BISSOLATI BERGAMASCHI, Leonida
Uomo politico, nato a Cremona il 20 febbraio 1857, morto a Roma il 6 marzo 1920. Sua madre, Paolina Caccialupi, donna di vasta cultura, era stata traduttrice d'uno scritto del Bakunin su Dio e lo stato; e suo padre, Stefano, aveva in gioventù vestito l'abito talare, che aveva dimesso, sdegnato dalle persecuzioni politiche per i suoi sensi liberali, giustificando poi quel suo atto nel volumetto pubblicato col titolo Esposizione di una coscienza. Compiti a Cremona gli studî classici, il B. frequentò i corsi di legge all'università di Bologna, appassionandosi pure agli studî letterarî, dei quali diede saggi appena diciottenne, meritandosi le lodi del Carducci. In gioventù militò nelle file repubblicane, sia pure non seguendo gl'ideali mazziniani, che gli sembravano tramontati di fronte a problemi d'indole sociale, che già d'allora tormentavano la sua mente, imbevuta di quel materialismo storico che aveva preparato la lotta di classe. Il B. fu infatti già dal 1891 tra i più attivi collaboratori della Critica sociale, nella quale polemizzò con L. Luzzatti, e fu infaticabile propagandista delle idee socialiste fra i contadini del Cremonese e del Mantovano. Presentatosi candidato nelle elezioni politiche del 1895, riescì eletto nel collegio di Pescarolo con una maggioranza di venti voti, i quali però gli furono attribuiti per errore, che il B., dichiarando di non accettare il mandato conferitogli, dichiarò doversi correggere. L'anno dopo, fondato l'Avanti! (25 dicembre), fu chiamato a dirigerlo; e nel programma di quel periodico egli audacemente scrisse di aver preso "posto di combattimento nella capitale della borghesia, per spiare più dappresso le mosse del nemico, sorprenderne i segni di dissolvimento e affrettarlo colla critica e colle battaglie quotidiane". Nel marzo del 1897 il B. entrava in parlamento, insieme con altri quattordici socialisti, proprio quando fermentavano in Italia le prime agitazioni per gli aumenti dei salarî e per i regolamenti di lavoro, culminate nei tumulti di Milano del maggio 1898. Il B., che era accorso colà alle prime notizie dei moti, fu arrestato (9 maggio); ma avendo la Camera negato per lui l'autorizzazione a procedere (9 luglio), fu liberato. Negli anni successivi il B. continuò indefessamente le sue lotte per il trionfo del socialismo, che, per suo impulso, era oramai diventato specialmente un partito politico. Tentò infatti d'innestare le organizzazioni proletarie nel tessuto dello stato nazionale, orientandole nel senso che esse dovessero a un momento dato partecipare al governo, quanto ai riguardi della politica interna; e in quelli della politica estera, intese che la difesa degl'interessi nazionali armonizzasse con la solidarietà internazionale. Ebbe pertanto accaniti oppositori nel partito socialista, che fin d'allora (1902-1903) si divise in due tendenze: la prima, della quale il B. fu il capo, detta dei riformisti, l'altra dei rivoluzionarî. Durante le lotte tra queste due opposte tendenze, che si accentuarono specialmente nei congressi annuali del partito, si svolsero due grandi avvenimenti storici, la guerra di Libia e il grande conflitto mondiale, i quali finirono di sconvolgere profondamente la compagine socialista. Al primo il B., che aveva dichiarato che "non si è mai tanto internazionalisti da dimenticare l'ambiente nazionale in cui si vive", non fu avverso, sia pure assumendo un contegno riservato, poiché in un discorso tenuto alla Camera il 23 febbraio 1912 egli disse che se il governo aveva deciso la spedizione di Libia, era perché "aveva creduto di trovarsi di fronte a una necessità politica imperiosa e imprescindibile: il pericolo che un'altra potenza si apprestasse ad occupare le due provincie africane"; quindi concludeva che "in nessun caso questo evento avrebbe potuto essere sopportato pacificamente dall'Italia". Questo suo atteggiamento, e altri due fatti occorsi in quei mesi, di avere egli avuto un colloquio col sovrano durante la formazione d'un ministero Giolitti, e di essersi unito alla massa dei deputati andati dal re per felicitarlo dello scampato pericolo, subito dopo il tentato regicidio del D'Alba, procurarono al B. l'espulsione dal partito socialista, avvenuta nel congresso di Reggio del luglio 1912. Ma dove la figura del B. emerse in tutta la sua armonica complessità fu al tempo del grande conflitto europeo, quando egli fu nelle prime file del movimento per la neutralità dapprima, per l'intervento dell'Italia dipoi.
In prima linea allo scoppiare delle ostilità, fu gravemente ferito il 21 luglio 1915 al Montenero. Obbligato dalla situazione politica ad entrare nel gabinetto Boselli, come ministro senza portafoglio (30 ottobre 1916), quindi in quello Orlando come ministro per l'assistenza militare e per le pensioni (1° novembre 1917), si dedicò alle relazioni tra il Comando supremo e il governo centrale, alla resistenza sul fronte e nel paese per assicurare l'appoggio dell'Italia alle aspirazioni nazionali di tutti i popoli soggetti agl'imperi centrali. Dopo Vittorio Veneto, reputando le tendenze della maggioranza del gabinetto Orlando in contrasto con i principî dell'interventismo socialista, il 31 dicembre 1918 uscì dal governo, fissando in "un atto di fede e di dovere" i punti fondamentali del suo dissenso, vertenti soprattutto sulle rivendicazioni italiane nell'Adriatico.
Gli scritti politici del B. furono raccolti da F. Rubbiani (Il pensiero politico di L.B., Firenze 1921) e da altri (La politica estera dell'Italia dal 1897 al 1920, scritti e discorsi di L.B., Milano 1923); gli scritti letterarî da A. Ghisleri e A. Groppali (Milano 1921).
Bibl.: I. Bonomi, Leonida Bissolati e il movimento socialista in Italia, Milano 1929.