DE FEIS, Leopoldo
Nacque ad Anzi (Potenza) il 28 genn. 1844, da Domenico e Celestina Bellettieris, agiati possidenti. Il D. rimase nel suo paese natale fino a sedici anni, manifestando, in più occasioni, i primi segni della vocazione che lo doveva portare al sacerdozio. Nel 1859 si recò a Napoli, dove venne accolto dai barnabiti nel noviziato di S. Felice; qui, il 15 ag. 1860, ebbe luogo la sua vestizione solenne, in occasione della quale aggiunse al proprio nome quello di Maria; l'anno seguente. l'8 settembre, professò i voti semplici. A Napoli seguì gli insegnamenti di filosofia scolastica e di teologia e poi, quando nel 1866, esonerato dall'obbligo del servizio militare, poté trasferirsi a Roma, continuò in questa città ad approfondire le sue conoscenze in materia teologica. Il 25 marzo 1867 il D. pronunciò i voti solenni e l'anno seguente. in autunno, fu ordinato sacerdote a Napoli. Pochi giorni dopo raggiunse il collegio Alla Querce di Firenze, cui era stato destinato. Qui per quindici anni alternò la sua attività di insegnante a quella di studioso, che sicuramente gli era la più congeniale.
In particolare negli anni tra il 1872 e il 1876 si dedicò alla composizione di liriche in latino, pubblicate, per lo più a cura dello stesso collegio. Dal 1878 la direzione della Querce ritenne opportuno pensare alla formazione di laboratori scientifici e umanistici per i propri studenti: il D. fu incaricato di sistemare una collezione archeologica e un medagliere. Questo compito gli diede l'opportunità di riavvicingrsi al mondo classico a cui era sicuramente stato introdotto dal padre, appassionato conoscitore dei monumenti archeologici della sua terra; da questo momento quindi iniziò per il D. un lungo periodo durante il quale egli pubblicò molte note, per lo più piuttosto brevi, a volte sotto forma di lettera o relazione a qualche personalità, su svariati argomenti dell'antiquaria.
Dopo una breve parentesi al R. collegio Carlo Alberto di Moncalieri, egli ebbe finalmente modo di trascorrere alcuni anni a Roma. Qui entrò in contatto con i maggiori studiosi dell'antichità che all'epoca vivevano nella capitale, tra cui soprattutto Th. Mommsen e G. B. De Rossi; la conoscenza con tali personaggi dovette essere fondamentale per lo sviluppo del D. archeologo, o meglio antiquario; sono infatti di questo periodo numerose opere di argomento epigrafico e numismatico. Sempre durante il suo soggiorno romano, nel 1885, fu accolto tra i membri del Collegium cultorum martyrum e, all'interno del suo Ordine, venne nominato vicario dei preposto, carica che egli mantenne anche dopo il suo rientro a Firenze, al collegio Alla Querce, dove fu richiamato come insegnante di latino nel liceo. Grazie anche all'interessamento di G. B. De Rossi, il D. ottenne ancora un soggiorno a Roma nel biennio 1896-97, e fu vicario e maestro nel collegio di S. Antonio M. Zaccaria. Durante la sua seconda permanenza romana egli fu accolto tra i membri della Pontificia Accademia romana di archeologia (1897), della Società di studi biblici (1897) e tra quelli corrispondenti della Società storica volsiniese (1897). Dal 1899 fu anche socio urbano della Società Colombaria di Firenze che, sentendo in lui lo spirito del catalogatore e dell'antiquario, gli affidò il riordinamento delle monete e dei sigilli della propria collezione; ma il D. non poté portare a compimento tale incarico a causa della malattia che lo costrinse a moderare la propria attività lavorativa. Nello stesso anno, il 1899, fu a Roma, al XII congresso degli orientalisti; dopo quest'ultima breve parentesi rimase sempre a Firenze al collegio Alla Querce, dove, fino al 1905, continuò ad insegnare latino nel liceo, non tralasciando però la sua attività di studioso e senza interrompere i contatti con gli antichisti conosciuti durante gli anni precedenti. Quando la sua salute cominciò a vacillare, ed egli dovette abbandonare l'insegnamento divenuto per lui troppo faticoso, poté dedicarsi interamente allo studio. Sono di questi anni infatti le sue opere più originali; La S. Casa di Nazareth ed il santuario di Loreto (Firenze 1905) è la sua opera più discussa: egli dimostra che alcuni viaggiatori, i cui racconti sono riportati in itinerari del XIV e del XV secolo, avevano visto, o almeno così dicevano, la casa della Madonna in Palestina, come se non fosse stata trasportata a Loreto nel 1294; l'aver supposto l'inattendibilità del miracolo di Loreto gli attirò molte critiche (cfr. Boffito, I, pp. 590 s.), soprattutto all'interno degli Ordini religiosi; dopo breve tempo il D. decise di non rispondere alle polemiche, lasciando al magistero della Chiesa il compito di dirimere la controversia. Sempre dello stesso anno è lo studio La fillossera della vite nell'antichità e l'ampelite antifillosserica (Firenze 1905), in cui egli, sulla base di notizie ricavate da Strabone, cerca di dimostrare che un rimedio efficace, se non sempre infallibile, contro questa malattia della vite, è lo asfalto in polvere. Nel 1906 fu nominato direttore spirituale del convitto e poi anche del semiconvitto. Nel marzo del 1908 cominciò a manifestare i primi segni della malattia che doveva costringerlo ad abbandonare tutte le sue attività lavorative. Trascorse quindi un anno tra una villa di proprietà del collegio all'Ardenza e Roma, dove era stato richiamato dai superiori; la vita tranquilla di questo lungo periodo lo portò ad un miglioramento reso vano però dal suo ritorno a Firenze; da qui fu trasportato, nel giugno del 1909 al sanatorio Principe Umberto presso Livorno, dove morì il 5 ottobre dello stesso anno.
Bibl.: Necrol. in Atti della Società Colombaria di Firenze, V (1909-1910), pp. 247 s.; in Riv. stor. critica di scienze teolog., VI (1910), pp. 78 86; G. Mantica, Il p. L. D.: cenni biogr. e bibliografici, Firenze 1909; G. Boffito, Scrittori barnabiti, I,Firenze 1933, pp. 585-594 (con bibl. completa delle opere).