PICCARDI, Leopoldo
PICCARDI, Leopoldo. – Nacque a Ventimiglia il 12 giugno 1899 da Giovanni Battista, magistrato, e da Emilia Pozzoli; il giovane Piccardi crebbe seguendo le sedi in cui il padre prestava servizio.
‘Ragazzo del ’99’, prestò servizio sul fronte del Carso a partire dal 1917; ammesso al corso presso l’Accademia militare di Torino, nella primavera del 1918 fu nominato aspirante sottotenente di complemento nell’Arma dell’artiglieria. Nel 1919, più per «avventuroso spirito giovanile» che per fede politica, aderì come legionario nell’occupazione dannunziana di Fiume, dove rimase fino al settembre successivo. Fu congedato nel marzo del 1921 con il grado di tenente di artiglieria (Consiglio di Stato, Fascicoli personali, n. 691).
Dopo aver compiuto i primi studi a Mondovì, brillante studente (conosceva il francese, l’inglese e il tedesco) Piccardi si laureò in giurisprudenza nel maggio 1921 a Torino, dove nell’aprile del 1922 superò l’esame per diventare avvocato e, tre mesi dopo, vinse il concorso per l’ingresso nella magistratura ordinaria, per poi passare all’amministrazione delle Finanze come sostituto avvocato erariale alla fine del 1924.
Il 17 giugno 1924 aveva sposato Caterina Piazzo, nata il 21 aprile 1903, dal cui matrimonio nel 1927 nacque Giovanni.
Dopo aver vinto il concorso – davanti ad altri futuri importanti magistrati (Nino Papaldo, Carlo Bozzi e Michele La Torre) – entrò come referendario al Consiglio di Stato nel 1930. Qui si distinse subito per l’accurata conoscenza della dottrina e fece parte di diverse commissioni per lo studio di importanti provvedimenti legislativi. Dal 1934, eletto consigliere di Stato, partecipò alla Commissione per la riforma dei codici civili e fu redattore del Nuovo digesto italiano.
Intanto si era iscritto al PNF (Partito nazionale fascista) nel 1932, con retrodatazione al 1919 poiché legionario fiumano.
Si evidenziarono sempre meglio le sue doti di fine giurista, attento ai contenuti della legislazione fascista e capace, più di altri, di porli in relazione con il corpus normativo ereditato dai periodi precedenti: di maggior rilievo fu la sua attività nella sezione giurisdizionale le cui corpose sentenze si caratterizzarono per l’accuratezza e la vastità della cultura giuridica, oltre a un’estesa conoscenza dei meccanismi di funzionamento degli apparati amministrativi hors les murs (Focardi, 2013, p. 1573).
In questo senso, negli anni trascorsi a palazzo Spada, Piccardi fu relatore di cruciali sentenze che ponevano limiti alla discrezionalità e all’eccesso di potere dell’amministrazione pubblica; ad esempio, limitò l’agire dell’amministrazione distinguendo tra atti politici, discrezionali, e atti amministrativi, su cui era possibile appellarsi: specificando e restringendo la natura degli atti politici, Piccardi diede torto a una decisione presa dallo stesso Mussolini quando era stato ministro dell’Agricoltura (Sentenza della IV Sezione, 6 ottobre 1936). Quelle forse più rilevanti, a fini storici più che giuridici, risalgono al 1941 quando in due occasioni (Sentenze della IV Sezione, 24 settembre e 18 novembre 1941) si stabilirono dei risarcimenti per alcuni professori universitari ebrei espulsi nel 1938, accogliendo il loro ricorso e condannando il dicastero dell’Educazione nazionale (Focardi, 2006, pp. 1605 s.).
Dopo il 25 luglio 1943, Badoglio lo designò quale ministro delle Corporazioni nel suo governo, incarico ricoperto fino al novembre 1943, quando Piccardi rassegnò le dimissioni per aggregarsi alle truppe italiane e, con il grado di capitano d’artiglieria, combattere sul fronte meridionale. Nel settembre del 1944 cessò dal servizio perché richiamato al governo da Bonomi come commissario governativo dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) e membro della Commissione per la riforma dell’amministrazione presieduta da Ugo Forti.
Nello stesso periodo, l’autunno del 1944, fu deferito alla Commissione per l’epurazione del Consiglio di Stato. Grazie alle deposizioni di vari avvocati (Ugo Forti, Arturo Carlo Jemolo, Piero Calamandrei, Giovanni Selvaggi, Vittorio Emanuele Orlando) fu dimostrato come spesso Piccardi fosse riuscito a eludere difficoltà politiche anche rilevanti, dovute alla natura stessa delle norme che egli era chiamato di volta in volta ad applicare. In varie commissioni internazionali – testimoniò Forti – Piccardi aveva «sempre tenuto alto il nome della scienza italiana, anche quando altri suoi rappresentanti si mostravano, per debolezza politica, più proclivi ad aderire all’indirizzo di dottrine straniere in contrasto con le nostre tradizioni» (Focardi, 2006, p. 1597), ovvero alle leggi razziali.
Per queste testimonianze fu prosciolto una prima volta in ottobre e una seconda alla fine del 1944, venendo infine collocato a riposo dietro sua richiesta nel gennaio 1946.
Da allora esercitò con successo la professione di avvocato a Roma.
Nel dopoguerra diresse la Rivista amministrativa della Repubblica Italiana e collaborò a riviste dell’area laica: Il Ponte di Piero Calamandrei, Il Mondo di Mario Pannunzio e infine L’Astrolabio di Ferruccio Parri.
Grande conferenziere e ‘penna facile’, cofondatore dell’associazione degli Amici del Mondo e tra i più assidui ai famosi convegni da loro organizzati (1955-64), Piccardi usava uno stile chiaro e, pur trattando argomenti complessi, si faceva leggere con facilità grazie a una prosa essenziale. La sua formazione giuridica di grande tecnico delle istituzioni e le sue esperienze amministrative lo resero una personalità di spicco (raccolgono molti dei suoi articoli in materia di diritto i volumi Studi vari di diritto pubblico, Milano 1968; Studi sulla giustizia amministrativa, Milano 1968).
Appassionato di politica (su posizioni liberali di sinistra), vissuta come impegno civico cui dedicarsi nel tempo libero, successivamente la praticò attivamente partecipando al movimento di Unità popolare nel 1953, e poi divenendo segretario – insieme con altri – del Partito radicale nel 1956.
Per l’allora vicesegretario Eugenio Scalfari, Piccardi «era un pozzo di scienza giuridica, una memoria di ferro, una capacità eccezionale di concatenare i concetti e di svolgerne le deduzioni» (La sera andavamo in via Veneto. Storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica, Milano 1990, p. 99).
Sul settimanale di Pannunzio, Piccardi trovò un suo spazio editoriale dal quale lanciare accuse contro l’inerzia della classe politica negli anni del centrismo, soprattutto in tema di mancata riforma della pubblica amministrazione «centrale per assolvere le funzioni essenziali dello Stato e per dar corpo ad ogni ipotesi riformatrice che di per se stessa imponesse l’efficienza del servizio pubblico, per recare soluzioni a problemi come la disoccupazione, l’arretratezza del Mezzogiorno, la sicurezza sociale» (A. Cardini, Tempi di ferro. Il Mondo e l’Italia del dopoguerra, Bologna 1992, p. 273).
Tra le battaglie di libertà iniziate o comunque combattute da Piccardi, si ricorda quella contro le incongruenze delle misure legislative adottate dal Consiglio dei ministri nel dicembre 1954 contro gli aderenti e i simpatizzanti del Partito comunista: paventando il rischio di un eccesso di potere da parte delle pubbliche amministrazioni, elencava i numerosi possibili casi di discriminazione vera e propria nei confronti dei cittadini, andando così contro lo spirito della Costituzione (La storia non aspetta. 1942-1956, Bari 1957, p. 135).
Nei suoi scritti, riflesso delle varie esperienze professionali, si trovano uniti un rigoroso metodo storico, una puntuale critica delle diverse posizioni in campo, una fede ‘illuministica’ nella possibilità di una maggiore, quanto astratta, terza via: osservatore critico delle istituzioni (suoi alcuni acuti articoli sulla crisi del Parlamento), fu uno dei maîtres à penser della minoranza laico-radicale (La storia non aspetta; La repubblica degli italiani. Momenti e problemi dell’Italia postfascista, Firenze 1971).
Rilevanti le sue prese di posizione di contenuto civile: si vedano le sue due arringhe in Processo al vescovo di Prato (a cura di L. Piccardi, prefazione di A.C. Jemolo, Firenze 1958, pp. 88-118, 271-291) e i suoi pamphlet a sostegno dell’introduzione del divorzio.
Nel 1961-62 Piccardi fu coinvolto in uno spiacevole episodio di ‘ritorno al passato’. Nella sua Storia degli ebrei in Italia sotto il fascismo lo storico Renzo De Felice ne ricordò la partecipazione al convegno giuridico italo-tedesco del marzo 1939 (l’incontro di Vienna sul tema Razza e diritto), di cui Piccardi aveva già dovuto rispondere a suo tempo in sede di commissione d’epurazione. La pagina di De Felice, letta in un momento particolare della storia del piccolo partito, suscitò nel mondo politico una enorme eco polemica, anche perché Piccardi era membro del Consiglio federativo della Resistenza.
Il caso fu montato dagli altri membri della segreteria radicale: una parte (Pannunzio, Leone Cattani, Niccolò Carandini) era contraria al cambiamento di linea politica in corso (con l’avvicinamento ai socialisti), preferendo orientarsi verso i repubblicani e i liberali. A ciò si sommarono divergenze sulla politica estera, tra neutralisti e filoatlantici. La questione privata, e personale, del comportamento di Piccardi alla fine degli anni Trenta finì per diventare un detonatore per polemiche che sfaldarono sia il partito sia Il Mondo di Pannunzio, oltre ad amicizie personali e a sodalizi di lunga data: per tutti, quello tra Ernesto Rossi (favorevole a Piccardi) e Pannunzio. La vicenda proseguì per anni, degenerando in liti e querele in tribunale, risolte soltanto nel 1967 (A. Cardini, Mario Pannunzio giornalismo e liberalismo. Cultura e politica nell’Italia del Novecento (1910-1968), Napoli 2011, pp. 277-298).
Piccardi fu un giurista engagé durante tutta la sua carriera professionale: in tempi diversi (fascismo, democrazia) e in modi diversi (magistrato amministrativo, avvocato), assumendo le vesti di un collaborazionista, o di un resistente, egli rimase un difensore dei diritti di libertà individuali contro l’invadenza dello Stato e della Chiesa.
Fu insignito della medaglia commemorativa della guerra del 1915-18, della medaglia per l’Unità d’Italia e di quella interalleata della Vittoria. Negli anni Trenta ricevette la decorazione di ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia; l’onorificenza di cavaliere nell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e poi quella di ufficiale del medesimo Ordine; grand’ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia; commendatore dell’Ordine Mauriziano e cavaliere di gran croce nell’Ordine equestre di s. Agata conferitagli dal governo della Repubblica di San Marino. Gli incarichi ricoperti come esperto giuridico in materia internazionale gli fecero conferire una decorazione egiziana, una giapponese e una tedesca (dell’Ordine al merito dell’aquila germanica, nel 1942). Fu presidente onorario della Corte dei conti e del Consiglio di Stato.
Morì a Roma il 18 aprile 1974.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Ministero di grazia e giustizia, Ufficio superiore generale e affari personali, Ufficio secondo, Magistrati, Fascicoli personali, bb. 949, f. 46018, 1020, f. 46258; Ministero dell’interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione di polizia politica, b. 1013, f. 51; Consiglio di Stato, Fascicoli personali, n. 691; Inventario del Fondo Mario Pannunzio, a cura di L. Devoti, Roma 2003, in Quaderni dell’Archivio storico della Camera dei deputati, n. 9, pp. 76-79; Firenze, Archivi storici dell’Unione Europea, Fondo Ernesto Rossi, b. 85.
G. Focardi, P., L., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia, biografie 1861-1948, a cura di G. Melis, II, Milano 2006, pp. 1591-1611 (cui si rinvia per l’elenco degli scritti di Piccardi); M. Cardia, L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo. Il Consiglio di Stato, Cagliari 2009, pp. 414-417; G. Focardi, P., L., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1572 s.