REPACI, Leonida
RÉPACI, Leonida. – Nacque a Palmi (Reggio Calabria), ultimo di dieci figli, il 5 aprile 1898 da Antonino, imprenditore edile, e da Maria Parisi. A circa un anno rimase orfano del padre ed ebbe un’infanzia poverissima; all’indomani del terremoto calabro-siculo del 1908, insieme a un fratello e a due sorelle fu mandato a Torino presso il fratello Francesco, avvocato.
A Torino, completò gli studi liceali e, iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, interruppe i corsi universitari per partecipare alla prima guerra mondiale come tenente nel corpo degli Alpini. Ferito sul Grappa, a Malga Pez, fu congedato con il grado di capitano e con una medaglia al valore. Si laureò nel 1919; nello stesso anno, dal 18 al 27 settembre, perse di febbre spagnola una sorella e due fratelli. La loro scomparsa gli ispirò i versi della silloge Il ribelle e l’Antigone (Palmi 1919) poi riveduti e, con il titolo La Raffica, accorpati ai Poemi della solitudine (Palmi 1920).
Influenzato dalle idee politiche del fratello Francesco, abbracciò gli ideali del socialismo, consolidati, nella Torino del primo dopoguerra, grazie alla vicinanza con Piero Gobetti e soprattutto con Antonio Gramsci nella redazione dell’Ordine nuovo, rivista sulla quale Répaci firmava, con lo pseudonimo Gamelin, articoli di intervento e di critica letteraria. Nel 1921, dopo il XVII Congresso socialista di Livorno, seguì Gramsci nel Partito comunista d’Italia (PCd’I) e si trasferì a Milano dove iniziò la professione forense e assunse la difesa di Federico Ustori, uno degli anarchici accusati della strage conseguente all’attentato dinamitardo al teatro Diana. Abbandonò subito dopo la toga con una netta scelta di campo per la letteratura.
Esordì con il romanzo L’ultimo cireneo (Milano 1923), con cui, nel clima di fermento politico e sociale conseguente alla recente marcia su Roma, e mentre era in atto il processo di strutturazione dello Stato in direzione autoritaria, prese le distanze dalla retorica nazionalista narrando la vicenda di Mario Antonelli, avvocato, fervente socialista, ridotto all’impotenza sessuale a causa di una ferita di guerra, e drammaticamente consapevole dell’inutilità del suo sacrificio. Il romanzo ebbe numerose edizioni, ma quella del 1934 fu sequestrata dalla censura fascista su segnalazione del padre gesuita Pietro Tacchi Venturi.
A Milano continuò l’attività giornalistica con L’Ordine nuovo e iniziò quella con L’Unità su cui tenne, fin dal primo numero, la critica letteraria, teatrale e musicale. Nel 1929 prese a collaborare alla Fiera letteraria su cui pubblicò novelle e racconti; nello stesso anno sposò Albertina Antonielli, di Firenze, e fondò con Carlo Salsa e Alberto Colantuoni, il premio letterario Viareggio. Lavorò anche per La Stampa e, quale inviato speciale della Gazzetta del popolo di Torino, nel 1932 compì per mare il giro del Mediterraneo e nel 1935 il giro del mondo. Le corrispondenze del primo viaggio, Con la ciurma dell’Alessandro (Milano 1933) e quelle del secondo, Giro del mondo di ieri (Milano 1948), confluirono poi nell’omnibus Giramondo (Milano 1960). Dal 1937 al 1940 scrisse di critica teatrale sull’Illustrazione italiana.
L’attività giornalistica lo rese noto al grande pubblico e gli consentì di stabilire amicizie importanti nel mondo dell’arte e della cultura milanese e con il variegato gruppo di intellettuali che si riunivano nella trattoria di via Bagutta e che orbitavano attorno a Riccardo Bacchelli.
Non mascherò la sua avversità al fascismo. Il suo temperamento esuberante e il suo carattere combattivo lo fecero più volte imprudente: alcuni episodi – come il duello con Galeazzo Ciano a San Siro; la partecipazione, quale padrino, in quello tra il direttore dell’Unità Ottavio Pastore e Curzio Malaparte; o ancora quella, assieme a Pietro Nenni, al duello tra Roberto Farinacci e Cecchino Buffoni, direttore dell’Avanti! e, infine, la candidatura nelle liste del PCd’I alle elezioni parlamentari del 6 aprile 1924 – lo esposero all’attenzione del regime.
Nel mese di giugno 1925, il suo esordio al teatro Manzoni di Milano con il dramma La madre incatenata fu disturbato dalle intemperanze di un gruppo di squadristi. Due mesi più tardi, il 30 agosto, a Palmi, dove si trovava in vacanza, venne arrestato, a seguito di una rissa tra opposte fazioni politiche, conclusasi con la morte di un giovane fascista. Imputato, con altre persone in odore di sovversivismo, di concorso in omicidio e di gravi reati contro lo Stato, dopo sette mesi di carcere, fu assolto nella fase istruttoria del processo, per non raggiunta prova di colpevolezza. Altri coimputati furono rinviati a giudizio del Tribunale speciale. Tornò a Milano nell’aprile del 1926 e scrisse alla direzione del Partito comunista, dichiarando il proposito di abbandonare la politica attiva e di continuare la battaglia di idee solo sul piano artistico e letterario. Questa decisione avvalorò le voci di una scarcerazione ottenuta per intervento di alte autorità del regime e, considerata come il prezzo da pagare per quel beneficio, fu fatta oggetto, sulle pagine dell’Unità, di sprezzanti redazionali carichi di feroce sarcasmo. All’uscita dell’edizione critica dei Quaderni di Gramsci (Torino 1975), Répaci apprese, con doloroso stupore, che il leader sardo, l’amico e «maestro» (L. Répaci, Ricordo di Gramsci, 1948, p. 17) degli anni torinesi, aveva annotato su di lui, uomo e scrittore, giudizi estremamente denigratori.
Le raccolte di racconti All’insegna del Gabbamondo (Milano 1928) e Cacciadiavoli (Milano 1929) precedettero, in successione ravvicinata, il romanzo La carne inquieta (Milano 1930; Stoccolma 1947).
Ambientato a Palmi (risentitamente chiamata Gralimi, ‘lacrime’, dopo la disavventura della carcerazione), narra di un amore contrastato per pregiudizi sociali, della persecuzione dei due giovani protagonisti e della rovina di entrambi. La narrazione, in cui si avvertono forti suggestioni manzoniane, non è immune da connotazioni tipiche del romanzo d’appendice e risente di quel primitivismo d’ispirazione byroniana che contrassegna una parte significativa della letteratura calabrese dell’Ottocento.
Répaci fu scrittore torrenziale e poco attento al labor limae, sicché spesso, per la furia del dire, produsse un abnorme accumulo di elementi del tutto inutili allo sviluppo narrativo. Ciò è riscontrabile anche nella Storia dei fratelli Rupe, a cui lo scrittore lavorò dal 1932 al 1973 costruendo un vastissimo quadro degli eventi storici nazionali europei e mondiali del Novecento.
In tale contesto l’autore intrecciò fatti di carattere internazionale e di portata epocale con episodi minimi della provincia calabrese e di Palmi (Sarmura, ovvero ‘acqua salata’), dando risalto alle vicende personali della propria famiglia e a quelle della comunità cittadina. L’opera è connotata da forte realismo e la sua vastità trova riscontro soltanto nella grande tradizione europea del romanzo ottocentesco; tuttavia presenta discontinuità nel ritmo narrativo e a pagine stilisticamente pregevoli seguono, talvolta, cadute repentine e stucchevoli enfatizzazioni. L’intero ciclo consta di quattro volumi: il primo, Principio di secolo (Milano 1969; presentazione di G. Ravegnani), è un omnibus che comprende tre romanzi: I fratelli Rupe (Milano 1932; Parigi 1938), cui fu assegnato il premio Bagutta 1932; Potenza dei fratelli Rupe (Milano 1934; Parigi 1938); Passione dei fratelli Rupe (Milano 1937; Parigi 1938); segue Tra guerra e rivoluzione (Milano 1969; presentazione di F. Flora); quindi Sotto la dittatura (Milano 1971; presentazione di G. Pampaloni); e infine La terra può finire (Milano 1973; presentazione di F. Antonicelli).
Répaci coniugò in un rapporto organico il lavoro intellettuale e l’impegno politico. Dopo il suo trasferimento a Roma, nei primi anni Quaranta, prese parte alla Resistenza e, nel mese di giugno del 1944, fondò e diresse con Renato Angiolillo il quotidiano Il Tempo. La linea moderata di Angiolillo lo indusse a lasciare la condirezione e, nel gennaio del 1945, fondò L’Epoca, giornale d’ispirazione socialista cui diede, in contrasto con la linea del partito, una forte impronta libertaria e autonomista. Dopo la scissione di palazzo Barberini, nel gennaio del 1947 seguì Giuseppe Saragat nel Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) e assunse, con Virgilio Dagnino e Giuseppe Faravelli, la direzione dell’Umanità di Milano ma, ancora una volta, per dissensi sulla linea politica, fu invitato a dimettersi. Nello stesso anno partecipò al primo Congresso degli intellettuali di tutto il mondo che si tenne a Breslavia; quindi, riprese la guida del premio Viareggio, dalla cui presidenza era stato estromesso dalle autorità fasciste nel 1931, e premiò le Lettere dal carcere (Torino 1947) di Gramsci. Alle elezioni del 18 aprile 1948, fu candidato al Senato nelle liste del Fronte popolare nel collegio di Palmi, ma non venne eletto. Continuò nel suo impegno di organizzatore culturale; nel 1949, a Cosenza, fondò il premio Sila e, con Mario Socrate e Franco Antonicelli, organizzò lo storico convegno La Resistenza e la cultura italiana che si svolse al Palazzo Ducale di Venezia dal 22 al 24 aprile 1950.
Fu membro del Consiglio mondiale della pace e componente della giuria internazionale per i Premi della pace; nel 1955, a Helsinki, al Congresso mondiale, presiedette la Commissione culturale delle forze pacifiste.
Nel contempo portò avanti il suo impegno di scrittore con una produzione innervata su tematiche sessuali ed erotiche. Rifiutò l’idea del sesso finalizzato esclusivamente a fini riproduttivi e, contro il costume sociale e l’etica sessuofobica, elevò il principio del piacere a elemento irrinunciabile nella vita dell’uomo e della donna, facendolo assurgere anche a espressione di autentica libertà politica.
Questa concezione, già presente nell’Ultimo cireneo e nella Carne inquieta, è dominante nei successivi romanzi: Il deserto del sesso (Milano 1957, 1959, 1962; poi con prefazione di R. Minore, Soveria Mannelli 2001) per il quale, nel 1957, fu processato e assolto dall’imputazione di scritti osceni; Il pazzo del casamento (Milano 1958, 1963; poi con prefazione di R. Nigro, Soveria Mannelli 2001); Amore senza paura (Milano 1963; poi con prefazione di G. Barberi Squarotti, Soveria Mannelli 2001); Lanterne rosse a Montevenere (Napoli 1974) e Un riccone torna alla terra (Milano 1954; Parigi 1957; poi con prefazione di G. Debenedetti, Milano 1973; infine con prefazione di W. Pedullà, Soveria Mannelli 2002) in cui riuscì a coniugare, in una contenuta misura narrativa, il meglio della sua capacità inventiva con una prosa agile e brillante; per quest’opera, nel 1956, gli venne assegnato il premio Crotone.
La produzione narrativa fu inframmezzata da opere in versi e da saggi, alcuni dei quali riguardanti la Calabria che non uscì mai dall’orizzonte sentimentale e politico di Répaci.
Negli ultimi anni di vita si dedicò alla pittura prediligendo tematiche erotiche. Morì a Marina di Pietrasanta il 19 luglio 1985. Alcuni anni prima della scomparsa, donò alla città natale i suoi libri, parte della sua pinacoteca con opere di artisti contemporanei, oggi fruibili presso la Casa della Cultura di Palmi intestata allo stesso Répaci, e la sua Villa Pietrosa che, egli vivente, fu continua meta di editori, scrittori e intellettuali.
Opere. Racconti: All’insegna del gabbamondo, Milano 1928; Racconti della mia Calabria, Torino 1931, Milano 1941; Galoppata nel sole, Milano 1933; La tenda rossa, Milano 1954, e Un filo che si svolge in trent’anni, Milano 1954, [antologie dalle precedenti raccolte]. Romanzi: Amore e morte, Milano 1959 [omnibus comprendente L’Ultimo cireneo e La carne inquieta]; Magia del fiume, Milano 1965, a cura di G. Montesanto, Soveria Mannelli 2001; Il caso Amari, Milano 1966, a cura di P. Toscano, Soveria Mannelli 2004. Cronache teatrali: Ribalte a lumi spenti, Milano 1938, 1941, 1943, tre volumi poi accorpati, unitamente alle critiche apparse a partire dal 1948 su Paese Sera e Vie Nuove, in Teatro d’ogni tempo, Milano 1967 (a cura di L. Lucignani, Soveria Mannelli 2002). Opere teatrali: Teatro, Roma 1949; Omaggio al teatro, Milano 1958, a cura di G. Rugarli, Soveria Mannelli 2003. Cronache d’arte: Galleria. Taccuino artistico degli anni di guerra 1941-1942-1943, Milano 1948, a cura di U. Attardi, Soveria Mannelli 2001. Saggi: Taccuino segreto, [1938-1939] Milano 1940, 1941, 1945; [1938-1950] Lucca 1967; Ricordo di Gramsci, Roma 1948; Socialismo sognato, Roma 1948; Taccuino politico, Milano 1950, a cura di G. Vassalli, Soveria Mannelli 2001; Peccati e virtù delle donne, Milano 1950; Francesco Cilea, Palmi 1953, Cosenza, 1964, a cura di S. Salerno, Soveria Mannelli 2000; Compagni di strada, Roma 1960; Il Sud su un binario morto, Cosenza 1963, a cura di G. Caridi, Soveria Mannelli 2000; Calabria grande e amara, Milano 1964, a cura di L.M. Lombardi Satriani, Soveria Mannelli 2002 e 2011; Narratori di Calabria, Milano 1969 [antologia, con A. Altomonte]. Opere in versi: Il prezzo del fascismo, Roma 1971; Poemetti civili, Siracusa 1973; La parola attiva, Milano 1975; Mamma Leonessa, Roma 1984; La Pietrosa racconta, Soveria Mannelli 1984; Ogni volta, Cosenza 1986 [postumo].
Fonti e Bibl.: G. Ravegnani, L. R., in Uomini visti, Milano 1955, I, II parte, pp. 300-311; R. controluce. Antologia e critica, a cura di G. Ravegnani, Milano 1963; R. 70 e la cultura italiana, a cura di E.F. Accrocca, I-II, Roma 1968; S. Giannattasio, R. pittore, Roma 1974; A. Altomonte, L. R., Firenze 1976; Omaggio a L. R., numero monografico di Calabria Libri, nn. 13-16, gennaio-dicembre 1985; A. Orlando, Il socialismo sognato di L. R., Ragusa 1994; S. Salerno, A L. R. Dediche dal ’900, Soveria Mannelli 2003; L. R. Una lunga vita nel secolo breve, a cura di S. Salerno, Soveria Mannelli 2008; Sonavan le quiete stanze, a cura di S. Salerno, Soveria Mannelli 2009.