SPADA, Leonello
– Nacque a Bologna nel 1576; la data si ricava dall’epitaffio posto nel duomo di Parma in occasione della sua morte, avvenuta il 17 maggio 1622 all’età di quarantasei anni (M. Oretti, Notizie...).
Rari sono i documenti relativi alla sua vita privata: il 30 aprile 1596 sposò Caterina Cocchi, il 26 novembre 1598 nacque la figlia Violante (Ginevra nel 1602, Lucia nel 1603, Lucrezia nel 1607); il padre Giacomo fece testamento «corpore languens» il 22 ottobre 1600 (Monducci et al., 2002, pp. 236 s.).
L’unica fonte sulla sua formazione è la biografia dedicatagli da Carlo Cesare Malvasia (Felsina pittrice..., 1678, pp. 103-120), basata sui racconti di Angelo Michele Colonna, Guercino e Alessandro Tiarini. Secondo Malvasia, Spada ricevette una prima educazione presso Cesare Baglione, decoratore attivo tra Parma e Bologna, che lo indirizzò all’affresco e alla quadratura, attività nelle quali fu spesso impegnato con Girolamo Curti detto il Dentone, ricordato come suo maestro. La propensione di Spada per la pittura illusionistica è evidente nella Memoria di Venceslao Lazzari, all’Archiginnasio di Bologna, sua prima opera datata (1601). Malvasia ricorda anche un «soffitto di quadratura» eseguito a Parma in giovane età. Ancora nel 1665 Cesare Ancini (Raccolta..., 1665) lo chiamava «Leonello delle prospettive».
Stando a Malvasia, Spada frequentò, complice Agostino Carracci, anche la bottega di Giovannino da Capugnano. Una consuetudine con l’Accademia degli Incamminati è d’altronde verificabile a partire dal 1603, quando egli collaborò agli apparati allestiti a Bologna proprio in onore di Agostino, morto a Parma l’anno precedente; sono riferite a lui alcune quadrature e un Cefalo e Aurora di cui resta l’incisione (B. Morello, in C.C. Malvasia, Felsina pittrice..., 1678, p. 75). A fianco di altri allievi dei Carracci eseguì in S. Colombano il ludovichiano Riposo nella fuga in Egitto, datato tra il 1600, come il ciclo dell’oratorio superiore (Monducci et al., 2002, p. 19), e il 1604 (Frisoni, 1975, p. 57).
In seno all’Accademia, con Francesco Brizio e Lucio Massari eseguì i coevi fregi dell’oratorio della Trinità a Pieve di Cento (1605) e di palazzo Bonfiglioli Rossi, dal fare carraccesco rallegrato da panneggi neomanieristici e fisicità tibaldiane. Contemporanea è l’impresa di S. Michele in Bosco, avviata nel 1604 e conclusa l’anno seguente: il 9 aprile 1605 Spada fu pagato per la S. Cecilia nel bagno ardente e per il S. Benedetto che salva il monaco rapito dai diavoli (Malaguzzi Valeri, 1895), di lingua strettamente carraccesca stando alle incisioni che li documentano.
In parallelo il pittore avviò una promettente carriera solista. Nel 1604 si recò a Loreto per affrescare la sagrestia nuova del santuario, incarico poi toccato a Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (Posner, 1963). Al 1605 si può datare il Cristo irato tra i ss. Domenico e Francesco della Madonna dei Poveri a Bologna (Fanti, 1977), sua prima pala d’altare, criticata da Guido Reni, ma che «par de’ Carracci» secondo Malvasia (Felsina pittrice..., 1678, p. 105); Fiorella Frisoni vi rileva, oltre all’impronta di Ludovico, l’interesse per Annibale Carracci e per Francesco Albani. Di poco seguente è l’Incontro tra Abramo e Melchisedec del collegio Montalto (Bologna, Pinacoteca Nazionale). Datata al 1607 è la Pesca miracolosa, nel refettorio di S. Procolo, in cui la Frisoni avverte una vicinanza con Tiarini.
Spada dovette aggregarsi assai presto all’Accademia letteraria dei Selvaggi, istituita nel 1606: l’anno seguente, infatti, collaborò alla prefazione del Tirinto di Giovanni Capponi (Monducci et al., 2002, p. 28). Malvasia sottolinea le sue doti letterarie e l’inclinazione per la poesia, riscontrabili sia in componimenti epitalamici, come quelli per le nozze di Alfonso III d’Este e Isabella di Savoia (1608), sia in poemetti satirici quali le perdute terzine su Denijs Calvaert e le ottave dedicate alla finta morte di Giovannino da Capugnano (C.C. Malvasia, Felsina pittrice..., 1678, pp. 124 s.), opere perfettamente in linea col personaggio sopra le righe, burlone e smargiasso restituitoci dalla biografia malvasiana.
Le frequenti attestazioni di Spada a Bologna rendono improbabile una sua presenza a Roma in questi anni e smontano la leggenda dell’amicizia con Caravaggio (non esclusa da Negro - Roio, 2013, e da Pirondini, 2012), con cui, stando a Malvasia, si sarebbe recato a Napoli e a Malta e per il quale avrebbe fatto da modello. Tali ipotesi sono smentite dall’assenza, nei dipinti del primo decennio, dei riflessi che tale contiguità avrebbe certo instillato nel suo linguaggio.
A Malta Spada si recò certamente, e l’esperienza trova conferma documentaria nei rinvenimenti di Stefania Macioce (1994). L’incarico di affrescare tre sale del palazzo del Gran Maestro (degli Ambasciatori, dei Paggi, dei Consiglieri), tuttora esistenti e già riferitegli da Federico Zeri e da Mina Gregori (1974, pp. 600-603), gli fu procurato da Alessandro Orsi, cavaliere bolognese dell’ordine, che fece il suo nome ad Alof de Wignacourt. I documenti situano l’arrivo di Spada a Malta dopo il 28 agosto 1609, quando Wignacourt ne accettò la candidatura invitandolo a raggiungere La Valletta entro l’autunno. Il gran maestro inviò una lettera di credito a Napoli (dove Spada dovette far breve tappa) al commendatore Carafa, affinché l’artista potesse acquistare i colori, quindi gli promise 400 ducati, vitto, alloggio e un aiuto per l’esecuzione delle pitture. Secondo Macioce l’aiuto era Massari, ma ragioni di stile sembrano escludere questa collaborazione. Per Massimo Pirondini (2012) a Malta Spada poté forse contare su Pietro Desani. Leonello era ancora a Bologna il 23 novembre 1609, quando firmò un mandato di procura a favore della moglie (Monducci et al., 2002, p. 221), segno che la partenza era ormai imminente. Gli affreschi maltesi rispecchiano la tipologia carraccesca del fregio, con scene intervallate da termini monocromi; il linguaggio di Spada si dimostra ancora all’oscuro di Caravaggio, che deve aver visto per la prima volta proprio a Malta, mentre l’assimilazione graduale e consapevole del suo stile deve essere avvenuta poco più tardi, probabilmente nel corso di un soggiorno romano.
Non è noto quando Spada sia rientrato a Bologna, poiché i documenti successivi risalgono al 1614 e lasciano ampio spazio al probabile soggiorno romano. La Frisoni, che già aveva constatato l’assenza di accenti caravaggeschi fino agli affreschi maltesi, ipotizza una prima sosta nell’Urbe durante la discesa verso La Valletta, e una seconda, più feconda e foriera di conseguenze, intorno al 1610. A questo soggiorno riferisce il S. Giovanni Evangelista dei Cappuccini di Roma (Frisoni, 1994, pp. 266, 270 nota 18), più probabilmente dipinto a Bologna poiché donato alla chiesa dal bolognese Girolamo Domenichini, trasferitosi nell’Urbe solo nel 1621 (G. Leone, in Roma al tempo di Caravaggio, 2011).
Tra Roma e Bologna, entro il 1614, la Frisoni pone le opere di maggior qualità, nelle quali più si nota l’epidermica fascinazione per il naturalismo e per i temi di Merisi; tra queste il Caino e Abele di Capodimonte, che oscilla tra Bartolomeo Manfredi e Giovanni Baglione, e dove affiora il ricordo della Crocifissione di s. Pietro di Caravaggio (Mazza, 2008, p. 330); il Concerto, che Camillo Pamphilj ereditò nel 1743 dal cardinale Ludovico Pico della Mirandola, e fu poi ceduto ai Borghese (De Marchi, 2014, p. 237); il Cristo alla colonna e il David di Dresda (Gemäldegalerie), dagl’imprevisti risvolti psicologici; la nordicizzante Giuditta di Bologna (Palazzo Pepoli Campogrande); il Cristo coronato di spine del museo di Chantilly; l’Andata al Calvario di Parma (Galleria Nazionale).
La prima opera di Spada, una volta rientrato a Bologna, fu una perduta Samaritana molto apprezzata da Tiarini (C.C. Malvasia, Felsina pittrice..., 1678, p. 107). Vale la pena di soffermarsi sui rapporti professionali intercorsi tra i due artisti, che spesso agirono spalla a spalla, anche se non sempre in simultanea: nel chiostro ottagonale di S. Michele in Bosco Tiarini realizzò Il monaco disobbediente dissotterrato e assolto; per i Bonfiglioli, Spada dipinse il Cristo resuscita il figlio della vedova di Naim oggi a Cesena, mentre il collega ultimava il Cristo deposto oggi CREDEM (Mazza, 2001; D. Benati, in Alessandro Tiarini, 2002, p. 144); per la cappella dell’Arca in S. Domenico, a Bologna, Tiarini eseguì il S. Domenico resuscita un bambino (1614-15) e Leonello il S. Domenico brucia i libri eretici; nel santuario della Ghiara, a Reggio, Alessandro operò nel 1619 e tra il 1626 e il 1629, qualche anno dopo Spada, che, forse, fu favorito dal cardinale Alessandro d’Este, proprietario di una Castità di Giuseppe di sua mano, pendant del Rinaldo impedisce ad Armida di uccidersi di Tiarini, oggi entrambi al Palais des Beaux-Arts di Lille.
Proprio a Reggio si hanno le successive attestazioni archivistiche, relative ai lavori da eseguirsi nella basilica della Ghiara. Il 5 novembre 1614 Spada firmò il contratto per gli sfondati della cappella della Madonna e dei pennacchi della cupola, che in seguito decorò interamente, ricevendo l’ultimo pagamento il 16 settembre 1616 (Monducci, 1998). Gli affreschi sono «la più focosa e libera espressione della fantasia dello Spada» (Frisoni, 1975, p. 67): rinunciando al naturalismo, egli recupera l’illusionismo dei primi tempi, l’esuberanza ornamentale e le cromie neomanieristiche, elementi che si sommano a una rinnovata infusione classicista memore di Domenichino e Annibale.
In contemporanea, mentre ancora si trovava a Reggio, l’artista eseguì l’importante dipinto per la cappella dell’Arca di S. Domenico a Bologna. La decorazione dell’ambiente subì un forte impulso in vista del capitolo generale dei domenicani, programmato per il 1615: nel 1613 la Gloria di s. Domenico di Reni sostituì quella di Giovanni Luigi Valesio; tra il 1613 e il 1614 Giovanni Andrea Donducci detto il Mastelletta consegnò i suoi grandi teleri (Alce, 1958). A Tiarini spettavano i due grandi dipinti centinati per i lati dello scalone, ma l’intervento del cardinale Maffeo Barberini (legato a Bologna tra il 1611 e il 1614), protettore di Spada, fece in modo che il S. Domenico brucia i libri eretici fosse destinato a quest’ultimo. L’acconto di 200 lire gli fu versato il 17 novembre 1614, il saldo di 400 il 5 agosto 1616 (ibid.). Nel viaggio verso Bologna il dipinto fece tappa a Modena, esposto nella chiesa dei domenicani (G.B. Spaccini, Cronaca…, a cura di R. Bussi - C. Giovannini, 2002). Forse progettata e ampiamente condotta nel 1614, la tela segnò il rientro stilistico in patria, palesando un’influenza di Domenichino visibile anche nel Figliol prodigo, nell’Enea e Anchise e nel Concerto Ludovisi, tutti del Louvre (Frisoni, 1975, pp. 65 s.).
Il legame con il cardinal Barberini è ribadito da alcune lettere che furono scritte da Spada tra il 27 settembre 1614 e il 10 aprile 1618, quando il prelato aveva già lasciato Bologna, e che documentano anche varie commissioni (Sickel, 2004). Angelo Mazza (2008) ritiene che al cardinale si debba anche il Cristo morto e la Vergine (collezione privata), già nella cappella privata dell’appartamento del Legato a Bologna, ma Nicosetta Roio (2013), datandolo ai primi anni parmensi, dubita della prestigiosa committenza.
In seguito, avvenimenti importanti si succedettero rapidamente: il 30 aprile 1616, ancora operoso nella basilica della Ghiara, Spada divenne pittore di corte del duca di Parma, impegnandosi a lavorare per lui dieci mesi all’anno (Monducci, 1994, p. 277). Questo non gli impedì di accettare altre importanti commesse: il primo settembre 1617 firmò i contratti per la Visione di s. Francesco già alla Ghiara (ora Modena, Galleria Estense) e per il Martirio di s. Cristoforo, un tempo in S. Domenico a Reggio e oggi nel museo di épernay. I rapporti con la città rimasero vivi, attestati anche dalla Natività di Maria di Castelnovo di Sotto (1617-18) e dalla Madonna di Loreto già in S. Agostino, oggi nella basilica della Ghiara, opera di un seguace per Frisoni (1975, p. 78 nota 51) e Alessandro Brogi (1996, p. 243), di Spada e collaboratori per Pirondini (Monducci et al., 2002, p. 65), correttamente restituita al solo Spada da Benati (1999, p. 133).
Il 19 luglio 1617, secondo la celebre lettera di Ludovico Carracci a Ferrante Carlo, Spada era a Bologna. Poche settimane prima aveva incassato l’acconto per la Visione di s. Ignazio della chiesa di S. Rocco a Parma, saldata il 30 luglio 1618. Pirondini ritiene quella oggi sull’altare una copia di Pietro Antonio Rotari, pagato nel 1744 per un «quadro nuovo» di uguale destinazione, rinvenuto però da Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi (1982) nella Certosa di Parma. Grazie agli studi di Alberto Crispo (2010) sappiamo che l’originale fu incamerato dai Farnese e probabilmente rimpiazzato da una copia, da attribuirsi al non meglio noto Pietro Bastiani, la cui firma è riemersa in occasione di un restauro.
Per Ranuccio Farnese Spada completò imprese decorative che lo videro tornare sugli iniziali passi di quadraturista: tra le altre, il perduto soffitto della chiesa di Castello, avviato nel 1621 e proseguito da Sebastiano Vercellesi (Monducci et al., 2002, pp. 233 s.). Sovrintese poi all’importante cantiere del teatro Farnese, il cui ornamento fu compiuto entro la fine del 1618 da un’équipe che comprendeva anche l’amico Curti. Spada eseguì monocromi nelle nicchie, architetture attorno alle statue di Alessandro e Ottavio Farnese e il perduto Giove a cavallo dell’aquila nel soffitto.
Al 1621, quando ormai, stando a Michelangelo Colonna, «parea non sapesse più pingere» (C.C. Malvasia, Felsina pittrice..., 1678, p. 111), risale lo Sposalizio di s. Caterina, nella chiesa parmense di S. Sepolcro (Monducci et al., 2002, pp. 188 s.). Spada morì l’anno seguente, indigente ma con un grosso credito da riscuotere (Pirondini, 2012, pp. 89-91; Sirocchi, 2014), forse a causa di una malattia che procurava incubi, per il rimedio dei quali chiese aiuto a Guercino e a Lorenzo Gennari in una lettera del 14 febbraio 1620 (Sickel, 2003).
Fonti e Bibl.: Reggio Emilia, Biblioteca Municipale Panizzi, ms. Regg. C. 62: C. Ancini, Raccolta di varie cose della città di Reggio… (1665), c. 11r; Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B.126: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno… (sec. XVIII), p. 354; G.B. Spaccini, Cronaca di Modena. Anni 1612-1616, a cura di R. Bussi - C. Giovannini, Modena 2002, p. 668, 31 luglio 1616; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, II, Bologna 1678, pp. 75, 103-120, 124 s.
F. Malaguzzi Valeri, La chiesa e il convento di S. Michele in Bosco, Bologna 1895, p. 72; V. Alce, Cronologia delle opere d’arte della Cappella di San Domenico in Bologna dal 1597 al 1619, in Arte antica e moderna, IV (1958), pp. 394-406; D. Posner, Spada, Reni and Roncalli at Loreto, ibid., (IX) 1963, pp. 254-257; M. Gregori, A new painting and some observations on Caravaggio’s journey to Malta, in The Burlington Magazine, CXVI (1974), pp. 594-603; F. Frisoni, L. S., in Paragone, XXVI (1975), 299, pp. 53-79; M. Fanti, La chiesa e la compagnia dei Poveri in Bologna..., Bologna 1977, pp. 152 s.; G. Cirillo - G. Godi, Inediti di Rotari e Cignaroli, in Gazzetta di Parma, 30 luglio 1982; F. Frisoni, Lionello Spada, in La scuola dei Carracci. Dall’Accademia alla bottega di Ludovico, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1994, pp. 265-276; E. Monducci, Documenti inediti, ibid., pp. 277-280; S. Macioce, L. S. a Malta: nuovi documenti, in Storia dell’arte, 1994, n. 80, pp. 54-58; A. Brogi, Le pale d’altare e gli altri dipinti mobili, in Il santuario della Madonna della Ghiara a Reggio Emilia, a cura di A. Bacchi - M. Mussini, Torino 1996, pp. 225-247; E. Monducci, Il tempio della Madonna della Ghiara a Reggio Emilia nei documenti d’archivio, Reggio Emilia 1998, pp. 235 s.; D. Benati, Da L. S. a Francesco Stringa. Modelli forestieri per la pittura reggiana, in Il Seicento a Reggio. La storia, la città, gli artisti, a cura di P. Ceschi Lavagetto, Milano 1999, pp. 131-158; A. Mazza, La galleria dei dipinti antichi della Cassa di Risparmio di Cesena, Milano 2001, p. 239; Alessandro Tiarini. La grande stagione della pittura del ’600 a Reggio (catal.), a cura di D. Benati - A. Mazza (catal., Reggio Emilia), Milano 2002; E. Monducci et al., L. S. (1576-1622), Reggio Emilia 2002; L. Sickel, Spada’s letter to Guercino, in Paragone, s. 3, LIV (2003), 641, pp. 26-32; L. Sickel, “…il desiderio ch’io tengo di servirla…”. Leonello Spadas Tätigkeit für den Kardinal Maffeo Barberini im Licht unbekannter Briefe, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLVI (2004), pp. 409-438; A. Mazza, L. S. e la memoria di Venceslao Lazzari all’Archiginnasio, in L’Archiginnasio, CIII (2008), pp. 289-340; A. Crispo, Un inedito San Giovanni Battista di Bartolomeo Schedoni e altre note per Luigi Amidani e Lionello Spada, in Parma per l’arte, XVI (2010), 1-2, pp. 153-168; G. Leone, Roma al tempo di Caravaggio. 1600-1630. Opere (catal., Roma), a cura di R. Vodret, Milano 2011, pp. 212-214; M. Pirondini, Postille a L. S., in Atti della giornata di studi Questioni caravaggesche, a cura di P. Carofano, Pontedera 2012, pp. 77-107; E. Negro - N. Roio, Caravaggio e i caravaggeschi in Emilia, Modena 2013, pp. 226-241; N. Roio, Bartolomeo Schedoni e L. S. Alcune opere sconosciute di due “caravaggisti” padani, in Valori tattili, I (2013), pp. 48-65; A.G. De Marchi, Il fascino dell’esotico in un bastimento di quadri per Camillo Pamphilj Junior, in Bollettino d’arte, s. 7, IC (2014), 22-23, pp. 237-246; S. Sirocchi, Confessioni e assoluzioni. Nuove spigolature su L. S. e Guido Reni, in Intrecci d’arte, III (2014), 56-68.