono da settentrione la foce del torrente (uadi Lebda): questa e il chiuso specchio di mare antistante, potevano servire adeguatamente alla sosta delle navi. Di qui il centro abitato, per la sollecita fusione tra elementi immigrati e indigeni libici, di cui parla Sallustio, si estese ben presto entro terra, sempre verosimilmente sulla sinistra del torrente. Nessuna traccia sicura noi abbiamo tuttavia fino ad ora della città fenicia e punica, all'infuori di alcune tombe con ceramica a vernice nera del IV-III sec. a. C. rinvenute nella zona del teatro, al di sotto dei monumenti di età romana.
I primi monumenti sicuramente datati sono quelli di età augustea: il teatro, il mercato, il calcidico; seguono, in età tiberiana, due fornici al di sopra del cardo massimo e di un altro cardo ad esso parallelo verso occidente, il tempio di Roma e di Augusto nel Foro Vecchio, due epigrafi alla estremità meridionale del cardo massimo. Possiamo dunque dire che a questo momento, e cioè al principio dell'Impero, l'impianto urbanistico della città era già tracciato nelle sue linee principali, anche in quella singolare articolazione su due assi leggermente divergenti che esso presenta e sui quali, facendo astrazione da più o meno gravi deviazioni particolari, si dispone tutta la parte principale della città, quella sulla sinistra del torrente.
Il quartiere più prossimo al mare e al porto ha il suo asse nel cardo massimo diretto da N-E a S-O: particolari diversioni da tale asse non mancano, ma non alterano l'impianto fondamentale: esse derivarono verosimilmente o da stati di fatto anteriori (il quartiere del Foro Vecchio subito vicino al primitivo ancoraggio, e compreso tra la riva del mare e la sponda del torrente, si formò evidentemente, come si disse, fin dal primo espandersi dell'emporio fenicio), o dalle costruzioni posteriori, e precisamente dalle grandi costruzioni severiane (v. oltre).
Il quartiere che si salda al primo verso S-O presenta una leggera deviazione del cardo, il quale sposta il suo asse verso N-N-E; il suo tracciato offre una maggiore regolarità di impianto, almeno nella parte fino ad oggi scavata, tranne che nella zona più prossima al torrente, dove l'edificio delle terme si inserisce con orientamento tutto affatto diverso. Poiché all'estremità meridionale del cardo, dove sorse l'arco quadrifronte dei Severi, sono state rinvenute due iscrizioni del tempo di Tiberio, è da pensare che la strada avesse già allora tale direzione; si può pertanto supporre che la leggera diversità di orientamento di questa continuazione del cardo, e quindi di tutto il quartiere che si articola su di esso, fosse determinata dalla necessità di raccordare in tal modo il quartiere più prossimo al mare ed al porto con la grande via costiera dell'Africa settentrionale, quella da Cartagine ad Alessandria che nella L. romana rappresentò uno dei decumani, probabilmente proprio il decumanus massimo, dato che su di esso si allineano ben tre archi (fino ad ora conosciuti), proprio come altri tre (contando due volte l'arco quadrifronte dei Severi che si innalza al loro incrocio) si innalzano sul cardo massimo.
La città fu verosimilmente cinta di mura già in età punica; lo era certamente al principio dell'Impero, perché ce ne fanno testimonianza le fonti letterarie. La cortina che oggi si segue per lungo tratto sul lato di occidente dal mare alla cosiddetta Porta di Oea ed oltre, e di cui altri tratti si riconoscono sulla destra del torrente, per essere costruita in gran parte con materiale di spoglio, è certamente di età tarda, del III o IV sec. d. C. Di età bizantina sono le mura che recingono da O e da S il Foro Vecchio (una porta fiancheggiata da due torri quadrangolari vi si apre in corrispondenza del cardo massimo), appoggiandosi quindi al Foro severiano, e continuando sulla destra del torrente alle spalle del bacino del porto; resti di un circuito un poco più largo, sempre di età bizantina, farebbero credere a una modifica di piano nell'apprestamento di queste difese avvenuta durante o poco dopo l'inizio della costruzione. Dove corressero le mura dell'alto Impero non sappiamo. È stato supposto che, più che da mura in costruzione, le difese della città fossero allora costituite da un aggere di terra con fossato, che, dall'uadi el-Rsaf ad occidente lungo i cosiddetti Monticelli di Lebda a S dell'abitato, andasse a terminare ad oriente sulla destra del fiume all'altura di Sidi Barku presso il circo, per una lunghezza di circa cinque chilometri e mezzo: una difesa che potrebbe dirsi di emergenza, apprestata al momento della incursione dei Garamanti nel 69 d. C.: ma tale ipotesi va accolta con molta cautela. Si può comunque affermare che, almeno fino ad età molto tarda, la città non ebbe alcuna cerchia di mura dalla parte del mare. Tenendo conto che l'area racchiusa dalla cerchia del III-IV sec. ha un'estensione di circa 130 ettari, ma che essa lascia fuori una parte non indifferente della città dell'alto Impero, si può affermare che questa coprisse una superficie di circa 200 ettari.
2. Il porto. - Ragione e principale strumento di vita della città era il porto. Il primitivo ancoraggio delle navi fenicie alla foce del torrente protetto dal mare aperto a settentrione e a levante da file di scogli, divenne in età romana, attraverso successive opere di scavo e di sistemazione, un vasto bacino interno, un cothon, di forma poligonale irregolare della superficie di circa 102.000 m2, circondato tutto all'intorno da banchine con ormeggi, portici, magazzini, templi. Sulla riva sinistra un lungo e potente molo venne ad essere costituito congiungendo con la terraferma e tra loro gli scogli di settentrione, all'estremità fu innalzato il faro (v. faro); un secondo molo fu ottenuto con opera analoga sulla riva opposta a proteggere, insieme con un antemurale di cui si sono intraviste tracce nel mare, l'interno del bacino da levante e l'ingresso di esso rivolto verso N-E.
Della successione di tali opere noi possiamo stabilire, in base alle iscrizioni, almeno due fasi: sotto Nerone e sotto Settimio Severo. Al primo tempo risale un portico a colonne doriche a fusto liscio, sulla riva sinistra tra il Foro Vecchio e un avvallamento del terreno, lungo il quale corre una gettata e che pertanto doveva essere il limite del porto da questa parte prima delle opere severiane: tra le quali dobbiamo porre la costruzione e la sistemazione del molo settentrionale con il faro e quella del molo orientale, con il tempio e la torre che sorgono alla sua estremità, nonché i larghi tratti di banchine con i magazzini e i portici retrostanti che si vedono tutto all'intorno del bacino, e soprattutto sul lato orientale.
Il faro, una figurazione del quale vediamo in uno dei rilievi dell'Arco dei Severi, era una torre a base quadrangolare a tre piani rientranti, sull'ultimo dei quali doveva alzarsi la lanterna: finestre abbinate ad arco si aprivano nei due piani superiori; resta di esso l'angolo sud-occidentale della parte inferiore, con le scale che all'interno salivano alla sommità o discendevano ai grandi ambienti a volte aperti alla base verso il mare aperto. Il molo orientale, il meglio conservato, ci offre una visione completa della banchina inferiore, a livello dell'acqua, delle scale che salivano alla banchina superiore, delle grandi pietre di ormeggio che sporgevano da questa, infine dei portici con retrostanti magazzini che si allineavano dietro la banchina. All'estremità del molo sorgeva una torre quadrangolare e, poco dietro ad essa, un piccolo tempio dorico, con due colonne fra le ante, rivolto verso N; i timpani della fronte e del tergo erano ornati ambedue di una corona con nastri; è ignota la divinità alla quale era dedicato: sul basamento in fondo alla cella si notano le impronte di tre statue. Sul lato S del bacino sorgeva un tempio dedicato a Giove Dolicheno, di cui è visibile solo la larga scala che saliva ad esso dalla banchina.
Ancoraggi minori, piccoli moli di approdo, dovevano esservi anche fuori del porto, specie lungo la riva a settentrione e ad occidente di questo.
La vita del porto alla foce del torrente non sarebbe stata possibile se il regime del torrente stesso non fosse stato regolato mediante la costruzione, a monte della città, di una diga di sbarramento che ne deviasse, in tutto o in parte (non possiamo stabilirlo con sicurezza), le acque portandole a fluire, mediante un canale artificiale, nel torrente che corre a O di L., l'uadi el-Rsaf. La diga è costituita da un potente muraglione in opera concretizia, alto sul letto del torrente m 6,70, largo circa m 7 e lungo m 133; grossi speroni quadrangolari lo rafforzano sul lato a valle; su di esso correva una strada per passare da una riva all'altra del fiume. Il corso del canale artificiale è pure esso ancora chiaramente riconoscibile lungo i cosiddetti Monticelli di Lebda, una fila di colline artificiali, risultate evidentemente dall'accumulo delle terre scavate per il canale, e indicato altresì dai resti di un piccolo ponte che lo valicava.
3. Zona del Foro Vecchio. - La zona compresa fra il porto e il mare aperto e chiusa verso N-O e S-O dal muro bizantino, è la zona detta del Foro Vecchio: è la zona rimasta nei secoli pressoché indenne dall'invasione delle dune, e ricoperta solo di uno strato non molto spesso di terre alluvionali e di sabbia. Elemento precipuo di essa è la piazza del Foro, con alcuni degli edifici che la circondavano.
Che anche in età punica fosse qui il centro della vita pubblica e amministrativa della città è molto probabile, data la vicinanza del porto e del mare; ne abbiamo analogie in altre città dell'Africa a cominciare da Cartagine. Resti di costruzioni precedenti il periodo imperiale sono stati riconosciuti sotto la curia. La piazza ebbe una sua prima sistemazione monumentale sotto Augusto, poiché è degli anni tra il 5 a. C. e il 2 d. C. l'iscrizione del lastricato avanti al minore dei tre templi del lato N-O, col nome del proconsole Gn. Calpurnio Pisone.
Pure al tempo di Augusto sembra doversi datare il più meridionale dei tre templi ora ricordati dedicato a Liber Pater, una delle divinità protettrici della città: larghi rifacimenti in marmo esso dovette peraltro avere nel II secolo. Ne rimangono l'alto podio, circondato tutto all'intorno da stanze usate come tabernae, e parte della scala che saliva alla cella: la quale aveva sulla fronte due o tre ordini di colonne e uno sui fianchi; la parte posteriore dell'edificio fu tagliata dalle mura bizantine.
Non molto dopo, e cioè sotto Tiberio, tra il 14 e il 19 d. C., fu costruito a lato del precedente, anzi congiunto con esso mediante un'unica piattaforma, il tempio di Roma e di Augusto, il maggiore dei tre, .e quindi in posizione dominante sul lato N-O della piazza. La parte anteriore del podio, di poco più bassa del piano della cella, servì come tribuna per gli oratori: ad essa si accedeva infatti soltanto da due scale ai lati, secondo uno schema già usato a Roma nel tempio del Divo Giulio al Foro Romano, e risalente nella sua origine ad ambiente etrusco-italico; favisse erano nell'interno del podio. Di tipo italico era egualmente il complesso del tempio, con pronao ed ali a colonne, e il muro di fondo chiuso, segnato alle due estremità da due semicolonne: il materiale usato nella prima costruzione fu la pietra, e l'ordine adottato lo ionico; ma nel II sec. gran parte delle strutture e della decorazione fu rifatta in marmo. Il tempio ospitò fin dal momento della sua costruzione le immagini di Roma, di Augusto, di Tiberio, di Livia e di altri membri della famiglia imperiale, secondo quanto ci dice l'iscrizione neopunica che era incisa sull'architrave della porta; molte di queste immagini sono state rinvenute nello scavo, ed offrono una documentazione quanto mai interessante della cultura artistica della città in questo periodo. Altre immagini e dediche imperiali furono innalzate più tardi fino al tempo di Claudio, cui vanno riferite quattro stele con iscrizioni bilingui poste avanti la fronte del tempio, e ricordanti tra l'altro la costruzione di un portico intorno alla piazza. È interessante osservare come sia questi che altri degli edifici pubblici della città fossero innalzati grazie al mecenatismo di ricchi cittadini di origine indigena, debitori evidentemente della loro ricchezza al commercio e alla cultura dei campi del retroterra. Il terzo tempio, di fianco a quello di Roma e di Augusto, di non grandi dimensioni (in parte restaurato recentemente), risale probabilmente anch'esso al periodo augusteo, ma si ignora la divinità a cui era dedicato. Ultimo edificio da ricordare su questo lato del Foro, all'angolo con il lato di S-O, è un portico con tre esedre rettangolari. Il lato attiguo di S-O fu radicalmente trasformato in età cristiana e bizantina: degli edifici preesistenti, di periodo classico, abbiamo memoria attraverso iscrizioni rinvenute nelle adiacenze, in gran parte messe in opera nelle mura bizantine: un piccolo tempio della Magna Mater e un monumento onorario, verosimilmente un arco, dedicato a Vespasiano. Un tempio di età traianea, che si innalzava pure da questo lato, fu rimpiazzato ancor prima della riconquista bizantina da una chiesa. Questa ha pianta basilicale a tre navate, preceduta da nartece e conclusa sul lato di N-E da un'abside sporgente chiusa esternamente da un muro rettilineo; la divisione fra la navata centrale e le laterali è costituita da otto coppie di colonne, disposte in modo da lasciare fra le quattro coppie centrali uno spazio maggiore che fra le altre: la copertura doveva essere perciò verosimilmente a vòlta, a campate elevantisi a diverse altezze ed incrociantisi al centro dell'edificio. L'altare, sotto un ciborio sorretto da colonne, si innalzava sopra una piattaforma, chiusa tutta all'ingiro da una cancellata e situata avanti all'abside, all'estremità della nave centrale. Fuori della chiesa a N si stende un'area sepolcrale con tombe terragne e lastre iscritte; più in là, verso il centro della piazza, fu adattato, nel lastricato stesso di questa, la vasca cruciforme del battistero, delimitato all'intorno da un recinto messo insieme con materiale di spoglio. Non lontano dal battistero verso 5 è il resto di un monumento onorario dei Severi, in forma di piccola esedra con sedile: il muro, basso, dell'esedra doveva sorreggere le statue dell'imperatore, di Giulia Domna e dei figli.
Il lato S-E della piazza è occupato dalla basilica. Sorta già nel I sec. d. C., fu completamente rifatta dopo un incendio da Costantino; era del tipo a pianta rettangolare con aula centrale circondata su tutti i quattro lati da un colonnato, senza abside: in luogo di questa tre esedre rettangolari si aprivano sul lato corto di S-O, essendo le due laterali accessibili attraverso vestiboli dall'esterno; gli altri accessi erano due sul lato corto di contro, due sui lati lunghi.
Obliqua rispetto alla fronte della basilica, e divisa da essa da uno spazio brevissimo ed irregolare, evidentemente risultato così dopo le successive alterazioni subite dai due edifici, si innalza la curia. Ha l'aspetto e la forma di un tempio prostilo tetrastilo circondato da portici su tre lati e preceduto da una gradinata; la sua destinazione è comunque accertata dalla presenza entro la cella dei gradini bassi e larghi sui quali stavano i seggi dei decurioni.
4. Zona del mercato e del teatro. - Le mura bizantine, che chiudono su due lati la zona del Foro Vecchio, dividono questo dai quartieri che si distendevano al di là di esso lungo la spiaggia e verso S-O.
Del primo di questi quartieri, che si affaccia al mare da una specie di bassa terrazza o banchina solo di poco sopraelevata sul livello della spiaggia, lo scavo metodico è stato iniziato solo in questi ultimi anni: degli edifici rimessi in luce abbiamo ancora notizie sommarie (Fasti Arch., xii, p. 351 ss.). Uno, con fronte monumentale sul mare, è costituito da un grande cortile con portico a colonne su tre lati, e ambiente a nicchie, di evidente carattere religioso, sul lato di fondo: vi sono state rinvenute varie sculture. Entro terra rispetto a questo, e ad esso adiacente, è un secondo edificio, molto più ampio e complesso, i cui elementi più notevoli sono un salone a tre navate con abside laterale e un ambiente, esagonale all'esterno e a pianta radiale all'interno, coperto a cupola: alcune strutture convengono a uno stabilimento di terme; il larghissimo uso di materiale di spoglio rivela il carattere tardo della costruzione. Pure sul mare un frammento di iscrizione ci testimonia la presenza di un tempio di Nettuno.
Più ampiamente esplorato invece il quartiere a S-O, nel quale sono alcuni degli edifici pubblici più importanti della città: il mercato, il teatro, ecc. Il quartiere era diviso in insulae rettangolari lunghe e strette, delimitate cioè da decumani molto ravvicinati tra loro, e affacciate sui cardini con il loro lato corto.
In una delle prime insulae a destra del cardo massimo, uscendo dalla porta bizantina, uno scavo recentissimo (inedito) ha riportato in luce un tempio dedicato a Serapide, la cui fronte prospetta il cardo minore ad O. Secondo uno schema assai comune nell'Africa, ma finora testimoniato solo due volte a L., il tempio è dentro un cortile porticato; è prostilo, tetrastilo, su alto podio; il pavimento della cella è in opus sectile. Il santuario ha restituito molte iscrizioni, tutte in greco, e verosimilmente posteriori a Caracalla, perché i devoti in esse nominati portano quasi costantemente il gentilizio Aurelius; delle sculture invece alcune sembrano anteriori: una statua di imperatore loricato e un ottimo ritratto femminile di età antoniniana; la statua di culto in basalto nero con testa e arti in marmo bianco, due immagini di Iside e Serapide, ecc.
Proseguendo sul cardo massimo si incontra a destra il mercato, all'angolo del quale la strada è sormontata da un fornice di forme architettoniche estremamente semplici, eretto, secondo quanto ci dice l'iscrizione, negli ultimi anni del regno di Tiberio, dal proconsole C. Rubellio Blando a ricordo della nuova pavimentazione delle vie cittadine eseguita con le rendite dei terreni recuperati dopo la guerra di Tacfarinata; di un secondo fornice analogo, con iscrizione identica, si sono trovati gli elementi sulla strada parallela a questa verso occidente, al di là del teatro e del portico che dietro la scena circonda il tempio degli Di Augusti.
Il mercato è uno degli edifici più interessanti della città e dei più rappresentativi del genere, pur non discostandosi dal tipo più comune di essi: una grande corte intorno a delle thòloi, che qui sono due, anziché una come di solito. Fu costruito ancora sotto Augusto nel 9-8 a. C., da Annobal Rufus, ma subì nei secoli successivi molteplici modificazioni, non tutte ancora ben precisate. All'inizio il vasto recinto quadrangolare era chiuso all'esterno da muri in conci di arenaria stuccati e all'interno circondato da un colonnato, forse duplice sul lato di S-O; la regolarità del suo impianto era raccordata con l'irregolare andamento delle strade adiacenti mediante elementi accessorî esterni addossati al suo perimetro. La fronte principale era quella verso S-O, mentre l'attiguo lato di S-E presentava verso il cardo massimo una serie di arcate di varia ampiezza, dietro alle quali furono presto sistemate delle tabernae: più tardi, forse al tempo di Severo, una delle arcate, opportunamente trasformata, divenne l'ingresso principale dell'edificio. A N-E, una serie di botteghe si addossava verosimimente in origine al muro del mercato, accessibile però soltanto dalla strada; in un secondo momento un'aula trapezoidale venne sistemata da questa parte tra la corte interna e la strada. Le colonne del portico, in origine certamente di pietra, furono sostituite da altre in granito nel III secolo.
Di pietra calcare e arenaria erano pure dapprima le due thòloi, ma una, quella di S-E, fu rifatta o rivestita di marmo al tempo di Severo. Entrambe sono costituite da uno spazio centrale circolare, forse coperto, circondato da un portico ottagonale; le botteghe con mense in marmo si aprivano sia tra le colonne del portico esterno sia tra i pilastri dello spazio interno; altre mense per banchi di vendita erano sotto il portico di S-E. Di singolare accuratezza la lavorazione degli elementi decorativi, lesene, pilastri e capitelli, in calcare. Nella corte intorno alle thòloi sorsero in progresso di tempo alcuni monumenti onorarî, fra cui alcuni in forma di piccoli tetrapili, del IV sec.; uno di questi è dedicato ad un Porfirio che aveva donato alla città quattro ferae dentatae vive.
A breve distanza dal mercato verso S-O sorgono il calcidico e il teatro, anch'essi di età augustea: il primo si affaccia con la sua fronte sul cardo: proprio all'angolo di questo, dove la strada cambia leggermente direzione, si innalza l'arco quadrifronte di Traiano, quasi in contrapposto al fornice tiberiano, che chiude il primo tratto del cardo all'angolo del mercato. Il tetrapilo, all'incrocio del cardo con un decumanus, è una costruzione di proporzioni modeste (m 7,09 × 7,11), tutta in calcare, ma di notevole eleganza; sull'esterno ogni passaggio è fiancheggiato da colonne in avancorpo poste su un alto basamento; nell'interno quattro colonne angolari sostenevano la copertura a crociera. Tre iscrizioni, due sulla fronte meridionale, una sulla settentrionale, contenevano la dedica all'imperatore, del 109-110, probabilmente l'anno della concessione dei diritto di coloma alla città, e i nomi dei proconsoli che curarono l'erezione del monumento.
La funzione del calcidico, costituito da un portico a colonne con avancorpo centrale sulla strada, e da un largo spazio quadrangolare circondato da un doppio porticato dietro, non è chiara: potrebbe essere stato anch'esso destinato a funzioni commerciali: una fila di tabernae retrostante al portico potrebbe confermarlo. Anche qui le originarie strutture in calcare furono in parte sostituite più tardi da elementi in marmo delle prime resta l'architrave del portico della fronte recante l'iscrizione con il nome dei donatore, Iddibal Caphada Aemilius, e l'anno della costruzione, l'11-12 d. C. Un'ampia cisterna incorporò col tempo tutto il lato S-O dell area interna.
Un leggero rialzo naturale del terreno, tutto in generale pianeggiante nell'area della città,. fu scelto per appoggiarvi la parte inferiore della cavea del teatro, mentre invece i gradini della media e della summa cavea furono rispettivamente sorretti da un accumulo di terra e pietre i primi e da robuste sostruzioni i secondi. L'edificio fu cominciato a costruire in età augustea: dell'1-2 d. C. è l'iscrizione, latina e neopunica, ripetuta due volte sulle porte laterali dell'orchestra, che ne ricorda il dono da parte dello stesso Annobal Rufus del mercato; di pochi anni posteriore quella dei tribunalia con il nome del proconsole L. Caninio Gallo. Negli ultimi anni di Tiberio, 35-36 d. C., una indigena della stessa ricca borghesia, Suphunibal figlia di Annobal Ruso, consacrò a Cerere Augusta un tempio eretto al sommo della cavea, al centro, secondo lo schema già introdotto a Roma da Pompeo per il suo teatro nel Campo Marzio, e che ritorna in molti altri teatri dell'Africa e di altre regioni.
Alla fine del I sec., nel 91-92, un tal T. Claudio Sestio provvide all'allestimento del balteo che chiudeva la proedria, alla dedica di un'ara nel centro dell'orchestra e ad altre opere di abbellimento. È del II sec. infine, del tempo di Antonino Pio, la decorazione della frontescena con i tre ordini sovrapposti di colonnati avanti alle tre esedre, qui tutte a semicerchio, che, come di consueto, scandivano l'edificio. Due erme con le immagini delle divinità protettrici della città, Ercole e Dioniso, fiancheggiavano il pulpito; molte altre sculture decoravano il complesso della scena. Dietro a questa si estendeva un portico di forma trapezoidale, racchiudente nel centro un tempio dedicato agli Di Augusti nel 43 d. C. dal pronconsole Q. Marcio Barea, ma dovuto anch'esso alla munificenza di un ricco cittadino, Iddibal Tapapius.
5. Zona delle costruzioni severiane. - Tra il quartiere del mercato e del teatro, da una parte, il Foro Vecchio e il letto dell'uadi dall'altro, Settimio Severo iniziò e Caracalla condusse a termine il vasto e grandioso complesso delle costruzioni che vanno sotto il nome di costruzioni severiane. È un complesso vario nei suoi elementi, ma unitario nello spirito e nello stile, che, se non fu in contrasto con il carattere e l'aspetto della città, già da prima contrassegnata da edifici di notevoli proporzioni e di nobile aspetto, le diede tuttavia una fisionomia tutta sua particolare, che la distingue ancora oggi nettamente dalle altre città dell'Africa, e l'avvicina invece alle grandi metropoli dell'Oriente ellenistico e romano, alle città dell'Asia Minore e della Siria soprattutto.
Il complesso si compone: del Foro con la basilica e il tempio, ed altri minori elementi connessi; del ninfeo con la vasta piazza antistante, a S-O del Foro, fra questo e l'edificio delle grandi terme che è anteriore; della via colonnata che corre a S-E del Foro congiungendo la piazza del ninfeo con il vecchio Foro e il porto. Se ancora, a monte del ninfeo, un'altra via od altra grande arteria analoga corresse lungo il letto dell'uadi, è probabile, ma non possiamo ancora affermarlo con sicurezza. A Settimio Severo si debbono ancora altre costruzioni nella città: l'arco quadrifronte, il porto ecc., ma esse non si connettono direttamente con quelle ora in parola.
L'analogia non solo dello stile, già segnalata, ma anche del materiale e del sistema costruttivo: opera quadrata di calcare travertinoso o, nelle parti meno nobili, opera a filari di blocchetti interrotti a intervalli regolari da filari di mattoni, determina con sicurezza la sostanziale contemporaneità dei vari elementi; per quel che riguarda la basilica, e quindi conseguentemente il Foro e il tempio, l'iscrizione ripetuta due volte sui muri corti esterni di essa e una volta sui colonnati interni, ci dice che l'opera fu iniziata e condotta avanti ex maiore parte da Settimio Severo e compiuta nel 216 da Caracalla. Che il complesso fosse stato già concepito, e forse anche iniziato per qualcuno dei suoi elementi, prima dell'avvento di Severo, non è da credere: la durata della costruzione e la sua complessità giustificano sufficientemente, senza ricorrere ad altre ipotesi, le modifiche e i pentimenti che i diversi edifici e le loro parti dimostrano. D'altra parte è certo che il complesso si inserì in un tessuto urbano già esistente, demolendo e abolendo edifici precedenti: il che può spiegare l'irregolarità planimetrica che esso presenta e il modo tutt'altro che organico con cui esso si salda con i quartieri adiacenti: si noti ad esempio che l'ingresso principale del Foro si apre su uno dei cardini minori e in corrispondenza di un decumano che non sembra, almeno finora, che avesse particolare importanza rispetto agli altri.
Il Foro. Il nucleo delle costruzioni severiane è costituito dal Foro, con la basilica che gli si affianca su uno dei lati brevi, con una disposizione che ricorda quella del Foro Traiano a Roma e di altri Fori dell'Italia e delle province, e col tempio al mezzo del lato opposto. La piazza, di forma irregolarmente quadrangolare all'esterno, è circondata all'interno su tre lati da un portico, perfettamente quadrangolare: essa misura m 100 × 60; le colonne sono di cipollino, i capitelli, come le basi, di marmo bianco, sono del tipo cosiddetto romano-asiatico molto diffuso nel II-III sec. d. C., con un giro di foglie di acanto in basso e un altro, al di sopra, di foglie di loto. Gli archi, ricadenti direttamente sulle colonne, e la trabeazione erano invece in pietra, e l'elemento più caratteristico è rappresentato da grandi protomi di Gorgoni o di Scilla sporgenti da medaglioni negli spazî triangolari tra arco ed arco. L'ingresso principale della piazza si apriva sul lato N-O, a guisa di propileo con quattro colonne antistanti, al centro di una lunga parete coronata in alto da un fregio a metope e triglifi.
Al centro del lato breve di S-O sorgeva il tempio, appoggiato al muro perimetrale del Foro: oltre che da questo, il carattere romano-italico dell'edificio era accentuato dall'altezza del podio su cui sorgeva e nel quale, come di solito, si apriva una larga favissa; dalla piazza si saliva al pronao mediante una scala monumentale. La cella, di forma pressoché quadrata, aveva sulla fronte otto colonne e nove sui lati; il pronao, molto profondo, aveva dietro la prima fila altri due ordini di colonne di qua e di là dello spazio centrale avanti la porta. Le colonne erano tutte di granito rosso, e poggiavano, almeno quelle della parte frontale, su dadi di marmo bianco scolpiti con scene di gigantomachia: un partito architettonico e decorativo che ricorda quello dell'ultimo Artemision di Efeso. A quale culto fosse consacrato il tempio non sappiamo, poiché nessun resto di iscrizione ci illumina al riguardo: probabile appare tuttavia l'ipotesi che esso fosse dedicato alla Gens Septimia, cioè alla famiglia dell'imperatore, come il tempio del Foro nuovo di Cuicul. Due grandi vani a pilastri, quadrangolari, aperti sia verso i portici della piazza che verso i fianchi del tempio, erano ai lati di questo lungo lo stesso lato S-O della piazza. Lungo il lato opposto si distendeva invece la basilica: ma per essere l'asse di essa obliquo rispetto all'asse della piazza fu necessario per i costruttori inserire fra il muro della basilica e il portico del Foro una fila di ambienti, alcuni almeno adibiti a tabernae, di forma e ampiezza varia, dalla sala maggiore verso settentrione, caratterizzata da un giro di tredici grandi colonne allineate lungo le sue pareti, fino ai piccoli vani irregolari e di nessuna utilizzazione pratica verso S: al centro delle tabernae, e quindi proprio di fronte al tempio, si apriva una vasta esedra a semicerchio.
La basilica. La basilica si presenta come una grande aula quadrangolare a tre navate, con due absidi alle estremità, ed accessibile quindi solo dai lati lunghi, e due camere ai fianchi di ciascuna abside: absidi e camere erano chiuse esternamente da muri rettilinei.
Un gusto di sovrabbondante ricchezza nella decorazione e di accentuato movimento di linee nelle forme architettoniche, così come nelle analoghe costruzioni, anteriori o coeve, delle città dell'Oriente, presiedette all'allestimento di questo edificio, che resta perciò, di per sé preso, il più caratteristico monumento severiano della città. Colonne di granito rosso, sormontate da capitelli di marmo bianco, nei quali alle foglie di acanto si intrecciano talvolta motivi figurati, dividono la navata principale, molto larga, dalle laterali; un secondo ordine di colonne, a quanto pare di egual modulo, si alzava al di sopra del primo in corrispondenza delle gallerie superiori; la copertura era probabilmente a tetto, sia sulla navata che sulle ali. Contro le pareti dei lati brevi i colonnati terminavano, su ogni parte, con pilastri di marmo bianco, raddoppiati proprio all'apertura delle absìdi stesse da altri pilastri analoghi: questi dunque sono in tutto otto e portano una ricca decorazione a forte rilievo e profondo chiaroscuro. Nei pilastri alle testate dei colonnati tale decorazione è costituita da girali di acanto dal cui fiore centrale sporgono protomi di gorgoni o figure animalesche; negli altri quattro invece tralci e pampini di vite inquadrano una varia e movimentata successione di scene mitologiche riferentisi ad Ercole (nell'abside occidentale) e a Liber (nell'abside orientale), le due divinità protettrici della città e della dinastia severiana. Alla fastosa decorazione scultorea dei pilastri fa riscontro il complesso movimento delle absidi, con due serie sovrapposte di nicchie originariamente inquadrate da piccoli tabernacoli a colonne portate da mensole e coronati da timpani triangolari, e occupate ognuna al centro da un singolare partito architettonico: due colonne, che poggiano su alti basamenti poligonali, portano al di sopra dei capitelli dadi quadrangolari ornati da grifi che sorreggono a loro volta un elemento di architrave rettilineo il quale viene stranamente ad interrompere la linea curva dell'abside; così fuori dello spirito classico appare tale disposizione che si è supposto essere stata ideata quando l'aula della basilica fu in età bizantina trasformata in chiesa: la cosa è peraltro ancora soggetta a discussione. In conseguenza di quella trasformazione nell'abside orientale fu sistemato l'altare ricavando sul dinanzi, con elementi presi da altre costruzioni severiane, il presbiterio; nel mezzo della navata fu egualmente messo insieme il pulpito, e le stanze laterali alle due absidi furono adattate a varî usi: quella a sinistra dell'abside occidentale a battistero. Precedentemente, forse nel V sec., la camera a destra dell'abside opposta era stata usata come sinagoga. Dalla parte del Foro Vecchio la basilica era fiancheggiata e divisa dal Foro stesso da una stretta strada accessibile alle estremità da due porte ad arco, e compresa fra il muro esterno della basilica, lungo il quale correva una fila di colonne su basamenti quadrangolari, ed un altro muro coronato da un fregio a metope e triglifi, e lasciato invece rozzo e inornato verso l'esterno, cioè verso il Foro Vecchio.
Il ninfeo. Dalla parte opposta della basilica sul tergo del Foro severiano si apriva una piazza, di forma irregolarmente poligonale, antistante il grande ninfeo: da essa, quale ganglio di articolazione tra i due quartieri adiacenti, quello delle costruzioni severiane a N-E e quello della terme adrianee a S-O, partivano due strade, una lungo le terme, l'altra verso il porto, e cioè la via colonnata: all'angolo tra questa via e il muro esterno del Foro fu adattata in età cristiana, forse bizantina, una chiesa a pianta basilicale, con abside, battistero e piccola area cimiteriale all'intorno.
Il ninfeo si presenta in forma di esedra monumentale a pianta semicircolare fiancheggiata da due muri rettilinei: l'esedra conteneva il bacino per l'acqua chiuso sul davanti da una balaustra (il parapetto con erme che si vede oggi è un adattamento di bassi tempi), ed era ornata da due ordini almeno di nicchie (la parte superiore è crollata). Esedra e muri laterali, oltre ad essere rivestiti di marmi, avevano sul davanti una decorazione ad ordini di colonne sovrapposti analoga a quella delle frontescene dei teatri. La facciata in conci di calcare era sostenuta sul tergo da un possente muraglione con paramento a blocchetti e mattoni, nel vivo del quale si svolgeva la scala per salire alla sommità.
La via colonnata. Poco di preciso può dirsi ancora sulla via colonnata, scavata solo in parte e in parte appena saggiata: vi si accedeva dalla piazza del ninfeo attraverso tre corsie: la centrale molto larga e scoperta, le laterali, porticate, alle quali si accedeva da arcate; le colonne, di cipollino, si alzavano su dadi quadrangolari di pietra ed erano coronate da capitelli del tipo consueto: anche per essa, come si disse, è facile trovare confronti nelle città ellenistiche dell'Oriente.
6. Le grandi terme. - Al di là della piazza del ninfeo, verso S-E, si stendono le grandi terme. Planimetricamente esse si conformano al tipo delle terme ad asse centrale, e cioè con gli ambienti principali, natatio, frigidarium e calidarium, disposti lungo un asse centrale, ai lati del quale gli ambienti minori ed accessori si dispongono simmetricamente da una parte e dall'altra; una posizione eccentrica rispetto a tale asse ha qui invece la palestra, antistante il corpo principale delle terme, che è decisamente spostata verso oriente, forse per rispettare edifici e strade preesistenti.
La palestra è un ampio spazio rettangolare scoperto, con i lati minori ad emiciclo, circondato da portici e fornito, sul lato lungo di settentrione, di due esedre rettangolari absidate; il lato lungo opposto coincideva con il portico di facciata delle terme. Da esso si accedeva alla natatio, piscina scoperta circondata su tre lati da portici e fiancheggiata da quattro ambienti minori, accessibili i primi due dal portico di facciata e dalla natatio, gli altri dal corridoio retrostante: i primi erano forse degli apodytèria, gli altri cortiletti di servizio e di disimpegno.
Dalla natatio per quattro porte si passava ad un corridoio, dal quale a sua volta si accedeva nell'ambiente centrale, il frigidario, l'elemento preminente e più caratteristico dell'edificio. Era una grande sala di m 30 × 15, coperta da una triplice vòlta a crociera ricadente su otto colossali colonne di cipollino, e aperta sui lati corti in due larghi bacini ancora tutti rivestiti di marmo, come dovevano essere in antico anche le pareti della sala: le vòlte erano probabilmente ornate di mosaici, come quelle del tepidario, di cui si rinvenne un frammento. Numerose statue di divinità e iconiche si allineavano intorno ai bacini, qui come nelle altre sale delle terme; al centro della sala sta una base con dedica a Settimio Severo.
In origine il corridoio che divide la natatio dal frigidarium correva tutto all'intorno di questo, isolandolo e disimpegnandone il movimento dal resto dell'edificio: in un secondo tempo, il tratto meridionale di esso, tra il frigidarium e il complesso delle sale riscaldate, fu chiuso e spartito in ambienti minori, due dei quali sistemati a piccole piscine, che, con quella, più ampia, esistente nel vano di passaggio verso il calidarium, costituivano un complesso singolarmente nobile per armonia di disposizione ed eleganza di decorazione. Il calidarium costituiva il terzo grande salone dell'asse centrale, anch'esso coperto a vòlta, con due vasche assai spaziose sui lati corti, e altre tre sotto le arcate della parete meridionale. Dal calidarium si accedeva alle quattro sale dei tepidaria, disposte due a due ai lati della piscina dietro il frigidario. I forni per la produzione del calore si allineavano all'esterno dell'edificio, sul tergo di esso. Degli ambienti secondarî, che da una parte e dall'altra fiancheggiavano il corpo centrale, e che erano destinati ad usi vari non sempre precisabili, si riconoscono chiaramente solo le due ampie foriche, disposte subito dietro la facciata.
I non molti testi epigrafici recuperati nello scavo ci forniscono alcuni dati per la storia dell'edificio, confermati a loro volta dall'esame delle strutture. Esso fu costruito sotto Adriano, essendo proconsole dell'Africa Valerio Prisco (126-127); ebbe modifiche ed aggiunte sotto Commodo, e forse ancora nel III sec., sotto Severo.
A S delle terme, ad una certa distanza da esse, si snoda tutto un vasto e molteplice sistema di cisterne, che, piegando ad angolo, si prolunga anche con due bracci ad E e ad O: qui presso giacque nei secoli, al di sopra delle dune, l'iscrizione che ricorda l'adduzione d'acqua nella città, curata, sempre regnando Adriano (119-120), da Q. Servilio Candido.
7. L'Arco dei Severi. - Un cardo secondario permette dalle terme di raggiungere quello che verosimilmente possiamo considerare, come già si è detto, il decumanus massimo. All'incrocio di questo decumanus con il cardo massimo si alzava l'arco quadrifronte dei Severi; un cippo con il ricordo della strada verso l'interno (in mediterraneum) costruita nel 15-16 d. C. (o meno probabilmente nel 16-17) da L. Elio Lamia, rinvenuto qui presso, ci dice che qui era, almeno nel I sec. d. C., il limite dell'abitato urbano: se appartenga ad una porta il grande architrave con l'iscrizione Augusta Salutaris e il nome del proconsole C. Vibio Marso, rinvenuto pure nelle adiacenze, non può affermarsi con sicurezza.
Il tetrapilo severiano segnava l'incrocio delle due grandi strade, le maggiori della città, ma, rimanendo sopraelevato di qualche gradino sul piano di esse, non era accessibile ai veicoli. Di esso oggi non resta in piedi che uno solo dei quattro piloni, ma le basi degli altri tre ci permettono di ricostruirne perfettamente pianta e misure (larghezza dei fornici: m 5,80; lato dei pilastri, senza le colonne in avancorpo, m 3) così come il recupero di gran parte della decorazione scultorea e di molti elementi dell'alzato (colonne, lesene, cornici) ci dà un'idea abbastanza chiara del suo aspetto originario: incerta tuttavia rimane ancora la ricostruzione della parte superiore.
Su ogni fronte due colonne in avancorpo su basamento fiancheggiavano l'apertura del fornice; lesene e pilastri, decorati di un ricco ornato di tralci di vite, per composizione e per stile analogo a quello di alcuni dei pilastri della basilica, stavano agli angoli esterni del monumento e ai lati dei fornici; cornici e fregi, pure dello stesso stile, al di sopra di questi, lacunari con rosoni nella vòlta di essi. Ma l'elemento più prezioso dell'arco era la sua ricca decorazione scultorea. Oltre alle Vittorie alate, che occupavano (sono 6) gli spazî triangolari tra la curva dei fornici e la riquadratura architettonica di essi, alle aquile che guarnivano i triangoli sferici dell'intradosso della cupola, ai trofei tra colonne e lesene angolari, tale decorazione comprende due serie di rilievi. La prima è costituita da rilievi di dimensioni minori, che trovavano posto verosimilmente sulle pareti interne dei quattro pilastri: essi ci presentano figure di divinità accostate l'una all'altra, scene di guerra e scene di carattere religioso. Delle divinità alcune sono chiaramente identificabili con quelle dell'Olimpo greco-romano, a cominciare dalla triade capitolina, di altre è più difficile precisare il nome: è evidente che esse riflettono il largo apporto di divinità orientali e africane verificatosi proprio in età severiana. Le scene di battaglia ricordano verosimilmente le campagne orientali dell'imperatore, piuttosto che le modeste azioni di polizia compiute durante il suo regno nel S tripolitano.
Più notevoli i rilievi della serie maggiore, componenti quattro grandi rappresentazioni, con ogni probabilità poste sulle quattro fronti dell'attico, forse in luogo e sostituzione delle iscrizioni, che, a giudicare dal fatto che nessun frammento si è trovato di esse, è da credere non esistessero. Due di queste composizioni rappresentano scene di trionfo; solo una ci è pervenuta quasi completa, ma l'altra era costruita, a quanto risulta dai frammenti superstiti, su uno schema analogo. La quadriga imperiale, sulla quale sta Settimio Severo, fiancheggiato dai figli Caracalla e Geta, avanza da sinistra, preceduta da prigionieri incatenati; e da un ferculum su cui è una donna e altre figure piangenti; sul fondo si allineano personaggi togati; dietro la quadriga è un gruppo di cavalieri con vexillum. Unico elemento posto a indicare l'ambiente in cui la scena è immaginata, un faro, il faro di L.: a L. richiamano parimenti le figure delle due divinità protettrici che ornano la cassa del carro.
Le stesse divinità ritornano ai lati della Tyche della città in uno degli altri due rilievi che, anziché scene di trionfo, raffigurano scene di carattere religioso. In questo di cui stiamo parlando, le tre figure presiedono ad un atto di Concordia Augustorum: Settimio Severo stringe la mano ad uno dei giovani prìncipi, probabilmente Caracalla, presenti Geta, Giulia Domna e forse anche il potente prefetto del pretorio Fulvio Plauziano: altre figure, tra cui quella di Roma-Virtus, stanno ai lati del gruppo principale. Nell'altra scena è un sacrificio in onore di Giulia Domna, ipostatizzata in Giunone, alla presenza di Settimio Severo-Giove. Nell'assenza di un dato epigrafico, rimane incerto l'anno della erezione dell'arco: si è pensato al 203, quando probabilmente l'imperatore visitò la città e la provincia.
Ma la decorazione scultorea dell'arco interessa non solo per i suoi soggetti politici e religiosi, quanto e forse più per l'arte di cui è espressione di singolare valore. Che ad essa abbiano lavorato artisti di Afrodisiade, il cui stile si rivela anche nei pilastri della basilica e in tutte le altre costruzioni severiane, non par dubbio: certo ad elementi e a tratti di chiara tradizione romana se ne affiancano altri caratteristicamente orientali, e il palese frontalismo che domina nelle scene, il decorativismo lineare delle vesti, schiacciate contro le figure, prive ormai di solidità volumetrica, preludono già all'arte bizantina.
8. Gli altri archi. - Come sul cardo l'arco quadrifronte dei Severi concludeva, si può dire, le serie di archi che cavalcavano la via (quelli già descritti di Tiberio e di Traiano), così parimenti sul decumanus esso si allineava con almeno altri due monumenti consimili: l'arco a due fronti che fu incorporato nelle mura del tardo Impero, e divenne quella che oggi chiamiamo la Porta di Oea, e l'arco a quattro fronti scoperto recentemente, e tuttora inedito, ancora più ad occidente.
Il tratto del decumanus tra l'Arco dei Severi e la cosiddetta Porta di Oea, scavato in questi ultimi anni (Fasti Arch., xii, p. 351 ss.), presenta sulla sua destra la fronte di un nobile edificio di destinazione incerta, costituito da un cortile porticato con abside al centro dei lati minori e nicchie sul lato lungo, di fronte all'ingresso; seguono ad esso un edificio termale e abitazioni di età tarda, quindi un tempio all'interno di un cortile porticato, appoggiato al suo lato di fondo.
Degli archi, il primo, che da elementi riconosciuti in questi ultimi tempi sembra fosse eretto in onore di Antonino Pio, era ornato di colonne in avancorpo, due ai lati di ogni fornice, secondo lo schema già più volte segnalato per altri monumenti del genere, e alla sua decorazione dovettero appartenere un frammento con figura di Vittoria ed un altro con una grande egida avente al centro una testa di Gorgone.
Dell'altro non restano a posto che le basi dei quattro piloni, che presentano in pianta il singolare partito di una colonna inserita nell'angolo esterno: ma i numerosi elementi architettonici e decorativi permetteranno forse una ricostruzione sufficientemente esatta dell'alzato; sappiamo comunque dall'iscrizione che esso fu eretto nell'anno 174 in onore di M. Aurelio, essendo proconsole d'Africa C. Settimio Severo, zio del futuro imperatore, e questo legato del proconsole.
9. Le Terme della Caccia e altri edifici minori. Cisterne e ville. - Parziali scavi o limitate esplorazioni hanno fatto conoscere o riportato in luce edifici della periferia della città. Il più importante di essi è quello a ponente delle mura, fra queste e l'uadi er-Rsaf, le Terme dette della Caccia. Interesse precipuo di queste terme, modeste sotto i riguardi dell'ampiezza e delle strutture, sono la decorazione interna a mosaico e pittura degli ambienti principali, e le forme architettoniche di questi, che la conservazione delle coperture permette di valutare in modo adeguato.
Questi ambienti, alcuni a pianta rettangolare altri poligonale, sono coperti rispettivamente a vòlta od a cupola: ne risulta all'esterno un singolare accostamento di forme e di volumi che sembra fuori di ogni ordine logico ed organico. All'interno invece gli ambienti si susseguono in relazione alla loro destinazione, e la funzionalità di tale disposizione risalta ancor meglio, ove ci si riporti a quello che doveva essere l'edificio nel suo stato originario: poiché esso ha subito nel tempo molte e varie modifiche, che sarebbe lungo indicare partitamente.
Da principio il corpo centrale era costituito da un corridoio di ingresso che dall'esterno immetteva direttamente nella sala principale, il frigidarium, ampio ambiente rettangolare coperto da vòlta a botte e terminato sui lati brevi da due absidi contenenti ciascuna una vasca; il corridoio aveva sulla destra due ambienti minori rettangolari, accessibili solo dal frigidarium, e adibiti probabilmente ad apoditerio e a latrina; in un secondo tempo una vasca, coperta da vòlta a crociera, sostituì parzialmente questi ambienti. Dal frigidarium si passava in due sale ottagonali, coperte a cupola, affiancate l'una all'altra; in origine esse non comunicavano fra loro, ma solo ognuna di esse con una sala rettangolare retrostante: uno dei due ambienti ottagonali era un tepidario, l'altro e le due sale retrostanti, coperte da vòlte a botte, dei calidaria. Un altro calidarium, costituito da tre piccolissimi ambienti susseguentisi l'uno all'altro, fu aggiunto successivamente al corpo originario verso S-O. Altre aggiunte furono apportate all'esterno dell'edificio, soprattutto a N e ad E: a N si allinearono avanti al corpo originario un portico a pilastri e, dietro a questo, una lunga sala rettangolare, spartita longitudinalmente da una fila di sei pilastri sorreggenti il tetto, che dovette servire da apoditerio; ad E altri due ambienti, fra cui uno che, per la decorazione dipinta delle pareti, è da credere avesse una destinazione piuttosto nobile; incerto invece rimane l'uso di altre camere ad O. Complessi, ma chiaramente riconoscibili nei loro elementi originarî e nelle modifiche subìte, i sistemi di rifornimento d'acqua, raccolta dalle coperture e accumulata in cisterne, e di riscaldamento.
La decorazione interna degli ambienti principali rispecchia anch'essa le successive fasi di vita dell'edificio, soprattutto nel frigidarium. In una prima fase la vòlta e la parte superiore dei muri della sala erano rivestite di intonaco bianco con motivi in pittura entro incorniciature di stucco: non ne restano che poche tracce. I catini delle absidi al di sopra delle vasche e le lunette sopra l'arco di apertura delle absidi stesse erano invece ornati con mosaici a figure: i pochi elementi superstiti dell'abside orientale conservano parte della figura di una ninfa che allatta un capretto, la testa e le spalle di un Tritone, e motivi nilotici. Ad un certo momento uno strato di intonaco dipinto fece scomparire la decorazione primitiva, ma è ad un terzo tempo che appartengono le due larghe composizioni della parte superiore delle pareti lunghe: allora, o forse già prima nella seconda fase, la parte inferiore dei muri era stata rivestita di marmi colorati. Le due scene si ispirano ai consueti motivi delle rappresentazioni di caccia: caccia al leone sulla parete settentrionale (ma ne restano pochi elementi), caccia al leopardo sulla parete opposta. La scena comprende gruppi di cacciatori in lotta con le fiere, accostati tra loro e variati solo nel vario atteggiamento degli uni e delle altre: la composizione non offre spunti di novità o di originalità, tutto l'effetto è nella resa coloristica e impressionistica delle figure. Altra scena figurata, con paesaggio e figure di carattere nilotico, è su una delle pareti della vasca ricavata in un secondo tempo a settentrione del frigidarium. I resti della decorazione delle altre sale, di quelle dell'edificio originario come di quelle aggiunte, non presentano particolare interesse: si tratta di riquadrature in pittura o in stucco che talvolta imitano un rivestimento di marmi colorati, o tal'altra si incorniciano di delicati motivi vegetali; nei pavimenti sono mosaici geometrici a bianco e nero. La data di costruzione di queste terme va verosimilmente fissata nella seconda metà del II sec., e a questo tempo ben si addicono e le forme architettoniche e lo stile della decorazione originaria. Le successive modifiche debbono invece essersi verificate nel corso del III sec., o forse anche nel IV; ad età severiana sono state attribuite le due composizioni principali della caccia, ma forse esse scendono ancora più in basso. Che esse siano state scelte intenzionalmente a decorare la sala maggiore dell'edificio, in quanto questo apparteneva ad una corporazione di fornitori di belve per gli spettacoli dell'anfiteatro, è ipotesi non confermata da alcun elemento probante.
Altro edificio termale consimile, almeno nell'aspetto architettonico esterno, è stato riconosciuto, ma non ancora scavato, vicino alla Casa detta di Orfeo da uno dei mosaici che la decorava, dalla stessa parte della città.
A S di questa, lungo il corso del torrente, i resti di un acquedotto, che metteva capo alla zona di cisterne prossima alle terme, possono seguirsi fino al punto da cui l'acquedotto stesso partiva, cioè fino ai due grandi cisternoni che si alzavano, a breve distanza l'uno dall'altro, sulla destra del letto dell'uadi. L'acquedotto era duplice: aveva cioè uno speco più alto e uno più basso, appoggiato al primo e costruito verosimilmente in un secondo tempo per usufruire anche di acque che il primo non sfruttava. Il tipo di muratura usato nella costruzione dell'acquedotto e dei serbatoi li fa attribuire ad età severiana, o comunque alla prima metà del III secolo. È tuttavia da osservare che acquedotto e serbatoi non sorsero insieme, ma l'uno fu aggiunto e addossato in un secondo momento, sia pure a breve distanza di tempo, agli altri, né è ben chiaro in qual modo l'uso e la funzionalità del primo furono coordinati con quelli del serbatoio più a valle. Il serbatoio a monte è una costruzione quadrangolare rivestita esternamente con conci di calcare travertinoso, di m 22,40 × 26, diviso internamente in tre ambienti a vòlta, ai quali corrispondono sulla fronte verso il torrente tre porte, successivamente chiuse in parte: al di sopra di queste sono cinque nicchie di carattere ornamentale. L'acqua raccolta dal terrazzo di copertura si versava direttamente in una vasca posta all'esterno verso l'uadi, alla testata dell'acquedotto più basso, mentre all'interno sembra vi affluisse da uno speco proveniente dal Cinyps (odierno uadi Qaam), che corre circa 25 km ad E di L.; ma il canale di immissione non è stato ancora identificato. Il secondo serbatoio, a valle del primo, è più ampio (m 42,25 × 26), diviso internamente in cinque gallerie a vòlta comunicanti tra loro e aperte in origine verso l'esterno ciascuna con una porta, che l'acquedotto poi sbarrò per quasi tutta la loro altezza.
Villa del Nilo. Del quartiere della città sulla destra del torrente, a ridosso del porto e lungo il mare, si sono riconosciute soltanto una villa, quella detta del Nilo, e, all'estremità dell'abitato, il circo e l'anfiteatro: forse, all'infuori di questi, il quartiere non conteneva altri edifici pubblici, ma solo abitazioni private, e queste, a giudicare da quella ora nominata, di carattere signorile. La villa, sfruttando la conformazione del terreno, si distribuiva su almeno due piani posti a livello diverso: nel più alto correva a monte un corridoio, la cui parete meridionale era stata ricavata tagliando il terreno naturale; il pavimento era ornato di un mosaico geometrico con immessi grandi emblèmata con scene di caccia. Degli ambienti a livello più basso sono stati scavati un atrio a colonne e una sala termale, con due vasche alle estremità; decoravano la sala quattro grandi e pregevoli pannelli a mosaico, alcuni con scene marine e nilotiche, uno con la rappresentazione dell'abbigliamento di Pegaso: il Guidi, che per primo li pubblicò, li attribuì al II sec. d. C.
Il circo e l'anfiteatro. Il circo è stato solo parzialmente esplorato; l'anfiteatro è attualmente (1960) in corso di scavo. Il primo si allunga tra l'orlo del leggero risalto, che il suolo presenta a breve distanza dal mare, e la spiaggia: esso aveva pertanto la cavea appoggiata da un lato sul terreno naturale e dall'altro sorretta da sostruzioni. Era lungo circa 450 m, e la spina era costituita da cinque ampi bacini rettangolari allineati l'uno appresso all'altro. Dei carceres e della porta triumphalis più nulla rimane, ma essi furono forse ancora visti in parte, e disegnati un po' di maniera, nel XVII sec. da un viaggiatore francese, il Durand.
10. Necropoli. - Tutt'intorno alla città e a varia distanza da essa, soprattutto verso mezzogiorno, si distendevano le necropoli, delle quali noi conosciamo tuttavia soltanto tombe isolate, all'infuori di una, scavata ad occidente, tra L. ed Homs, ma non ancora pubblicata, e costituita da tombe del tipo che possiamo chiamare punico-romano, cioè a camere scavate nel terreno, accessibili da un pozzo, con nicchie nelle pareti; il rito era misto, ad incinerazione ed inumazione. Le urne per le ceneri, provenienti dai varî sepolcreti, sono molto spesso a cassetta di pietra con coperchio a spiovente, talvolta in forma di vaso pure di pietra a corpo scanalato.
Più interessanti i mausolei, tra i quali sono da segnalare Qasr Shaddad, Qasr el-Banat, Qasr el-Geledah, del tipo dei mausolei a torre, cioè a più piani sovrapposti, e Qasr ed-Duirat, che presenta, nella parte superstite, lo zoccolo e il piano più basso del corpo, e negli elementi sparsi all'intorno una decorazione scultorea di pretto carattere locale: era anch'esso dello stesso tipo dei precedenti, ma probabilmente era coronato da un elemento cilindrico con tetto a squame. Tra i mausolei di cui abbiamo ricordo, o attraverso disegni di viaggiatori o dalla base, sola superstite, v'erano anche di quelli del tipo a guglia, esemplificati a Ghirza e nell'interno della regione.
11. Castelli. - Completano il quadro della città i resti dei due castelli che ne costituivano l'immediata difesa dalla parte di mezzogiorno, sulle colline del Mergheb e dell'Hammam. Erano ambedue a pianta quadrangolare con ridotto interno: del primo l'elemento meglio conservato è l'arco della porta; il secondo è probabilmente di età bizantina, ma non è improbabile che abbia sostituito una costruzione precedente: frammenti di un'iscrizione trilingue, latina, greca e neopunica, menzionano infatti un delubrum Caesaris. Sul Mergheb era anche un santuario rupestre della Dea Caelestis.
12. - Di fronte alle altre città romane dell'Africa, delle quali tuttavia noi conosciamo più compiutamente solo alcune dell'interno, non tra le maggiori, L. ci si presenta con caratteristiche sue proprie. A parte anche la migliore conservazione dei suoi edifici, non v'ha dubbio che questi, per ampiezza di proporzioni, nobiltà di linee e ricchezza di decorazione, non solo dovevano eguagliare, ma forse superavano quelli della metropoli africana, Cartagine, e delle sue maggiori sorelle. Particolarmente notevoli in essi l'uso di salde strutture in conci a preferenza di sistemi costruttivi più modesti e più economici; la profusione dei marmi, a cominciare almeno dal II sec., negli elementi architettonici, basi, colonne, capitelli, nel resto della regione rimasti più frequentemente di pietra, e d'altra parte, quando ancora l'impiego di questa era pressoché esclusivo, l'accuratezza e quasi direi l'eleganza della sua lavorazione, ma soprattutto il senso di grandiosità che e l'impianto della città e i singoli edifici dimostrano, e il gusto per i prodotti delle arti figurative, che si rivela nell'adornamento di questi e che supera quello più comune della maggioranza dei centri provinciali dell'Occidente. Sono queste caratteristiche soprattutto che avvicinano L. alle città della parte orientale dell'Impero, e ne fanno una propaggine di questa nell'Occidente. Non v'ha dubbio che a darci questa impressione sono soprattutto le fabbriche severiane, ma tali caratteristiche erano già vive e presenti prima di Settimio Severo, come ci dimostrano i monumenti di età augustea, adrianea e antoniniana. Si ricordino a tale proposito la ricca serie di immagini imperiali del tempio di Roma e di Augusto, e le numerose sculture del teatro e delle terme: non solo ritornano in queste di preferenza i tipi della scultura greca classica, dall'arcaismo maturo all'ellenismo, ma la loro esecuzione fa pensare all'opera non tanto delle consuete modeste officine delle città provinciali, quanto piuttosto di quelle dell'Italia, della Grecia, dell'Asia Minore, forse ancor più che di Alessandria: o quanto meno all'attività di artisti immigrati da queste regioni, come, già prima di Settimio Severo e poi più largamente con questo, furono gli artisti di Afrodisiade: d'altronde qualche testimonianza epigrafica al riguardo non manca.
Meno caratteristici invece, e cioè perfettamente inquadrati nel gusto e nella produzione del resto dell'Africa, sono i mosaici e, a giudicare da quel non molto che ci resta, anche la decorazione pittorica.
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