FREGOLI, Leopoldo
Nacque a Roma il 2 luglio 1867.
Il padre, Giovanni, che aveva sposato Maria Mancinelli, della famiglia del musicista Luigi, era originario di Siena; trasferitosi a Roma, fece il maggiordomo dei conti Pianciani, nel cui palazzo (ora Accademia di S. Luca) abitò con la famiglia; qui il F. trascorse gli anni della fanciullezza, perdendo la madre nella primissima infanzia. Il suo percorso scolastico fu lento e travagliato, al punto che a quattordici anni non aveva ancora ottenuto la licenza elementare.
Debuttò a quindici anni in una compagnia filodrammatica, intitolata a Pietro Cossa, interpretando la parte di un cameriere nella Signora delle camelie di A. Dumas figlio. Allo stesso tempo lavorò per poco presso un orologiaio, poi fece il cameriere nella trattoria aperta dal padre e quindi l'operaio meccanico; infine presentò domanda per entrare nelle ferrovie. Continuò, almeno nelle ore serali, l'attività di filodrammatico, che svolse soprattutto nel teatrino G.G. Belli. Iniziò a realizzare giuochi di prestigio e d'illusionismo con Virgilio e Romolo Crescenzi, coi quali instaurò un lungo sodalizio. Il secondo, per la sua rassomiglianza con il F., svolgerà poi il ruolo di sosia, aiutandolo efficacemente durante le innumerevoli performances. Il F. aveva una bella voce e anche talento di prestigiatore e si esibì con V. Crescenzi nel duo Fratelli Dewemport e come baritono nel Campanello dello speziale di G. Donizetti al piccolo teatro Rossini. Qui rivelò per la prima volta grandi doti potenziali di trasformista, aggiungendo una scena finale in cui sosteneva alternativamente la parte di un uomo e quella di una donna. Nel 1887 iniziò il servizio militare a Bologna; chiese di andare come volontario in Africa, dove giunse nel 1889. Fu qui incaricato dal generale A. Baldissera di allestire alcuni spettacoli organizzati dal circolo ufficiali di Massaua.
Dati gli scarsi mezzi a disposizione, la presenza di pochi attori dilettanti e l'ovvia assenza di attrici, il F. acquisì una notevole esperienza nel sostenere da solo il peso degli spettacoli, arricchendoli con i giuochi di prestigio, le macchiette, le canzonette, i travestimenti in vesti femminili. Ebbe l'idea di interpretare da solo una breve scena tratta dal monologo di E. Novelli Condensiamo? e, con veloci cambiamenti di costume, sostenne le quattro parti di Lui, Lei, l'Altro e il Servo. Con questa performance iniziò la carriera di attore-trasformista.
Nel 1890 il F. tornò a Roma, dotato già di un repertorio che spaziava dalla canzonetta alla commediola, dallo scherzo caricaturale al giuoco di prestigio, dall'imitazione all'esercitazione acrobatica. Era ormai capace di ricoprire un gran numero di ruoli, di parlare e cantare con cinque voci diverse, di scrivere da sé i copioni delle riviste, interpretabili, come Fregolineide, da un solo attore. Debuttò al caffè-concerto Esedra in un numero di trasformismo a due personaggi, Le educande di Sorrento, in cui era camuffato davanti da educanda e dietro, tramite una maschera mobile, da dragone. Dall'Esedra passò all'Eden e alla birreria Italia; nel 1893, su proposta di N. Cruciani, costituì la Compagnia internazionale di varietà, poi la Compagnia fin di secolo, con cui girò l'Italia. Dato l'esorbitante costo delle compagnie il F. fu costretto a scioglierle e riprese ad accettare le offerte dei caffè-concerto, come il caffè Romano di piazza Castello a Torino, o la birreria Monaco e l'Eden di Livorno.
Cantava canzonette, era il più versatile degli artisti di music-hall, faceva parodie, raggiungendo col Camaleonte il culmine della sua arte. Il repertorio si andava ampliando e arricchendo con L'ape, Gran via, L'arrivo del professor Sambajon. Nel 1894 l'impresario L.L. Paradossi gli organizzò la prima tournée in Spagna, dove non ebbe molta fortuna, né coi suoi numeri di trasformista, né, in una successiva tournée, con la compagnia da lui scritturata per l'operetta Eden-Concerto (libretto del F., musica di U. Jacopetti).
Nelle stagioni 1895 e 1896 ebbe come nuovo impresario T. Montelatici, che lo spinse a varcare l'oceano e a esibirsi in Sudamerica e in Nordamerica, dove vide la luce (parole del F.) "stravaganza per tutti i gusti in 3 quadri e molti personaggi": Eldorado, "azione-comico-mimico-lirico-drammatico-musicale con circa 60 trasformazioni". Eldorado venne più tardi ampliato in Paris-concert. A Buenos Aires, presso il teatro San Martín, il F. realizzò la sua versione di Histoire d'un Pierrot (libretto di Beissier, musica di M. Costa).
Nel 1895, trovandosi al teatro Celestin di Lione, incontrò L. Lumière, al quale chiese di poter frequentare per qualche giorno l'officina dove si preparavano i primi saggi cinematografici. Il F., entusiasta della nuova tecnica espressiva, chiese ai fratelli Lumière il permesso di proiettare le loro pellicole al termine dei suoi spettacoli. I due glielo concessero, donandogli anche un apparecchio di proiezione e il diritto di esclusiva di un notevole gruppo di brevissimi film. Fu così che il F. pensò di realizzarne in proprio, riproducendo alcune scene comiche delle quali era l'unico interprete; di essi vanno ricordati: Fregoli al caffè, Fregoli al ristorante, Un viaggio di Fregoli, Il segreto di Fregoli, Una burla di Fregoli, Il sogno di Fregoli, Fregoli dietro alle quinte, nelle quali svela i segreti del suo trasformismo. Arrivò a proiettare pellicole della lunghezza di 50 metri. Il primo lungometraggio fu Impressioni di Ermete Novelli, il secondo film fu Fregoli illusionista.
In breve il F. mise insieme una notevole raccolta di pellicole che chiudevano brillantemente le rappresentazioni e che venivano proiettate sopra uno schermo da lui stesso costruito, di m 4 x 3, con una sfavillante cornice adorna di lampadine colorate, e che volle chiamare Fregoligraph. Alcune copie di suoi film sono conservate nella Cineteca nazionale di Roma.
Dal 1896 al 1898 apparve sulle scene dei principali teatri americani ed europei: nel '96 fu all'Olympia di New York, chiamatovi da O. Hammerstein, poi all'Alhambra di Londra, quindi a Pietroburgo, a Berlino, a Vienna. Il 18 dic. 1897 aveva debuttato al Valle di Roma, passando poi al Costanzi, dove, dopo poche repliche, sostenne da solo l'intero spettacolo. Fu un trionfo. Il F. ormai veniva chiamato da tutti i più importanti teatri italiani.
Alle sue prime assistevano personalità del teatro e della cultura: A. Ristori, G. D'Annunzio, E. Boutet, E. Duse, che lo chiamava "il mio divertentissimo amico Fregoli". Era divenuto uno dei beniamini del pubblico romano.
L'ascesa del F. come artista internazionale toccò il suo apice, il 19 genn. 1900, al Trianon di Parigi. Il pubblico applaudì il Paris-concert, Dorotea e Crispino, parodia del melodramma ottocentesco. E poi ancora Una notte d'amore, avventura comico-musicale con una spigliata etera, Zazà. Infine Relampago o Il cameriere lampo, la più veloce e anche la più faticosa delle sue trasformazioni. Nel 1901 il F. fu di nuovo in Spagna, nel 1902 e nel 1903 si esibì in Italia, nel 1904 e nel 1905 si trovava ancora a Parigi. Qui tornò nel 1910, offrendo due nuovi numeri, rimasti fra i più famosi: Fregolineide e Le théâtre à l'envers. Nel 1914 e nel '15 si recò di nuovo in Sudamerica. Con l'entrata in guerra dell'Italia, dopo una breve sosta a Parigi nel 1916, il F. tornò in patria per una serie di spettacoli nei teatrini militari prossimi al fronte. Alla fine del conflitto continuò a girare con la sua compagnia in Italia, poi, nel 1922, nell'Africa settentrionale e in Spagna.
Travolto dalla bancarotta a causa dell'opera insipiente dell'amico V. Crescenzi, suo amministratore, vendette ogni bene e nel 1924 iniziò l'ultima tournée nel Sudamerica. Dopo circa 10.000 spettacoli in ogni parte del mondo, decise di abbandonare le scene, quando godeva ancora di popolarità vastissima e del favore del pubblico. Apparve alla ribalta per l'ultima volta ai primi di febbraio 1925, in un teatro di Niteroi in Brasile. Tornato in Italia, si rifugiò in una villetta di Viareggio ove morì il 26 nov. 1936, non senza aver dettato il suo epitaffio: "Qui Leopoldo Fregoli compì l'ultima sua trasformazione".
Per i lavori a stampa del F. si veda: Argomenti dei lavori che formano il repertorio di assoluta invenzione, composizione e proprietà del cav. L. Fregoli, Firenze 1899; Salamina. Parodia di varie opere, Roma 1913; Paris-concert, album di scenari e interpretazioni, s.n.t.
Il F., con il suo velocissimo camaleontismo scenico, da cui il termine "fregolismo", fu un comico irresistibile, ma fu anche un mimo perfetto, un imitatore efficace, un macchiettista divertentissimo, un cantante dall'estensione vocale non comune, capace di sostenere cinque voci. Rendeva ogni tipo e personaggio in modo organico e credibile, con una sicura tecnica di precisione e controllo dei gesti, delle azioni, della voce, della fisiognomica: servi, piccolo borghesi, dame, sciantose, cocottes, artigiani, maschere legate alla tradizione romanesca, ecc., divenivano con lui veri personaggi da palcoscenico. Nei termini dell'attuale antropologia teatrale il F. aveva intuito come l'unità espressiva del suo lavoro derivasse dall'unità del corpo-mente. Anche le più sintetiche macchiette erano perfette per la loro compiutezza e non solo per la rapidità con cui si susseguivano; trovate comiche e tocchi realistici le rendevano personaggi a tutto tondo.
La tecnica trasformistica del F. poggiava sulla perfetta organizzazione dei suoi cinque-sei collaboratori, che l'aiutavano fuori scena nel cambiamento di trucco, di costume e di maschera (va ricordato che l'attore si affidava anche ad artisti importanti per la creazione delle maschere, come L. Bistolfi, autore, ad esempio, di quelle usate in Pipelet). Si serviva anche di manichini, come in Do-re-mi-fa o Una lezione di musica. Per alleggerire la fatica talvolta ricorreva alla trasformazione di mezzo busto, rappresentando "teste" di personaggi della famiglia reale e di uomini politici, compreso Mussolini. Molti furono gli imitatori del suo tempo, da F. Miris a E. Arcelli ed E. Gianelli, ma nessuno raggiunse la sua arte così nuova, sorprendente, basata su continui colpi di scena e su azioni frenetiche.
R. Simoni vide nell'"ordine pacato" il segreto della sua rapidità e ravvisò nel suo cangiante e metamorfico susseguirsi di figure una sorta di "prepirandellismo formale". "Molteplicità nell'uno" fu una delle formule usate da S. D'Amico per spiegare l'arte del F.; apprezzò l'intrinseca drammaticità di molte sue scene, basate su veri e propri contrasti; vide nella rapida continuità la "illusione della contemporaneità"; definì di secondo grado la comicità del F. identificandola nella dimensione della parodia. Nel F. si rinnovava così il favoloso "prodigio dell'antico pantomimo romano". "Arte di smontare il sublime" è definizione più recente, coniata da M. Verdone per caratterizzare il lavoro del F., tipico dei poeti, dei mimi e degli attori romani. Sul finire degli anni '80 due studiosi, Franca Angelini e G. Livio, hanno portato ulteriori contributi critici. L'Angelini ha messo a fuoco i rapporti col futurismo da un lato, e dall'altro colla prassi e la cultura del teatro di prosa borghese, per cui il F., nel perseguire un teatro d'attore, quale quello di varietà, si è riferito all'avanguardia per conquistare proprio pubblico e critica borghesi. "Il passaggio dalla drammaturgia popolare meridionale al varietà novecentesco" avviene con il F., che accentua una caratteristica dei comici dell'arte: trasformarsi in molteplici forme grazie al suo "corpo dinamico". Per G. Livio il F. anticipa di molto "quel sentimento della dissoluzione della personalità" che sarà proprio del pirandellismo. E ciò anche perché il F., estraneo al rispetto del testo e alla tirannia del regista tipici del teatro di prosa, liberamente ricorre alle sue capacità di creazione continua e di rinnovamento recitativo, nella mescolanza parodica dei generi teatrali.
Fonti e Bibl.: F. Liberati, L. F., in Giornale d'Italia, 21 ag. 1929; R. Simoni, Teatro di ieri, Milano 1938, pp. 175-181; S. D'Amico, Bocca della verità, Brescia 1943, pp. 173-189; R. De Angelis, Storia del café-chantant, Milano 1946, pp. 73 s.; V. Ottolenghi, in Enc. dello spettacolo, V, Roma 1958, coll. 700-703; M. Dell'Arco, Café-chantant di Roma, Milano 1970, pp. 17-22; G. Livio, La scena italiana…, Milano 1986, pp. 151 ss.; F. Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Roma-Bari 1988, pp. 47 s., 94-97; M. Verdone, Feste e spettacoli a Roma, Roma 1993, pp. 219-239.