PIERACCINI, Leonetta
– Nacque a Poggibonsi (nei pressi di Siena) il 31 ottobre 1882 da Ottaviano, medico (e socialista illuminato), e dalla sua terza moglie, Argene Zani.
I fratelli di Leonetta furono tutti medici e socialisti: Gaetano e Arnaldo furono figli, insieme a Giulia (1868-1937), del secondo matrimonio di Ottaviano con Polissena Sprugnoli. Gaetano (1864-1967), primo sindaco di Firenze dopo la Liberazione, e poi senatore, fu anche autore di un importante studio sulla dinastia dei Medici Cafaggiolo; Arnaldo (1865-1957) fu direttore del manicomio di Arezzo, dove si distinse come innovatore nel campo delle malattie mentali. Guido (1873-1953), fratello germano di Leonetta, fu medico condotto. Nel 1891 Ottaviano Pieraccini perse il suo patrimonio per risarcire gli azionisti della banca popolare da lui fondata, in seguito alla truffa di un socio. Fu condannato a tre anni di reclusione, che scontò in parte con gli arresti domiciliari, in parte nel carcere di Siena.
Nel 1893 la famiglia si trasferì a Firenze, dove di lì a poco la giovane Pieraccini, che aveva mostrato inclinazioni artistiche, prese lezioni di disegno dalle sorelle Sartoni, ritrattiste di grido della buona società fiorentina. Nel 1898 Leonetta e i genitori si trasferirono a Colmurano, nel Maceratese, dove il fratello Guido esercitava la sua professione e dove Leonetta si dedicò alla pittura, realizzando ritratti e paesaggi. Nel 1902 si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze. Allieva, come poi avrebbe sempre ricordato, di Giovanni Fattori per la pittura e di Augusto Bruchi per l’ornato, nel corso dei primi due anni ottenne in premio quattro medaglie d’argento. Nel 1904 conseguì il diploma accademico per l‘abilitazione all’insegnamento di disegno ornamentale nelle scuole secondarie, e l’anno seguente quello in figura disegnata e dipinta. All’Accademia strinse amicizia con il pittore Armando Spadini e la sua futura moglie, Pasqualina Cervone. Nel 1906 espose la sua prima opera (un grande autoritratto in abito da passeggio, con uno sfondo di nuvolaglie e di fronde) alla Promotrice per le belle arti di Firenze. A quell’epoca la giovane artista subiva il fascino del romanticismo classicheggiante del pittore Giovanni Costetti, noto per la sua abilità di ritrattista. Nello stesso anno suo padre Ottaviano fu colpito da un’emorragia cerebrale che lo costrinse all’immobilità. In quel periodo conobbe Emilio Cecchi (1884-1966), che sarebbe diventato uno dei più autorevoli critici e saggisti della sua generazione. I due si fidanzarono nel 1910 per sposarsi l’anno successivo. Subito dopo il matrimonio, celebrato a Poggibonsi, la giovane coppia si trasferì a Roma, in un’abitazione in via Nomentana 331 (allora quasi campagna). Cecchi, che aveva accettato da Olindo Malagodi un incarico per il quotidiano La Tribuna, lavorava alla stesura della Storia della letteratura inglese nel secolo XIX (1915). Probabilmente in quel periodo Leonetta iniziò a tenere un diario, abitudine alla quale restò fedele per tutta la vita.
L’abitazione romana dei Cecchi divenne, in breve, il punto di incontro di una cerchia di artisti e intellettuali, tra cui figuravano, come avrebbe ricordato la stessa Leonetta nei suoi scritti, Armando e Pasqualina Spadini (anch’essi trasferitisi a Roma), Antonio Baldini, Alfredo Gargiulo, Giuseppe Antonio Borgese, Fausto Torrefranca, Giovanni Amendola, Sibilla Aleramo, Vincenzo Cardarelli, Goffredo Bellonci, Cesare Pascarella, Angelo Signorelli e la moglie Olga Resnevic. Dopo la dolorosa perdita del primo figlio, Mario (1912), nato morto, nel 1913 nacque Giuditta ('Ditta', futura studiosa di letteratura inglese, traduttrice e moglie, nel 1947, del pittore Amerigo Bartoli Natinguerra), seguita nel 1914 da Giovanna ('Suso', futura sceneggiatrice, avrebbe sposato nel 1938 il musicologo e critico musicale Fedele d’Amico). Nonostante le crescenti incombenze familiari, Leonetta non abbandonò la pittura.
Nel 1912 espose un ritratto alla LXXXI Esposizione della Società di amatori e cultori di belle arti. Negli anni successivi partecipò alla II e alla III Esposizione internazionale d’arte della Secessione. Nel maggio 1915 Cecchi, richiamato alle armi, partì per Alessandria come tenente di commissariato, e Leonetta si trasferì a Firenze. Nel 1916 L.C.P. (secondo la sigla che iniziò a utilizzare per firmare le sue opere) partecipò alla IV Esposizione della Secessione romana con due dipinti: il Ritratto di Emilio Cecchi (1911) e una Natura morta, che suscitarono l’interesse lusinghiero dei critici Cipriano Efisio Oppo (L’Idea Nazionale), Arturo Maraini (La Tribuna), Arturo Lancellotti (Emporium). Furono, quegli anni Dieci e i primi del decennio seguente, i più fecondi per la sua arte, invasa allora da un sentimento del colore libero e carico.
Nel 1917 nacque a Firenze il figlio Dario (futuro pittore, scrittore, costumista e scenografo cinematografico, che avrebbe sposato nel 1950 Maria Baronj). Nel 1918 Pieraccini partecipò alla Mostra d’arte giovanile, esponendovi tre ritratti e un paesaggio, e ottenendo ancora favorevoli recensioni. Nello stesso anno Cecchi, come inviato dell’Italian foreign action Bureau, si recò in Inghilterra, mentre Leonetta rimase a Firenze. Nel 1919 raggiunse il marito a Parigi per un breve soggiorno. Al ritorno, la famiglia Cecchi lasciò Firenze per rientrare a Roma, ma, nel 1920, a causa della penuria di alloggi, fu costretta a trasferirsi temporaneamente ad Ariccia, per poi ristabilirsi finalmente a Roma, in un appartamento in via Appia Nuova. Cecchi riprese la collaborazione con La Tribuna e fu tra le firme della nuova rivista letteraria La Ronda, il cui primo numero uscì nell’aprile del 1919.
Nel febbraio 1921, incoraggiata da Spadini, che l’aiutò a selezionare i lavori da esporre, Leonetta tenne la prima mostra personale alla Casa d’arte Bragaglia, LIX Esposizione, dove raccolse circa cinquanta opere a olio e ad acquerello. La mostra ricevette numerose recensioni lusinghiere, fra cui quella di Oppo (L’Idea Nazionale). Seguirono altre occasioni importanti: la I e la II Biennale romana, rispettivamente nel 1921 e nel 1923. In quest’ultima Pieraccini espose due ritratti femminili ovali, raffiguranti la signora Andriulli Peruzzi e Rosina Pisaneschi, moglie di Alberto Spaini, raccogliendo i giudizi positivi di Ugo Ojetti (Corriere della sera) e di Giuseppe Ungaretti, il quale così scrisse: «Leonetta Cecchi Pieraccini présente des portraits dont le charme tient à des qualités de force et de précision. Elle sait allier la fraîcheur des tons aux nécessités architecturales et à la vivacité de l’interpretation» (Lettres romaines, in L’Italie nouvelle, 9 dicembre 1923).
Nel 1924 i Cecchi si trasferirono definitivamente a corso Italia 11, in un appartamento al quinto piano, affacciato su villa Borghese.
La loro casa, aperta agli amici ogni domenica, divenne un luogo di ritrovo abituale per la comunità letteraria e artistica romana. Agli amici che già frequentavano l’abitazione di via Nomentana prima della guerra si aggiunsero nuovi ospiti, destinati ad aumentare e variare nel corso degli anni: il giovane Nino Rota, Roberto Longhi e la moglie Lucia Lopresti (Anna Banti), Leo Longanesi, Vitaliano Brancati, Mino Maccari, Gianna Manzini, Alberto Moravia, Elsa Morante e molti altri.
Nel frattempo, l’attività artistica di Leonetta si infittì di appuntamenti. Nel 1926 la pittrice ebbe una personale alla XVIII Mostra Ca’ Pesaro di Venezia, partecipò alla I Permanente di Milano e all’Esposizione Modern art a Brighton. Nel 1927 fu tra gli artisti selezionati da Margherita Sarfatti alla XCIII Esposizione della Società amatori e cultori di belle arti in una sala destinata a ospitare le opere di Dieci artisti del Novecento italiano, al palazzo delle Esposizioni di Roma.
In questa occasione espose cinque opere: L’innamorato, Paese, Antonio Baldini, Paesaggio, Ungaretti. Nella stessa sala esponevano Amerigo Bartoli, Gisberto Ceracchini, Riccardo Francalancia, Virgilio Guidi, Carlo Socrate, Francesco Trombadori, Luigi Trifoglio, Romano Romanelli, Attilio Torresini, il che evidenzia l’ambito eletto della migliore pittura romana più legata alla tradizione alla quale ella si sentiva legata e alla quale ormai stabilmente apparteneva.
Nel 1927 Leonetta espose quattro marine liguri alla II Mostra d’arte marinara di Roma, ottenendo buoni consensi da parte di critici come Oppo e Corrado Pavolini. In quegli anni, inoltre, si andò sempre più affermando come la ritrattista dei letterati.
Tra le numerose mostre di questo periodo ricordiamo due personali: alla Fiera letteraria di Milano, Saletta delle arti (1928), ove la pittrice espose quarantadue opere, e alla Galleria G.B. Valle di Genova (1929), in cui espose cinquantaquattro dipinti.
Nel luglio 1930 Pieraccini si imbarcò con il marito sul transatlantico Conte Grande per New York. Cecchi era stato invitato dalla Berkeley University della California a tenere due corsi di letteratura. Leonetta restò tre mesi a New York, visitando, insieme agli amici Henry Furst e Mario Soldati, i musei e la città, alla quale consacrò numerosi dipinti, disegni e acquerelli; inoltre, prese contatto con alcune gallerie di arte contemporanea, visitò Chicago, raggiunse il marito al Campus universitario per poi rientrare in Italia, dove il consorte la raggiunse a dicembre.
In questi anni partecipò a una serie di esposizioni: alla XVII Biennale di Venezia (1930), alla II Sindacale del Lazio, alla I Quadriennale romana (1931), a un’ampia collettiva sempre promossa dalla Quadriennale, e poi fu ancora al Baltimore Museum of arts, al Syracuse Museum of fine arts (1931-32), nel 1933 alla I Mostra del Sindacato nazionale fascista di belle arti di Firenze.
Nel 1934 seguirono una serie di importanti collettive: la IV Mostra del Sindacato fascista belle arti del Lazio, ai Mercati traianei, la I Mostra interprovinciale femminile di belle arti a Roma, il Premio Castellammare, la XIX Biennale di Venezia, dove espose quattro monotipi insieme a tre ritratti (Ritratto di Achille Campanile, Ritratto del pittore G. Ceracchini, La Signora e la scimmia). L’impegno più importante fu la mostra personale alla Galleria Lyceum di Firenze, nel dicembre dello stesso anno, con quarantasei olii e alcuni monotipi. Vi espose tra l’altro i ritratti di Antonio Baldini, Pietro Aschieri, Sibilla Aleramo, Alberto Moravia, Carlo Visconti Venosta, Henry Furst, Libero de Libero, Enrico Falqui, Giuseppe Ungaretti, Achille Campanile, Amerigo Bartoli, Roberto Longhi, Arnaldo Frateili, Pietro Pancrazi, Gisberto Ceracchini, Ilo Nuñes, Diomira Jacobini, Sonia di Nuccio, Eugenio Giovannetti.
Nell’agosto del 1936 si recò in Brasile, in occasione di una mostra personale allestita nell’Hotel Esplanada di San Paolo del Brasile. Tenne due conferenze nelle sale della Società Dante Alighieri sulla pittura dell’Ottocento e del Novecento. Vi rimase tre mesi, visitando anche Rio de Janeiro.
Dalla seconda metà degli anni Trenta le occasioni espositive divennero meno frequenti, così come la produzione pittorica dell’artista. Pieraccini partecipò comunque alla Quadriennale di Roma del 1935, con due monotipi e tre dipinti (Ballerina, Giovannella, Danzatrice in riposo), mentre nel febbraio 1938 la galleria Gianferrari di Milano ospitò una sua personale, con cinquanta dipinti, alcuni monotipi e numerosi disegni.
Seguirono tre piccole mostre romane: alla Galleria di Roma con lo scultore Timo Borlotti (1941) e, nel dopoguerra, alla galleria La Finestra (1950) e alla Saletta della Libreria Macchia (1956).
Al progressivo rarefarsi delle mostre corrispose un maggiore impegno letterario: collaborò in qualità di giornalista di costume con diversi periodici e alcuni quotidiani, in particolare con Omnibus (1937) di Longanesi, adoperando la firma Leonetta Cecchi Pieraccini o T.T.T. (dal diminutivo Tètta), con Oggi (dal 1940, con firma T.T.T.) e con Il Mondo (dal 1958, con il proprio nome).
Fu inoltre autrice di tre volumi: Visti da vicino (Firenze 1952) in cui rievocò incontri e frequentazioni con personaggi celebri (Cesare Pascarella, Trilussa, Fattori, Armando Spadini, Dino Campana, Medardo Rosso e molti altri); Vecchie agendine (1911-1929) (Firenze 1960); Agendina di guerra (Milano 1964), nei quali narrò memorie storiche e personali.
Per comporre questi libri, Leonetta attinse in larga parte ai propri diari, vera miniera di informazioni, osservazioni, aneddoti, compilati tra il 1911 e il 1971. I quaderni originali sono attualmente conservati presso l’Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze, mentre una copia dattiloscritta dagli originali, trascritta dalla figlia Suso Cecchi d’Amico, si trova nell’Archivio Leonetta Cecchi Pieraccini di Roma. Una prima parte dei diari è stata pubblicata (Agendine 1911-1929), a cura di Isabella d’Amico (Palermo 2015).
Leonetta Cecchi Pieraccini collaborò anche, in qualità di illustratrice, con numerosi periodici, tra i quali Cronache d’attualità, di Anton Giulio Bragaglia, e La Fiera letteraria (divenuta dal 1929 L’Italia letteraria).
Nel 1959 la figlia Giuditta si ammalò gravemente e, dopo una lunga e dolorosa infermità, morì il 16 luglio del 1966 seguita, il 5 settembre, dal marito Emilio.
L’ultima mostra di Pieraccini, curata dal figlio Dario, in occasione dei suoi novant’anni, fu alla Galleria Aldina di Roma nel novembre del 1972.
Morì a Roma il 23 settembre 1977. Le è stata dedicata un’ampia mostra rievocativa a Poggibonsi nel 1999, a cura di Pier Paolo Pancotto.
Fonti e Bibl.: Per una completa bibliografia, si veda il catalogo della mostra retrospettiva di Poggibonsi: P.P. Pancotto, Leonetta Cecchi Pieraccini, Roma 1999. Si veda inoltre: T. Kezich - A. Levantesi, Una dinastia italiana, Milano 2010.